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Archivio del 9 agosto 2007

giovedì, 9 agosto 2007

CLICK JEANS di Barbara Gozzi

Nuova puntata di Giovani scrittori crescono (selezione under 30)”. Stavolta vi presento Barbara Gozzi, che molti di voi conoscono giacché è una frequentatrice assidua di questo blog. Il brano che leggerete è un estratto di Click jeans, pubblicato da Arpanet nell’ambito di CONCEPTS Moda, AA.VV ( euro 15.00). Inoltre vi invito alla lettura di un inedito della Gozzi, intitolato L’altra fame, pubblicato recentemente sul blog “Books and other sorrows” della scrittrice Francesca Mazzucato.

barbara-gozzi.jpgBarbara Gozzi ha 28 anni. È nata a Modena e attualmente vive in provincia di Bologna con la famiglia. Ha pubblicato ‘Progetto Butterfly’ (Editing Edizioni, novembre’06); ‘La casa della nonna’ (Nicola Pesce Editore, aprile’07); tre racconti nell’antologia ‘Scrivi con lo Scrittore’ curata da Ettore Bianciardi (Giraldi Editore, Maggio’07); ‘Click Jeans’ racconto lungo pubblicato su ‘Concepts Moda’ (Edizioni Arpanet, giugno’07). Da giugno’2007 è anche possibile scaricare gratuitamente l’Ebook ‘Spicchi’ (romanzo breve inedito) realizzato dalle edizioni Kult Virtual Press. Collabora con il progetto ‘The Sleepers’ e cura la rubrica ‘Contorsioni’ presso il blog Caffè Storico Letterario e l’EMagazine Historica di F.Giubilei. Entro fine anno uscirà il seguito di ‘Progetto Butterfly’. Ha appena concluso la versione beta di ‘Experiment’, pubblicato in atti sul blog come sperimentazione narrativa flash e ha due testi nel cassetto che attendono revisioni spietate. Attraverso il suo blog (www.progettobutterfly.splinder.com) è possibile rintracciare testi, esperimenti, segnalazioni e composizioni scomposte. E- mail:gozzib@tiscali.it 

CLICK JEANS

di Barbara Gozzi

Ispirato da: i jeans che ho tenacemente portato nel corso delle scuole superiori come unica alternativa al nulla.

IV. Cinque mesi e un giorno dopo (l’inizio)

Quando riesco a tenere gli occhi aperti, l’orologio sul comodino segna le dieci e quaranta. Poco male. Oggi è domenica. Sbadiglio e mi rituffo tra il tepore rassicurante del piumone. Non ho voglia di alzarmi. In effetti, non mi va di fare alcunché. Ripensandoci, mi capita spesso, di recente. Sono stanca di essere stanca. Potrei abbandonarmi a una risata, per via del gioco di parole involontario, ma mi muore in gola. L’anno scorso, mi svegliavo alle sette per andare a correre con Lingualunga, il mio cucciolone la cui lingua perennemente a penzoloni ha fatto storia nel quartiere. Il nome è imbarazzante, me lo dicono tutti, ma non ho saputo dire di no alla bimba della mia vicina.

Mi sono ricordata di lasciargli da mangiare, ieri sera?

Mi alzo in fretta, con il pensiero del povero Lingualunga, affamato da più di dodici ore. Aspetto che la testa smetta di girare, poi mi avventuro lungo le scale per raggiungere il garage e lo apro. Lui è lì, davanti a me, con la coda che disegna figure geometriche e quell’aria felice, quella che ha sempre quando mi vede.

Come può essere contento, se l’ho tenuto a digiuno?

Gli verso una porzione generosa di bocconcini e lo accarezzo, mentre lui divora avidamente ogni pezzetto come fosse l’ultimo. Mi viene la tentazione di scusarmi ad alta voce, ma mi sento una stupida e desisto.

Non si parla con gli animali, è da suonati.

Eppure, ho la netta impressione che lui saprebbe capirmi molto meglio di tanti esseri umani. Quando rientro in casa, vedo la borsetta abbandonata sul divano e una luce si accende nella mia mente. Ieri notte, ero così stanca che mi sono addormentata, dimenticandomi del regalo.

