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domenica, 6 settembre 2020

REMO RAPINO VINCE IL PREMIO CAMPIELLO 2020

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Remo Rapino ha vinto l’edizione 2020 del Premio Campiello con il romanzo “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” (minimum fax)

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Remo Rapino con “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” (minimum fax) ha vinto la 58/ma edizione del Premio Campiello.

Image from LETTERATITUDINE (di Massimo Maugeri)Lo scrittore ha beneficiato di 92 voti sui 264 giunti complessivamente dalla Giuria Popolare dei Trecento Lettori Anonimi.

[Clicca qui per visualizzare il video su YouTube]

In seconda posizione si è piazziato Sandro Frizziero con “Sommersione” (Fazi), 58 voti, al terzo posto Ade Zeno con “L’incanto del pesce luna” (Bollati Boringhieri), 44 voti, al quarto posto Francesco Guccini con “Trallumescuro. Ballata per un paese al tramonto” (Giunti), 39 voti, in quinta posizione Patrizia Cavalli con “Con passi giapponesi” (Einaudi), 31 voti.

Remo Rapino ha dichiarato: «Dedico questo Campiello a mio padre che nasce nel 1926 e muore nel 2010 e lo faccio nascere e uscire dal mondo come Liborio. Questa sera mancava solo lui, avrei davvero voluto che ci fosse. Liborio è una voce che, raccontando se stesso, racconta un secolo di storia e lo fa da una periferia esistenziale e dà voce a quelli che non hanno voce, agli ultimi della fila, agli emarginati

La finale, condotta dalla giornalista Cristina Parodi, si è aperta ricordando Philippe Daverio attraverso l’omaggio del presidente de La Fondazione Il Campiello Enrico Carraro e della Giuria dei Letterati: «Senza di lui la Giuria del Premio Campiello non sarà più la stessa. Al dolore della perdita si affianca il vivo ricordo della sua presenza, durante riunioni di giuria che diventavano anche incontri tra amici, in quello che lui definiva scherzosamente “il circolo Pickwick”. L’ironia, l’autoironia, la leggerezza, l’umorismo, il gusto dell’aneddoto, il Witz instancabile, la curiosità intellettuale, la rarità di un personaggio pubblico che coincideva a tutti gli effetti con la persona privata, senza schermi e infingimenti: sono tutti doni che porteremo con noi e che colpivano chiunque avesse la fortuna di conoscerlo.»

La Giuria dei Trecento Lettori Anonimi della 58^ edizione del Premio Campiello era così composta: 51,3% donne e 48,7% maschi, 20 casalinghe, 35 imprenditori, 102 lavoratori dipendenti, 88 liberi professionisti e rappresentanti istituzionali, 30 pensionati, 25 studenti.

Martedì 15 settembre il vincitore sarà al Teatro Olimpico di Vicenza (insieme a Veronica Galletta, vincitrice dell’Opera Prima) per una serata nata dalla sinergia tra Fondazione il Campiello, la Biblioteca Bertoliana, il Comune di Vicenza e Confindustria Vicenza.

Durante la cerimonia sono stati premiati anche i vincitori degli altri riconoscimenti previsti dalla Fondazione Il Campiello: il vincitore della 25^ edizione del Campiello Giovani, Michela Panichi con il racconto “Meduse, l’Opera Prima, assegnata a Veronica Galletta per il romanzo “Le isole di Norman” (Italo Svevo), il Premio Fondazione Il Campiello, il riconoscimento alla carriera attribuito quest’anno ad Alessandro Baricco.

Ha assistito alla serata un parterre di circa 1400 invitati tra ospiti istituzionali, rappresentanti del mondo imprenditoriale, della cultura e delle case editrici. (continua…)

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mercoledì, 12 dicembre 2018

LUCA BRIASCO con “The outsider” di Stephen King (e altro ancora) in radio a LETTERATITUDINE

Luca Briasco con “The outsider” di Stephen King (e altro ancora), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin


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PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI

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Ospite della puntata: l’editor, traduttore, saggista e agente letterario Luca Briasco.
Con Luca Briasco abbiamo discusso del nuovo romanzo di Stephen King pubblicato in Italia (tradotto dallo stesso Briasco): The outsider” (Sperling & Kupfer).
Nella seconda parte della puntata, con Luca Briasco, abbiamo discusso del suo ruolo di editor di narrativa straniera presso la casa editrice minimum fax (e delle novità in uscita nel primi mesi del 2019) e dell’agenzia letteraria “United Stories Agency” da lui fondata insieme a Colomba Rossi e Francesca de Lena.

