lunedì, 13 novembre 2006
PIPERNO E SAVIANO, TRA ESIBIZIONISMO E INUTILITA’ DELLA LETTERATURA
Sul n. 44 del 02/11/06 del Magazine del Corriere della Sera, Alessandro Piperno ha scritto un articolo sul caso Gomorra il cui succo è: "Caro Saviano, secondo me lo scrittore impegnato è un esibizionista". Premetto che Piperno e Saviano sono amici e che entrambi fanno parte della redazione di Nuovi Argomenti.
Alessandro Piperno
Salto una serie di complimenti che Piperno rivolge a Gomorra e vi propongo questo stralcio di brano:
"Quando Saviano vinse il Premio Viareggio, una giornalista, stravolgendo un mio giudizio, chiese a Saviano: <<Ma è vero che Piperno dice che lei è un mitomane?>>. Saviano mi chiamò e mi disse che ci mancavano solo gli amici a rompergli i coglioni. anche se ben presto la sua furia si sciolse in una risata. A tutt’oggi sono pronto a sottoscrivere il giudizio di allora. L’impegno civile in letteratura è una forma di esibizionismo che non mi scalda (eppoi lo trovo così esteticamente diseducativo!). Credo che esista qualcosa di più vero della mesta e banale verità dei fatti. Ed è quella che chiamerei la verità della visione, a cui ogni scrittore aspira ma che pochi raggiugono, e solo attraverso il distorcente diaframma del mito."
Vi propongo, inoltre, la seguente frase riferita al libro Gomorra:
"Non sono un intenditore di camorra ma dubito che essa si lasci turbare da una cosa inutile e bella come la letteratura."
1) Sull’esibizionismo. Ritengo che ogni forma di scrittura resa pubblica (compresa quella che passa per questo blog) sia una forma di esibizionismo (anche dettata da esigenze di comunicazione), a prescindere dal fatto che sia più o meno impegnata. Ma che c’è di male? Se poi "l’impegno civile in letteratura è una forma di esibizionismo che non scalda"… be’, questo è solo una questione di gusto e non verità assoluta.
2) La letteratura bella ma inutile. Che significa inutile? E se la letteratura è inutile, esiste una forma d’arte o di comunicazione utile? La pittura? La scultura? La musica? Piperno non è la prima volta che esterna questa sua opinione (peraltro già da molti anni oggetto di ampi dibattiti, un po’ come la questione della [presunta] morte del romanzo).
Vi propongo un "pezzo" che l’anno scorso pubblicai a tal proposito sulla rivista di letteratura Lunarionuovo traendo spunto, appunto, da un’esternazione di Piperno evidenziata su un articolo di Stefano Salis (pubblicato sul Domenicale de Il Sole24Ore).
Mi piacerebbe conoscere la vostra opinione in merito ai due punti sopraindicati.
* * *
La letteratura serve a niente
di Massimo Maugeri
La letteratura non serve a niente. È quanto affermato, come apprendiamo da un Domenicale de Il Sole 24 Ore di settembre (2005), da Alessandro Piperno nel corso del festival della letteratura di Mantova.
Alessandro Piperno, docente di letteratura francese a Tor vergata, nonché autore esordiente di un romanzo recentemente pubblicato da Mondadori, dà chiara dimostrazione di coerenza e coraggio. Apprendere, infatti, proprio da un insegnante di letteratura e neoromanziere a caccia di premi letterari e apparizioni televisive, che la letteratura non serve a niente è una vera sorpresa.
In ogni caso supponiamo che il buon Piperno si sia lasciato andare a tale esternazione giusto per colpire a morte, una volta per tutte, l’errata convinzione che la letteratura sia dotata del potere taumaturgico di forgiare gli spiriti, formare le coscienze, orientare il pensiero.
La letteratura non serve a niente, dunque. Di certo da essa non dipende la vita o la morte. E chi pensa il contrario è un pazzo. Come quel Chapman, l’assassino di John Lennon, che – mentre si predisponeva a commettere l’omicidio – teneva in tasca una copia de “Il giovane Holden” di Salinger.
In linea di massima comprendiamo il punto di vista di Alessandro P.
Tuttavia ci sorge un dubbio.
E se Piperno intendesse dire quel che ha detto con le peggiori intenzioni? E cioè che la letteratura non serve a niente (ma proprio a niente)?
Fermiamoci qui. Solo per ora. E passiamo da Piperno a Grisham (anche quest’ultimo è intervenuto al festival della letteratura di Mantova). L’ultimo romanzo di Grisham è ambientato in Italia; a Bologna per la precisione. Il bestsellerista americano, per schermarsi dalle accuse da parte di coloro che gli hanno fatto notare innegabili sviste e ricorrenti luoghi comuni contenuti nella sua ultima opera, ha affermato che il suo “è un romanzo di intrattenimento, non un trattato di sociologia”.
Sorvoliamo, per ora, sul capolavoro di Grisham e concentriamoci su quanto segue.
