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lunedì, 18 giugno 2018

DIPINGERE L’INVISIBILE nelle PAROLE DELL’ARTE

Il nuovo appuntamento della rubrica di Letteratitudine chiamata “Saggistica Letteraria” è dedicato al volume “Dipingere l’invisibile. Sulle tracce di Francis Bacon di Fabrizio Coscia (Sillabe).
Ne approfittiamo contestualmente per aprire una finestra dedicata alla collana di Sillabe, che ospita il libro di Coscia: si  chiama «Parole dell’Arte» ed è diretta da Antonio Celano.

Qui di seguito diamo la parola all’autore del libro e al curatore della collana.

* * *

DIPINGERE L’INVISIBILE. Sulle tracce di Francis Bacon

Il testo di Fabrizio Coscia è un originale «reportage interiore», dove vita e opere sono sempre reciprocamente illuminanti. Ad emergere sono aspetti inediti dell’arte di Bacon, accompagnati dalle analisi di singoli quadri e dalle dichiarazioni rilasciate dal pittore nelle sue celebri interviste.

È sulla figura umana, e in particolare sul corpo, che Bacon concentra tutta la sua attenzione, con amore e disperazione, con sadica aggressività e inattesa tenerezza. Corpi che vengono deformati, scorticati, rotti, spaccati, torturati, aperti, per attingere all’essenza emotiva, demonica, arcana della condizione umana. Artista della passione e del desiderio, della memoria e del dolore, del sesso e della morte, ovvero di tutte quelle forze invisibili e inconsce che dominano e regolano la nostra esistenza, Bacon diviene, inaspettatamente, campo di indagine anche per chi (come l’autore di questo libro) lavora con le parole e s’interroga su ciò che esse evocano, cercano, chiedono.

* * *

«Ho scritto un libro su Francis Bacon, ma pensando alla memoria involontaria di Proust, ai saggi di Georges Didi-Huberman e agli scritti di Lacan», ci ha spiegato Fabrizio Coscia. «Ho cercato insomma di ragionare attorno all’idea dell’immagine, a che cosa si nasconde dietro e oltre l’immagine e soprattutto al rapporto che ha uno scrittore con l’Immaginario. Il libro inizia infatti con un interrogativo: esiste una memoria di ciò che non è mai stato? È un modo per interrogarsi su ciò che teniamo sepolto dentro di noi e che prima o poi abbiamo il compito di scandagliare. E finisce con un ricordo d’infanzia personale che forse non è mai esistito. A fare da filo conduttore, un quadro di Bacon rimosso, un’immagine cancellata, dunque. Per questo il sottotitolo del libro è: sulle tracce di Francis Bacon. Perché è più che altro un pedinamento, un inseguimento. Ho cercato infatti di cogliere Bacon da una prospettiva molto personale, quella cioè di un critico, di uno scrittore che lavora con le parole e si confronta con un grande artista che lavora con le immagini. (continua…)

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sabato, 13 maggio 2017

LA BELLEZZA CHE RESTA

Il nuovo appuntamento della rubrica di Letteratitudine chiamata “Saggistica Letteraria” è dedicato alla nuova opera di Fabrizio Coscia intitolata “La bellezza che resta” (Melville)

* * *

di Massimo Maugeri

Fabrizio Coscia (Napoli, 1967), scrittore, docente, critico letterario e teatrale è già stato ospite di questa rubrica con il volume SOLI ERAVAMO e altre storie (ad est dell’equatore). Torno ad ospitarlo con grande piacere per discutere della sua nuova opera intitolata “La bellezza che resta“, pubblicata da Melville edizioni nella collana Gli impossibili diretta da Andrea Caterini (anche lui, di recente, nostro gradito ospite con “La preghiera della letteratura“, edito da Fazi). In fondo alla pagina potrete leggere il testo della bandella del libro firmata dallo stesso Caterini. Qui di seguito, invece, vi propongo questa “chiacchierata online” con l’autore…

