venerdì, 14 novembre 2008
SATISFICTION, STEINBECK, MILLER E IL COMPITO DELLO SCRITTORE
Ci sono sogni che rimangono nel cassetto, destinati a incancrenire nel buio della dimenticanza o della pigra rassegnazione. E ci sono sogni destinati a vedere la luce. E a espandersi.
In genere i sogni più belli sono quelli che si possono condividere.
Per me Letteratitudine è un sogno. L’ho sostenuto altre volte. Ma un sogno è davvero tale quando non impedisce di vedere e incrociare altri sogni.
È già da tempo che ho visto il sogno dell’amico Gian Paolo Serino… credo sia giunta l’ora di incrociarlo. Si chiama Satisfiction [un acronimo che deriva dall'inglese “satisfaction” (soddisfazione) + “fiction”] e mi piace definirlo come un “progetto letterario integrato” che si declina attraverso un blog, una trasmissione radio e una rivista.
Come scrive lo stesso Serino, “funziona così: se la critica di Satisfiction ti convince a comprare il libro, ma dopo averlo letto ritieni che l’entusiasmo di Satisfiction ha deluso le tue aspettative, invia una mail alla redazione che spieghi perché il libro che Satisfiction ti ha segnalato non era veramente “imperdibile e assolutamente da leggere”: Satisfiction ti rimborserà il prezzo di copertina”.
Questo post è finalizzato a festeggiare la nuova rivista Satisfiction edita dalla casa editrice Mattioli 1885. Una rivista gratuita, nata grazie al contributo di tante persone di qualità (scrittori, critici, giornalisti). Una rivista che, oltre alle recensioni “soddisfatti o rimborsati”, offre testi inediti di autori celebri.
Nel nuovo numero troverete scritti di Gadda, Steinbeck, Dos Passos, Sartre… giusto per fare qualche nome.
Di seguito potrete leggere l’editoriale di Gian Paolo Serino (che parteciperà alla discussione) e l’articolo di John Steinbeck che mi è stato gentilmente messo a disposizione per Letteratitudine.
Non è un caso che abbia scelto Steinbeck. Come ho avuto modo di evidenziare in altre occasioni Steinbeck è uno dei miei autori preferiti, così come – del resto – “Furore” è uno dei romanzi che ho amato di più.
L’articolo che vi propongo (e che vi chiedo di commentare) è stato pubblicato da Steinbeck su “Esquire” nel giugno del 1957. Esso si traduce in un’accurata difesa del drammaturgo Arthur Miller, giudicato colpevole (il 31 maggio 1957) di vilipendio al Congresso per aver rifiutato di rivelare i nomi dei membri del circolo letterario che aveva frequentato (associazione sospettata di avere legami con il comunismo). Un articolo che ci dipinge un’altra America, diversissima da quella che si accinge a condurre Barack Obama. Ma è anche un articolo che, a mio modo di vedere, si presta a una più generale interpretazione metaforica: la letteratura e gli interessi letterari possono essere “malvisti” e possono dare fastidio.
Nell’articolo Steinbeck – tra le altre cose – si interroga, indirettamente, su quale debba essere il compito dello scrittore: “In quanto scrittore, ho il dovere di interessarmi a tutto, sento parte della mia professione conoscere e capire ogni genere di persona e di gruppo”.
Da qui, la domande che mi permetto di rivolgervi.
Quali devono essere i compiti di uno scrittore?
È proprio necessario che uno scrittore abbia “compiti”?
A voi la parola.
Massimo Maugeri
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L’editoriale di Gian Paolo Serino
“In letteratura non è diverso che nella vita: ovunque si giri, uno si imbatte subito nell’incorreggibile plebe umana, presente a legioni dappertutto e che riempie tutto e sporca come le mosche in estate. Di conseguenza la quantità innumerevole di libri cattivi: essi si impadroniscono del tempo, dei soldi e dell’attenzione dei lettori perché i libri cattivi sono stati scritti unicamente con l’intenzione di incassare denaro o procurasi un impiego”.
Sembra scritto oggi ma è Arthur Shopenhauer (da “Parerga e paralipomena”): ha qualche
annetto ma vi sembra datato?