Mi siedo con cautela tra i cuscini imbottiti. La testa mi gira ancora, appena un po’. Dovrei fare colazione, ma la curiosità è più forte. E poi, una tazza bollente con dentro un filtro di tè verde non è poi così allettante, stamattina.

Chissà cosa mi hanno regalato, quelle matte!

Lo libero dalla borsa e strappo la carta colorata, un po’ incerta. Le mie amiche non fanno mai niente per caso. Ma non è il mio compleanno!

Mi ritrovo tra le mani un mini album, di quelli che contengono al massimo dodici fotografie, ma che sono molto comodi perché si possono portare in giro senza ingombrare troppo. La copertina è morbida. Blu e azzurra. Nel centro, ci sono delle onde che si infrangono sulla spiaggia. Le osservo meglio alla luce del giorno e noto che, se cambio angolazione, le onde si muovono. Mi scappa un sorriso. Alzo le gambe e le incrocio sul divano, nel mezzo appoggio l’album e inizio a sfogliarlo. Il passato mi risucchia con la forza di un tornado.

Sono circondata dai compagni di classe e sorridiamo in modo scomposto. Dietro di noi, si intravede il Ponte dei Sospiri. E la prof. di italiano, la signora Rinaldi-tutto-a-memoria. Avevamo diciassette anni ed eravamo in gita. Le mie guance erano tonde.

Abbasso lo sguardo.

Mia sorella si nasconde dietro di me in modo goffo. Stiamo festeggiando il compleanno di mamma nel piccolo salotto di casa. Simona ha quattordici anni. Ed è già più alta e lunga e di me. Anche le sue guance erano tonde. Meno delle mie, ovviamente.

Volto pagina.

Sul lettino, le mie amiche sono sedute sopra di me. Facciamo delle smorfie strane all’obiettivo. Se non ricordo male, stava scattando Maria. Weekend lungo a Riccione. Io avevo superato i venti da un po’. Mia sorella è rimasta in piedi a fissare il mare. Il suo corpo sembra la metà del mio. O di quello di una qualsiasi delle mie amiche.

Abbasso lo sguardo.

Eleonora. Serena. Rossella. Maria. Io. Tutte attorno alla torta, con alcune candeline mezze storte. La mia faccia sbuca da dietro il quartetto con l’accendino, ma qualcuno scatta, prima che io riesca ad accenderle.

Quella sera ci siamo divertite come matte. Non avevo ancora compiuto i trenta.

Volto pagina.

Simona a capodanno. Con i jeans elasticizzati e un top aderente. Si vedono le ossa. Il seno e i fianchi sono scomparsi. Emergono solo i jeans, gli stivali col tacco, il top luccicante e il trucco pesate. Non riesco a trattenere le lacrime. Tre mesi dopo è morta. Aveva ventidue anni.

Abbasso lo sguardo.

Io, all’uscita del solito pub, due settimane fa circa. Un pugno in piena faccia. Non sapevo che le ragazze mi avessero scattato questa foto. Sto pagando il conto alla cassa. Si vede la camicetta corta che ho comprato per l’occasione. Le altre mi sono tutte troppo larghe. Il seno che spunta è il nocciolo di una prugna. C’è un fianco che sporge da dietro il tessuto dei jeans. E il resto della ciccia, dov’è? Sto piangendo e mi si appanna la vista. Ma c’è ancora un’ultima foto dietro. Tremo.

Volto pagina.

 Natale ‘94. Simona e io in giro per il centro con gli amici di allora. Abbracciate. Luccicanti. Spensierate. Bellissime. Le nostre guance sembrano assomigliarsi. Anche il luccichio negli occhi.

Il mio naso cola. Ho la faccia bagnata e i singhiozzi mi fanno sussultare.

Click.

Uno solo, ma sufficiente a farmi perdere un battito. Il secondo punto di svolta in pochi mesi.
Rivoglio quel luccichio. Subito.

E una brioche. Anche senza marmellata. Purché sia calda e croccante.

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