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sabato, 14 giugno 2008

GUIDA PRATICA ALL’ETERNITA’. Racconti tra cielo e terra di Fabrizio Centofanti

Vi presento una raccolta di racconti.
Il titolo è al tempo stesso dolce e ambizioso: Guida pratica all’eternità, racconti tra cielo e terra.
L’autore è Fabrizio Centofanti: poeta, scrittore, ma anche sacerdote diocesano che opera a Roma dal 1996, soprattutto nel campo della spiritualità e dell’approfondimento della Sacra Scrittura.
Remo Bassini ha firmato la prefazione della raccolta. Potrete leggerla di seguito insieme al racconto Agatino.
“Donne e uomini piccoli ma ingombranti, da buttare nel cassonetto. Da rimuovere. Perché scomodi, a volte puzzano. Andate via, via”.
Così Bassini descrive i personaggi di Centofanti.Persone da buttare.
E forse, da buttare è pure Agatino.
Mi piacerebbe dibattere su questo volume, partendo dalla prefazione di Remo. E mi piacerebbe discutere di Agatino: “un losco figuro mascherato da becchino del vecchio west con tanto di cappello a larghe tese.”
La presenza di Agatino crea paura, imbarazzo, diffidenza. Soprattutto nei confronti di chi si ferma alle apparenze, di chi guarda il nero (esteriore) degli uomini senza riuscirne a cogliere la luce… che pure, quasi sempre, c’è.
Ecco, vorrei che discutessimo anche delle apparenze. Quelle che ci condizionano. Quelle che sono capaci di far pendere le nostre decisioni da una parte o dall’altra.
L’apparenza inganna, dice il proverbio. Inganna nel bene, come inganna nel male.
Mi domando (e vi domando):
Fino a che punto bisogna fidarsi delle apparenze?
E fino a che punto è lecito abbassare le proprie barriere per tentare di vedere l’altro, oltre il nero della sua esteriorità, fino a coglierne la luce?

Massimo Maugeri

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____________

PREFAZIONE di Remo Bassini

Pare di vederli, leggendo. Vanno a capo chino, hanno lo sguardo di chi è solo, disperato, affamato. Sono i personaggi-protagonisti di questi racconti. Sono donne e uomini piccoli ma ingombranti, da buttare nel cassonetto. Da rimuovere. Perché scomodi, a volte puzzano. Andate via, via.
Siete gli “ultimi”, accontentatevi del regno dei cieli.
Non c’è spazio per voi in questo tempo di usa e getta, di computer dell’ultima generazione e di generazioni cresciute tra computer, line e la tivù “dei belli” e dell’effimero.
Ha fatto un lavoro storico e narrativo, don Fabrizio Centofanti, con questi frammenti di disperazioni e speranza.
Il lavoro storico – ma che compete (o così dovrebbe) a ogni intellettuale – è stato quello di annotare fatti e persone, cercandone il cuore, magari nascosto da un cappotto ricuperato chissà dove. Sono storie, queste, più vere del vero, che fanno male anche.
Sono microstorie – che tanto piacerebbero alla scuola delle Annales di Le Goff – che Fabrizio Centofanti ha scritto con tempi e ritmi di una narrazione a volte secca e dura, a volte, invece, vicina al lirismo.
Non ha usato la fantasia, Fabrizio Centofanti, ché la fantasia in certi casi depista e distorce. Ha usato i suoi ricordi, i suoi appunti, perché la memoria, si sa, è capricciosa. Ed eccoli, ora, questi racconti toccanti, che arrivano al lettore, lo commuovono, lo fanno pensare. Ci fanno pensare: ai disperati, certo, ma anche alla speranza; e il trait d’union tra questi due aspetti si chiama don Mario, la cui figura, sebbene mite, caritatevole, francescana, si staglia prepotente in questo mondo, sì, mondo di lacrime, ché è questa la dicitura adatta, giusta.
E ha saputo fondere, Fabrizio Centofanti, in queste sue scritture ri-pescate dalla memoria, le sue due anime: quella di chi vive pensando al Vangelo come un’altra Storia di disperazione e speranza da mettere in pratica, e quella dell’umile testimone che trascrive e racconta. Sono venuti fuori, da questa doppia anima, questi racconti: che trasudano umanità e che ci insegnano. Ci insegnano che “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior” non sono solo versi di una canzone di successo.
Perché la dignità “degli ultimi” sia per davvero. E non parole vuote, dell’usa e getta.

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AGATINO

Agatino aveva la barba nera e vestiva di nero. Questo gli era costato una pessima fama, a volte, come quando andò a trovare don Mario in ospedale, il quale don Mario, però, quando Agatino varcò la soglia della porta, non c’era. Chi c’era, e cioè un vicino di letto, vedendo entrare un losco figuro mascherato da becchino del vecchio west con tanto di cappello a larghe tese, chi c’era, dicevo, si spaventò. Assai.
Ma Agatino si preoccupava poco della sua fama, anzi pareva che facesse di tutto per avere aspetti e modi che potessero provocare paura, imbarazzo, diffidenza. In più, parlava da solo. Per strada, alla fermata dell’autobus, dovunque si trovasse, non mancava mai di fare rapidi botta e risposta con se stesso, come se dovesse trovare un accordo su difficili questioni che unicamente lui poteva capire e sviscerare.
Agatino era solo. Viveva in giro per le incombenze che raccoglieva qua e là per la metropoli e la sera andava a riposare nel dormitorio della Caritas di via Marsala, insieme con tipi come lui, neri e barboni, come ci fosse una specie di cittadinanza a parte, il lato oscuro di Roma, nerovestito e barbuto; come se tutti i lustrini e i sorrisi e i dialoghi a due o più persone avessero un loro rovescio di sguardi cupi, appesantiti dalla sommaria pulizia, e di discorsi tra sé e sé come i pazzi del paese.
Agatino era un uomo del buio, e veniva nel mondo della luce solo per causa di forza maggiore, per sbarcare il lunario con le sue incombenze da fattorino fuori sede. Nel territorio luminoso si sentiva straniero, come un topo in trappola; forse per questo parlava da solo, per esorcizzare un disagio invincibile, l’impressione di essere l’unico estraneo in una riunione famigliare. Gli altri, in generale, lo confermavano in questa sensazione. Perché a vederlo così, nero e barbuto, immagine cupa che farfugliava con se stessa, veniva veramente da considerarlo di un’altra famiglia, se non di un altro mondo, sconosciuto e inconoscibile, da cui sarebbe stato meglio, molto meglio, tenersi distanti.
Lui lo capiva, e ne soffriva. Pur stando dalla parte del buio, si rendeva conto che l’altra parte presentava dei vantaggi: innanzitutto un dialogo a due o a tre, più ortodosso del suo parlare da solo. Poi, la varietà dei colori, che poteva distrarre dalla nota scura che era la sua vita, sempre uguale a se stessa, con le incombenze raccolte in giro, le fermate dell’autobus, i sonni inquieti nel dormitorio della Caritas.
Ma i suoi colori li trovava altrove: le storielle che scriveva dappertutto, sulle ricevute postali, le pagine dei giornali, la carta in cui avvolgeva i modesti regali che non mancava mai di confezionare per i committenti. Barzellette, poesie, dialoghi in due battute, che finivano col riempire il vuoto della vita, col trasfigurare in sfumature sempre diverse la massa nera del vestito e della barba, degli stivali e del cappello. Questo, naturalmente, dal suo punto di vista. Gli altri continuavano a vedere, invece, l’Agatino scuro e cupo di sempre.
Un giorno, una beghina della parrocchia chiese di una persona che potesse lavorare nel giardino. Don Mario si rivolse ad Agatino, nella speranza che potesse farcela; lui si mise a dormire su una sedia a sdraio e pretese, alla fine, di essere pagato, senza aver mosso un dito. La donna s’infuriò e cominciò a urlargli sulla faccia. Agatino le rispose per le rime: “Zoccola, zoccola!”. Lei, figùrati, che zoccola non gliel’aveva detto mai nessuno, andò di corsa dal parroco a gridare: “O lui o io!”. Don Mario disse: “Lui”. Quando don Mario rispose “Lui”, l’anziana signora sbiancò, incredula.
La figura di quest’uomo nero rischiava, giorno dopo giorno, anno dopo anno, di trasformarsi in mito. Andava a pagare anche le bollette della nostra chiesa. Il prete gli consegnava le montagne di soldi spicci delle questue, che lui infilava in una cartella rigorosamente nera. Una volta, quando don Mario era stato bruciato ed era in coma in ospedale, l’uomo nero mi disse che mancavano dei soldi per pagare le fatture. Io mi infuriai, perché avevo contato le monete a una a una, e gli dissi di non provarci più, se non voleva essere cacciato. Lui se ne andò via, offeso. Non sapevo che l’avrei rimpianto, e tanto anche, quando fu sostituito da gente senza scrupoli che cercò in ogni modo di rubare il poco che avevamo. Non disse mai più che mancavano dei soldi; tornava con le ricevute piene di poesie e di barzellette, che a poco a poco tendevano a specializzarsi e a concentrarsi in serie tematiche.
La cosa strana è che quando cercammo qualche testo per ricordarlo degnamente, non trovammo più neppure un verso o una battuta, come se l’opera sconfinata che aveva composto giorno dopo giorno fosse misteriosamente evaporata. Lo trovarono seduto su una sedia del dormitorio della Caritas di via Marsala, morto. Volevamo organizzargli il funerale, ma i parenti, che non conoscemmo mai, non furono d’accordo.
Se ne andò così, senza una messa, a pagare le bollette della vita in un ufficio postale tutto nuovo, dove il nero del cappello, del vestito, degli stivali da becchino del far west è un colore come un altro, che non spaventa nessuno, dove si può parlare con se stessi senza essere pazzi, dove uno è finalmente libero di spendere la sua felicità di uomo del buio, ma segretamente amante della luce e dei colori del mondo, fosse anche l’altro mondo, un ufficio postale che non avrebbe mai immaginato, Agatino, così bello.


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Scritto sabato, 14 giugno 2008 alle 00:11 nella categoria SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

104 commenti a “GUIDA PRATICA ALL’ETERNITA’. Racconti tra cielo e terra di Fabrizio Centofanti”

“Agatino” è un racconto breve che, a mio avviso, consente di “afferrare” l’immagine di un personaggio sfuggente.
In esso, come ho già premesso, ho colto l’emblema dell’apparenza.
All’apparenza degli sfarzi delle vite di successo, si contrappone l’apparenza grigia degli ultimi.
Uno di questi è, appunto, Agatino.

