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mercoledì, 22 gennaio 2014

MAMMA ROMA, di Pier Paolo Pasolini

pellicole-italicheIl nuovo appuntamento della rubrica PELLICOLE ITALICHE da rivedere, curata da Gordiano Lupi, è dedicato a uno dei più grandi film girati da Pier Paolo Pasolini: “Mamma Roma” (con indimenticabile interpretazione di Anna Magnani).

Il post si presta per discutere del cinema di Pasolini e della figura della Magnani (di cui avevamo già avuto modo di occuparci in quest’altro post).

Di seguito, oltre all’articolo di Lupi, la locandina e la prima parte del film.

Massimo Maugeri

* * *

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MAMMA ROMA (1962) – di Pier Paolo Pasolini

recensione di Gordiano Lupi

Regia: Pier Paolo Pasolini. Soggetto e Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini. Consulente ai dialoghi: Sergio Citti. Fotografia: Tonino Delli Colli. Montaggio: Nino Baragli. Scenografia: Flavio Mogherini. Musiche: Carlo Rustichelli (rimaneggia Antonio Vivaldi). Aiouto Regia: Carlo Di Carlo.Assistente Alla Regia: Gianfrancesco Salma. Produttore: Alfredo Bini. Produzione: Arco Film (Roma). Distribuzione: Cineriz. Interni: Incir De Paolis (aprile – giugno 1962). Esterni: Roma, Frascati, Guidonia, Subiaco. Durata: 115’. Genere: Drammatico. Prima: XXIII Mostra di Venezia, agosto 1962. Premio Mostra di Venezia della FICC (Federazione Italiana Circoli di Cinema). Interpreti: Anna Magnani (Mamma Roma), Ettore Garofolo (Ettore), Franco Citti (Carmine), Silvana Corsini (Bruna), Luisa Orioli (Biancofiore), Paolo Volponi (il prete), Luciano Gonini (Zaccarino), Vittorio La Paglia (il signor Pellisser), Piero Morgia (Piero), Leandro Santarelli (Bengalo, il Roscio), Emanuele di Bari (Gennarino, il Trovatore), Antonio Spoletini, Nino Bionci, Roberto Venzi, Nino Venzi, Maria Bernardini, Santino Citti, Lamberto Maggiorani, Franco Ceccarelli, Marcello Sorrentino, Sandro Meschino, Franco Tovo, Pasquale Ferrarese, Renato Montalbano, Enzo Fioravanti, Elena Cameron, Maria Benati, Loreto Ranalli, Mario Ferraguti, Renato Capogna, Fulvio Orgitano, Renato Troiani, Mario Cipriani, Paolo Provenzale, Umberto Conti, Sergio Profili, Gigione Urbinati.

