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lunedì, 29 dicembre 2008

LA MORTE DI HAROLD PINTER E IL TEATRO OGGI

Come è noto, il 24 dicembre è morto Harold Pinter: drammaturgo, regista teatrale, attore teatrale britannico. Ha scritto per teatro, radio, televisione e cinema. I suoi primi lavori sono considerati fra i capolavori del teatro dell’assurdo.
Come ha sostenuto Alessandra Serra in “Harold Pinter, Teatro” (Einaudi): «Le prime rappresentazioni delle opere di Harold Pinter furono massacrate dai critici. Ad eccezione di Harold Hobson, scrissero tutti che era un autore eccentrico, inaccettabile, incomprensibile, che non aveva nulla da dire. Oggi forse è l’autore [vivente] più rappresentato al mondo ma, come dice egli stesso, «Adesso sono diventato comprensibile, accettabile, eppure le mie commedie sono sempre le stesse di allora. Non ho cambiato una sola battuta!». »
Nel 2005 gli fu tributato il Premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: “nelle sue opere scopre il precipizio che si nasconde sotto i discorsi oziosi di ogni giorno e entra con forza nelle stanze chiuse dell’oppressione”.
Di seguito troverete due articoli: il primo, pubblicato dal settimanale “Panorama”; il secondo, firmato da Paolo Petroni per l’ “Ansa”. Troverete anche quattro risposte di Pinter a quattro domande (fonte: Il Giornale).

Vi invito a dire la vostra per ricordare Pinter e le sue opere (se ne avete voglia).
Tra le varie citazioni attribuite al Premio Nobel appena deceduto, ho trovato questa (mi sembra particolarmente interessante): “non dimenticate che la terra ha circa cinquemila milioni di anni, come minimo. Chi può permettersi di vivere nel passato?”
Già! Chi può permettersi di vivere nel passato? Che ne dite?

Poi – visto che Pinter era un uomo… “da palcoscenico” – vi invito a discutere proprio sul teatro.
Che rapporti avete con il teatro? Lo amate? Lo detestate? Vi lascia indifferenti?
Il teatro vi sembra in crisi? Qual è la vostra percezione?

Segue una domanda provocatoria…
Ritenete che il teatro abbia dignità uguale, inferiore o superiore alla narrativa e alla poesia?
A voi la parola… rinnovandovi gli auguri per il nuovo anno.