Supponiamo che da un romanzo non ci si debba aspettare altro che mero intrattenimento. Se così fosse, un romanzo avrebbe quantomeno la funzione di intrattenere il lettore e, pertanto, servirebbe comunque a qualcosa. Se, dunque, tutta la letteratura avesse solo la (poco nobile?) funzione di intrattenere servirebbe comunque a qualcosa. Il problema, semmai, e che certi libri non hanno nemmeno la capacità di intrattenere (ma questo è un altro discorso).
Diamo tuttavia per buona la tesi che la letteratura non serve a niente. Una domanda sorge spontanea. Cos’è che serve? Cos’è che è inutile?
In fondo l’affermazione di Piperno potrebbe applicarsi anche ad altre forme d’arte.
Immaginiamo di essere a Louvre, Parigi. La famiglia Ponepri decide di fare la fila per entrare. In particolare i Ponepri desiderano vedere dal vivo la Monna Lisa. Sono rimasti molto incuriositi dal film “Il Codice Da Vinci” (il libro non l’hanno letto; a casa Ponepri non si legge, anche se il capofamiglia ha deciso di comprare in edicola i Meridiani Mondadori per incrementare il plusvalore della propria libreria). A fine giornata i Ponepri tirano le somme. Sono rimasti molto colpiti dalla struttura del Louvre e profondamente delusi da La Gioconda (“Quel quadro non me lo immaginavo mai mai così piccolo”, dice il capofamiglia). Arrivano alla conclusione che, tutto sommato, sarebbe stata più divertente una passeggiata per gli Shampi Elisé. Il giorno dopo, proprio a due passi dall’albergo, si imbattono nella piccola mostra di quadri di Jean Sahmgri, carneade di talento dell’arte pittorica del suo quartiere. Trascorrono quasi trenta minuti ad ammirare le tele di Jean. Una volta usciti giungono alla conclusione che osservare i quadri di Sahmgri è più meglio di perdere cinque ore cinque a guardare i quadri vecchioni del Louvre (“Poi c’è quel quadro di quella femmina nuda che… mizzica, altro che Gioconda!”)
La passeggiata agli Shampi Elisé, la visita al Louvre e quella alla mostra di Sahmgri rappresentano tre forme di intrattenimento (intrattenimendo dicono i Ponepri). Per nessuna delle tre potremmo, correttamente, usare la formula non serve a nulla.
Il ragionamento, naturalmente, può applicarsi alle altre forme d’intrattenimento: dalla musica al cinema.
Ma torniamo alla letteratura.
Il lettore Pincopallo ha letto di recente “Furore” di Steinbeck e “Il cliente” del già citato Grisham.
Quando ha terminato di leggere “Furore” Pincopallo ha provato una sensazione differente rispetto a quella provata dopo la lettura de “Il cliente”. Entrambe le letture hanno svolto, nei suoi confronti, una funzione di intrattenimento. Nessuna delle due, dal suo punto di vista, ha rivoluzionato la verità del mondo. Tuttavia dopo “Furore” Pincopallo ha trascorso una buona ora a riflettere (ma a che serve riflettere?), mentre dopo “Il cliente” si è recato in cucina a prepararsi un panino al prosciutto. È indubbio che Pincopallo sarebbe sopravvissuto senza le riflessioni successive alla lettura di “Furore”, mentre se – dopo “Il cliente” – non avesse mangiato il panino al prosciutto avrebbe percepito un fastidio alla bocca dello stomaco. Di più… se fosse rimasto per due settimane senza riflettere sarebbe sopravvissuto; se – per due settimane – non avesse mangiato nulla sarebbe morto.
Dunque ha ragione Piperno!
In fondo gli Shampi Elisé, il Louvre, la mostra di Sahmgri, “Furore” e “Il cliente” non servono a nulla… se non a intrattenere.
Viva il panino al prosciutto, allora!
Un’ultima cosa su Grisham. Viene da pensare che, con tutta la grana (intesa non nel senso di rogna) che si ritrova, avrebbe potuto pagare dei consulenti che gli avrebbero evitato di incorrere in luoghi comuni e strafalcioni. Ma forse, in questo caso, “Il broker” sarebbe diventato un trattato di sociologia, a danno dell’intrattenimendo.
In fondo ci sentiamo molto intrattenuti da un romanzo dove – come riportato nella sezione Vespe del suddetto Domenicale de Il Sole 24 Ore – “da Palermo si vede l’Etna”.
Viene voglia di scrivere un romanzo di intrattenimento ambientato a Long Island dove “da casa degli Spencer si vede l’Empire State Building”. Conosciamo delle persone che potrebbero ospitarci lì per una settimana una per fare la location del suddetto romanzo che potrebbe intitolarsi “Il brocco”.
Con umiltà massima potremmo inserire il titolo proprio sotto il nome dell’autore (di modo che l’acquirente non abbia difficoltà alcuna ad accostare il titolo al nome). E l’autore, a sua difesa, potrebbe sempre sostenere che trattasi di romanzo d’intrattenimento.
Anzi… d’intrattenimendo.
Pubblicato in PERPLESSITA', POLEMICHE, PETTEGOLEZZI E BURLE 27 commenti »
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