Mi piacerebbe che ne discutessimo.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 00:16 da Massimo Maugeri


Fabrizio Centofanti interverrà nel dibattito, anche se – essendo sacerdote – per lui il fine settimana coincide co in giorni di massima attività lavorativa.
Del resto molti di voi andranno a mare (anch’io, almeno spero) o in giro.
Intervenga chi può.
Tanto il dibattito proseguirà nel corso della settimana successiva.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 00:19 da Massimo Maugeri


Sarei grato a Remo Bassini se potesse intervenire per fornirci altre considerazioni su questa raccolta e sulla scrittura di Fabrizio Centofanti.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 00:20 da Massimo Maugeri


Vi ripropongo le domandine:
Fino a che punto bisogna fidarsi delle apparenze?
E fino a che punto è lecito abbassare le proprie barriere per tentare di vedere l’altro, oltre il nero della sua esteriorità, fino a coglierne la luce?

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 00:21 da Massimo Maugeri


grazie, Massimo, per questo regalo che mi fai. e grazie anche per le domande, che nel contesto della rete si arricchiscono di ulteriori sfumature. la vita potrebbe definirsi come uno sfoltimento progressivo di apparenze, fino all’offerta sincera di sé. Agatino in fondo era se stesso: ma ci voleva qualcuno che lo rassicurasse, che lo lasciasse essere così, senza paure. solo così poteva aprirsi alla lama di luce che si profilava all’orizzonte.
un abbraccio a te e a tutti i tuoi lettori.
fabrizio

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 00:28 da fabrizio


Grazie a te per essere prontamente intervenuto, Fabrizio.
Scrivi: “la vita potrebbe definirsi come uno sfoltimento progressivo di apparenze, fino all’offerta sincera di sé”.
Una frase molto bella, questa.
Credo che puntare all’offerta sincera di sé sia necessario, soprattutto in una società che continua a radicarsi nel culto dell’apparenza.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 00:38 da Massimo Maugeri


dici bene, Massimo: è un nuovo culto, una nuova religione; con i suoi riti e i suoi sacrifici, le sue cerimonie e le sue feste, perfino con le sue sacre scritture.
noi oggi viviamo di questo:
http://www.repubblica.it/2006/08/gallerie/gente/larson-playboy/1.html
ti auguro una serena notte.
fabrizio

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 00:45 da fabrizio


Grazie per il link, Fabry.
Sei sempre aggiornatissimo :-)
Una serena notte a te.
E buona domenica.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 01:00 da Massimo Maugeri


caro massimo,
ho scritto la prefazione dei racconti di fabrizio solo quando fabrizio si è deciso che valeva la pena proporli a un editore.
li ho letti prima, ma non poco prima.
li ho letti mano a mano che lui li scriveva.
me li mandava, poi ne discutevamo.
beh, posso dire due cose, per ora di fabrizio centrofanti.
la prima: è pigro. a lui la celebre frase di Pontiggia, Scrivere è riscrivere, garba poco. lui scrive, poi voglia di riscrivere saltami addosso, e mi è costata fatica anche solo dirgli, Fabrizio, magari questa frase io la ritoccherei; oppure, e se tu semplificassi?
seconda cosa.
quando mi disse, Ti mando dei racconti, io non sapevo cosa avrei letto.
non sapevo che questi racconti (come qualcuno ha giustamente fatto notare, sono un po’ come le poesie dell’antologia di spoon river)
sono più veri del vero, insomma.
raccontano degli ultimi, gli Ultimi che son beati, perché saranno i primi.
ecco la grande importanza di questo libro.
la testimonianza.
e penso che questo libro sia ancor più importante oggi, rispetto a un anno fa.
perché gli ultimi son diventati quelli da perseguitare.
chiudo.
c’è un altro aspetto che mi piace sottolineare.
fabrizio mi contattò chiedendomi una supervisione di quanto stava scrivendo. è successo che invece ho imparato, leggendolo.
il libro non è solo testimonianza.
fabrizio centofanti ha il dono (durante la scrittura, di getto, quindi) della musicalità.
non so se consciamente o inconsciamente riesce a fare in modo che, banalizzo, la frase suoni bene.
un gran bel dono, questo.
ciao massimo e buone cose a tutti

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 01:22 da remo bassini


Condivido personalmente i motivi ed i sentimenti, nonche’ la fede religiosa, che sono alla base di questi racconti – almeno a giudicare dall’unico qui riportato. La scrittura, invece, e’ un altra cosa e non voglio approfondirla. Sono contento che don Fabrizio Centofanti abbia fatto un atto di fede, quale io credo essere questo libro. Diverso da un libro di Letteratura.
Saluti Cari
Sergio

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 02:29 da Sergio Sozi


Io non lo so se il problema delle apparenze e degli agathini tutti sia un problema della modernità, o se invece la modernità abbia eretto a sistema percepibile e tangibile i limiti dell’essere umano. Io credo che oggi sappiamo che ci piacciono le apparenze – e che prima questa consapevolezza ci sfuggiva completamente. E’ un effetto della cultura di massa questa concezione dell’apparenza, questa nuova consapevolezza.
Ma il problema dell’apparenza è anche un altro, e l’autore – che stimo se non altro solo per aver scelto tutti gli agathini come personaggi principali – lo saprà sicuramente. Il problema è che le apparenze che diamo spesso ce le procuriamo, e non sono solo il frutto della nostra posizione economica nella piramide sociale, sono anche il frutto della nostra posizione psichica nello spazio della relazione. Se una persona è respingente, non lo è solo perchè l’altro guarda alle apparenze e quindi non vede il tesoro nascosto del soggetto respingente. Ma il soggetto che respinge, che non si lava che si buca o che risponde costantemente in modo dissonante rispetto alle aspettative, lo fa per un suo motivo segreto che lo porta in una posizione obliqua nella relazione. Lo porta a fuggire nella relazione, e quello che bisogna fare perciò (un libro come questo di per se è già utile allo scopo) è quello di resistere resistere alla paura relazionale dell’agathino di turno, resistere all’attacco, resistere alla provocazione. Dissuadere la paura di dolore che c’è nella fuga dal rapporto umano, nella risposta discordante. Questo spesso va anche insegnato, questo non è ovvio e non siamo tutti santi.
Forse due paroline a quella poraccia che si è sentita chiamare zoccola, nel racconto, andavano dette – se non diamo retta alle apparenze sono tutti figli di Dio, solo con deboleze diverse.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 09:28 da zauberei


ringrazio Remo, come ho fatto già nel libro – aggiungendo il nome di Francesca Rivano, sua moglie e giornalista.
Remo e io abbiamo certamente qualcosa in comune, per esempio il fare le ore piccole. spesso dormo 4 ore al giorno, perché le cose da fare sono tante e il tempo non basta mai, il che ha comportato una dinamica singolare nei nostri messaggi riguardanti il libro: io gli inviavo il racconto di turno e sapevo che la risposta sarebbe arrivata dopo l’una di notte. Remo mi dava soprattutto consigli sull’essenzialità e l’adeguamento del linguaggio ai personaggi. mi diceva di rivedere alcuni racconti, ma io facevo una specie di resistenza passiva. il dono di cui lui parla credo di doverlo soprattutto a Calvino, che ho amato con passione fin dall’adolescenza. più tardi gli ho dedicato la tesi di laurea e poi ancora uno dei miei libri. Calvino mi ha insegnato a pesare ogni parola, e poi che la bellezza cambia tutto, fa prendere al testo direzioni impreviste, apre nuove prospettive nella realtà apparentemente piatta delle cose.
se questo libro ha visto la luce, il merito è di Remo: l’ha voluto fino in fondo. io lo avrei pubblicato con Lulu.com, perché l’importante mi sembrava non perdere la traccia di certi avvenimenti. ma l’editore lo ha accolto con entusiasmo, come nel finale certi miei racconti, in cui il paradiso si apre quando meno te lo aspetti.
grazie dunque al mio grande amico di Vercelli e a sua moglie Francesca, che ha fatto l’ultima lettura.
e grazie a Sergio.
fabrizio

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 09:31 da fabrizio


ringrazio anhe Zauberei. è certamente vero quello che dici: si tratta di fare un passaggio di stato, altrimenti restiamo sostanze incompatibili. ora purtroppo devo scappare ci sentiamo più tardi.
un abbraccio a tutti, in particolare a Massimo.
fabrizio

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 09:34 da fabrizio


Brava Zauberei, concordo pienamente.
Don Fabrizio… devo chiamarla così? Grazie per questi spaccati di vita in cui il buio si fa strada a fatica verso la luce. Magari il buio che tanto ci spaventa, come dice Battiato, è solo l’ombra della luce. O magari un bimbo che si fa strada nel buio della mamma per venire al mondo.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 09:51 da Maria Lucia Riccioli


Caro Fabrizio, caro Remo,
credo abbiate in comune anche più della (straordinaria) capacità di fare le ore piccole!
Avete in comune lo sguardo sul mondo.
E quello sugli ultimi in particolare.
L’intreccio del racconto e della recensione rimandano a un unico – e commosso – respiro. Ci sono assonanze del cuore identiche, c’è parola nuda e sacra, c’è pietà. E c’è bellezza.
La bellezza degli occhi che sanno posarsi oltre.
Ecco, io credo che le apparenze – di qualunque natura siano ( create indotte, volute o subite) , a qualunque paura del confronto si appellino- nascondano molte luci che avrebbero solo bisogno di essere rivelate, anche a se stessi.
Il compito della letteratura è anche questo. Scovare luci nel buio. Trovare i primi tra gli ultimi. Soccorrere lo sguardo degli altri. Forse educarlo.
Di sicuro toccarlo con un’emozione che scuote senso e fiato. E che non si può dimenticare.
Le parabole del Vangelo fanno esattamente la stessa cosa.
Raccontano.
E incavano emozioni, seminano reazioni.
Non accompagnano mai la narrazione a un significato esplicito perchè il loro compito è suggerire, rispettare persino l’ombra che ci abita, scuoterla dal dentro, accostandola alla necessità di trovare una misteriosa corrispondenza.
Bravissimi.
E grazie.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 09:59 da Simona


Buon sabato a tutti voi, amici cari.
E grazie per i vostri commenti.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 10:01 da Massimo Maugeri


@ Remo
Caro Remo,
grazie per essere intervenuto prontamente e per averci raccontato la storia di questi racconti del buon Fabrizio. È sempre bello conoscere i percorsi che prende la letteratura… fino a diventare libro.
Tu hai messo in risalto l’aspetto della testimonianza.
E sì, credo che ce ne sia bisogno oggi… di testimonianza.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 10:23 da Massimo Maugeri


Cara Zau,
grazie per il tuo intervento.
Scrivi: “Il problema è che le apparenze che diamo spesso ce le procuriamo, e non sono solo il frutto della nostra posizione economica nella piramide sociale, sono anche il frutto della nostra posizione psichica nello spazio della relazione.”
Credo che tu abbia ragione.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 10:26 da Massimo Maugeri


Un saluto alle care Maria Lucia e Simona.