- Caro Fabrizio, partiamo dall’inizio… ovvero dalla genesi di questa tua opera. Nei “ringraziamenti” scrivi: “Questo libro non sarebbe mai stato scritto se Andrea Caterini non mi avesse proposto di lavorare a un saggio su Tolstoj“.
Come si è sviluppato il passaggio dalla elaborazione di questo saggio su Tolstoj al concepimento di “La bellezza che resta”?
«In effetti all’inizio la prospettiva di scrivere un saggio su Tolstoj, come mi aveva chiesto Andrea Caterini, mi ha affascinato ma anche terrorizzato non poco. Ho scelto allora di concentrarmi sull’ultimo Tolstoj, e in maniera ancora più circoscritta sul suo ultimo romanzo, uno dei suoi capolavori meno conosciuti, che è Chadži-Murat. Pensavo, cioè, che restringere il campo d’indagine potesse aiutarmi a non perdermi del tutto. Ma poi, come mi capita spesso, mi sono lasciato cogliere dal «demone dell’analogia» e dalla mia passione per le divagazioni, e così ho cominciato a riflettere sulle “opere ultime” dei grandi artisti, e su quale fosse il significato più profondo di un libro, un quadro, una musica, un’opera teatrale composti in prossimità della morte e nella consapevolezza di questa prossimità. Ho cercato, cioè, di penetrare nel significato di alcuni grandi capolavori, ma con molta umiltà, quasi in punta di piedi, per così dire. Così il mio saggio su Tolstoj è diventato alla fine qualcosa di molto diverso, e allora ho capito che era proprio questo “qualcosa di molto diverso” che mi era stato chiesto fin dall’inizio».

- Come epigrafe del libro hai scelto questa citazione di Joyce “sul padre” (da Finnegans Wake). La riporto di seguito. «I go back to you, my cold father, my cold mad father, my cold mad feary father».
Perché questa scelta? E perché hai voluto riportare la frase in originale (senza la traduzione in italiano)? (continua…)

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martedì, 14 aprile 2015

SOLI ERAVAMO – di Fabrizio Coscia

Nel nuovo appuntamento della rubrica di Letteratitudine chiamata “Saggistica Letteraria” diamo spazio al volume SOLI ERAVAMO e altre storie (ad est dell’equatore) di Fabrizio Coscia.
Un libro, in questo caso, che non si occupa solo di letteratura, ma (più in generale) di arte… tornando, però, alla letteratura.

Possono un romanzo, una poesia, un quadro o una musica cambiare la nostra vita? Illuminarla di un significato che ci era stato nascosto fino a un attimo prima? Mostrarci una strada mai percorsa? Secondo l’autore di questo libro sì. A patto di lasciarci coinvolgere incondizionatamente dall’amore per l’arte.

Di seguito: un intervento dell’autore (predisposto in esclusiva per Letteratitudine,  in cui ci racconta qualcosa sul volume) e un estratto del libro.

Massimo Maugeri

* * *

Fabrizio Coscia ci “racconta” SOLI ERAVAMO E ALTRE STORIE (ad est dell’equatore)

di Fabrizio Coscia

http://i.ytimg.com/vi/w9LsHDqQg-w/hqdefault.jpgHo scritto questo libro perché volevo guadagnarmi uno spazio di libertà, innanzitutto. Libertà dai generi, dai vincoli, dalle regole editoriali. E perché era da un po’ di tempo che provavo una certa stanchezza nei confronti della fiction, della terza persona, delle storie da inventare. Ho provato, allora, a mettermi nei panni del lettore, prima ancora che dello scrittore. E ho cercato una voce affidabile, credibile, da modulare. Sono nate così queste piccole storie che parlano di grandi scrittori, artisti, compositori, delle loro vicende biografiche e delle loro opere, raccontate da un personaggio-uomo (per usare una celebre definizione di Giacomo Debenedetti) che dice io, e che porta con sé tutto il suo carico di vissuto e tutta la sua esperienza di lettore emotivo: un lettore in carne e ossa e anima, che inframmezza i suoi ricordi, le sue sensazioni ai racconti degli episodi biografici. Ne è venuta fuori una sorta di romanzo di formazione, di autobiografia intellettuale, anche se in tono minore, qualcosa che però sfugge a una definizione univoca, perché, appunto, scritto in piena libertà di intenti. Si racconta, dunque, della tardiva e fatale fuga dall’oppressione matrimoniale di un Tolstoj ottantaduenne e di quella ribelle e adolescenziale di Rimbaud per l’Africa. Si racconta di un Kafka che s’improvvisa postino delle bambole per lenire il dolore di una bambina in un parco di Berlino; di un quadro di Edward Hopper che rimanda al finale di un racconto di Joyce, dell’incontro disastroso dello stesso Joyce con Proust, di un Leopardi ingordo di gelati, dei «suicidi imperfetti» di Virginia Woolf e Cesare Pavese, della fucilazione di Garcia Lorca e Isaak Babel’, dell’incontro probabilissimo tra il vecchio Casanova e il «Don Giovanni» di Mozart. E ancora: (continua…)

