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venerdì, 18 dicembre 2015

MEMORIALI SUL CASO SCHUMANN di Filippo Tuena

Memoriali sul caso SchumannNell’ambito del forum di Letteratitudine dedicato a “LETTERATURA E MUSICA“, ci occupiamo del nuovo romanzo di Filippo Tuena intitolato Memoriali sul caso Schumann” (Il Saggiatore, 2015).

Nei prossimi giorni, su LetteratitudineNews, pubblicheremo un estratto del libro…

* * *

Recensione di Claudio Morandini

Tuena è oggi, per me, uno dei migliori costruttori di storie; è artefice – ambizioso, com’è giusto in letteratura – di romanzi che ora si stendono come partiture, ora come mappe, o diari di bordo, o alberi genealogici, a seconda del tema, dell’ambientazione, delle passioni che vi si agitano. La struttura, nel suo caso, è importante quanto il soggetto – anzi, “è” il soggetto, ne è l’estensione, la proiezione. Il suo ultimo romanzo, “Memoriali sul caso Schumann”, conferma questo assunto: attorno alla figura complessa dell’ultimo Robert Schumann, afflitto da deliri e demenza, Tuena raccoglie (cioè in parte trascrive, in parte immagina) con meticolosità le testimonianze di coloro che lo hanno conosciuto, che ne hanno condiviso sofferenza e passioni, e che ne sono stati toccati fino al logoramento. Sotterranea, intanto, scorre una sensibilità musicale, che compone le parti del romanzo come sezioni di una vasta opera – cameristica, più che sinfonica, direi, visto l’esiguo numero di personaggi in gioco – in cui a prevalere, ancora una volta, come nella saga familiare delle “Variazioni Reinach” (di recente riviste per la nuova edizione Beat), è la forma della variazione. Il romanzo diventa polifonia di voci attorno allo stesso tema (la follia di Schumann): che ognuno dei personaggi declina a suo modo, attraverso punti di vista differenti, differenti distanze e livelli di comprensione, girando attorno al tema secondo dinamiche e giochi timbrici propri. A tutto ciò si inframmezza – in un modo che mi ha ricordato le abissali “lamentazioni oltremondane” in “Rosso Floyd” di Michele Mari, dedicato non a caso anch’esso a un caso di alienazione musicale, quello di Syd Barrett – una voce estranea, sgrammaticata, petulante, angosciosa, demoniaca, che all’inizio sembra una delle voci “sentite” da Schumann, ma diventa ben presto, tragicamente, la sua voce.
La variazione non è solo il mezzo attraverso cui si sviluppa e si articola l’indagine di Tuena: è anche una declinazione, insinuante e pervasiva, una sorta di rielaborazione a specchio dello stesso tema, cioè la follia ossessiva: non a caso, risuona in tutto il romanzo l’opera misteriosa e postuma di Schumann, quelle Geistervariationen, o Variazioni del Fantasma il cui tema, di struggente semplicità, sarebbe stato suggerito in sogno dallo spettro di Schubert.
Ecco, gli spettri: come è già stato notato, questa è una ghost story alla vecchia maniera, cioè secondo ritmi e dinamiche ottocentesche, che puntano sull’attesa e sull’economia di effetti, e dilatano atmosfere. In questo gioco di ombre, lo stesso Schumann è rievocato – come un fantasma – da distanze irraggiungibili, sia per lo stato che lo aliena dalla realtà chiudendolo in un mondo di allucinazioni e ossessioni, sia per l’impossibilità oggettiva di raggiungerlo nella clinica in cui è subito ricoverato dopo un tentativo di suicidio.
I fantasmi agitano le visioni di Schumann: ma per Schumann sono presenze reali, vivide, con loro ha un dialogo anche fecondo. Per curioso ribaltamento, sono gli esseri reali, gli amici che si preoccupano per lui e lo seguono da lontano, che Robert prende – forse – per apparizioni. È la prassi, nella clinica in cui è ricoverato: solo nascondendosi, e spiando non visti, i visitatori possono intercettare in un paziente segni di uno sperato miglioramento o di un temuto declino. Il vedere da lontano non visti è per lo più insoddisfacente e ingannevole, ma talvolta l’incertezza coglie frammenti di verità. «Quel suo modo di essere frammentario, nella parola, nella musica, nel fumare. Chissà se anche i suoi pensieri si disperdono nel vuoto.» Così, parafrasando Brahms, scrive Elise Junge sul suo diario. Ma le apparizioni contagiano un po’ tutti, nel romanzo di Tuena, al punto che ogni personaggio che sia stato vicino a Schumann prima o poi scorge un’ombra, sente parlare un fanciullo con la voce di un vecchio, vede animarsi angoli bui di una stanza.
Anche i temi musicali appaiono come spettri, nelle testimonianze circa la fine delle Variazioni del Fantasma: riemergono dopo anni di oblio, se ne scovano le tracce là dove non ci si aspetterebbe, anche in composizioni altrui, tornano a scomparire… (continua…)