Pier Paolo Pasolini realizza il secondo film da regista e aggiunge un importante tassello al suo viaggio nell’umanità dolente delle borgate romane. Accattone (1961) mostra il mondo del sottoproletariato urbano della capitale visto dalla parte del maschio, con un grande Franco Citti, sublime interprete del ragazzo di vita pasoliniano. Pasolini continua l’adattamento cinematografico della sua opera letteraria (Ragazzi di vita, Una vita violenta, Il sogno d’una cosa, Poesia in forma di rosa…), definendo un discorso aperto da sceneggiature importanti come La notte brava (1959), di Mauro Bolognini, tratto proprio da Ragazzi di vita. Accattone narra la vita quotidiana dei ragazzi delle borgate romane, tra litigi, notti insonni, bravate, giornate all’osteria, piccoli furti e prostitute. La Borgata Gordiani viene messa in primo piano da sapienti movimenti di macchina, carrellate, poetiche panoramiche, primi piani e mirabili piani sequenza.
Mamma Roma gode della stessa ambientazione borgatara di Accattone, ma la protagonista è una donna, Anna Magnani nei panni di una prostituta romana che vuole cambiare vita per dedicarsi al figlio Ettore. Sergio Citti è fondamentale come consulente per i dialoghi in romanesco, recitati da attori dilettanti, a parte la grandissima Magnani. Le tematiche sono quelle care a Pasolini che accompagneranno tutta la sua vita artistica: gli emarginati, il sottoproletariato confinato in un ghetto di incomunicabilità con le altre classi sociali, la sconfitta del diseredato, l’impossibilità di affrancarsi da un destino di sofferenza. Anna Magnani non lega con il regista, le rispettive visioni del mondo non coincidono, ma nonostante tutto regala un’interpretazione memorabile. La sua Mamma Roma è una madre coraggio in pena per la sorte d’un figlio ribelle, in preda alle tempeste adolescenziali, che contraccambia il suo amore ma non lo sa esprimere. “Mia madre? A me che me frega di mia madre? In fondo credo di volerle bene, perché se morisse mi metterei a piangere”, confessa a Bruna, la ragazza che lo fa diventare uomo. Vediamo in breve la trama. Mamma Roma (Magnani) decide di abbandonare la vita da prostituta quando Carmine (Citti), il protettore, si sposa, liberandola da ogni obbligo. La donna decide di dedicarsi anima e corpo al figlio, Ettore (Garofolo), che non sa niente del suo mestiere ed è cresciuto nella vicina Guidonia. Mamma Roma si mette a vendere frutta e verdura, si trasferisce in un appartamento alla periferia di Roma, segue il figlio, cerca di indirizzarlo nelle scelte femminili e di trovargli un lavoro. Mamma Roma non vuole che il ragazzo faccia la sua fine, che si seppellisca nella periferia romana, ma sogna per lui un futuro di tranquillità, con un lavoro rispettabile. A un certo punto il protettore torna a cercare Mamma Roma e la riporta sulla strada, come il passato che non si può cancellare, l’ineluttabilità del destino. Ettore viene a sapere da Bruna quale sia la vera professione della mamma, per reazione comincia a delinquere, infine viene arrestato dopo per aver rubato una radiolina a un degente dell’ospedale. Finale melodrammatico: il ragazzo muore in carcere, legato a un letto di contenzione, in preda a un delirio febbrile.
Il film è dedicato allo storico dell’arte Roberto Longhi e certe rappresentazioni scenografiche sono pittoriche, grazie alla collaborazione di Flavio Mogherini, futuro regista di scuola pasoliniana. Il finale, con il ragazzo che muore legato al letto del carcere, ricorda un Cristo del Mantegna, una scena da struggente deposizione. Carlo Rustichelli compone una colonna sonora basata sulle musiche sinfoniche di Antonio Vivaldi che accompagna sequenze poetiche fotografate in un livido bianco e nero. Violino tzigano, di tanto in tanto, interrompe la musica barocca e porta in primo piano note di musica popolare. Il ritmo è lento, cadenzato, tra piani sequenza della periferia, panoramiche, dialoghi in romanesco. Puro cinema, una gioia per gli occhi vedere una Roma notturna e seguire le passeggiate logorroiche di mamma Roma che racconta episodi di vita mescolando fantasia e realtà. Pasolini narra per immagini un’umanità dolente che sogna un riscatto impossibile ma deve rassegnarsi a un destino infelice.
(continua…)

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mercoledì, 9 ottobre 2013

IN MEMORIA DI GIULIANO GEMMA

Il secondo appuntamento della rubrica PELLICOLE ITALICHE da rivedere, curata da Gordiano Lupi, abbiamo voluto dedicarlo all’attore Giuliano Gemma, che è scomparso pochi giorni  fa (il 1° di ottobre) a causa di un incidente automobilistico. Tutti coloro che vorranno intervenire lasciando commenti volti a ricordare Giuliano Gemma (con riferimenti a uno o più film in particolare) saranno i benvenuti.

Qui di seguito troverete un articolo di Gordiano Lupi e la recensione del film “Arrivano i Titani” (1961) di Duccio Tessari (Giuliano Gemma era nel cast nei panni di Crios). In coda, il video con la presentazione dello stesso Tessari e uno spezzone del film.