Che tipo di esperienza è stata tradurre “The outsider” di Stephen King? Quali sono le caratteristiche principali di questo romanzo? Nell’ambito di quale filone possiamo inquadrarlo (ammesso che sia possibile farlo) nel contesto della enorme produzione letteraria di King? Il luogo in cui è ambientato il romanzo si chiama Flint City: cosa ha di analogo con i classici luoghi kinghiani (Derry, Castle Rock)? Che tipo d’uomo è Terry Maitland, il “sospettato” di omicidio di questa storia di King? E il detective Ralph Anderson? Questo romanzo può essere definito come «L’It dell’era Trump» come qualcuno ha sostenuto? Cosa puoi dirci sul tuo ruolo di editor di narrativa straniera per l’editore minimum fax? E sui nuovi titoli in uscita? Come è nata l’idea del progetto di United Stories Agency (agenzia letteraria fondata insieme a Francesca de Lena e Colomba Rossi), come lo avete sviluppato e quali sono i suoi obiettivi?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Luca Briasco nel corso della puntata.

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Luca Briasco è stato editor di narrativa straniera per Fanucci ed Einaudi Stile libero. Ha scritto diversi saggi sulla letteratura degli Stati Uniti, con particolare attenzione al romanzo contemporaneo. Insieme a Mattia Carratello ha curato La letteratura americana dal 1900 a oggi. Dizionario per autori (Einaudi, 2011). Collabora da più di dieci anni alle pagine culturali del Manifesto. Ha tradotto una quarantina tra romanzi e raccolte di racconti, fra gli ultimi: Una vita come tante di Hanya Yanagihara, e Il simpatizzante di Viet Thanh Nguyen, Premio Pulitzer 2016. A novembre 2016 è in uscita per minimum fax Americana. Libri, autori e storie dell’America contemporanea.
Ha tradotto il più recente romanzo di Stephen King “The outsider” (Sperling & Kupfer). E insieme a Colomba Rossi ha fondato l’agenzia letteraria United Stories Agency.

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The OutsiderStephen King “The outsider” (Sperling & Kupfer): la scheda del libro
La sera del 10 luglio, davanti al poliziotto che lo interroga, il signor Ritz è visibilmente scosso. Poche ore prima, nel piccolo parco della sua città, Flint City, mentre portava a spasso il cane, si è imbattuto nel cadavere martoriato di un bambino. Un bambino di undici anni. A Flint City ci si conosce tutti e certe cose sono semplicemente impensabili. Così la testimonianza del signor Ritz è solo la prima di molte, che la polizia raccoglie in pochissimo tempo, perché non si può lasciare libero il mostro che ha commesso un delitto tanto orribile. E le indagini scivolano rapidamente verso un uomo e uno solo: Terry Maitland. Testimoni oculari, impronte digitali, gruppo sanguigno, persino il DNA puntano su Terry, il più insospettabile dei cittadini, il gentile professore di inglese, allenatore di baseball dei pulcini, marito e padre esemplare. Ma proprio per questo il detective Ralph Anderson decide di sottoporlo alla gogna pubblica. Il suo arresto spettacolare, allo stadio durante la partita e davanti a tutti, fa notizia e il caso sembra risolto. Solo che Terry Maitland, il 10 luglio, non era in città. E il suo alibi è inoppugnabile: testimoni oculari, impronte, tutto dimostra che il brav’uomo non può essere l’assassino. Per stabilire quale versione della storia sia quella vera non può bastare la ragione. Perché il male ha molte facce. E King le conosce tutte.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI

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La colonna sonora della puntata: “Not Guilty” di George Harrison; “High Way To Hell” di AC/DC; “Hells Bells” di AC/DC.

(continua…)

Pubblicato in LETTERATITUDINE RADIO (trasmissione radiofonica curata e condotta da Massimo Maugeri)   Commenti disabilitati

venerdì, 19 settembre 2014

VENT’ANNI DI MINIMUM FAX: DANIELE DI GENNARO e CARLO D’AMICIS ospiti di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 19 settembre 2014

di-gennaro-damicis-2VENT’ANNI DI MINIMUM FAX: DANIELE DI GENNARO e CARLO D’AMICIS ospiti di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 19 settembre 2014 – h. 13 circa [e, in replica, il mercoledì successivo (h. 9 circa)]

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

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Daniele Di Gennaro e Carlo D’Amicis sono gli ospiti di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 19 settembre 2014.