Maria Lucia ha scritto: “Magari il buio che tanto ci spaventa, come dice Battiato, è solo l’ombra della luce.”

Simona ha scritto: “Il compito della letteratura è anche questo. Scovare luci nel buio. Trovare i primi tra gli ultimi. Soccorrere lo sguardo degli altri. Forse educarlo.”

Grazie per la vostra “luminosità”.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 10:28 da Massimo Maugeri


Caro Fabrizio,
grazie anche a te per i nuovi interventi.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 10:30 da Massimo Maugeri


Si, credo che viviamo in una società sempre più dedita al culto delle apparenze. Apparire belli, apparire sani, apparire ricchi, apparire felici, apparire amici di chi conta. Essere scelti per Grandi Fratelli o per ultime spiaggie, fare le veline, sembra la massima aspirazione di schiere di giovani rampolli di qualsiasi ceto. Nuovi riti, sacrifici cerimonie e feste, come è stato detto.
Questi racconti mi piacciono. O almeno questo ritratto di Agatino mi è piaciuto molto, mi ha colpito e l’ho trovato anche ben raccontato, ben scritto. Come mi era piaciuto molto il ritratto anche solo abbozzato in poche righe che gea fa della “Figlia della Contessa” (un’altra borderline) e pubblicato pochi giorni fa sul blog di Barbara Garlaschelli.
Sono ritratti dai quali non vengono fuori risposte. Ma che pongono molte domande, la prima delle quali è perchè. Cosa c’è dietro a queste vite. Cosa vive dietro a queste apparenze.
Perchè è solo con il chiederselo che si può andare oltre l’apparenza. Che si può uscire dal nuovo culto della stupidità imperante.
E questo è uno dei compiti primi della letteratura.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 10:46 da Carlo S.


Grazie mille Carlo.
Anche a mio avviso i racconti di Fabrizio forniscono “ritratti dai quali non vengono fuori risposte. Ma che pongono molte domande.”
Anche a mio avviso la letteratura non deve fornire risposte. Semmai offrire spunti di riflessione.
E questi racconti ne offrono tanti.
Grazie.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 10:51 da Massimo Maugeri


“ci sono cose che solo la letteratura può dare con i suoi mezzi specifici”
(I.Calvino, lezioni americane)
“questo ci dicono tutte le grandi storie, caso mai sostituendo a Dio il fato, o le leggi inesorabili della vita. la funzione dei racconti “immodificabili” è proprio questa: contro ogni nostro desiderio di cambiare il destino, ci fanno toccare con mano l’impossibilità di cambiarlo.” (U. Eco, Sulla letteratura)
“Siamo tutti fatti di ciò che ci donano gli altri: in primo luogo i nostri genitori e poi quelli che ci stanno accanto;
la letteratura apre all’infinito questa possibilità d’interazione con gli altri e ci arricchisce, perciò infinitamente”
(T. Torodov, La letteratura in pericolo)
la discussione su cosa sia letteratura e cosa sia il letterario porterebbe molto, troppo, lontano considerando che non esiste definizione comunemente accettata ed è bene che non esista.
al (manu)fatto letterario ci dovremmo accostare a piedi scalzi e col capo scoperto, noi che dobbiamo fare solo la fatica di leggere, di accogliere, di aprire in noi orizzonti troppo spesso chiusi da pregiudizi. i tre grandi citati ci dicono che il testo di fabrizio, tutto il corpus del testo, appartiene al mondo della letteratura. potemmo studiarlo a partire dalla struttura, ricercarne le regole retoriche e stilistiche, frantumarlo in sezioni e sottosezioni, riscontreremmo una capacità architettonica e costruttiva che pochi autori contemporanei possiedono, una padronanza di tecnica rara, ma non è questo che fa la letteratura come un ottonario del signor bonaventura non faceva poesia.
ci sono cose che solo la letteratura può dare, fra queste un nuovo sguardo sul mondo, la capacità di andare oltre la pelle delle cose per scovarne i misteri, e lasciandoli emergere senza violentarne l’essenza
la funzione dei racconti immodificabili è proprio quella di insegnarci che il destino, non qualcosa di già scritto o già stabilito, ma la semplice e terribile storia degli uomini non si cambia, la si può solo accogliere, accettare, rispettare magari accompagnare nonostante il suo procedere verso contrario a quelle che sono le nostre aspettative i nostri criteri di valutazione su ciò che dovrebbe o non dovrebbe essere
la letteratura apre all’infinito la possibilità di ricevere un dono, nel caso del libro di fabrizio diventa il dono più grande:
una vita, quella degli ultimi, quella di chi non ha voce, quella dei dimenticati che diventano in esso voce, parola, memoria collettiva, storia
capace di ricreare il mondo su nuove fondamenta, quelle indistruttibili dell’essere.
grazie , fabrizio

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 11:58 da elena f


Elena, grazie del tuo intervento densissimo di prospettive… La letteratura è espansione del nostro io, della nostra storia personale che incontra le storie di altri, che getta ponti sul passato, sul futuro, sulle isole di presente…

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 12:22 da Maria Lucia Riccioli


Il libro di Fabrizio Centofanti mi ricorda immediatamente – per quel poco che ho letto qui di “Guida pratica all’eternità” e per quel poco che conosco di Fabrizio tramite l’eccellente blog da lui condotto “La poesia e lo spirito” – mi ricorda subito, dicevo, una raccolta di racconti del grande Danilo Dolci:”Racconti siciliani” (Einaudi, 1963). Nella quarta edizione del 1973, le parole dell’introduttore Sebastiano Vassalli sembrano un buon riferimento (pur con le dovute distanze temporali: siamo nella Sicilia dei primi anni Sessanta) per l’opera di Fabrizio Centofanti:

“S’è fatta distinzione, all’inizio di questa premessa tra “verosimile” e “vero”. Danilo Dolci è uno scrittore che ha voluto andare tanto vicino al “vero” da rinunciare, in pratica, ad essere scrittore in prima persona. Egli ha prestato la sua penna, le sue doti di uomo di cultura, il suo sapere, a uomini che per lo più la penna l’avevano presa in mano due o tre volte in tutta la loro vita, per tracciare delle croci. Ha fatto parlare in queste pagine quelle stesse persone (alcune tra le molte) cui da oltre vent’anni dedica tutta la sua attività e tutte le sue risorse umane e culturali. Ma il risultato, anche sul piano letterario, è molto alto, tale da confermare che anche in campo aritistico l’unico progresso possibile è rompere il guscio dell’individualità, aprirsi a una prospettiva sovrapersonale e sociale della cultura.”

Un abbraccio a Fabrizio e a tutti e tanti auguri di buona fortuna al libro “Guida pratica all’eternità. Racconti tra cielo e terra”,
Gaetano

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 13:27 da subhaga gaetano failla


Maria Lucia, l’ombra della luce (Battiato) è un’immagine che sottoscrivo senza esitazione. Simona, grazie per le parabole: sarebbe bello evocarne l’effetto anche da anni luce di distanza. Carlo, porre domande: penso anch’io sia il compito essenziale della letteratura. Elena, ricreare il mondo con uno sguardo nuovo: è la grande sfida della creatività umana, il contrario dell’impulso a distruggere, che rovina purtroppo tante vite. Gaetano, rompere il guscio dell’individualità (Vassalli): è il segno della salute psichica e individuale. speriamo di poter dare tutti un contributo in questa direzione.
Massimo, grazie, per la tua presenza profondamente umana.
un abbraccio tra un battesimo e e l’altro.
fabrizio

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 14:00 da fabrizio


“un abbraccio tra un battesimo e l’altro” – con tutto che io insomma nun è che ci ho sta dimestichezza colli battesimi – è troppo bellino:)

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 14:08 da zauberei


Che bello! M’immagino pargoletti biancovestiti, pianterelli, acqua benedetta… che simpa!!!

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 14:36 da Maria Lucia Riccioli


Povera Beghina!
Non c’è proprio più religione e i preti non sono più quelli di una volta! E come puoi comprendere, tu, l’uomo nero, così simile al diavolo, che fino a qualche secolo fa, prendevi a sassate? Ad un’ora di cammino da casa mia, c’è una bella chiesetta, nel bosco, con un ciclo di affreschi dedicati alla storia della martire, poi santa, Margherita. Il volto del diavolo è stato distrutto dalla sassate che i fedeli gli lanciavano, per esprimere la loro solidarietà alla piccola vergine cristiana.
Insomma, cara Beghina, come puoi comprendere questi nuovi uomini neri, romantici metropolitani, dannati e poeti? La carità avrebbe dovuto insegnarti tutto, farti comprendere l’Amore che è donazione, che è tutto “poiché le profezie termineranno, le lingue si taceranno, la conoscenza svanirà. Ora perdurano fede, speranza e amore, ma dei tre il più grande è l’Amore”. Dovevi istruirti di più per capire che gli ultimi hanno un aspetto sempre nuovo e che tu, abituata alla nenia delle litanie, dei gesti e delle parole sempre uguali , dall’Amore ti stavi ormai allontanando. Cosa ne sai tu, vecchietta, di Spoon River? Mica hai studiato l’inglese! Anche se qui è più una questione matematica, anzi di numerazione: ci sono gli ultimi, i penultimi e anche i terzultimi. Coraggio, sei nel numero e anche per te è aperto il regno dei cieli, anche se non sai scrivere.
Fra Isadora Duncan e San Paolo, vince la prima per 1 a zero.
Con simpatia, Miriam

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 14:56 da miriam ravasio


Grazie mille per il tuo intervento, Miriam.
Attendiamo la replica della “povera beghina”. Magari è on line anche lei. Magari è più tecnologica e meno sprovveduta di quanto immaginiamo.
Chissà!
L’apparenza è sempre in agguato. In un senso o nell’altro.
Simpatia ricambiata:)

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 15:04 da Massimo Maugeri


Grazie mille a Fabrizio per il suo abbraccio “tra un battesimo e l’altro”.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 15:06 da Massimo Maugeri


@ Gaetano Failla
Bello il tuo accostamento. Uno dei più Dolci che avresti potuto fare.:)

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 15:08 da Massimo Maugeri


Cara Elena,
grazie a te per le belle citazioni e per il prezioso intervento.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 15:09 da Massimo Maugeri


Se qualcuno avesse voglia di discettare su cosa è (e cosa non è) letteratura…. è caldamente invitato a intervenire qui:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2006/11/08/che-cosa-e-letteratura/
Nel post sopra indicato, infatti, il dibattito verte proprio su questo argomento.