Satisfiction propone recensioni “soddisfatti o rimborsati”: se i consigli che leggete vi spingono alla lettura siamo pronti a ripagarvi del prezzo di copertina.
Questa la sfida di Satisfiction alla critica prezzolata e istituzionalizzata sospesa e impotente tra la polvere accademica e l’emulazione d’origine dorrichea.
Come scrive Balzac, in un passaggio di “Papa Goriot”, “la critica vecchia parassita dei festini letterari è scesa dal salone per andarsi a sedere in cucina, dove fa impazzire le salse prima che siano ancora pronte”. Accanto alle recensioni “soddisfatti o rimborsati”, firmate da critici e scrittori (da urlo più che di grido), come ogni numero Satisfiction propone inediti e anticipazioni.
Nel caso di Gadda le sue straordinarie lettere ci accompagneranno per i prossimi tre numeri: con sorprese di scrittura e vertigini narrative che non mancheranno di appassionare. Nel concludere i miei ringraziamenti ai tantissimi amici che partecipano, con passione e gratuitamente, al progetto Satisfiction. Giornalisti, critici, scrittori, grafici che contribuiscono, come vogliamo ribadire in ogni editoriale, a rendere Satisfiction una rivista gratuita ma, speriamo, per niente scontata.
Satisfiction la trovate in tutte le Feltrinelli e Fnac d’Italia e in altre 180 librerie. Gli indirizzi li trovate sul nuovo sito satisfiction.it. Un sito dove potrete anche sfogliare gli arretrati e abbonarvi alla rivista per ricevere Satisfiction direttamente a casa e sostenere il nostro progetto.
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JOHN STEINBECK IN DIFESA DI ARTHUR MILLER
Il 31 maggio 1957 il drammaturgo Arthur Miller (nella foto), nel pieno della caccia alle streghe maccartista, fu giudicato colpevole di vilipendio al Congresso per aver rifiutato di rivelare i nomi dei membri del circolo letterario che aveva frequentato, associazione sospettata di avere legami con il comunismo. La sua condanna fu commutata il 7 agosto del 1958 dalla corte d’appello. A prendere le difese dell’amico fu all’epoca lo scrittore John Steinbeck con un articolo sull’Esquire.
Sono passati 40 anni dalla morte dell’autore di “Pian della tortilla”, “Uomini e topi” e “Furore” e oggi Alet ripropone in “L’America e gli americani e altri scritti” (a cura di Bruno Osimo), una raccolta di interventi critici, articoli, resoconti di viaggio, pagine di diario e corrispondenze di guerra.
L’autodidatta nato in California, il lavoratore cresciuto a Salinas, il cantore della grande depressione, degli scioperi e della denuncia sociale, delle storie di braccianti, contadini ed emigranti, si scaglia qui contro il maccartismo, proprio lui feroce anticomunista. In questo scritto inedito Steinbeck ribadisce la propria missione dello Scrittore, il dovere di essere ovunque, capire e raccontare. Alla presa di posizione a difesa degli umili ed emarginati della letteratura dei suoi esordi, sia affianca la difesa presente (e futura) della comunità di cittadini americani e del suo stile di vita. Non è un’ideologia politica, né tantomeno di sinistra. È quell’ “American way of life” che “nessuno sa definire né indicare una persona che lo viva, ma è ugualmente reale” e che porta a coltivare l’ambizione sana di “essere saggi giusti compassionevoli e nobili”, speranze che il Congresso sembrava tradire nel tentativo di salvare il paese dall’attacco rosso. La “predisposizione realista alla speranza” (atteggiamento di stile e di vita per lo scrittore) si scontrerà proprio con l’aderenza alla nuova stagione americana: quelli del processo a Miller sono gli anni che porteranno Steinbeck al Nobel ma anche quelli che culmineranno nell’assassinio Kennedy. Un’America più paranoica che depressa da cui Steinbeck verrà tagliato fuori.
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IL PROCESSO AD ARTHUR MILLER
di John Steinbeck
[“Esquire”, giugno 1957]
Il processo ad Arthur Miller per vilipendio al Congresso 1 ci avvicina a uno dei dilemmi più strani e spaventosi che un popolo e un governo abbiano mai affrontato. Non è il primo processo di questo genere, e con ogni probabilità non sarà l’ultimo. Ma Arthur Miller è unoscrittore – proprio uno dei nostri migliori. Quello che gli è successo potrebbe succedere a qualsiasi scrittore: anche a me. Dobbiamo affrontare un problema di soluzione tutt’altro che facile. «Is a puzzlement!»