Ringrazio tutti in anticipo per la partecipazione.

Massimo Maugeri

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Giuliano Gemma, l’eroe della mia generazione

di Gordiano Lupi

Giuliano Gemma (1938 – 2013) rappresenta buona parte della mia infanzia. La prima volta che l’ho visto al cinema – in una saletta di terza visione nel quartiere operaio della mia città – vestiva i pani di Ringo e si faceva chiamare Montgomery Wood. Credevo che fosse americano, pure mio padre lo pensava, lui che disprezzava il western italiano, ma era andato in delirio per tutte le pellicole di Sergio Leone, convinto che fossero interpretate da attori d’oltreoceano. Magia degli pseudonimi, ma pure magia del ricordo d’un bambino che stringeva un pacchetto di semi, varcava le porte del Cinema Teatro Sempione (scomparso nella nebbia del tempo perduto) per andare a vedere un peplum, al tempo che manco sapeva cosa volesse dire peplum, come Arrivano i Titani. Da grande quel bambino avrebbe scoperto che sia i due Ringo (Una pistola per Ringo, Il  ritorno di Ringo) che il peplum erano opera di Duccio Tessari, un regista italiano che avrebbe usato spesso Giuliano Gemma (Kiss kiss… bang bang, Vivi o preferibilmente morti, Tex e il signore degli abissi), considerandolo un suo attore feticcio. Abbiamo trovato un ricordo di Giuliano Gemma che fa riferimento a quel periodo storico: “Il primo film che ho fatto con Tessari è Arrivano i Titani, un lavoro che smitizza il peplum dove recito con il mio vero nome. Il primo western che ho interpretato è Una pistola per Ringo (1965), film in cui nasce il mio pseudonimo, Montgomery Wood. Si trattava di una condicio sine qua non per fare il film, imposta dalla produzione che voleva venderlo come nordamericano. Era una moda. Mi obbligarono e lo pseudonimo lo scelse il produttore. A me andava bene tutto. Sono riuscito a usare il mio vero nome solo a partire dal terzo western come protagonista. Ho fatto due western della serie Ringo, entrambi con Tessari, tutti e due buoni lavori, ma fondamentalmente diversi l’uno dall’altro. Una pistola per Ringo è un film ironico, nelle corde di Tessari, girato con il suo inconfondibile stile. Il ritorno di Ringo è un film drammatico, ispirato all’Odissea. Il primo è più divertente, il secondo più serio. (continua…)

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martedì, 24 settembre 2013

IL PRIMO E L’ULTIMO FILM DI ALBERTO BEVILACQUA

Dedichiamo il primo appuntamento di PELLICOLE ITALICHE da rivedere, curato da Gordiano Lupi, a due film di Alberto Bevilacqua (scomparso recentemente): il primo (La califfa, 1970) e l’ultimo (Tango blu, 1987).

A fine post potrete vedere, “La califfa” (film completo) e “Tango blu” (prima parte) disponibili su YouTube.

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LA CALIFFA (1970)

di Alberto Bevilacqua

Regia: Alberto Bevilacqua. Soggetto e Sceneggiatura: Alberto Bevilacqua. Fotografia: Roberto Gerardi. Montaggio: Sergio Montanari. Musiche: Ennio Morricone. Scenografia: Giantito Burchiellaro. Costumi: Luciana Marinucci. Produzione: Mario e Vittorio Cecchi Gori. Casa di Produzione. Fair Film. Distribuzione: Titanus. Genere: Drammatico. Durata: 99’. Interpreti: Romy Schneider (doppiata da Rita Savagnone), Ugo Tognazzi, Marina Berti, Roberto Bisacco, Gigi Ballista, Guido Alberti, massimo Serato, Franco Ressel, Massimo Farinelli, Giancarlo Prete, Stefano Satta Flores, Gigo Reder, Gianni Rizzo, Nerina Montagnani, Eva Brun, Luigi Casellato, Enzo Fiermonte.