Qui stiamo discutendo di altro…

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 15:13 da Massimo Maugeri


ringrazio Zauberei e Maria Lucia.
Miriam, pensavo che sarebbe bello avere una tua recensione al mio libro: riuscirebbe quanto meno originale!
ricambio anch’io la simpatia.
e grazie sempre a Massimo, anche per l’indicazione della discussione sullo specifico della letteratura.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 15:59 da fabrizio


prima di correre al battesimo: la beghina è morta da poco. penso che gli avrà fatto piacere incontrare, nel nuovo ufficio postale, l’uomo nero che l’aveva fatta andare su tutte le furie. il bello dell’eternità è che i dieci minuti passano presto.
ciao
fabrizio

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 16:10 da fabrizio


LE avrà fatto piacere, naturalmente.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 16:11 da fabrizio


Qualche volta le parole ci tradiscono. Intendevo fare un complimento a don Fabrizio ma ne e’ risultata una critica: ho usato male le parole e me ne rammarico, chiedendo scusa pubblicamente come e’ giusto che sia.
Sergio

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 17:04 da Sergio Sozi


non ricordo più di quanti “fantasmi” abbiamo dato conto nelle cronache dei giornali. gli “invisibili” di via marsala sono un mondo. hanno storie e volti. di loro, però, ce se ne accorge quando crepano al freddo. non sempre, infatti, il soffio caldo della metropolitana che filtra dalle grate dove i “fantasmi” dormono riesce a dare calore.
se non muoiono di freddo, muoiono di stenti, o per l’alcol. “Puzzano da fare schifo, sanno di vino inacidito”, dicono in tanti. Ma l’alcol è l’unica cosa che può riscardarli, oltre al piatto di minestra distribuita a via Marsala o a Colle Oppio. Ci sono alcuni (ma sempre pochi) “fabrizi” che se ne occupano, ma la stragrande maggioranza della gente (fuor d’ipocrisia) li vorrebbe lontani dal suo campo visivo. Condannati, insomma, a essere “invisibili” a vita.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 17:34 da enrico gregori


il bello dell’altro mondo e’ pensare che ora,ambedue,saranno in fila allo stesso sportello per pagare le loro ”bollette” (ossia i loro conti con Dio):e’ la legge immortalata da totò,della livella.per altro,vedo che noi uomini (leggi i commenti),li abbiamo gia’ ampiamente giudicati.
Diceva Lutero, che nessun tribunale umano puo’ giudicare un altro uomo,solo un tribunale divino,SE ESSO ESISTE,potra’ farlo.
Tuttavia,se davanti a me comparisse un giorno Sergio Sozi,nessun supplizio pur nell’ampia rassegna dei vari gironi infernali,mi sembrerebbe adeguato.
prima che mi dai addosso preciso che sto scherzando.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 17:55 da maria gemma


Enrico, e tu come reagisci quando qualcuno di loro si avvicina? E se si avvicinano in tanti e con un certa frequenza? Veramente, come ti comporti ? Sai aiutarli?
Agli “invisibili” ci penso spesso, grandi artisti sono stati degli Invisibili, morti così per strada , nel piscio e nel vomito, con le persone che li evitano o li calpestano. Parigi non mi è mai “piaciuta” proprio per questo. Cosa me ne importava del Louvre se in città poveri diavoli morivano per il freddo. Avrei boicottato Parigi più di Istraele, più della Coca-Cola. Ma ora Parigi è ovunque. E’ il problema delle città che si riproduce immutabile nei secoli, il grande agglomerato delle case per il banchetto delle opportunità, e scorie di varia umanità abbandonata e misera. Come fare?
Possibile che una società non riesca a rispondere in modo decoroso e umano? In paese non è così; anzi il problema non esiste proprio. Il sistema della solidarietà e dei servizi d’assistenza funziona e bene. Qui di freddo e di fame non muore nessuno! Forse si dovrebbe entrare nell’ottica di decentrare “l’invisibilità” in più luoghi. Tante piccole strutture di case alloggio o altro, organizzate sia nelle aree cittadine che nei paesi della provincia. E poi, naturalmente, grandi lezioni d’Amore e di Carità per tutti.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 19:05 da miriam ravasio


@ miriam:
loro non si avvicinano. non sono mendicanti, ma “clochard”. la differenza è sostanziale. la maggior parte di loro ha scelto quella vita, anche se spesso la scelta è stata determinata da problematiche complesse. non cercano aiuto, non pietiscono. spesso c’è solidarietà tra loro oppure accettano l’aiuto di operatori del settore.
comunque ne ho conosciuti parecchi e c’è di tutto. ricordo un medico, un professionista del sud che, per problemi familiari, piantò tutto e scelse la strada. è un mondo per noi difficilmente comprensibile

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 19:31 da enrico gregori


Maria Gemma,
ho tanti difetti, solo uno mi manca: quello di non ammettere i miei errori. Devo pero’ prima accorgermene; poi mi sento male; infine chiedo scusa. In questo caso e’ stato un errore involontario, ma le scuse le ho comunque presentate poco sopra.
Ciao
Sergio

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 19:33 da Sergio Sozi


Per la questione dei senzatetto, io sarei dell’avviso che servirebbe un maggior aiuto statale. Non e’ possibile che facciano tutti altri enti privati. La prima cosa sarebbe aiutare i disoccupati (TUTTI, anche quelli che ”puzzano”) a trovare lavoro. Manca un sussidio di disoccupazione che eviti la strada a molti barboni e prevenga il problema presso i giovani. Mancano le case popolari STATALI e NUOVE e gli assistenti sociali che vadano in loco a cercare di tirar fuori la gente dall’inferno metropolitano, li portino in un ufficio di collocamento dove un impiegato sorridente ed affettuoso gli proponga dei contatti con delle aziende e intanto gli dia un posto letto e due pasti cald al giorno, con un piccolo sussidio economico per tirare avanti decentemente.
Facciamo questo. Proponiamolo ai politici.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 19:42 da Sergio Sozi


E se i politici fanno orecchie da mercante trattiamoli come meritano. Lo Stato sta regredendo e noi assistiamo impotenti. Cosi’ non va.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 19:44 da Sergio Sozi


Sergio, grazie per la precisazione.
riguardo ai senzatetto, secondo la mia esperienza, occorre distinguere: come diceva Enrico, alcuni scelgono quella vita, e non si riesce a fargli cambiare idea. in certi casi abbiamo fatto di tutto per “sistemare” alcune di queste persone, ma sono sempre tornate al punto di partenza. in quel caso non puoi fare altro che star loro vicino, accettarle così come sono. altre invece si lasciano aiutare e riconquistano una vita cosiddetta normale.
Enrico, ti ringrazio: sul fatto di non voler vedere si potrebbero dire tante cose, molte delle quali spiacevoli (e di estrema attualità). la politica, a mio parere, ha sempre il compito di difendere i più deboli.
Maria Gemma, dici bene: la prima cosa da eliminare è il giudizio, perché soffoca sul nascere qualsiasi possibilità di sviluppo (psicologico, sociale, culturale).
Miriam, concordo sulla malattia metropolitana, per cui puoi morire senza che nessuno se ne accorga. come umanizzare le grandi città: una sfida al limite dell’utopia, ma vale la pena lottare, sempre.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 19:55 da fabrizio


@ Enrico e Fabrizio:
grazie! Ripensandoci anche qui, c’è un tizio che rifiuta ogni assistenza, vive quasi nell’acqua, al freddo, nascosto nelle “grotte” del ponte, appena fuori Lecco. Ha una piccolissima barca con cui raggiunge la sua postazione a ridosso dei piloni; lo si può vedere solo navigando. Anche lui è un uomo colto e dagli altri accetta solo scatolette, vestiti se ne ha bisogno e qualche libro. Me lo avete ricordato… anche lui Invisibile per scelta. E le beghine…”por marter, quel lé l’è matt”
Ciao.

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 21:32 da miriam ravasio


Nei racconti di Fabrizio credo che ci siano le risposte alle domande di Massimo.
Fino a che punto bisogna fidarsi delle apparenze?
Nel racconto La bestemmia soffocata c’è Tito, un personaggio apparentemente ripiegato su di sè, che passa la vita chiuso in casa, rinunciando al mondo, inseguendo una sua misteriosa felicità. E invece questo personaggio al momento giusto farà un grosso sacrificio per un’altra persona.
In Vulcani ecco che incontriamo Turi, un ragazzo brillante e con un sacco di idee, che vive la vita come una corsa, lanciato verso il successo personale apparentemente come unico scopo, eppure rimette in gioco tutto quello che ha accumulato.
E così negli altri racconti, fino a comporre un caleidoscopio di anime che ruotano tutte intorno a un asse, quello suggerito nella chiusa del racconto Polvere:
“Le rabbie e i sogni di noi umani sono un pugno di polvere lanciato verso il cielo, in attesa dell’inevitabile caduta.”

Ciao
paolo

Postato sabato, 14 giugno 2008 alle 22:08 da Paolo Cacciolati


Don Fabrizio,
mi sento persona non estranea alla Chiesa, ma secondo me dovremmo insistere ugualmente presso lo Stato Repubblicano acche’ faccia la sua parte, anche se qualche senzatetto non accetterebbe di essere aiutato da nessuno. Io non posso continuare a vedere la gente a cui si pagano le tasse ignorare l’assistenza nel collocamento e nel supporto abitativo ai cittadini (tutti). Trentamila auto blu e nemmeno un sussidio di disoccupazione, don Fabrizio! L’Italiano e’ solo, anche il cosiddetto ”normale”. Grazie, dunque, alla Chiesa per cio’ che fa, ma ora dovrebbe pensarci lo Stato, che e’ di tutti, cattolici e non.
Sergio

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 00:42 da Sergio Sozi


Complimenti vivissimi a Fabrizio!