Nessuno sa che cosa farebbe in una data situazione, e di certo molte persone si domanderanno come si comporterebbero se fossero nei panni di Arthur Miller. Io mi domando che cosa farei. Supponiamo che io stia per subire un processo per vilipendio al Congresso come succede a lui. Forse penserei più o meno quello che segue: Non c’è dubbio che il Congresso abbia il diritto, per legge, di farmi qualsiasi domanda e di punire il mio rifiuto di rispondere con un’accusa di vilipendio. Il Congresso ha il diritto di fare pressoché qualsiasi cosa sia concepibile. Basta che definisca una situazione o un’azione “un evidente attuale pericolo” per la sicurezza pubblica, la morale pubblica o la salute pubblica. È possibile che vendere o mangiare mince pie 3 diventi reato se il Congresso stabilisce che la mince pie è un pericolo per la salute pubblica, il che probabilmente è vero. Dato che molti genitori allevano male i figli, l’amore materno potrebbe essere definito un pericolo per il benessere generale. Certo, il Congresso ha il preciso diritto di chiedermi qualsiasi cosa su qualsiasi argomento. La questione è: il Congresso deve avvalersene?
Diciamo che la Commissione del Congresso ritenga che il Partito comunista e molti gruppi a esso connessi – a volte arbitrariamente – costituiscano un pericolo reale per il paese.
Ebbene, in realtà se non mi iscrivo a qualche organizzazione non è né per virtù né per buon senso. Semplicemente, per natura non sono uno che s’iscrive. A parte i boy-scout e il coro episcopaliano, non ho mai avuto impulsi a far parte di qualcosa. Ma supponiamo che io ce l’abbia. E supponiamo che io abbia ammesso di avere partecipato a uno o più di questi gruppi indicati come pericolosi.
In quanto scrittore, ho il dovere di interessarmi a tutto, sento parte della mia professione conoscere e capire ogni genere di persona e di gruppo. Dopo aver ammesso questa mia partecipazione, ora la Commissione mi chiede di fare i nomi delle persone che ho visto alle riunioni di questi gruppi. Spero che allora il mio ragionamento sarebbe il seguente: le persone che ho conosciuto non erano e non sono, secondo la mia valutazione, traditori del paese. Se lo fossero, li denuncerei all’istante. Se do i nomi, è ragionevolmente certo che queste persone verranno convocate e interrogate. In alcuni casi perderanno il lavoro, comunque la loro reputazione e posizione sociale ne risentirebbero. E ricordate che sono persone che in tutta onestà credo siano innocenti. Forse non ritengo di avere quel diritto; penso che fare i loro nomi sarebbe non solo sleale ma proprio immorale. La Commissione mi chiede quindi di commettere un atto immorale in nome della virtù pubblica.
Se accetto, calpesto uno dei nostri fondamentali codici di condotta, e se rifiuto sono colpevole di vilipendio al Congresso, condannato alla prigione e multato. Una scelta offende il mio senso della decenza e l’altra mi marchia come colpevole. E questo marchio non si lava. Ebbene, supponiamo che io abbia figli, una proprietà, un posto nella società.
La minaccia dell’accusa di vilipendio mette in crisi tutto ciò che amo. Supponiamo che, per preoccupazione o codardia, acconsenta a ciò che mi viene chiesto. Non riuscirei mai a cancellare la vergogna. La storia recente della Commissione non mi rassicura. Da anni leggo quotidianamente la testimonianza di bugiardi e spergiuri confessi le cui accuse sono state usate per distruggere la pace e la felicità di persone che non conosco, e molti dei quali sono stati distrutti senza essere stati processati. Che strada scegliere? Sono in mezzo a due fuochi. Potrei pensare che da una persona che è sleale coi propri amici non ci si possa aspettare che sia leale col proprio paese. La morale non si può fare a fette. Le nostre virtù cominciano a casa nostra.