Daniele Di Gennaro, nel suo ruolo di responsabile editoriale e co-fondatore di minimum fax, ha raccontato la storia di questa casa editrice romana (a vent’anni dalla nascita).

Con Carlo D’Amicis, uno degli autori di punta di minimum fax, abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato “Quando eravamo prede

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il venerdì mattina (h.13 circa) e – in replica – il mercoledì mattina (h. 11,00). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

È possibile ascoltare le puntate precedenti, cliccando qui.

© Letteratitudine

(continua…)

Pubblicato in LETTERATITUDINE RADIO (trasmissione radiofonica curata e condotta da Massimo Maugeri)   Commenti disabilitati

martedì, 5 maggio 2009

ITALIA DE PROFUNDIS, di Giuseppe Genna

È da tempo che meditavo di dedicare un post a questo nuovo libro di Giuseppe Genna: Italia De Profundis. Uno dei libri più recensiti degli ultimi anni: lodato dalla critica e amato dal pubblico dei lettori (è stato scelto come libro del mese dagli ascoltatori della trasmissione Fahrenheit).
Attraverso il racconto di vicende personali, trasfigurate nella narrazione, Genna canta il de profundis a un’Italia malata. Un’Italia cancerosa. Un paese affetto da un male simile a quello che divora i corpi. E il male tumorale che ha portato via il padre dell’autore, ora avvinghia la madre patria. Al punto che bisogna distaccarsene (forse) per non esserne trascinati a propria volta. Al punto che bisogna “disimparare ad amarla”, l’Italia.
Così come evidenzia la scheda del libro “si formano sotto i nostri occhi episodi di un’autobiografia impazzita, rivelazioni plausibilmente autentiche di quanto il personaggio «Giuseppe Genna» ha vissuto: il drammatico ritrovamento del cadavere del padre, in un’atmosfera lynchiana, una tardiva autoiniziazione all’eroina, l’esplosione dell’iracondia in una forma che guarda alla scrittura di Burroughs e l’intervento attivo e criminale nell’eutanasia di un caso simile a quello di Piergiorgio Welby. Fino all’avventura surreale in una estate solitaria presso un villaggio turistico in Sicilia, dove le tessere di questo racconto scomposto trovano una soluzione che è esilarante fino all’inabissamento finale.
Fiction reale o realtà finzionale, questo libro pretende e concede un atto d’amore assoluto, formulato come appello al lettore, affinché sia cancellato l’autore e si ascolti l’inquietante risata con cui Genna stesso e l’Italia vengono seppelliti
“.

Sul Riformista Andrea Di Consoli ha scritto: Italia De Profundis è un libro grandioso. E’ un’eruzione vulcanica, un’opera monstre, una potentissima deflagrazione dei saperi, dei generi letterari e della psiche. Non s’era mai letto un libro così potente, in Italia; un libro, cioè, dove ci fosse tutta la nostra contemporaneità: la depressione, l’ipocondria, l’ansia, la morte, l’amore, il sesso, il sadomaso, la disoccupazione, la letteratura, Milano, Palermo, le periferie, il lumpenproletariat milanese, l’eroina, l’autobiografia, la finzione, il villaggio turistico siciliano, la morte del padre, un’orgia transessuale, il sapere enciclopedico, il cinema, la Mostra di Venezia, David Lynch, Mantova, Berlino, Burroughs, Kafka, il narcisismo, l’autopunizione, l’agonia, l’eutanasia, il disprezzo, la pietà, gli ospedali, la psichiatria, il corpo, la difficoltà di amare e la sperdutezza”.

Subhaga Gaetano Failla, a cui ho chiesto di predisporre una recensione appositamente per Letteratitudine, mi scrive: “Dagli anni Ottanta in poi rari sono stati i libri di autori italiani per me così importanti.”