Massimo Maugeri

———————–

Morto il Premio Nobel Harold Pinter
da Panorama

“Ho scritto 29 piece in 50 anni, non è abbastanza? Certamento lo è per me”. Harold Pinter amava ripetere questa frase negli ultimi anni, segnati dalla malattia che lo aveva colpito nel 2002, dalla soddisfazione di aver avuto il Premio Nobel nel 2005, ma anche dalla rinnovata voglia di impegno politico e di difesa dei diritti civili, che lo aveva fatto attaccare duramente Bush e Blair.
Lo scrittore, scomparso a Londra all’eta di 78 anni, aveva infatti già consegnato la sua opera al passato, vendendo il suo archivo alla British Library, giusto un anno fa per 1.65 milioni di euro. Centocinquanta scatoloni contenenti lettere, manoscritti, fotografie. Tra le gemme preziose quella del capitolo segnato dalla sua amicizia con Samuel Beckett, con il quale condivideva la passione per cricket e il rugby, ma anche ovviamente quella teatrale.
Non è certo un caso, anzi indica la forza di suggestione che ha la sua opera, il fatto che dal nome di Harold Pinter sia nato un aggettivo, pinteriano, che segue, ma si diversifica da beckettiano, derivato dal nome dell’autore di cui è sempre stato considerato un po’ l’erede. Il primo esprime comunque un disagio, una sensazione forte di incertezza e timore, mentre l’altro ha un sapore di catastrofe e smarrimento più totale.
Raramente un autore è stato così immediatamente metaforico per forza poetica, per qualità e invenzione drammatica come Harlod Pinter, che era considerato da tempo un classico del Novecento. Non si è mai tirato indietro davanti all’impegno civile e col tempo è passato da una vena più esistenziale a una più decisamente politica mantenuta fino all’ultimo. Di pochi mesi fa il suo ultimo appello per fare giustizia ed individuare i responsabili dell’uccisione di Anna Politkovskaia.
Il suo impegno radicale contro ogni prevaricazione del potere, anche quello democratico, e in nome della pace, che diventa pubblico negli anni del governo Thatcher, lo avvicina, per certi versi, a un altro premio Nobel, Dario Fo. L’impegno lo avvicinò anche ad Arthur Miller con il quale nel 1985 fu protagonista in Turchia di una violenta denuncia dell’oppressione politica che costò ad entrambi la cacciata: ne nacque la commedia “Mountain language”.
Ma tanto fu diretto nella vita quanto invece allusivo sulla scena, dove diede vita al teatro della minaccia (‘’La vita di ognuno di noi è sempre minacciata e incerta. Viviamo nella repressione e fingiamo di vivere nella libertà’’). La sua è l’arte di scrivere per sottrazione, costruendo personaggi e vicende esemplari, sganciate da ogni contingenza. E nonostante questo riuscendo a farli sentire vivi, concreti, esemplari.
Vale per le figure dei primi drammi anni Cinquanta e Sessanta, dal “Calapranzi al Guardiano”, come per quelli più politici degli ultimi venti anni, da “Il bicchiere della staffa a Ceneri alle ceneri”, passando per le tragicommedie che trattano apparentemente dell’amore e delle sue menzogne, da “L’amante a Tradimenti”, ma che forse parlano di inganni ben più profondi e esistenziali, della morte inevitabile di illusioni e speranze.
Pinter, nato ad Hackney, un sobborgo di Londra, il 10 ottobre 1930, iniziò la sua carriera teatrale come attore, prima frequentando grandi scuole di recitazione, poi girando l’Irlanda con una compagnia shakespeariana con lo pseudonimo di David Barron. La sua carriera di drammaturgo iniziò, quasi per caso, nel 1957, quando scrisse per un amico in quattro giorni un atto unico intitolato “La stanza”. Del 1958 il celebre “Festa di compleanno”, in cui due ignoti visitatori piombano a casa di un giovane misantropo che vive isolato. Ancor maggiore impatto suscita i lavoro di Pinter quando gli argomenti diventano più drammatici, e si capisce che il riferimento è, per esempio, alla tragedia dei desaparecidos argentini in “Il bicchiere della staffa” del 1984 o alla Shoah in “Ceneri alle ceneri” del 1996.
Autore del suo tempo, Pinter ha anche scritto testi radiofonici, volumi di poesia e sceneggiature per il cinema, legando il suo nome a film di qualità e successo, come “La donna del tenente francese” di Reisz, per cui è stato candidato all’Oscar e al Golden Globe, “Cortesie per gli ospiti” di Schrader, “Messaggero d’amore” di Losey. Ha adattato per il cinema anche il capolavoro di Proust, mai realizzato e uscito solo in volume.

—————–

QUATTRO DOMANDE A HAROLD PINTER
Stralcio di intervista a Harold Pinter rilasciata a “Il Giornale” il 12 ottobre 2004

Su cosa si concentra quando pensa una delle sue creature?
«Sul silenzio. È nel silenzio che i personaggi acquistano consistenza, presenza. Nel non detto».

Scriverà ancora? Sta preparando una nuova storia d’anime?
«Non voglio più scrivere commedie, ne ho scritte abbastanza e credo di non esserne più capace, ho intenzione di dedicarmi alla regia e preferisco comporre poesie. Vado molto poco anche al cinema, diventato violento come un incubo, almeno in Gran Bretagna. Preferisco tranquille passeggiate nel parco, a contatto con la natura, respirando forte».

La politica è stata da sempre la sua «passione parallela». In questo momento qual è il suo sguardo?
«Gandhi ha detto molti anni fa che un occhio per un occhio farà un mondo cieco, e adesso siamo di fronte al potere degli Stati Uniti che faranno sempre di più quello che vogliono e che, purtroppo, possono contare sull’appoggio dei governi che conosciamo. Ma quello di cui hanno bisogno gli Stati Uniti è una sfida, non un appoggio».