Un caro saluto,
Giovanni Agnoloni

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 00:53 da Giovanni Agnoloni


Caro Don Fabrizio,
ho letto con piacere il suo racconto e lo trovo portatore di metafore significative. Ho apprezzato anche i suoi interventi e ritengo che la sua attività sia molto valida. Mi associo all’appello di Sergio: è tempo che si intervenga in maniera seria in favore degli ultimi, troppa gente vegeta per le strade aspettando di concludere la propria esistenza. Io sono stato sempre molto duro nei confronti delle istituzioni religiose, troppa ricchezza, se non sfarzo, attorno al Vaticano. Eppure Gesù Cristo scelse una grotta per venire al mondo, scelse di essere “ultimo”. Troppi preti si impicciano di politica e dal confessionile invitano a votare il candidato che in cambio si farà carico di far pervenire sostanziosi sussidi per la parrocchia. E’ chiaro che le debolezze appartengono all’uomo, qualunque sia la veste che egli indossa. Ci sono anche preti coraggiosi, che hanno pagato con la vita il loro impegno contro la mafia, o sono andati a fare i missionari in terre disastrate e si spendono per i deboli. Anche le virtù appartengono all’uomo. Ma allora se tutto viene demandato alla buona volontà degli uomini, a che serve indossare un saio? La Chiesa con la C maiuscola
scricchiola, va a braccetto con il potere, è essa stessa arroccata dentro una fortezza dorata. Occorrerebbero meno preghiere e più sacerdoti disposti a scendere nelle strade.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 07:41 da Salvo zappulla


Miriam, ne conosco anch’io diversi che vivono così: è come se avessero scelto una volta per tutte il rovescio del mondo.
Paolo, grazie: in effetti, una direttrice del libro è la contestazione del luogo comune. la realtà è spesso il contrario di quello che sembra.
Sergio e Salvo, concordo: ci vogliono interventi massicci e decisi per ristabilire la giustizia sociale. mi batto per una Chiesa povera tra i poveri, senza ritenermi migliore di nessuno: bisogna cominciare dalla condivisione del proprio stipendio, per finire con quella del proprio tempo, delle proprie idee, di tutta la vita. per questo ho scelto di essere presente in rete, con tutti i rischi che questo comporta. come prete, celebro la messa, che prima si definiva “fractio panis”: è questo il centro della mia fede. spezzarsi, frantumarsi, per riuscire finalmente a nutrire qualcuno, la moltitudine degli affamati di questo mondo.
buona domenica a tutti, e grazie a Massimo, per aver creato questo splendido luogo di condivisione.
fabrizio

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 08:23 da fabrizio


Uscire da noi stessi per andare verso l’altro ed accoglierlo nella casa di tutti che è posta nello spazio indefinito della comprensione, significa intraprendere un viaggio.
Tutto ciò che siamo , il mondo al quale apparteniamo, le nostre sicurezze, i nostri punti di riferimento, tutto dobbiamo lasciare alle nostre spalle. Non c’è altro modo. Bisogna imparare ad essere emigranti del cuore e della ragione.
Andiamo a “fare fortuna” con l’esperienza dell’altro in cambio di noi stessi. E’ uno scambio equo perchè pone entrambi all’interno di quella casa comune sulla cui porta potremmo scrivere “qui alberga amore”, ma sarebbe solo un inutile vezzo. L’importante è aver compiuto quel viaggio. Potremo tornare da soli o in compagnia, comunque più ricchi e più uguali.
La diversità e la sua celebrazione, la sua condanna, sono mangime per bocche di stolti, nutrimento per anime vacue.
Ancora peggiore è il sospetto che amplifica lo spazio vuoto nel nostro cuore.
L’apparenza limita l’essere. Nella nostra società ciò accade fin da quando nasciamo, per come ci chiamiamo, ci vestiamo, parliamo, per quello che abbiamo. L’omologazione, invece, è salvifica. L’eccesso di omologazione viene considerata addirittura la via per il successo, quello della fama. Tuttavia non esiste altra forma di notorietà se non quella delle vesti e del corpo.
Gli ultimi amplificano il silenzio. Tutti i rumori del mondo sono la fanfara del potere.
Se imparassimo ad ascoltare i silenzi degli ultimi renderemmo i potenti un pò meno forti e tutti noi un pò meno soli.
Ascoltare la voce di Fabrizio mi sembrerebbe un buon inizio.
P.S.
Ne approfitto per salutare tutti gli amici di Letteratitudine.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 08:34 da eventounico


scrivo quanto sto per scrivere perchè questo post di oggi mi ha come dire dato la miccia, ha dato la miccia alla mia vis polemica ecco – che Massimo conosce – ciao Massimo! – e spero che comunque serva a dare degli spunti utili. Ma che sia chiaro che io stimo molto il lavoro di Don Maurizio e la prospettiva etica e teologica di partenza. Rompo le balle solo a scopo rompiballesco et filosofico. E perchè ci ho un raffreddore cane.

Allora, mi pare di capire, in questi racconti gli Agathini tutti, proprio come i poverelli che passano negli aghi più facilmente – si redimono tutti. Fanno quella cosa carina e bellina che nella prospettiva etica cristiano occidentale a noi ci piace. Il gesto altruista, per esempio. Un sacrificio. Etc. Sono i mejo urtimi che arrivano mejo primi. Cioè per quanto altri e che noi dobbiamo imparare a comprendere come altri, in verità poi questi altri ci piacciono perchè possono diventare come vogliamo noi.
Il che nella concretezza degli eventi, non sempre si da.
Una volta ho lavorato con pazienti schizofrenici. Un’esperienza fantastica, ma che se non sei solido come una roccia ti manda fuori dalle tue coordinate logiche.
– avevo un comò illuminista
mi disse una signora ricoverata nella clinica
– ah – commentai io
– mi provocava – continuava lei
– e come ha reagito a queste provocazioni?
– in maniera naturalista.
Cioè la signora, ha coperto il suo comò di fiori, indi gli ha dato fuoco.
-
Ora, non è che io non speri che questa signora faccia in seguito un qualsiasi gesto che nel mio orizzonte di senso implichi un progresso. MA quando ciò dovesse succedere, devo discriminare se davvero sta assrugendo al regno dei cieli, o si sta muovendo in coordinate sue proprie nelle quali non è così certo che io sia riuscita a entrare. E ancora. Alle volte non ho la certezza che sia giusto, aldilà di un caso come questo per cui se non si guarisce la prossima volta prende fuoco lei insieme alla casa, desiderare che l’altro rientri nelle prospettive logiche dei miei desideri. Nella mia gerarchia di valori.
Hm, spero di non essere andata troppo OT.
Buona domenica a tutti

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 09:54 da zauberei


@zaub
Forse c’è qualcosa nella premessa del tuo discorso che non quadra: tu dici che “in questi racconti gli Agathini tutti, proprio come i poverelli che passano negli aghi più facilmente – si redimono tutti. Fanno quella cosa carina e bellina che nella prospettiva etica cristiano occidentale a noi ci piace. Il gesto altruista, per esempio. Un sacrificio. Etc. Sono i mejo urtimi che arrivano mejo primi.”
Agatino non compie nessun “gesto di redenzione”. Dà della zoccola alla beghina che non gli riconosce mercede per il suo oziare. La beghina si ferma all’apparenza. E’ neutra, non fa nulla di male ma neanche si interroga sul bene che potrebbe fare.
Agatino forse arriverà lo stesso tra i “mejo primi”, e forse solo perchè era un “mejo urtimo”. Non lo sappiamo. L’autore sembra suggerirlo per certo. Forse perchè paga con una vita ai margini, con le sue sofferenze in questa vita, il prezzo per accedere a quell’altra. E la beghina ? Non sappiamo neanche questo, ma dal tono del racconto, dai termini che usa l’autore la salvezza si intravede anche per lei, ma forse solo per la infinita misericordia divina.
Le vie del signore in fondo sono imperscrutabili.
E questo aggiunge un ulteriore “fascino letterario” al racconto.
Che ci da molta materia per pensare.
Credo sia proprio un bel libro questo di Don Fabrizio, anche per chi, come me, non possiede la Fede.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 10:52 da Carlo S.


@evento
Bentornato tra noi. Hai scritto nel tuo commento:
“L’apparenza limita l’essere”.
“Gli ultimi amplificano il silenzio. Tutti i rumori del mondo sono la fanfara del potere.”
“Se imparassimo ad ascoltare i silenzi degli ultimi renderemmo i potenti un pò meno forti e tutti noi un pò meno soli.”
Come non condividere?
Ci mancavi.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 11:01 da Carlo S.


Carlo S:
quando la beghina dice o lui o io, viene mandata via. Dopo di che Agathino si rivela elemento prezioso e insostituibile della parrocchia.
A che risulta dal commento di Paolo Ciaccolati, anche altri racconti della raccolta, seguono lo stesso itinerario. Tipo Tito, che al momento giusto compie un grande sacrificio per un’altra persona.
Spero poi, ma ci ho le manie di persecuzione, che il tuo commento ad Evento – ciao Eventissimo! – non sia una critica indiretta al mio di commento.
Anche a me pare saggio ascoltare il silenzio. Pure un racconto già lo rompe, per fortuna, visto che certi silenzi chiedono di essere rotti.
Il mio problema, di fondo è: come venire incontro all’altro rispettandone la libertà?
Forse è OT. Questo certo può essere, non lo so.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 11:49 da zauberei


za
io credo che alla fine tutto si riconduca al solito discorso: amore, tutto l’amore, è accettazione e rispetto, amore è ”nonostante”.
nel dare c’è spesso una grande arrogamza, che pretende umiltà da chi riceve. io sono buono bravo bello pulito e generoso. il minimo che tu possa fare è essermene grato, e fare del tuo meglio per assomigliarmi. non pretendo la perfezione, in fin dei conti sennò saresti al posto mio, ma almeno un tentativo..
è umano, tutto questo. ma non è una delle nostre cose migliori.
esserne coscienti secondo me sarebbe già un gran passo.
buona domenica.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 12:50 da gea


Zauberè, ti vogliobbène! Pensare che il mio commento a evento sia una critica indiretta a te voglio immaginare forse conseguenza del tuo raffreddore (e auguri!). Io parlo diretto: ho scritto a te (che hai premesso le tue intenzioni di voler essere polemica e rompiballesca) quel che volevo dire a te e a evento quello che volevo dire a lui.