Pubblicato in LETTERATURA E MUSICA   Commenti disabilitati

lunedì, 20 giugno 2011

L’E-BOOK E (È?) IL FUTURO DEL LIBRO

Vorrei riprendere la discussione sull’e-book già avviata a partire da questo post, offrendo come spunto per ulteriori riflessioni (e per un approfondimento del dibattito) la pubblicazione di questo nuovo volumetto che ho realizzato per i tipi della piccola casa editrice “Historica” (disponibile, ovviamente, anche in formato elettronico). Il titolo è già un punto di domanda: “L’e-book e (è?) il futuro del libro”.
L’intento non è quello di fornire approfondimenti tecnici sull’e-book, ma di divulgare opinioni emotive sull’argomento. Per far ciò ho coinvolto alcuni tra i più rappresentativi addetti ai lavori del mondo del libro – scrittori, editori, editor, critici letterari, giornalisti culturali – che hanno gentilmente messo a disposizione il loro parere (da qui il sottotitolo…).
Ho chiesto loro di ragionare sul “fenomeno e-book” ed esprimere un’opinione facendo riferimento alle seguenti domande: Cosa ne pensa dell’e-book? Come immagina il futuro dell’editoria e della letteratura tenuto conto del “peso crescente” delle nuove tecnologie? E cosa ne sarà dei libri di carta? C’è il rischio che possano diventare “pezzi da collezione”?
Dopo una parte introduttiva sulla evoluzione del libro elettronico e sugli e-book readers, e dopo una sintetica analisi di mercato, questo piccolo volume offre le “opinioni emotive” sull’e-book fornite da: Roberto Alajmo, Marco Belpoliti, Gianni Bonina, Laura Bosio, Elisabetta Bucciarelli, Ferdinando Camon, Daniela Carmosino, Antonella Cilento, Paolo Di Stefano, Valerio Evangelisti, Vins Gallico, Chiara Gamberale, Manuela La Ferla, Nicola Lagioia, Filippo La Porta, Gianfranco Manfredi, Agnese Manni, Diego Marani, Dacia Maraini, Daniela Marcheschi, Michele Mari, Raul Montanari, Antonio Paolacci, Romana Petri, Antonio Prudenzano, Giuseppe Scaraffia, Elvira Seminara, Filippo Tuena, Alessandro Zaccuri.

Vorrei coinvolgere nello sviluppo della discussione anche voi, proponendo come sempre alcune domande (e invitandovi a fornire la vostra risposta, se potete)…

1. L’e-book è davvero il futuro del libro?

2. Se sì, fino a che punto?

3. Che cos’è un libro: un supporto cartaceo, o il suo contenuto? O entrambi?

4. Tra un volume rilegato di fogli bianchi e un romanzo leggibile su un e-book reader, quale dei due è… più libro?

5. Come immaginate il futuro dell’editoria e della letteratura tenuto conto del “peso crescente” delle nuove tecnologie?

6. Cosa ne sarà dei libri di carta? C’è il rischio che possano diventare “pezzi da collezione”?

7. Una diffusione “significativa” dell’e-book  potrebbe favorire l’incremento della lettura?

La discussione on line proseguirà – per chi potrà partecipare – alla Feltrinelli Libri e Musica di Catania (via Etnea, n. 285 ) giovedì 30 giugno 2011, alle h. 18.