Le prime rappresentazioni dei suoi testi furono bocciate e giudicate vuote e incomprensibili. Cosa è cambiato da allora? Qualcuno dice che il suo linguaggio ha anticipato i tempi.
«È possibile. Comunque non ho mai cambiato nulla dei testi, sono sempre quelli. I cambiamenti avvenivano solo durante le prove. Ma piuttosto che aggiungere si tagliava».

—————–
HAROLD PINTER: DA BONACELLI A FO, GLI AMICI ITALIANI
di Paolo Petroni

“Una persona straordinaria per l’umanità e la modestia”, così Dario Fo, anche lui uomo di teatro e premio Nobel, ricorda Harold Pinter, scomparso il 24 dicembre a Londra, e gli fanno eco Paolo Bonacelli, suo interprete e amico, che ne ricorda “la disponibilità, la gentilezza priva di supponenza, quando lo avvicinai la prima volta, dopo aver recitato ‘Terra di nessuno’”, come la sua traduttrice Alessandra Serra, che sottolinea “l’onestà e la lealtà dell’uomo, una volta che lo avevi conquistato, le stesse qualità che lo accendevano d’indignazione per ogni ingiustizia. Davanti alla violenza e l’inganno perdeva il lume della ragione e scendeva subito in piazza, come ha fatto sino all’ultimo con i suoi interventi politici”. “In questo ci somigliavamo molto e il nostro teatro – racconta ancora Fo – nasceva dalle stesse ragioni di denuncia contro il militarismo, la guerra, la supremazia degli interessi economici. Di questo abbiamo parlato quando l’ho conosciuto, di come un certo capitalismo ha ridotto il mondo d’oggi”. Del resto aveva detto lui stesso nel 2005 che non avrebbe più scritto teatro, per dedicarsi all’impegno politico. “Quando ci incontravamo, io gli parlavo del suo teatro, di quel che vi leggevo, ma lui spostava il discorso sulla politica, chiedeva cosa stesse accadendo in Italia, si accalorava, bevendo, come l’ultima volta in un ristorante italiano, i suoi amati vini bianchi, solo francesi o italiani e ghiacciati. Poi c’era la sua passione per il cricket, cui giocava da sempre, quelle lunghe partite che durano giorni, spiegando che era come la vita: una noia continua con rare esplosioni di gioia”. Gianfranco Capitta e Roberto Canziani, autori di una biografia critica di Pinter più volte aggiornata (l’ultima è edita ad Garzanti col titolo ‘H.P. scena e potere’) lo hanno frequentato dal 1993 e ricordano il suo discorso violentemente anti-americano e contro la politica di Bush fatto a Fiesole il giorno prima del fatidico crollo delle Torri Gemelle, che fece scrive a certa stampa Usa che il primo attacco lo aveva lanciato Pinter. La guerra in Afghanistan e in Iraq poi fu come avessero dato ragione alle sue tesi e quindi lo spinsero a un impegno antimperialista e per la pace sempre maggiore. Quanto alle sue opere, se la Serra nota come Pinter “abbia dato dignità ai vuoti di scena, ai silenzi improvvisi, riempiendoli di senso, dandogli quel valore di sospensione che hanno i silenzi nella vita, specie se seguono una battuta, sempre per lui essenziale, asciutta”, Canziani e Capitta ricordano il suo rapporto con la scrittura, il rispetto che diceva di avere per i suoi personaggi, come si trattasse di esseri umani reali, di cui non poteva prevedere quel che avrebbero detto o fatto: “diceva che ‘Terra di nessuno’ era nata mentre in taxi una sera tornava a casa, anche un po’ brillo, e sentì nascergli in testa due voci, la prima che chiedeva ‘Con ghiaccio?’ e la seconda che rispondeva ‘No, assolutamente liscio’. Così corse a casa per non perderle e partendo da quelle due battute cercar di capire chi fossero le due persone, come qualcuno incontrato senza conoscerlo e che pian piano ci si svela. Non era il burattinaio classico, che sa bene cosa faranno e come agiranno i suoi personaggi, ma, al contrario, da essi si sentiva pirandellianamente visitato”. La Serra, che fu anche aiuto regista di Pinter a Palermo per ‘Cenere alle ceneri’, racconta di come, lui attore, lasciasse spazio e interagisse con gli attori quando faceva il regista, invitandoli a esprimere una propria idea del testo, perché anche lui se ne faceva una solo a posteriori, terminata la scrittura”. Canziani e Capitta ricordano infine la sua ultima recita, fatta dopo esser stato colpito dalla malattia, non a caso ‘L’ultimo nastro di Krapp’, un monologo testamentario di Beckett, interpretato con la voce disfatta… “e nel buio, attorno al cono di luce che lo inquadrava, tutti hanno scritto che la morte si sentiva come una presenza viva, fisica, col suo senso di fine. Eppure, dopo, al bar sulla sedia a rotelle su cui era ormai costretto, stupì tutti ritirando fuori il suo solito umorismo tagliente, il suo piacere per la convivialità, l’affetto per gli amici e il grande amore per la moglie, la scrittrice Antonia Fraser, che, ricorda Bonacelli, “definiva una realista ottimista, al contrario, sottolineava, di come sono solitamente i realisti, e non finiva di lodarla per la dedizione con cui gli era stata vicina dopo la malattia”.
(Fonte: Ansa)