La califfa è il primo film di Alberto Bevilacqua, tratto dal suo terzo libro, edito nel 1964, un successo di vendite importante che anticipa la vittoria del Premio Campiello del 1966 con Questa specie d’amore. Romy Schneider è la sensuale interprete, che presta volto e corpo a Irene Corsini, la Califfa, vedova di un operaio ucciso dalla polizia, presentata con un intenso piano sequenza che tornerà nel drammatico finale. Ugo Tognazzi è l’imprenditore dal volto umano, innamorato della proletaria contestatrice, che per amore va incontro agli operai e lotta con loro per risolvere i problemi della fabbrica.
La califfa è ambientato a Parma, città natale di Bevilacqua, da lui immortalata in racconti, romanzi poesie e lungometraggi. Irene Corsini è la donna fortificata dal dolore, che si pone a capo di una protesta operaia scoppiata all’interno della fabbrica di Doberdò (Tognazzi), ma finisce per innamorarsi dell’industriale. Al suo fianco il magnate scopre una nuova realtà, capisce che esiste un modo diverso e più umano di fare impresa. Non riesce a farlo capire ai colleghi, che in un drammatico finale lo uccidono e gettano il suo cadavere accanto al muro della fabbrica. Sangue che scorre tra le mani di Irene, una nuova ferita della vita.
La califfa non gode di un grande budget, motivo per cui Bevilacqua sceneggia soltanto la seconda parte del romanzo e utilizza più volte le stesse sequenze per alcune sequenze oniriche. Non solo, certi personaggi vengono del tutto omessi, incentrando l’attenzione soltanto sui protagonisti principali. Mancano molti dialoghi, importanti per capire la relazione tra Doberdò e Irene, persino il finale è diverso, più cinematografico, perché il romanzo si conclude con la morte dell’imprenditore per cause naturali. Le location della pellicola sono Parma, Spoleto, Terni, Colleferro e Cesano di Roma. Stupenda la colonna sonora di Ennio Morricone, a tratti dotata di sonorità western, che accompagna situazioni riconducibili ai duelli e le rese dei conti nel cinema di genere. Ottima la fotografia di Roberto Gerardi. Bevilacqua è alla prima regia, ma mostra di saperci fare con i piani sequenza, usa un po’ troppo lo zoom (ma era un male del periodo storico), sceneggia con tono poetico le situazioni iperrealistiche di un film metaforico e didascalico. Gli attori sono straordinari. Ugo Tognazzi è un perfetto imprenditore figlio di contadini che, grazie all’amore, passa dal pragmatismo alla sfida romantica nei confronti del potere. Tognazzi non è nuovo a interpretare parti da imprenditore e da ricco borghese, ma Bevilacqua lo pone a confronto con un testo poetico. “Oggi il potere non ha più bisogno di eroi né di leoni. Oggi ha bisogno di poeti”, dirà. E riferendosi a un passato da povero: “Me ne sono andato per non vedere più quella macchia di umidità sopra la mia testa”. Romy Schneider è di una bellezza prorompente, fotografata in stupendi primi piani, tra le cariche della polizia e il sangue che scorre. Un personaggio adatto alle sue caratteristiche femminili, una donna forte e innamorata, disposta a mettersi in gioco. Bevilacqua è molto bravo a raccontare l’animo femminile e a comporre insoliti ritratti di donne sopra le righe. Tra i caratteristi Gigi Ballista è a suo agio come imprenditore, ruolo che ripeterà all’infinito nella commedia sexy, Stefano Satta Flores è un operaio che si vede lo spazio di una sequenza, Gigi Reder (il Fillini di Fantozzi) è un servile cameriere, Giancarlo Prete (il culturista dei postatomici) è l’amante sfruttato dalla califfa, Massimo Serato è l’industriale fallito che si suicida. Bevilacqua racconta la società italiana di fine anni Sessanta con gli imprenditori d’assalto, le fabbriche che chiudono, gli operai che occupano e chiedono rispetto per il lavoro. Vediamo le cariche della polizia, gli imprenditori suicidi dopo il fallimento, le proteste di piazza. Il quadro sociale è accompagnato da un’analisi spietata dei rapporti borghesi tra moglie e marito, la passione che si stempera, il tradimento, ma pure il contrasto generazionale padre – figlio non sfugge alla critica. “Se padre e figlio scappassero insieme per raggiungere non si sa quale meta, probabilmente non accadrebbe niente”, dice Tognazzi. Intensi ma a volte troppo retorici e ridondanti i discorsi del padrone agli operai, così come le immagini della lotta di classe risultano troppo stilizzate. Notevole l’immagine della fabbrica come un dio pagano dove gli operai si recano ogni giorno per rendere omaggio all’altare della produzione. Ricordiamo alcune sequenze oniriche: il fiore che blocca gli ingranaggi dell’azienda, la califfa che rinchiude il padrone in una stanza per farlo morire tra i miliardi… Le scene erotiche sono molto soft ma ben recitate dai due interpreti, credibili e convincenti; la Schneider buca lo schermo in alcune sequenze che la vedono sfoggiare plastici nudi a figura intera. Un difetto è l’eccesso di ideologia sessantottina, ma resta un prodotto del suo tempo e va storicizzato. L’operaia ribelle e l’imprenditore hanno in comune il coraggio, le origini umili, la voglia di credere in un progetto e l’illusione di cambiare il mondo. Ma sarà la cruda realtà a vincere sui loro sogni.