Vi aspettiamo!

Massimo Maugeri

P.s. Ne approfitto per segnalare questo post di Lipperatura incentrato sull’attuale crisi dell’editoria determinata dal decremento della vendita dei libri (il post riprende un articolo pubblicato su Repubblica, con dichiarazioni di Marco Polillo – presidente dell’Aie – anche sul “fenomeno e-book”)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, PERPLESSITA', POLEMICHE, PETTEGOLEZZI E BURLE, SEGNALAZIONI E RECENSIONI   207 commenti »

domenica, 13 dicembre 2009

DIBATTITO SUL ROMANZO STORICO

dibattito-sul-romanzo-storicoImmagine 30 StoriaQuesto post, già avviato a partire dall’estate del 2009, si è progressivamente trasformato in un dibattito permanente sul romanzo storico.
Fino a questo momento hanno partecipato alla discussione i seguenti scrittori (li cito in ordine alfabetico): Andrea Ballarini, Rino Cammilleri, Giulio Castelli, Rita Charbonnier, Alfredo Colitto, Nicole Fabre, Andrea Frediani, Giulio Leoni, Giorgia Lepore, Simona Lo Iacono, Leda Melluso, Adriano Petta, Marco Salvador, Cinzia Tani, Jasmina Tešanović, Filippo Tuena.
Altri autori di romanzi storici, nel tempo, saranno invitati a partecipare.
Le domande poste per favorire la discussione sono le seguenti…

1. Quali caratteristiche dovrebbe necessariamente possedere il romanzo storico?

2. Quale dovrebbe essere la sua funzione?

3. Che cosa – viceversa – dovrebbe evitare?

4. Qual è, a vostro giudizio, lo stato di salute del romanzo storico, oggi, in Italia?

5. E nel resto del mondo?

6. Domanda-sondaggio: qual è il più grande romanzo storico di tutti tempi (quello che potrebbe essere eletto come “rappresentativo” del genere)?

La seconda parte del dibattito sul romanzo storico si è svolta in questo post.

Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in A A - I FORUM APERTI DI LETTERATITUDINE, EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI   734 commenti »

martedì, 9 dicembre 2008

MICHELANGELO LA GRANDE OMBRA. Incontro con Filippo Tuena

michelangelo_buonarroti_statua.JPGParliamo di Michelangelo. Il grande Michelangelo Buonarroti. L’occasione ce la fornisce la ri-pubblicazione del libro di Filippo Tuena “Michelangelo la grande ombra” (Fazi, pagg. 313, euro 12).
Tuena – nel libro - si è interessato alla parte finale della vita di Michelangelo, ponendosi (e ponendo) le seguenti domande:
Perché Michelangelo, ormai anziano e malato, declinò i continui inviti di Cosimo de’ Medici a fare rientro a Firenze? Era trattenuto a Roma dagli obblighi di lavoro per il papa o era altro a impedirgli il ritorno in patria? .
Un romanzo che, come ha sostenuto Paolo Di Stefano sulle pagine del Corriere della Sera “ha il dono di essere insieme godibile e denso di tutte le inquietudini e le disillusioni che segnarono il glorioso autunno del Rinascimento”.
Ce ne parla in maniera più approfondita Renzo Montagnoli: di seguito potrete leggere la recensione al libro e un’intervista rilasciata dallo stesso Filippo Tuena.
A voi chiedo di discutere della vita e delle opere di Michelangelo. Vi siete mai soffermati a riflettere sulle opere di Buonarroti? Sulla loro importanza?

E naturalmente vi invito a interagire con Filippo Tuena (che parteciperà alla discussione), mentre Renzo Montagnoli mi aiuterà a moderarla e ad animarla.
Massimo Maugeri

(continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI   193 commenti »

giovedì, 13 marzo 2008

MAURIZIO DE GIOVANNI, FILIPPO TUENA

In questo post presentiamo i due libri italiani più votati nell’ambito del gioco “eleggiamo il miglior libro dell’anno 2007”. Si tratta di “Il senso del dolore” di Maurizio De Giovanni (Fandango, pagg. 256, euro 10) e “L’ultimo parallelo” di Filippo Tuena (Rizzoli, pagg. 352, euro 18).