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Scritto lunedì, 29 dicembre 2008 alle 19:03 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

126 commenti a “LA MORTE DI HAROLD PINTER E IL TEATRO OGGI”

Con un po’ di ritardo dedico questo post a Harold Pinter, scomparso pochi giorni fa: il 24 dicembre.

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 19:04 da Massimo Maugeri


Chi di voi conosceva (conosce) Pinter come drammaturgo, regista teatrale, attore teatrale ?

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 19:05 da Massimo Maugeri


Chi di voi ne ha sentito parlare per la prima volta?

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 19:05 da Massimo Maugeri


Tra le varie citazioni attribuite a Pinter mi ha colpito questa in particolare: “non dimenticate che la terra ha circa cinquemila milioni di anni, come minimo. Chi può permettersi di vivere nel passato?”
Che effetto vi fa?
Secondo voi… chi può permettersi di vivere nel passato?

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 19:07 da Massimo Maugeri


Poi mi piacerebbe avviare una discussione “generale” sul teatro…
Pongo un po’ di domande:
Che rapporti avete con il teatro?
Lo amate?
Lo detestate?
Vi lascia indifferenti?
Il teatro vi sembra in crisi? Qual è la vostra percezione?

Chi, tra voi, va abitualmente a teatro?

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 19:09 da Massimo Maugeri


Un’ultima domanda un po’ provocatoria…
Ritenete che il teatro abbia dignità uguale, inferiore o superiore alla narrativa e alla poesia?

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 19:10 da Massimo Maugeri


Rapporti ottimi
. L’ho sempre amato.
Sì, forse il teatro è in crisi. Ma questo si diceva anche vent’anni fa.
La dignità del teatro è pari a quella di tutte le altre forme d’arte, né inferiore né superiore, io credo. Ma pensiamo al significato e all’importanza che il teatro aveva per gli antichi. I tragici greci ci hanno insegnato tutto. Come non amare il teatro? Quel teatro?

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 19:46 da Desi


per gli antichi il teatro era un luogo sacro, ove era possibile scorgere azioni rappresentative della realtà:religiose, politiche e sociali.Autori e attori miravano ad educare gli animi. E oggi?Tutto il novecento percorso dalla smania di polverizzare l’io,( chi sono? uno, nessuno centomila?), quell’io che ha tanto lottato contro gli uomini, contro gli dei, per valorizzarsi(sempre che non cada nel mero egotismo)e autodeterminarsi. Buon anno. Lucia Arsì

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 21:16 da Lucia Arsì


Harold Pinter l’ho studiato molto poco, conosco meglio Beckett…
Sarà l’occasione per approfondire.
Rapporti col teatro? Ottimi.
Vivo a Siracusa, in cui il Teatro Greco è uno splendido monumento ma vive ogni anno grazie alle Rappresentazioni classiche. L’Inda, Istituto nazionale del dramma antico, nacque nel 1914 grazie ad un gruppo di appassionati capitanati dal conte Tommaso Gargallo.
Molte gare teatrali si svolsero a Siracusa, e molte furono le opere rappresentate in prima assoluta nella patria di Archimede, nella città che amò anche Platone, prediletta da Cicerone.
Ho fatto teatro amatoriale – ciao Fabio, ciao Alberto e tutti i ragazzi che vissero con me quell’avventura – rappresentando proncipalmente Martoglio e altri classici dialettali siciliani.
Mi piace andare a teatro, ma qui da noi si rappresentano soprattutto musical, pièce in siciliano, poca prosa italiana e straniera, niente di contemporaneo. Aspettiamo il restauro del cineteatro Vasquez e soprattutto, dal 1964, la riapertura del Teatro Massimo, quello lirico…
Come forma d’arte rappresenta secondo me la socialità, la comunicazione condivisa.