E poi c’è l’epigrafe prescelta da Giuseppe Genna. Sembra quasi una premessa al libro. È tratta da Petrolio di Pasolini. E dice così: “Nel progettare e nel cominciare a scrivere il mio romanzo, io in effetti ho attuato qualcos’altro che progettare e scrivere il mio romanzo: io ho cioè organizzato in me il senso o la funzione della realtà; e una volta che ho organizzato il senso e la funzione della realtà, io ho cercato di impadronirmi della realtà. (…)
Nello stesso tempo in cui progettavo e scrivevo il mio romanzo, cioè ricercavo il senso della realtà e ne prendevo possesso, proprio nell’atto creativo che tutto questo implicava, io desideravo
anche di liberarmi di me stesso, cioè di morire”.

Vorrei che discutessimo insieme di questo libro.

E poi, vi chiedo di fare il punto della situazione sui malanni d’Italia.

Secondo voi il nostro è davvero un paese-cadavere su cui recitare il de profundis?

Quali sono stati i “mali” che l’hanno ridotto in queste condizioni?

È possibile “risorgere”? Se sì, in che modo?

Di seguito le recensioni di Andrea Di Consoli e di Subhaga Gaetano Failla (che mi darà una mano a animare e moderare il dibattito).

Massimo Maugeri
(continua…)

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venerdì, 16 gennaio 2009

IL GREGARIO di Paolo Mascheri

Paolo Mascheri è un autore molto giovane (classe 1978). Ha al suo attivo la raccolta di racconti Poliuretano (Pendragon edizioni, 2004) e la pubblicazione di diversi racconti in varie antologie. Di recente è uscito il suo primo romanzo: Il gregario (Minimum Fax, 2008, pagg. 173, euro 11). Un romanzo che è stato accolto molto favorevolmente dalla critica.
Il protagonista è un ventottenne di provincia che conduce una vita piuttosto routinaria e che è destinato a ereditare controvoglia la professione del padre. Una vita normale – la sua – che offre molte sicurezze, ma non salva da malessere e frustrazioni. Ambientato in Toscana, questo romanzo offre molti spunti di riflessione.
Ce ne parla Andrea Di Consoli nella recensione che potete leggere di seguito.
Vi invito a porre domande all’autore (che parteciperà alla discussione) e a interagire con lui.
Poi vi offro alcuni spunti per avviare una discussione sul tema principale affrontato dal libro: il rapporto padre-figlio.
Vi domando…
- fino a che punto il rapporto con il padre può influenzare la formazione e la crescita del figlio?
- com’è cambiato, oggi (se è cambiato) il rapporto padre-figlio rispetto a quello delle generazioni precedenti?
quali sono i pro e i contro di tali cambiamenti?
in che modo il ruolo della madre può influenzare, positivamente o negativamente, sul rapporto padre-figlio?

Segue un breve brano tratto daIl gregario” di Paolo Mascheri (pag. 14):

Accettare una routine si può: a patto che la routine sia perfetta.
Poi, quando sta per farsi tardi, si rivestono e lui porta Ilaria in farmacia a salutare suo padre. Gli piace portarla a salutare suo padre.
Presentarla a lui quando è ben vestita, elegante, bella. Ha come la sensazione che quell’esposizione davanti agli occhi di suo padre sia in realtà l’esposizione del suo lato bestiale.
C’è una piccola consapevolezza che, mentre Ilaria saluta suo padre, lui gli sta ostentando la preda, il simbolo della sua virilità.
Ha la certezza che Ilaria non si sia mai accorta di tutto questo – non è abbastanza attenta? – ma portarla a salutare suo padre è per lui un modo di conquistarlo, di mostrare che lui è altrettanto maschio, virile, capace
“.

Cliccando qui potrete ascoltare l’intervista che Mascheri ha rilasciato alla trasmissione “Fahrenheit” di Radio Rai Tre.

Massimo Maugeri

P.s. gli amici milanesi potranno incontrare Paolo Mascheri, lunedì 19 gennaio dalle 21 presso il B ART a Milano (via Alzaia Naviglio Grande, 54) durante la manifestazione “Carta canta e fondali di bottiglie”
(continua…)

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mercoledì, 5 marzo 2008

I CENT’ANNI DI ANNA MAGNANI

Se fosse ancora viva, tra un paio di giorni (il 7 marzo) Anna Magnani compirebbe cent’anni. Dedichiamo questo post a lei: una delle più grandi attrici italiane di tutti i tempi, un’icona del nostro cinema.