Presentiamo di seguito due recensioni. La prima, relativa al libro di De Giovanni, già pubblicata sul sito del Premio Napoli, porta la firma di Luigi Pincitore. La seconda, per il libro di Tuena, è stata pubblicata su Diario da Gian Luca Favetto.

I due autori sono caldamente invitati a partecipare al dibattito sui loro libri.

Gli amici di Letteratitudine sono invitati a esprimere le loro considerazioni e ad accogliere i due autori con la massima cordialità.

(Massimo Maugeri) 

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Il senso del dolore di Maurizio De Giovanni

Tolstoj diceva che le famiglie felici sono simili le una alle altre. Talvolta capita che i libri felici siano simili l’uno all’altro. Ai lettori succede di scoprire un punto, anche piccolo – una pagina oppure una semplice immagine – che magicamente richiamano alla mente pagine o immagini di altri libri che pure si sono amati. Leggendo l’esordio di Maurizio De Giovanni (Il senso del dolore – Fandango) viene in mente quello straordinario racconto che è I Morti, scritto da Joyce a chiusura di Gente di Dublino. Due libri diversissimi, appartenenti a due scrittori altrettanto diversi. Uno, italiano, alle prese con un giallo solido e dall’impianto tradizionale, con protagonista principale un commissario di polizia impegnato nello scoprire l’assassino di un noto tenore. E qui il lettore più consumato può tranquillamente storcere il naso, dal momento che giallo e noir, per l’abuso che se n’è fatto negli ultimi anni, possono provocare una naturale crisi di rigetto. Senza contare quella distinzione che certa critica traccia tra letteratura alta e letteratura bassa, o di genere. Dimenticando che l’unica vera distinzione andrebbe fatta tra libri che emozionano e libri che non emozionano.Ma il gancio con il genio di Joyce c’è. E’ in quel lento cadere della neve, che scende sulla città di Dublino all’alba di un primo gennaio, e che sempre lentamente va a posarsi ovunque, su tutti i vivi e su tutti i morti; e paralizza lo sguardo di Gabriel, il protagonista del racconto, costretto a rimettere a fuoco quella cosa strana che chiamiamo realtà, e che nasconde sempre porzioni che ad un primo sguardo ci sfuggono. Nel libro di De Giovanni è il vento a cadere, letteralmente, sulla città. Un vento inusuale; non è lo scirocco africano che ci ricorda che Napoli è città mediterranea. E’ un vento freddo, australe, e anche qui cade sui vivi e sui morti. E ci fa scoprire che la città è davvero piena di morti. Più di quelli che un occhio qualunque possa normalmente vedere. Mentre il commissario Ricciardi li vede. E soprattutto li sente. Ha qualcosa, un potere, il fatto lo chiamo lui. E questo fatto, che non è potere parapsicologico da thriller americano, lo mette in comunicazione con i morti assassinati, di cui percepisce il dolore, di cui rivive nella carne e nello spirito l’agonia che diventa la sua. E così va avanti, senza poter raccontare ad alcuno di questo suo segreto, perché una volta ci provò, ragazzino, ma non fu creduto. Va avanti mescolando il suo dolore originario con quelli che vede e assorbe, antenna terminabile di un unico grande dolore che accomuna tutti i vivi e tutti i morti.

Ecco che salta subito all’occhio la componente cristologica del romanzo, il protagonista è condannato ad un eccesso di empatia verso l’umanità. E questa empatia, se da un lato gli permette di scavalcare l’immagine più semplice e banale del cadavere che ha di fronte, dall’altro lo condanna a scendere ogni volta in quel cuore di tenebra che ci portiamo dentro e che nell’istante della morte probabilmente illumina in un’ultima smorfia il nostro volto. Destino segnato il suo, perché evidentemente solo commissario poteva diventare uno che percepisce con tanta violenza emozionale il trapasso degli altri. Ma non c’è nessuna filosofia in questo fatto, Ricciardi non interroga forzatamente la propria identità. Oramai la accetta. E’ la sua nausea, e fa parte di lui. Egli è solo un povero Cristo, e ha la sua croce, e forse accettando di portarla silenziosamente sulle spalle aiuterà l’umanità dolente ad espiare.