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giovedì, 25 marzo 2010

NAPOLI E L’IRPINIA TRA I LIBRI

Sono molto lieto di avviare questa discussione incentrata su Napoli e l’Irpinia, luoghi entrati nell’immaginario di molti di noi (ma anche luoghi dove sono nati e vivono parecchi amici di questo blog).
Nel farlo tenterò di coinvolgere alcuni scrittori che, attraverso i loro libri, hanno raccontato di queste terre e di tutto ciò che – nel bene e nel male – gravitano attorno a esse.
Credo sia superfluo premettere che la produzione di libri (di narrativa e non) dedicati, in un modo o nell’altro, a Napoli e all’Irpinia (a partire dall’ormai celeberrimo Gomorra di Saviano) è piuttosto cospicua. Per cui, i libri che segnalo in questo post sono solo una piccola rappresentanza della folta schiera disponibile.
Di seguito, come sempre, porrò qualche domanda al fine di agevolare la discussione. Ma prima ci tengo a presentare scrittori e libri coinvolti (li elenco per ordine alfabetico di cognome degli autori e curatori):
- “L’INFANZIA DELLE COSE” di Alessio Arena (Manni)
- “UNA TERRA SPACCATA” di Emilia Bersabea Cirillo (San Paolo)
- “L’IMBROGLIO NEL LENZUOLO” di Francesco Costa (Salani)
- “SCUORNO (Vergogna)” di Francesco Durante (Mondadori)
- “NAPOLI PER LE STRADE“, racconti a cura di Massimiliano Palmese (Azimut)
- “LE FRANE FERME. Quattro racconti sull’Irpinia” racconti a cura di Generoso Picone (Mephite edizioni)

Mi permetto di ricordare, tra gli altri, “Napoli sul mare luccica” di Antonella Cilento (Laterza) di cui avevamo parlato qui. E, per quanto riguarda l’Irpinia, i libri di Franco Arminio.

Gli autori dei suddetti libri, i curatori delle raccolte e gli autori dei racconti, gli amici irpini e napoletani e voi tutti… siete invitati a partecipare al dibattito.

Francesca Giulia Marone e Emilia Cirillo mi daranno un mano a moderare e a coordinare la discussione.

E ora… le domande del post:

1. Che differenza c’è tra Napoli e l’Irpinia (in cosa differiscono due città come Napoli e Avellino)?

2. Quali sono i “tratti” in comune?

3. Come è cambiata (se è cambiata) la Napoli di oggi rispetto a quella di venti, trenta, quarant’anni fa?
E l’Irpinia?

4. Che rapporto c’è tra Napoli, l’Irpinia e il cinema? Come sono state rappresentate nel grande schermo? Tali rappresentazioni sono sempre state aderenti alla realtà?

5. Se doveste scegliere, con riferimento all’intera storia della letteratura, il libro che meglio rappresenta Napoli… quale scegliereste? E perché?

6. E quale libro scegliereste in rappresentanza dell’Irpinia?

Di seguito, un po’ di notizie sui libri sopraccitati (ne approfitto per ringraziare gli autori delle recensioni).
Massimo Maugeri
(continua…)

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