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 21:17 da Maria Lucia Riccioli


Pinter è stato a mio avviso un lucido e discreto testimone del nostro tempo. Discreto, dico, non perché mancasse di piglio e personalità. Ma perché ha messo sempre davanti l’opera rispetto all’autore. Anzi, probabilmente in lui era assente qualunque vanagloria da protagonista.
Ha dato fastidio, forse, proprio per la sua tranquillità. I manifestanti, per esempio, li puoi manganellare o respingere con gli idranti. La parola scritta non la puoi combattere, al massimo la puoi ignorare.
Teatro (e cinema) sono per me abbastanza fuori portata perché a quell’ora generalmente lavoro. Però, se posso, scelgo il cinema. Il teatro è troppo pieno di enrichi quarti, riccardi terzi e pirandelli che sono sempre quelli. Attori e critici ci dicono che sono”riletture”, Sarà. Io non rileggo.

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 21:55 da enrico.gregori


@Massimo
Carissimo Massimo,
sono felicissima della tua scelta del nuovo post.
Avevo visto qualcosa di Harold Pinter alla televisione quando ero al liceo, ma non ricordo più nulla. Solo che mi era piaciuto molto.
Ma sono contenta soprattutto perché hai scelto di parlare del teatro.
Hai visto? Neanche a farlo apposta, c’era un piccolo brano dal SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZ’ESTATE nel post sulla traduzione. Mi fa piacere che abbiamo gli stessi gusti, in fatto di traduzioni.
Negli ultimi anni dell’università mi sono molto concentrata sul teatro francese del XVII° secolo ( sugli ZANNI, ARLECCHINO in particolare+ MOLIERE) e su quello del XVIII°( MARIVAUX). Che bello poterne parlare qui.
PS: Perdonami, ma non ho capito la domanda di Harold Pinter(= “Chi può permettersi di vivere nel passato?”). Capisco che il mondo esiste da cinquemila milioni da anni, ma io ci penso nel senso che il pianeta sopravviverà al genere umano, credo. Ma la domanda successiva non capisco in che senso intendeva. Mi dai un’indicazione?
Se no magari mi viene in mente che io vivo SEMPRE nel passato; ma non credo Pinter intendesse lo stesso..
Grazie infinite, come sempre.

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 23:46 da roberta


Per la domanda “provocatoria” se il teatro abbia pari dignità..
Penso a “Phèdre” di RACINE ( é in versi)
penso a “Le Misanthrope” di MOLIERE( è in versi)
e penso a SHAKESPEARE( in versi).
Gli specialisti del teatro classico greco e latino avranno in mente qualcosa, di sicuro. E verranno in mente molte cose a tanti altri.
In Italia la commedia, a partire dal Ruzante( credo) é fatta dai Comici dell’Arte che la esportano in Inghilterra, ma soprattutto in Francia. Certo all’epoca le commedie “des Italiens” con Arlequin e Polichinelle non sono considerate “opere” al pari delle tragedie di RACINE e CORNEILLE. Tantomeno quelle del cosiddetto “Théatre de la Foire”, in cui Pulcinella poteva “parlare” soltanto tramite “cartelli”(écriteaux”) con le sue “battute”.
Ma a partire da Molière si “nobilitano”, in un certo senso. E diventano poesia.
E poi il teatro é talmente bello, dico quando si ha la fortuna di poterlo vedere recitato bene.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 00:30 da roberta


Questo post si sarebbe potuto intitolare la morte di Harold Pinter e la morte del teatro.
Mi pare evidente che il teatro sia agonizzante, da decenni. Soffocato da cinema e da televisione. E ai giovanissimi interessa molto poco. Per cui la malattia è irreversibile. Basta guardarsi intorno.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 01:45 da Robin


Ciao massimo e ciao a tutti!
Che tristezza, la morte di Pinter…
Io il 26 mattina ho prontamente inserito un post sul blog di Azimut libri
(se volete andare a dare un’occhiata: http://www.azimutlibri.splinder.com)
ma giusto due righe… però un piccolo tributo a questo grandissimo era d’obbligo…
Crisi del teatro? Resistiamo e aspettiamo in riva al fiume il cadavere della televisione, la quale sta per implodere sotto il peso della sua stessa inutilità……………………….speriamo si sbrighi…..