La tua vis polemica poi è spesso il sale di questo blog, quindi l’apprezzo parecchiuccio. E la raccolgo con puro intento di discussione (chepparlamoaffà sennò?). E insisto: a mio parere non è il gesto salvifico (che continuo a non vedere, almeno nella storia di Agatino) l’essenziale: è il dargli fiducia da parte degli altri, da parte di chi riesce a vedere ‘oltre l’apparenza’. Quello scrutare oltre è il gesto salvifico, ma per noi, non per Agatino o per Tito o per Turi. La beghina non l’ha fatto ed è per questo che non è stata scelta nel “o me o lui”
Io lo leggo così, o almeno a me piace leggerlo così. Agatino e la beghina se la vedranno loro all’ufficio postale mostrando le loro bollette.
Ma mica per questo ce l’avrai con me, no?
:-)

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 13:05 da Carlo S.


@ Gea:
nel libro che forse a te non piace o forse non hai letto, Come dio comanda, di Ammanniti ci sono le tue considerazioni. Ci sono fatti tragici che pongono problemi di coscienza rappresentati dall’agire di alcune persone-tipo. Fra questi c’è il buono-convinto, in pace con sè e con la chiesa (quindi la sua coscienza religiosa, ma anche con il sociale politicamente corretto)… insomma alla fine del libro esplode una sola considerazione: l’uomo è schifosamente solo, la religione (non lo spirito religioso) che noi conosciamo è solo una rappresentazione stanca, la società è un gigantesco agglomerato di “infiniti” multipli e incomunicabili, resta (all’Uomo) la capacità di giudizio (ancora per poco) che si alimenta di conoscenze e naturalità che si possono esprimere. Nessuno però può fornirti la chiave, la soluzione….
Ciao, miriam

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 14:09 da miriam ravasio


Carissima Zauberei,
a me mi hanno chiamato in tanti modi, fin da piccolino, ma CIACCOLATI proprio mi mancava, sono ancora qui piegato dalle risate.
Sto pensando a un piccolo dizionario sulle infinite storpiature del mio cognome..;-)))
Ciao
Paolo

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 14:35 da Paolo Cacciolati


:) ))
Perdono Paolo Cacciolati! Ma lo sai che vedo il tuo nome da un sacco di tempo è regolarmente lo leggo Ciaccolati? Per me è stato uno choc scoprire che la i è dislocata artrove!
– Carlo Esse ok:) ma io capisco quello che vuoi dire è pure bello, solo come dice giustamente Gea, ci sono le posizioni di aiuto e le posizioni di aiuto si connotano per una ineluttabile asimmetria. E si, io parlo sempre triturandome le budella sur mestere mio, e soffro di psicologocentrismo. Ma nel caso del mestiere mio, visto che è estremamente raro il caso in cui l’aiuto non è richiesto, è quello stesso aiuto che sancisce l’odiosa asimmetria. E l’amore giova, ma molto relativamente.
MA qui si va veramente troppo troppissimo OT. Pardonnemuà.
Carlo Esse greazie dei complimenti.
Pure te aggiungi spesso condimenti.
Eh:)

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 14:53 da zauberei


pomeriggio più complicato della mattina. leggo di corsa, spero di aver capito la posta in gioco. c’è un ordine nell’universo, per chi ci crede, che possiamo chiamare il Bene. come diceva s.Tommaso – per rimanere alla provocazione filosofica di Zauberei – “bonum diffusivum sui”: chi nel profondo è aperto, finisce per riprodurre quel bene che riceve. a mio parere la società ha una speranza solo se si apre a questo circolo virtuoso. non è una questione di pelle da dare o di bollette da pagare, ma un problema di sopravvivenza. se continuiamo a contravvenire alla legge fondamentale, portiamo tutto il nostro bel mondo alla rovina.
un saluto e un grazie a tutti.
fabrizio

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 15:49 da fabrizio


penso che bassini abbia centrato in pieno, fabrizio centofanti ha il dono della musicalità, questa sua musicalità innata in passato gli è stata un po’ d’inciampo, ad esempio nella poesia, alla fine però ha saputo indirizzarla bene. complimenti vivissimi all’autore per questo nuovo lavoro e un caro saluto a tutti. antonella

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 17:13 da antonella


Io sono d’accordo con Gea nel riporatre ogni necessità di accettazione e di superamento delle apparenze all’amore.
E nel comprendere che anche nella relazione tra cielo e terra (quella messa in evidenza nel sottotitolo dei racconti di Fabrizio) può esserci un sottile richiamo alla dinamica educativa che suggerisce Dio.
E che dovrebbe farci da guida nel rispetto degli ultimi (con tale accezione intendendo anche gli ultimi che non sanno di esserlo, cioè quelli che brillano sotto riflettori di vacuità e non riconoscono in sè una sete profonda di altro, di “un senso” che pure li richiama).
Ebbene il tipo d’amore che Dio propone ( e che noi possiamo prendere a modello) non è basato sullo scambio. Non è un do ut des, non implica reciprocità nè corrispettività.
In nessun aspetto del suo donarsi Dio ci soppesa, neanche quando al peccato contrappone il perdono.
Perchè ancor prima di alludere allo sbaglio osserva la ferita, e ancor prima di infliggere la pena, scova il modo per guarirci.
Ecco. Penso sia il modo più corretto per impostare ogni tipo di rapporto.
Soprattutto quello con chi – in modo più evidente di altri, pure ben nascosti tra maglie insospettabili di fulgore – scivola in zone d’ombra, in esili senza sbarre, in margini – impalpabili confini rispetto alle vite degli altri .
Così, credo che il primo passo sia sempre riconoscere nell’altro (in chiunque altro) una ferita.
Amarla. Non chiedersi se è “normale” (semmai esiste la normalità). Ma ricondurre tutta la complessità dell’esistere alle ferite affettive. Le uniche che ci consentano di non emettere giudizi (o pre-giudizi).
Le uniche – credo – che ci consentano anche di riconoscerci simili e di specchiarci perfettamente gli uni sugli altri.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 18:15 da Simona


Evento: bentornato… la tua poesia ci mancava!
Bello e stimolante questo post perché ci interroga sul nostro vedere e non vedere o non voler vedere… accettare la diversità i limti le mancanze prima di tutto in noi stessi e negli altri. Zauberei ha ragione quando parla di asimmetrie nella relazione d’aiuto. Ma chi si sente bello bravo perfetto non sarà giustificato, come quel fariseo della parabola. “Ti ringrazio che non sono come questo peccatore”… L’altro invece, che sapeva e confessava di essere manchevole e peccatore, fu giustificato. La relazione d’aiuto è relazione d’amore non nel senso “Io ti salverò, l’amore guarisce etc etc. No. è relazione d’amore perché nell’altro io vedo un mio simile a cui tendo una mano che è libero o meno di stringere e che è libero anche di voltarmi le spalle dopo l’aiuto. Perché l’amore è benigno, paziente, non tiene conto del male ricevuto, non si aspetta niente in cambio, mette in conto l’ingratitudine umanissima…
Mary Preacher teacher…
:-)

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 19:00 da Maria Lucia Riccioli


Carlo: tu confessi umilmente di non possedere la fede. Ma la fede non è possesso: è mancanza assoluta di possesso. Distinguiamo tra fides quae creditur (i dogmi, i contenuti di fede, che possiamo forse “avere” perché studiati, ricevuti da altri…) e fides qua creditur, la fede in cui, nell’ambito della quale si crede. Vedi la prima come le canzoni che sai (le possiedi), vedi la seconda come l’aria sotto le tue corde vocali. Se l’aria non soffia, le corde non vibrano e non puoi cantare. E devi lavorare di diaframma di addominali e assicurare una pressione costante perseverante… La fede è uno stato, una condizione, che può essere ed è dono gratuito ma è anche nostra ricerca e conquista.
E qui finisco le omelie se no don Fabrizio mi accusa di rubargli il mestiere…
:-)

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 19:07 da Maria Lucia Riccioli


Velocissima.
– Ber dibattito:)))
Saluto tutti, ricciola e evento e Simona e gea e Carlo e fabrizio ottimo che voglio dire delle cose. Ma diavolo devo uscire ora.
– La consapevolezza della asimmetria è una santa cosa, ma non salva molto se non ci si ricorda di quando si è stati dall’altra parte. Della nostra potenziale diavoleria interna. Nel mio mestiere questo è ciò che distingue un bravo psicoterapeuta da una mezza sega. La mezzasega avrà studiato per la redenzione dalla sofferenza. Il bravo terapeuta è uno che è stato sofferente e non è guarito mai del tutto. Il paragone scusatemi mi è riuscito inveitabile.
- Simona io so che tu sei una persona superprofonda, e mi piace sempre quello che scrivi, e questo mi ha fatto essere attenta al tuo ultimo commento. Vale anche per Gea. Aldilà della fede o no, io ho un rapporto abbastanza complesso e irrisolto in merito, ma è cosa mia, io sono terrorizzata dalla retorica dell’Amore, dall’abuso da comandamenti. “Ama er prossimo tuo come te stesso”. Come se fosse davvero cosa da tutti, umana e facile. Mi irrita la leggerezza della vulgata sentimentale, perchè di questi sentimenti conosco la fatica, e il rischio di ipocrisia. L’amore è una parola forte densa roboante impegnativa e sacra. E’ il prodromo di DIo.
Cominciamo come una più modesta e attuabile, anche se npn per niente scontata o non faticosa, Accettazione dell’Altro.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 19:30 da zauberei