Nel post vi presenterò un libro edito da Minimum Fax e scritto da Giancarlo Governi, che uscirà per l’appunto giorno 7 marzo in occasione del centenario.

Giancarlo Governi, scrittore e giornalista (tra i fondatori del secondo canale Rai), è autore e presentatore di trasmissioni di successo come Supergulp!, Il pianeta Totò, Ritratti, Laurel & Hardy: due teste senza cervello, e ha pubblicato una ventina di libri tra biografie e romanzi.

Il titolo del libro è “Nannarella”(pag. 250, euro 16), il sottotitolo è “Il romanzo di Anna Magnani”.

Seguirà un scheda del libro, un brano estratto dal capitolo dedicato alla realizzazione del film “Roma città aperta” e un articolo sulla figura della Magnani pubblicato su La Stampa e firmato da Masolino D’Amico.

Troverete inoltre un paio di video: il primo offre alcune scene del film citato sopra, il secondo è un omaggio musicale per la Magnani che vede come protagonisti Celentano e la mia concittadina Carmen Consoli.

Giancarlo Governi parteciperà al dibattito e sarà a vostra disposizione per rispondere a domande e curiosità su Nannarella (libro e attrice).

Lancio un paio di domande per avviare il dibattito.

La Magnani ha avuto mai una vera erede?

A vostro avviso che cos’è che ha reso (e rende) questa attrice così speciale?

Ritenete che tra le attrici italiane di oggi ce ne sia qualcuna che, in un modo o nell’altro, faccia pensare alla Magnani?

(Massimo Maugeri)

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Perché dopo tanti anni si parla ancora di Anna Magnani? Perché è stata l’attrice simbolo del cinema italiano del dopoguerra, il cinema della ricostruzione e del riscatto, e una delle più grandi attrici di tutti i tempi, capace di comicità sfrenata e di profonda drammaticità. Di lei gli italiani, da più di cinquant’anni, hanno nella mente, negli occhi e nel cuore quella corsa disperata dietro il camion tedesco che metteva la parola fine al suo più grande personaggio, ma anche la sua risata ora irridente, ora canzonatoria, ora gioiosa: la risata di Nannarella.

Questa biografia – uscita con grande successo nel 1981, ora riveduta e integrata da nuovi documenti e testimonianze – narra i suoi amori drammatici, esclusivi, travolgenti; i suoi dolori laceranti, le sue gioie sfrenate, le sue improvvise voglie di giocare e il suo drammatico disincanto.

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Brano estratto dal cap. 5 : UN FILM PARTORITO CON DOLORE (Roma città aperta, n.d.r.)

(…)

Mancano i generi alimentari, mancano i trasporti (i romani viaggiano aggrappati a sgangherate camionette) e manca anche la pellicola. La gente della troupe viene sguinzagliata per Roma alla ricerca di qualche spezzone. Rossellini è costretto a risparmiare, molte scene vengono girate una sola volta e non vengono stampati i «giornalieri», non c’è possibilità di controllare ciò che è stato girato giorno per giorno. Il rischio è molto grosso, perché se una scena non è venuta bene non può essere più girata, anche perché non c’è la possibilità di ricostruire la situazione su cui si basa.A un certo punto cominciano a scarseggiare anche i soldi. Rossellini ha iniziato a girare perché sa, per esperienza, che spesso nel cinema l’importante è dare inizio alle riprese e poi, quasi sempre, tutto si aggiusta. Jone Tuzzi, che di Roma città aperta fu la segretaria di produzione, racconta: «Roberto era sempre attaccato al telefono della latteria vicina a cercare soldi. Ogni tanto finivano i soldi e si smetteva, poi ne arrivavano un po’ e si girava qualcosa… Una volta aveva cinquantamila lire e le aveva messe in banca, e poi aveva fatto quasi duecentomila lire di assegni… C’era ancora il coprifuoco.

Giravamo a via Rasella, dov’era successo quello che era successo, e dove eravamo vicinissimi a un casino, quello degli Avignonesi. Al primo piano di dove lavoravamo c’erano delle ragazze, delle ragazze un po’ passate, delle “segnorine” che andavano coi negri. Quando giravamo, anche la notte, veniva sempre gente, venivano questi militari che vedevano le luci, e venivano lì, perché volevano scopare, ci avevano presi per il casino! Allora gli indicavamo il casino vero e li mandavamo da queste ragazze. Bisogna dirlo, fino a quel momento Rossellini era considerato uno di serie b, per cui facendo il film io non l’ho fatto neanche con la stessa passione con cui lavoravo di solito, l’ho fatto perché non ci avevo altro da fare, ero convinta che il film non sarebbe mai finito. Tant’è vero che, prima che finisse, io lasciai la lavorazione per tornarmene con Soldati, che stava preparando un’altra cosa. Chi avrebbe immaginato il film che ne è venuto fuori?»