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 09:03 da massimiliano felli


il teatro, oltre che con la televisione e il cinema, oggi deve fare i conti pure con internet. una giornata è sempre fatta di 24 h, e il tempo da dedicare a questa arte che è il teatro temo che sia sempre meno.
aggiungo il mio pensiero al piccolo tributo dedicato al grande drammaturgo che è stato pinter

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 09:29 da valeria


@ Robin:
No, il teatro non é morto. Sta ri-nascendo. Ai giovanissimi interessa molto poco, é vero. Ma non é morto. Bisogna cercare di riportarli a teatro, i giovanissimi. A loro piace. Solo che troppi cercano di condizionare i loro gusti, così non pensano a nulla.
Sono d’accordo, comunque, sul guardarsi intorno. Ho la stessa sensazione. Ma non voglio perdere la battaglia.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 11:25 da roberta


Dopo una lotta durata sei anni contro un tumore, alla vigilia di Natale scompare il drammaturgo Harold Pinter. E’ stata la moglie Antonia Fraser a comunicarlo al quotidiano The Guardian, icona del giornalismo di sinistra britannico. «Era grande, è stato un privilegio vivere con lui per oltre 35 anni. Non sarà dimenticato», ha scritto lady Antonia, letterata anche lei, autrice di famosissime biografie.

Raramente un autore è stato così immediatamente metaforico per forza poetica, per qualità e invenzione drammatica come Pinter, che era considerato da tempo un classico del Novecento. Non si è mai tirato indietro davanti all’impegno civile e col tempo è passato da una vena più esistenziale a una più decisamente politica mantenuta fino all’ultimo. Di pochi mesi fa il suo ultimo appello per fare giustizia ed individuare i responsabili dell’uccisione di Anna Politkovskaia.

Il Nobel alla letteratura, nel 2005, Harold Pinter l’aveva ricevuto come premio di una drammaturgia che scavava al di là delle apparenze, che metteva a nudo le ipocrisie. Era l’autore di oltre 30 pieces teatrali; la prima a renderlo famoso fu “The caretaker”, nel 1959. «Teatro dell’assurdo», con l’apparente assurdità delle situazioni come ritratto fedele dell’assurdità del reale. Il grande pubblico lo conosce meglio come lo sceneggiatore di alcuni celebri film; una trilogia con Joseph Losey («Il servo», «L’Incidente», «Messaggero d’amore»), e per «La donna del tenente francese» (1980) con Meryl Streep e Jeremy Irons e «L’amico ritrovato» (1989). Si tratta per lo più di adattamenti di romanzi altrui. Mentre è del 1983 l’adattamento che fece per il cinema di una sua piece, «Betrayal», «Tradimenti», che vedeva in campo Jeremy Irons, Ben Kingsley e Patricia Hodge. Anche quel film, costruito (come anche il pezzo teatrale) come una serie di flashback, nei dialoghi serrati fra la moglie, il marito e il migliore amico che lo tradisce con lei, rivelava la profondità della scrittura di Pinter, in cui nessuno dice mai quello che pensa realmente, e i discorsi sono sempre obliqui; esattamente come nella realtà. Nelle stanze della piccola borghesia come nelle lucide dimore dell’aristocrazia, scavava nella medesima complessità dei rapporti umani. Era una rivoluzione rispetto all’immediatezza della comunicazione del teatro tradizionale. Lo riconobbe l’Accademia del Nobel scrivendo che nelle sue opera, Pinter «scopre l’abisso sotto il chiacchiericcio quotidiano e forza l’ingresso nell’oppressione delle stanze chiuse».