@Salvo,carissimo sai quanto ti voglio bene e ti stimo, ma non sono
daccordo su quanto hai affermato. La preghiera per un sacerdote è basilare, solo dopo vengono le opere. La Bibbia e il Nuovo testamento dimostrano ampiamente, che i profeti come Mosè e lo stesso Gesù, prima di qualsiasi azione importante pregavano a lungo. Gesù stesso ha voluto insegnarci il Padre nostro per implorare in modo adeguato la Misericordia Divina. Il pregare non consiste solo nel pronunciare una serie di richieste sulle nostre impellenti necessità, è essenzale anche leggere le Sacre Scritture e il Vangelo. Attraverso questi testi meravigliosi, Il Signore ci parla e ci istruisce con parabole ed esempi alla nostra portata, adatti alla nostra piccola mente che si deve riempire a poco a poco della profondità divina. Come credi che sarei riuscirta a superare prove così grandi e a rimanere interiormente serena, senza una fiducia illimitata in Lui e una costante preghiera che ha nutrito il mio cuore? Dio potrà esaudirmi o meno in ciò che Gli chiedo con insistenza, ma, non mi abbandonerà. Come un Buon Padre che ha un progetto esclusivo sulla mia esistenza e sulla vita di ognuno di noi, credo che nessuno possa insegnarGli o suggerire cosa sarebbe meglio per ogni creatura. Del resto, quante volte, noi poveri genitori non assecondiamo i desideri pericolosi dei nostri amati figli per tutelarli con la nostra esperienza da un eventuale danno che potrebbero procurarsi ? Salvo caro, pregherò che Gesù ti illumini e ti faccia sentire quanto sei prezioso e quanto ti ami per aver offerto la sua vita anche per te. Scusa la mia domenicale filippica, ma l’eternità prima o poi…ci attende. Un abbraccio.
Tessy

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 19:31 da M. Teresa Santalucia Scibona


Personalmente ritengo che non esista preghiera senza impegno pratico e viceversa. Ognuno a modo suo faccia quel che puo’ e riesce a fare per il suo prossimo: chi aiuta scrivendo, chi creando mense, chi ospitando, chi dando cordialita’ ed affetto, un semplice sorriso, l’amicizia, eccetera. Ma l’Italia e’ fatta di 59 milioni di abitanti che hanno idee non uguali alle mie, invece i problemi pratici di tutti vanno risolti, al di la’ dell’impegno dei singoli cittadini. E un sorriso non riempie la pancia, purtroppo. Dunque ora basta con le questue e le sottoscrizioni, e con il ”telefona per donare un euro all’associazione Tal dei Tali”. Serve lo Stato. Reclamiamolo. Lo Stato siamo noi. Sono dunque d’accordo con Salvo: anche se io son cattolico, voglio lo Stato!

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 20:02 da Sergio Sozi


Maria Teresa, cara,
Gesu’ fece ambedue le cose, i fatti e lo spirito: il miracolo delle nozze di Cana e quello del pane e dei pesci, ma anche la resurrezione di Lazzaro. L’esempio e’ lampante: Lui diceva all’uomo ”Ora et labora”. San Benedetto lo capi’, appunto. Adesso tocca a noi. E secondo me, poiche’ viviamo in uno Stato moderno e laico, sarebbe fondamentale che ai bisognosi ci pensasse lo Stato. Il che non esclude il nostro impegno individuale e le nostre preghiere. Lo Stato non esclude la Chiesa: ”Libera Chiesa in libero Stato”.
Ciao, cara. Come va la salute?

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 20:09 da Sergio Sozi


@simona
sono d’accordo con te: il do ut des è quello che detesto della morale cristiano-farisea: mi comporterò bene così meriterò il paradiso. La salvezza che intendo io è quella di fronte a se stessi: voglio comportarmi bene perchè ritengo sia giusto così. Il premio è in sè, ed è (ahimè, perdona il mio agnosticismo) umano e non divino. E’ nell’aver agito correttamente: è questo che ci rende umani, esseri raziocinanti capaci di discernere per giunta. Ma non voglio addentrarmi oltre in discorsi etico-morali o religiosi ed uscir di topic. Ti abbraccio.
@ mary preacher teacher
mi sei molto simpatica ed ho apprezzato la tua omelia (tra coristi ci si intende al volo). Ma vale quanto detto sopra alla cara Simona (abbracci compresi).
@ zauberei
stavolta sono con te: l’accettazione dell’altro è già un passo molto impegnativo ed importante. Parlando di amore troppo spesso ci si sciacqua solo la bocca. Ma resta un ideale, sacro o umano che sia, e volenti o nolenti lo cerchiamo continuamente, per tutta la nostra vita. Perchè vorremmo sempre, continuamente essere amati. Ed è perciò che dobbiamo imparare ad amare. Ed è una dura scuola, forse la più difficile.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 20:23 da Carlo S.


za
non ci siamo capite.
io non ho mai parlato di Amore. mai. non sono credente, non sono neanche formalmente cattolica.
e volevo sottolineare anzi quanto sia difficile amare, e quanto sia ipocrita spesso credere e pretendere di farlo.
è il motivo per cui ho un pessimo rapporto con le maiuscole.
sono d’accordissimo su quello che dici di riconoscere e ricordare la propria sofferenza e il proprio disagio per poter rapportarsi efficacemente agli altri.
la retorica spaventa anche me, perché spesso è solo un abito con cui coprire la propria arroganza.
l’amore del quale parlo è un amore minuscolo, umano, pieno di limiti. è accettazione di sé per primi, compreso il proprio lato oscuro. è rinuncia alla santità, è anche l’onestà di ammettere qualche volta ”non ce la faccio” senza scaricare ad altri colpe che non hanno.
ti capisco, sento le tue sofferenze, non ti giudico, ma non posso. perché le tue ferite fanno sanguinare le mie. perché sono fragile anch’io.
può succedere.
e senza maiuscole si può pure arrivare a perdonarsi.
forse sono stata un po’ confusa.
sorry.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 20:27 da gea


ragazzi, qui il prete è quasi superfluo, quindi posso rituffarmi tranquillamente nei miei casini domenicali.
sono d’accordo soprattutto sul fatto delle ferite (tesi di zauberi, mi pare): è precisamente quello che ho detto questo pomeriggio alla presentazione del libro.
un abbraccio a tutti
fabrizio

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 20:29 da fabrizio


zauberei, naturalmente.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 20:30 da fabrizio


@Sì, l’amore è fatica. Sono d’accordo, Zaub.
Ma l’amore non è una cosa grande, secondo me. Irraggiungibile.
E’ nelle piccole cose. Nelle piccole persone.
E guardare le ferite degli altri è un atto umile, umano o divino, non importa.
Sono quindi d’accordissimo sia con te che con Carlo.
E il riferimento di Gea all’amore lo vedo nella stessa ottica. Come (un faticoso) amare “nonostante”.
Più che altro volevo dire che l’amore dovrebbe essere gratuità. E che questa gratuità – difficile, costosa in termini di impegno – credo affondi nel mistero di esistere.
E ciò sia che si creda sia che non si creda.
Penso che andare incontro alle ferite sia uno sforzo attuabile , tutto sommato. E privo di retorica.
Magari ispirato dalla sana voglia di scovare nell’altro un pizzico di somiglianza. Di reciproca simpatia.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 20:53 da Simona


Caro Fabrizio, ho una domanda da farti, un po’ fuori tema immagino (ma spero non troppo). Hai mai conosciuto Marco Bisceglia, un prete di Lavello, molto noto negli anni Settanta? Era un uomo che viveva con grande coraggio il Vangelo, un mio vecchio amico, e mi piacerebbe avere qualche notizia diretta sugli ultimi suoi anni (è morto nel 1996 mi pare). Grazie e ancora tanti auguri per il tuo libro,
Gaetano

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 21:09 da subhaga gaetano failla


Perdonate l’assenza.
Vi ringrazio di cuore per i numerosissimi commenti pervenuti anche nel corso di questa domenica di quasi estate.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 22:21 da Massimo Maugeri


C’è un momento in cui l’uomo è davvero messo alla prova. E’ il momento dei riconoscimenti. Voglio dire che non c’è cosa peggiore nella vita che non riconoscere più o non essere riconosciuti: sai quando un uomo per molto tempo ha creduto che la sua donna fosse diversa da quella che scopre, oppure, viceversa, una donna che non capisce più chi è il suo compagno, le persone in cui hai creduto dove sono? capita anche ad altri livelli, nella gerarchia dei ruoli, il prete di parrocchia che non riesce a credere nell’opera di un suo superiore che gli era sembrato talmente Superiore da dedicargli la sua fedeltà, i leader dalle belle parole, a volte anche nei genitori, non c’è cosa peggiore di scoprire una madre che ha fatto credere di essere l’angelo del focolare e scoprirla diversa nell’intimità, un padre esempio di capo famiglia scoperto nella sua corruzione, e via così, per non parlare delle amicizie, di quelli che sembravano così fedeli, e invece sti cazzi!
Ma ancor peggio è quando non si viene riconosciuti, l’ira del cielo si scatena.
Però è proprio in quel frangente, proprio quando non si sa dove cazzo sbattere la testa, che le ginocchiano si piegano e sai che c’è solo Lui. Il Creatore.
Tutto il resto a nanna.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 22:42 da Rossella


Come ha evidenziato Enrico (e come poi ha confermato Fabrizio) molti “diseredati” hanno scelto di condurre una vita alternativa: quella della strada o dell’isolamento (o altre simili).
Fuor di retorica… non credo sia importante cercare di capire i perché di certe scelte. Credo invece che chi si trova in tali situazioni per scelta debba essere aiutato (qualora accetti l’aiuto) a prescindere dalle motivazioni.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 22:50 da Massimo Maugeri


Caro Fabrizio,
forse mi sono sfogata ed è anche per dirLe che non voglio entrare in discorsi di civiltà consumistica dove uomini e donne valgono solo nella momento in cui compiono una funzione al di là della quale fuori dai piedi, argomento questo che ho affrontato in altri post in riferimento all’anima individuale e che per l’ampiezza di significato devo sorvolare, e la sottoscritta forse non ha un cuore grande come il suo che riesce ad amare tutti gli agatini che vede per strada, sto solo cercando di spiegare che non è facile RICONOSCERLO.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 22:52 da Rossella


Carissimo Eventounico,
che bello ritrovarti di nuovo qui!
Ripropongo l’icipit del tuo commento:
“Uscire da noi stessi per andare verso l’altro ed accoglierlo nella casa di tutti che è posta nello spazio indefinito della comprensione, significa intraprendere un viaggio.”

Mi piace la metafora del viaggio…

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 22:53 da Massimo Maugeri


Cara Zauberei,
la tua vis polemica è sempre benaccetta perché non offende mai gli altri e le altrui opinioni.
Anzi, come ha evidenziato Carlo, dà linfa al dibattito.
Dunque… grazie!