Non cambiano in tribunale, a meno che non ci costringano con la paura. Ma se sono preso tra due orrori, lo è anche il Congresso. La legge, per sopravvivere, dev’essere morale. Costringere un uomo all’immoralità personale, ferire la sua virtù privata, mina la sua virtù pubblica. Se la Commissione mi spaventa a sufficienza, è addirittura possibile che io inventi le cose per soddisfare gli interroganti. Si sa che è successo. Una legge che è immorale non sopravvive e un governo che perdona o promuove l’immoralità è davvero in reale pericolo. Il Congresso aveva tutto il diritto di approvare l’Alien and Sedition Act 4.
Questo disegno di legge è stato ritirato per la reazione contraria dell’opinione pubblica.
Le leggi Escaped 4 120 Slave 5 dovettero essere abrogate perché le persone degli Stati liberi le trovavano immorali. Le leggi sul proibizionismo erano disprezzate a livello così generale che ne soffriva la legge nel suo insieme. Abbiamo visto l’Unione Sovietica incoraggiare le spie e i delatori, incoraggiare i figli a denunciare i genitori e le mogli a dare informazioni sui mariti, e ciò ci ha disgustati. Nella Germania di Hitler, era considerato patriottico denunciare amici e conoscenti alle autorità. E noi in America ci siamo sentiti al sicuro da queste cose, superiori. Ma siamo davvero così al sicuro e superiori? I rappresentanti al Congresso devono essere consapevoli della loro scelta terribile. Il loro diritto legale è chiaro, ma non dovrebbero pensare anche alla responsabilità morale? Nel tentativo di salvare il paese dall’attacco, potrebbero benissimo minare la profonda moralità personale che è la difesa finale del paese. Il Congresso è in realtà sotto processo insieme con Arthur Miller. Lasciatemi scambiare ancora di posto con Arthur Miller. Mi rifiuto di fare i nomi delle persone. Vengo accusato, condannato, mandato in prigione. Se l’accusa fosse omicidio o furto o estorsione sarei soggetto a punizione, perché io come tutti so che queste sono cose sbagliate. Ma se mi mettono in prigione per qualcosa che dalla nascita mi hanno insegnato che è una cosa buona, vado in prigione con un profondo senso di ingiustizia e le onde di quell’ingiustizia sono destinate ad allargarsi come un’infezione.
Se sono coraggioso quanto basta per patire per i miei principi anziché salvarmi ferendo altre persone che considero innocenti, mi sembra che la legge ne soffra più di me, e che il vilipendio alla legge e al Congresso sia un disprezzo effettivo, non giuridico. In base alla legge, Arthur Miller è colpevole. Ma sembra anche coraggioso. Il Congresso ritiene di dover perseguire l’accusa contro di lui, mantenere vive le proprie prerogative. Ma non possiamo sperare che i nostri rappresentanti esaminino criticamente questo dilemma? Il rispetto per la legge può essere tenuto alto solo se la legge è rispettabile.
Qui c’è un pericolo reale, non per Arthur Miller, ma per il nostro modo di vivere in continua evoluzione. Se fossi nei panni di Arthur Miller, non so che cosa farei, ma potrei desiderare, per me e per i miei figli, di essere abbastanza coraggioso da farmi forza e difendere la mia moralità privata come fa lui. Ho la profonda convinzione che il nostro paese si giovi più del coraggio e della morale dei singoli che del patriottismo sicuro e pubblico che Johnson ha chiamato “l’ultimo rifugio dei farabutti”. Mio padre era un grand’uomo, come deve essere il padre di qualsiasi persona fortunata. Mi ha insegnato regole che non credo siano state abrogate da questi tempi isterici. Queste norme di comportamento non sono state annullate. Mi ha insegnato a glorificare Dio, a onorare la famiglia, a essere leale con gli amici, rispettoso della legge, ad amare il mio paese e a ribellarmi alla tirannia, che venga dal bullo in cortile, dal dittatore straniero o dal demagogo locale. E se questo è tradimento, signori, approfittatene.
John Steinbeck
Tags: arthur miller, gian paolo serino, john steinbeck, Mattioli 1885, satisfiction
Scritto venerdì, 14 novembre 2008 alle 00:21 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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