Lo scetticismo nei confronti del film di cui parla Jone Tuzzi lentamente comincia a serpeggiare in tutta la troupe, un po’ perché il film è fatto veramente in condizioni miserevoli e frammentarie che non permettono di prevedere il risultato finale; ma anche perché è veramente un film diverso, molto lontano da quelli che il cinema italiano ha prodotto prima e durante la guerra.

Molte scene, talvolta le più importanti, quelle che rimarranno impresse nella mente degli spettatori di tutto il mondo, nascono per caso. Come la scena dell’uccisione del personaggio interpretato da Anna Magnani: la donna che viene falciata dai mitra tedeschi mentre si getta all’inseguimento del camion che porta via il suo promesso sposo.

Sergio Amidei racconta che la scena, non prevista dal copione con questa dinamica, gli fu suggerita da un’ennesima lite – una delle ultime – fra Anna e Massimo Serato, che era andato a trovarla sul set.

«Una volta che avevamo girato una scena», racconta Amidei, «con la Magnani, Fabrizi e un tedesco, grazie a un prete trafficone che ci aveva fatto girare di notte, dietro la caserma dei carabinieri a Trastevere, la Magnani aveva litigato con Serato, che era il suo uomo di allora, e Serato era scappato di corsa, saltando su una camionetta della produzione che aveva fatto mettere subito in moto. La Magnani corse appresso a questa camionetta, gridando i peggiori insulti di cui era capace, frocio, magnaccio, roba del genere! È stato questo il complemento del primo episodio: la Magnani dietro il camion dei tedeschi che le portano via il suo uomo». È, comunque, una scena che Anna vive con una passione e una verità inedite nel cinema di tutti i tempi.

Anna, nonostante le difficoltà, si appassiona al film, lo capisce e sente che la farà uscire dal bozzettismo popolaresco e farà scoprire agli spettatori e al cinema che, sotto quella potentissima maschera comica, c’è una maschera drammatica altrettanto potente. E poi laguerra, perlomeno l’ultima parte, quella terribile dell’occupazione nazista, Anna l’ha vissuta con rabbioso orrore.

(…)

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Anna Magnani non ritirò l’Oscar per “La rosa tatuata”