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 22:55 da Massimo Maugeri


Si Massimo,
sto dicendo che non è facile riconosce – LO.
Chè poi è anche vero che se ti ami ami il tuo prossimo. Ma l’amore non è solo fatto di emozioni, di slanci, a volte non sai quale è l’aiuto migliore.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 23:01 da Rossella


Capiso cosa intendi, Rossella.
Credo che la cosa fondamentale sia evitare di arroccarsi troppo in se stessi. Quando ci arrocchiamo troppo rischiamo di non riconoscere noi stessi… figuriamoci gli altri.
Non credi?

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 23:09 da Massimo Maugeri


@ Paolo Cacciolati.
Io proporrei Paolo Cioccolata…
Un cognome dolcissimo, non credi?
:)
Scusate l’off topic.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 23:11 da Massimo Maugeri


Scusate, ma detto così sembra che solo un masochista possa godere nell’amare (amare in generale, gli altri, la natura, se stessi, dio, il pensiero di dio, questo cattivo tempo che mi fa mettere i calzini di lana e accendere il riscaldamento…)
Ragazzi, l’Amore è Gioia, lo si fa con gioia; a volte ci si stanca e si passa il testimone a qualcun altro, anche per tanto tempo… Ma l’amore allunga il sorriso come quello dei Kuroi. Cercare le cicatrici del dolore e consolarle è solo un modo d’amare. A me, personalmente darebbe un gran fastidio; preferisco farla a pugni piuttosto che farmi amare per le mie sfighe.
:-)

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 23:12 da miriam ravasio


Cara Miriam,
ma certo che amare è gioia!!! Altrimenti il verbo da usare sarebbe “compatire”, non “amare” (anche se compatire, a volte, è pure importante).

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 23:18 da Massimo Maugeri


Non lo so Massimo…forse hai ragione, forse no, qualche volta serve anche arroccarsi, qualche volta no, dipende. So soltanto che nella mia vita ho attraversato, come tutti quanti, chi più chi meno, momenti molto duri che hanno preteso una forza notevole e che se non avessi avuto la Fede forse non sarei neppure qui a scriverti, e che andare avanti non dipende solo dalla nostra volontà. C’è un’altra Volontà.
Ciao

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 23:25 da Rossella


@ Gea
Hai scritto:
“ti capisco, sento le tue sofferenze, non ti giudico, ma non posso. perché le tue ferite fanno sanguinare le mie. perché sono fragile anch’io.
può succedere.
e senza maiuscole si può pure arrivare a perdonarsi.”

Chi usa le maiuscole cerca la forma. Ciò che conta è la sostanza.
C’è del vero in ciò che dici. Assolutamente.
Però, come scrive Simona, “penso che andare incontro alle ferite sia uno sforzo attuabile, tutto sommato. E privo di retorica”.
A volte si può avere la fortuna di riuscire ad andare incontro alle ferite persino con il sorriso.
Voglio dire, Miriam, che sarebbe bello riuscire a sorridere delle proprie sfighe.
Non sempre ci si riesce, certo.
Purtroppo.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 23:26 da Massimo Maugeri


Grazie Rosella.
Ciao a te.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 23:27 da Massimo Maugeri


Si Miriam anche l’autostima è importante. In questo sono dignitosa come te.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 23:28 da Rossella


Un saluto e un ringraziamento a tutti coloro che non ho citato: Maria Gemma, Giovanni Agnoloni, Salvo Zappulla, Carlo S., Antonella, Maria Lucia, Maria Teresa (come stai, Tessy?), Gaetano Failla.
Spero di non aver dimenticato (nell’eventualità mi scuso in anticipo).
E un caro saluto a Fabrizio.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 23:37 da Massimo Maugeri


Ma il dibattito continua, eh!
(solo se volete… come sempre).

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 23:37 da Massimo Maugeri


@tessy. Invidio la tua fede e immagino ti dia forza. Sono felice per te e, conoscendo la tua grande generosità, ti invito a spendere qualche preghierina in più anche per me. Io purtroppo non ho nulla su cui fare affidamento, sono un vecchio comunista non del tutto pentito.

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 23:38 da Salvo zappulla


Caro Salvo, secondo me le preghiere di Tessy valgono oro.

Ma al di là di questo credo che il viaggio verso l’altro (a cui si riferiva Eventounico) possa essere intrapreso a prescindere dalla fede e dal fatto che si creda.
Non credi?

Postato domenica, 15 giugno 2008 alle 23:58 da Massimo Maugeri


Salvo,
come te lo sono stato a lungo anch’io e lo e’ tutt’ora mio padre. Del comunismo ho conservato la lotta per ottenere dallo Stato quel che allo Stato spetta, oltre che una avversione istintiva per il liberismo e simili vizi capitalistico-primitivi. Cosi’, tornato al cattolicesimo dopo lunghi anni di laicita’, ora chiedo Dio e Stato. E sono certo che insieme farebbero bene a tutti noi.

Postato lunedì, 16 giugno 2008 alle 00:04 da Sergio Sozi


P.S.
…Ognuno a casa sua, certamente… ma agendo entrambi.

Postato lunedì, 16 giugno 2008 alle 00:06 da Sergio Sozi


Gaetano, purtroppo non conosco don Marco, cercherò di informarmi. grazie, sempre.
alla presentazione del libro, ieri, ho concluso così: prima si raffigurava Dio come un grande occhio in un triangolo. si voleva dire che siamo sempre sotto controllo, anche quando nessuno ci vede. secondo me, bisognerebbe invece raffigurare Dio con l’immagine dell’orecchio: è uno al quale puoi finalmente raccontare la tua storia, uno che ti ascolta, e ascoltandoti guarisce le tue ferite. il giudizio finale me lo immagino così: un grande libro di racconti, in cui non c’è più nessuno che ti giudica, ma solo un orecchio attento e partecipe, che cura i tuoi traumi, e libera finalmente le tue energie. la verità, insomma, sarebbe ancora una volta nel rovescio delle cose.
un saluto a tutti e un grazie grande a Massimo.
fabrizio

Postato lunedì, 16 giugno 2008 alle 09:28 da fabrizio centofanti


@ Massimo, grazie per le belle parole e per l’affettuoso interessamento, per ora sono sempre “fra color che son sospesi ” e in attesa di giudizio…
@ Sergio, come ben dici, conterei più sull’ impegno individuale di ciascuno di noi che viviamo con i piedi per terra… Invece di sperare nell’aiuto dello Stato, composto da persone che stazionano in un contesto troppo compromesso e favorito da una caterva di privilegi che impedisce loro, di capire cosa realmente soffre l’uomo della strada , per mantenere una famiglia con un minimo di decoro. Si lo Stato dovrebbe.., ma non ci sono più uomini saggi simili a Cincinnato…I nostri si attaccano alla poltrona, come le patelle allo scoglio…..
@Salvo, sì pregherò per te molto volontieri, infatti ritengo” l’orazione la benzina per l’anima” e senza benzina tutti i motori si fermano!
Vi trascrivo questo pensiero che mi è piaciuto molto e vi abbracio:-
“Il Signore ha bisbigliato qualcosa all’orecchio della rosa, ed eccola
aprirsi al sorriso. Ha mormorato qualcosa al sasso, ed ecco ne ha fatto una gemma preziosa, scintillante nella miniera.
E quando ancora dice qualcosa all’orecchio del sole, la guancia rossa
del sole si copre di mille eclissi. Ma che cosa avrà mai bisbigliato il Signore all’orecchio dell’uomo per farne una creatura così mirabile? Misericordia.”
(Gialal ed-Din Rumi) mistico islamico.

Postato lunedì, 16 giugno 2008 alle 10:54 da M. Teresa Santalucia Scibona


Sono proprio contenta di aver scoperto questo libro, e indipendentemente dal fatto che chi l’ha scritto sia un prete, finalmente ecco dei racconti che parlano dell’eternità in chiave di speranza cristiana (che non è la speranza umana). E’ da tanto tempo che cerco qua e là nella narrativa italiana storie che trasmettano valori forti, appunto oltre i valori dell’apparire. Anzi, aumento la posta: cerco storie “cristiane” e questi racconti per me sono una risposta alla mia ricerca. E non credo nemmeno di essere la sola a sentire la necessità di leggere qualcosa di meglio del solito piattume che ci forniscono le case editrici, e per piattume intendo libri che ammazzano l’anima anziché farla respirare.
Mi sono già appuntata il titolo di questo libro, grazie a Fabrizio e grazie a Remo che ha scritto l’introduzione, spero di trovare altri libri come questo perché rappresentano ciò che mi piace leggere.

Postato lunedì, 16 giugno 2008 alle 11:13 da Elisabetta


Caro Massimo
Come vedi sono di nuovo qui, mi butto, con ancora altrettanto coraggio della prima volta.
Sono pochi gli interventi cui mi sento di poter partecipare, questo è il secondo. E ti ringrazio Massimo di darmi questa possibilità.
Di “agatini ” ce ne sono molti in ogni città, anche nella mia e sono facilmente riconoscibili. Aiutarli si può. Amarli anche, non chiedono molto.
Ci sono invece quegli agatini che a prima vista non sono riconoscibili se non quando ci abbiamo vissuto un po’ insieme perché ci siamo fidati delle apparenze. Loro sono i più disperati perché devono nascondere il loro cappello a larghe falde nero come il loro vestito e sono senza speranza perché non vogliono e non possono ammettere di esserlo. Salvarli è impossibile, amarli pure, capirli altrettanto. Si, è lecito abbassare le proprie barriere alla ricerca di un piccolo bagliore di luce oltre il “BIANCO” del loro abito e del loro cappello”. C’è questo bagliore, ma non si riesce a farlo crescere e molto spesso, anzi quasi sempre è una vana ricerca.
Credo che il mondo intero sia, per dirlo un po’ alla Shakespeare, una ribalta di agatini vestiti di nero e di bianco.

Postato lunedì, 16 giugno 2008 alle 16:10 da elena


Un saluto a Elisabetta ed Elena.
E un ringraziamento a tutti voi per i nuovi commenti pervenuti qui.

Postato martedì, 17 giugno 2008 alle 00:40 da Massimo Maugeri


[...] il volumetto “Le parole della felicità”, Laurus Robuffo. Con Effatà Editrice ha pubblicato “Guida pratica all’eternità. Racconti tra cielo e terra” (2008). È il creatore e il leader del blog letterario collettivo La poesia e lo spirito. Il [...]

Postato sabato, 16 ottobre 2010 alle 17:31 da Kataweb.it - Blog - TERZAPAGINA, articoli selezionati da magazine e pagine culturali dei quotidiani » Blog Archive » PRET(RE) À PORTER di Fabrizio Centofanti



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