Da questo punto di vista siamo nei territori dell’hard boiled, con la figura del detective solitario e a suo modo eroico. Che ha un amore inespresso che abita a pochi metri di distanza. Che ha occhi spesso socchiusi, perché la realtà è una luce che ferisce. E che incide dentro. Potrebbe bere whisky e fumare sotto la pioggia. Ma non siamo nell’America anni quaranta, ma, e qui c’è l’altro elemento di originalità del libro, siamo nella Napoli degli anni trenta. In pieno ventennio fascista. Quel vento che spazza le strade della città sembra alludere al vento del consenso, che spianava tutte le divergenze, gli alti e bassi, ammutoliva la gente entrando con forza in bocca, perché all’esterno fosse presentata un’unica facciata tersa e accogliente.
Romanzo quindi, questo di De Giovanni, in cui scorre sottopelle una cifra politica. Il segreto del commissario Ricciardi, all’esterno uomo del potere, emanazione di questori e potestà, allude al segreto di quanti in quegli anni erano costretti al silenzio e alla macerazione interiore, pena l’esilio e il confino. E così mentre indaga per ricomporre i tasselli che lo porteranno allo scioglimento del giallo, si immerge in quell’altro grande enigma narrativo e antropologico che è Napoli. Città da sempre problematica da raccontare. In questo romanzo l’autore opta per un’iconografia organica, presentando il dedalo di vicoli, il sovrapporsi di quartieri alti e quartieri bassi, con la folla spesso silenziosa e inerte che sciama per le strade, alla stregua di un reticolato di arterie e vene, dove scorre sempre molto sangue.

Quindi in una struttura di genere, basata sulla triade omicidio-indagine-interrogatori, si inseriscono alcuni piani che tendono a sbilanciare la narrazione, a farla uscire dai perimetri consolidati e canonici. L’autore sembra puntare soprattutto a costruire un mood, un’atmosfera che si faccia carico di sottolineare il non detto della vicenda, i momenti di sospensione e di precarietà.

Se nell’hard boiled chandleriano la solitudine di fondo del detective Marlowe era controbilanciata dalla secchezza dei dialoghi, dal machismo insistito e quasi autocompiaciuto di un certo stile di vita, qui siamo in un territorio diverso. Nonostante il vento Napoli si fa sentire, e batte sulla pelle del protagonista incidendola con la sua radice marina. Aleggia in queste pagine la solitudine salina di Montale, il detective creato dal grande scrittore francese Jean Claude Izzo. I dialoghi virano dal duro al malinconico. E la città nonostante non sia al centro della narrazione, se non durante i tragitti che il commissario compie, spostandosi in tram o a piedi, è in realtà sempre presente. Si direbbe anzi, che il mood del romanzo è in questa sospensione tra malinconia del protagonista e malinconia della città. Entrambi fuori posto, entrambi preda di un destino più grande. L’uomo schiavo del fatto, che ne regola il percorso biologico e umano. La città schiava della sua impasse storica e di un fascismo che non si accorda con il suo cuore segreto.
Potrebbero fondersi questi due eroi – uomo e città – ma non è possibile, se non in brevi e fulminanti momenti. A volte si incontrano, quando la morte di un uomo famoso cristallizza la scena. Altre volte si vivono uno addosso all’altro, ma poi ognuno torna sulla propria strada. Ricciardi si lascia alle spalle il teatro San Carlo entrando nel vento furioso che spazza Napoli. E Napoli va in quello stesso vento che però non la spinge mai abbastanza oltre.