Rassegna critica. Morando Morandini (tre stelle di critica e di pubblico): “La sorpresa di questa commedia a sfondo sociale è un Tognazzi che dà prova della sua inesauribile versatilità di attore straordinariamente padrone delle sue reazioni e dei suoi toni. Come operaia Romy Schneider convince meno. Il fico migliore nel bigoncio di Bevilacqua da Parma”. Una recensione non condivisibile, a partire dalla conclusione, passando per i dubbi sulla Schneider, per finire con la definizione di commedia a un film drammatico e iperrealista. Paolo Mereghetti stronca senza pietà (una stella): “L’esordio di Bevilacqua, dal suo romanzo omonimo, è un ritratto femminile che si perde tra generici (e gratuiti) riferimenti alle tensioni sociali del periodo”. Pino Frainotti torna a concedere tre stelle, senza un giudizio critico, ma fornendo una valutazione condivisibile.

* * *

TANGO BLU (1987)

di Alberto Bevilacqua

Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Alberto Bevilacqua. Produzione: Michele Janczarek e Giuseppe Giovannini per Be – Mer Film. Distribuzione: Columbia Pictures Italia. Produttore Rai: Roberta Cadringher per Rai Uno. Organizzatore Generale: Giorgio Morra. Scene: Lorenzo Baraldi. Costumi: Gianna Gissi. Fotografia: Pierluigi Santi. Operatore alla Macchina: Mario Cimini. Direttore di Produzione: Nicolò Forte. Montaggio: Nino Baragli. Musiche: Stelvio Cipriani. Aiuto Registi: Walter Italici, Inigo Lenzi. Teatri di Posa: Incir/De Paolis. Interni: Teatro dell’Opera (Roma), Discoteca Central Park (Milano). Interpreti: Franco Franchi, Maurizio Merli, Andrea Roncato, Gigi Sammarchi, Leo Gullotta, Antonella Ponziani, Armando Marra, Andrea Belfiore, Roberto De Marchi, Gloria Paul, Big Laura, Vic Poletti, Antonio Ballerio, Carlo Dapporto, Valentina Cortese, Ginella Vocca, Giuseppe Carlostella, Antonio Caffari. Partecipazione Speciale: Corpo di Ballo Cooperativa Culturale di Milano.
(continua…)

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