Articolo di Masolino D’Amico, pubblicato su La Stampa del 23 febbraio 2008

-
L’Oscar che Hollywood assegnò ad Anna Magnani nel 1955 per La rosa tatuata non fu solo l’omaggio a un’icona del neorealismo italiano, la cui rivelazione, subito dopo la guerra, era ancora recente, ma anche e soprattutto il tributo a un modo di recitare che solo allora il cinema americano si stava attrezzando per accogliere. Non che i seguaci della spontaneità fossero sconosciuti, ma gli attori del cosiddetto «Metodo» erano ancora confinati in teatro – il clamoroso esordio di Marlon Brando a Broadway è della fine degli Anni 40 – e il grande schermo fu lento a dar loro spazio. Questo, anche per ragioni tecniche. La presa diretta imponeva agli attori movimenti molto rigidi per non allontanarsi dai microfoni piazzati in alto (nel suo primo film Orson Welles inquadrò provocatoriamente i soffitti delle stanze, cosa che non si faceva mai), il che dava alle loro prestazioni, quasi sempre, un carattere freddo, solido, manierato. In Italia invece si doppiava, cosa allora enormemente meno costosa, quindi l’attore era libero di muoversi e anche di improvvisare: la voce veniva aggiunta in un secondo tempo, da lui o se necessario da un altro più bravo di lui. Questo era particolarmente congeniale ad Anna Magnani (di cui ricorre il 7 marzo il centenario della nascita, celebrato in questi giorni a Hollywood in occasione dell’Oscar), attrice nata per il cinema se mai altra ve ne fu, e non soltanto per ragioni di fotogenia – occhi enormi, carnagione pallida che la luce accarezzava – ma anche di temperamento. Artisticamente era una tigre o una leonessa, animali che dormono tutto il tempo ma poi di colpo si svegliano e sfoggiano riflessi micidiali; e l’attore di cinema passa tutto il tempo aspettando sul set quei 30, 40 secondi in cui è chiamato a dare il massimo. Sto parlando di indole, beninteso, non di mestiere (esistono anche i grandi attori solo di cinema), perché naturalmente
la Magnani veniva dal teatro, dove aveva fatto tutto, accademia e gavetta, e quindi la sua preparazione tecnica era impeccabile. È solo che non amava la routine, la monotonia del teatro: non a caso sulle scene diede il meglio di sé nelle esplosioni della rivista, dove negli «ad libitum» tenne testa perfino a un mostro come Totò. Spinta da Tennessee Williams, che venerava Anna e scrisse tre o quattro commedie pensando a lei senza mai riuscire a convincerla a recitarle dal vivo, Hollywood importò la diva ma non riuscì a annettersela, proprio per le ragioni caratteriali di cui sopra. Diventare una star del cinema americano avrebbe comportato una disciplina che Anna non si sentiva di affrontare: studiare l’inglese come si deve, prendere molti aerei, adeguarsi alle scelte della casa di produzione, e via dicendo. Non andò nemmeno a ritirare l’Oscar. Per fare simili violenze al suo carattere ci voleva un’ambizione che Anna non possedeva, a differenza di colei che avrebbe raccolto il testimone di ambasciatrice del nostro cinema negli Usa e alla quale proprio lei idealmente lo consegnò. Quando Carlo Ponti, che aveva comprato La ciociara di Moravia, la incalzava perché voleva produrlo per gli americani con lei come la madre e Sophia Loren nella parte della figlia, Anna finalmente (d’accordo, giocò anche il fatto che si sentiva ancora troppo giovane, perlomeno sullo schermo, per una figliolona grande e grossa come quella) gli disse: «Ma perché non fai fare la madre a Sophia, e le prendi una bambina vera?». Il resto, come si dice, è storia. Non che gli americani rinunciassero mai del tutto all’attrice. Due anni dopo l’Oscar, Anna ebbe un’altra nomination con Selvaggio è il vento di George Cukor, e in seguito ci fu un secondo Tennessee Williams, diretto da Sidney Lumet, e proprio con Marlon Brando: Pelle di serpente, in cui le due star ormai viziatissime e in cagnesco reciproco fecero a gara di capricci e manierismi, dando vita a un’antologia di imitazioni di loro stessi che fu vinta da quello che giocava in casa e che, finito il film, poco cavallerescamente dichiarò: «Ne farei un altro con lei solo a condizione di avere in mano un sasso e poterglielo dare in testa ogni tanto». Finirono così i faticosi spostamenti in piroscafo e treno per guadagnare i set di Los Angeles. Ma il cinema statunitense le affidò ancora almeno una parte di popolana italiana in un kolossal, Il mistero di Santa Vittoria, un film post-post neorealista all’americana su un immaginario paesino che si coalizza per impedire ai tedeschi occupanti di mettere le mani sul suo prezioso vino. Quando l’Oscar arrivò, Anna era ancora un grande e rispettato nome nel cinema italiano, ma in patria non aveva più molte occasioni – Bellissima di Visconti non era stato un successo, Rossellini era passato alla Bergman, il pubblico chiedeva intrattenimento e non drammi, e molta comicità, monopolio (ancora) degli interpreti maschili. E voleva le maggiorate. Alla notizia io e un mio amico quindicenne e cinéphile come me le mandammo un telegramma di congratulazioni che diceva tra l’altro: «Abbasso le bone». Lei ci rispose con un altro: «Grazie ragazzi, ma alla vostra età ci vogliono anche quelle».

Il video qui sopra (tratto dalla trasmissione di Rai Uno "La situazione di mia sorella non è buona") ha come protagonisti Carmen Consoli e Adriano Celentano. Insieme cantano "Anna Magnani", scritta dalla "cantantessa" per il nuovo disco del "molleggiato" su testo di Vincenzo Cerami.

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OMAGGIO A TULLIO DE MAURO

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RATPUS va in scena ratpus

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Ricordiamo VIRNA LISI con un video che è uno "spot" per la lettura

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"TRINACRIA PARK" a Fahrenheit ...

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