Luigi Pingitore

Il romanzo uscito nel 2006 per un piccole editore napoletano come Graus, ha avuto un locale ma fulmineo successo. Immediatamente adocchiato da un grande editore come Fandango, è stato ripubblicato per essere riproposto ad una platea più ampia. http://www.premionapoli.it/2007/dolore.html 

___________________ 

L’ultimo parallelo di Filippo Tuena

Alla fine, ma nemmeno troppo alla fine, già quando ci sei in mezzo fra pony, cani, tende, marce, cartine e ghiaccio, tanto ghiaccio, solo ghiaccio e neve, non pensi più che sia solo un libro. Mentre lo leggi, è un’avventura, un’esperienza. Sei lì che spii. Come fossi in un diario intimo, dentro una confessione, la confessione di un’ombra che racconta.Racconta che hanno giacche a vento di cotone e scarponi di cuoio, sci di legno pesantissimi e fragili, stivali di pelle di foca, due o tre paia di calzettoni di lana grezza, due o tre maglioni o camicie o maglie di cotone, grandi guanti di pelle di foca e sotto ancora guanti di lana, e poi slitte cariche e ingombranti. Hanno una missione, un’impresa, un sogno, un’ambizione, che poi è un’ossessione, un incubo, una solitudine: raggiungere il luogo che non c’è, un’idea di luogo, l’idea di un luogo, una metafora geografica, il cuore del deserto di ghiaccio. Raggiungerlo e piantarci una bandiera. Arrivarci per primi e poi tornare. Anche tornare, vogliono, questa è l’ambizione.Non ci riescono. Muoiono. E passano alla storia. E la storia passa su di loro. Passando su di loro, inchiodandoli nel ghiaccio, li restituisce immortali. Si chiamano Scott, Wilson, Bowers, Oates, Evans. Dal gennaio 1911 al marzo 1912, insieme a un’altra quindicina di uomini si sono trasferiti a Sud, all’estremo Sud, in Antartide, per cercare di conquistare il Polo. Ma come si può conquistare il nulla? E infatti è il nulla a conquistare loro, se li prende e li trascina con sé.Robert Falcon Scott è l’inglese arrivato il mese dopo, il 17 gennaio 1912. Prima di lui, il 15 dicembre 1911, nel centro del nulla aveva piantato tenda e bandiera il norvegese Roald Amundsen, e gli aveva lasciato anche una lettera personale. Anche Scott lascia una lettera, ma è una Lettera al pubblico. La scrive nella tenda in cui muore di freddo e di fame. Sulla via del ritorno. Stremato dai ricordi e dagli errori.Di freddo, di fame e di stenti sono già morti i quattro compagni che hanno provato l’ultimo attacco al Polo, i prescelti, dopo che tutti gli altri, a poco a poco, in varie occasioni, sono stati rimandati al campo base: Edward Adrian Wilson, dolce sguardo misuratore, esperto di alambicchi e pozioni; Henry Bowers, capitano della Indian Navy, che sapeva fare quasi tutto; Lawrence Oates, capitano dei dragoni, zoppo, costruttore di pessimismo; Edgard Evans, marinaio, il gigante che sembrava indistruttibile. Gli altri compagni si sono salvati – se ci può essere salvezza, in fondo.La Lettera di Scott è il resoconto di un viaggio solitario durante il quale gli esploratori si perdettero. Queste parole, così come le stringate definizioni degli uomini della spedizione, così come una straordinaria poesia che ha forza epica e narrativa, le trovi nell’Ultimo parallelo di Filippo Tuena: non un romanzo, non un saggio, non un’indagine storica, ma un bel modo per non fare passare il tempo e viverlo, non spenderlo, ma guadagnarlo attraverso una storia emozionante e una scrittura alta.Quasi prendi gli occhi di colui che procede incappucciato avvolto in un mantello bruno, l’uomo in più, quello che gli esploratori, al limite insopportabile della fatica, credono di scorgere al proprio fianco, la loro ombra silenziosa. Che è poi la voce narrante di questa storia.
Quasi diventi gli occhi di Edward Atkinson, chirurgo di marina, che ha raggiunto i cadaveri degli amici e per primo ha letto i loro diari. Come lui, l’uomo della riserva, tu leggi per primo i loro diari attraverso l’Ultimo parallelo. Sono le parole e la storia dei vinti, ma non sconfitti, di quelli che stanno sempre sulla battigia fra oblio e memoria. Ma quando ci arrivi anche solo una volta, alle loro imprese, al loro destino, non li dimentichi più. È il miglior regalo che ti possa fare un libro: dare la struggente sensazione di essere scritto per te.

Gian Luca Favetto 

da Diario 

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