Lo scrittore un anno fa aveva venduto i suoi scritti alla British Library per 1.65 milioni di euro. Centocinquanta scatoloni contenenti lettere, manoscritti, fotografie. Tra le gemme preziose quella del capitolo segnato dalla sua amicizia con Samuel Beckett, con il quale condivideva la passione per cricket e il rugby, ma anche ovviamente quella teatrale.

Aveva 78 anni Harold Pinter, era una figura mitica della letteratura britannica ed era noto per le sue opinioni politiche fortemente orientate a sinistra. Critico aspro delle politiche reaganiane, del thatcherismo in Gran Bretagna, della missione Onu in Kosovo del 1999, ma anche dell’invasione dell’Afghanistan del 2001 e dell’invasione angloamericana dell’Iraq nel 2003; all’epoca paragonò Tony Blair, il premier laburista che tante speranze aveva creato, a un «idiota pieno di illusioni» mentre George W. Bush era, semplicemente, un «criminale di guerra». Quell’anno scrisse una lettera di protesta a Downing Street firmandola con il regista Ken Loach. Era entrato nell’alta società britannica anche se era nato da un sarto ebreo a Hackney, Londra. I nonni erano fuggiti dai pogrom in Polonia. Nel 1948 rifiutò il servizio militare come obiettore di coscienza, poi si avvicinò al teatro. Nel 1957 produsse «The Room», «La stanza», subito seguito da «The Dumb Waiter», «Il
calapranzi» e l’anno dopo da «The Birthday Party». Nel 1956 aveva sposato Vivien Merchant, eccellente attrice che interpretò molte delle sue opere e da cui ebbe un figlio, David. Negli anni Sessanta proprio da una relazione con un’altra donna nacque l’idea di «Tradimenti». Nel 1975 Pinter intrecciò un rapporto con Antonia Fraser, che sarebbe diventata la sua seconda moglie nel 1980, dopo un divorzio che amareggiò profondamente la prima compagna. Negli anni Novanta Pinter intensificò la scrittura militante con opere come «The New World Order», «Ashes to Ashes» e la raccolta di poesie «War», del 2003. Dopo la sorpresa del Nobel, annunciò che avrebbe abbandonato il teatro per dedicarsi appunto alla politica. Era, in effetti, molto malato.
Come la grande collezionista Peggy Guggenheim (1979), lo scrittore Louis Aragon (1982), il drammaturgo John Osborne (1994), l’attore e regista Charlie Chaplin (1977), il pittore Johan Mirò (1983) , il dadaistaTristan Tzara (1963) , il grande uomo di teatro Giorgio Strehler (1997) , il cantante James Brown (2006) è scomparso alla vigilia del Natale. Il suo agente spiega che i funerali si terranno in forma privata. (S.Bio.)

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 12:04 da IL SOLE 24ORE su HAROLD PINTER


Secondo me bisogna mettersi d’accordo su cosa si intende per teatro. Ci sono spettacoli iperpubblicizzati che riempiono le sale. Io quando vado, molto spesso, trovo il pienone.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 12:34 da Lucio


Non costruisco gerarchie tra le diverse forme artistiche. Ognuna di esse è un percorso, attraverso la creatività, che favorisce l’espansione della propria coscienza, una via che può aiutarci a riconoscere le barriere illusorie che limitano il nostro illusorio io.
Mi sembra di aver capito dalle parole di Osho (e dalla mia diretta esperienza) che il teatro – nelle molteplici trasfigurazioni compiute dall’attore, con l’interpretazione dei diversi personaggi, tramite le numerose “maschere” -, avvicini l’individuo al riconoscimento delle proprie maschere quotidiane indossate inconsapevolmente. Il teatro potrebbe aiutarci a comprendere il vuoto – inteso in senso buddista – esistente oltre la maschera.
Nella seconda metà del Novecento l’Italia ha avuto la fortuna di ospitare, per molti anni, i gruppi-comunità del Living Theatre e di Grotowski. Per entrambi i gruppi il confine tra attività teatrale e vita quotidiana era pressochè inesistente. Ed inoltre ancora oggi, proveninete dal Nord Europa, un altro importantissimo gruppo di teatranti – l’Odin Teater – percorre talvolta il territorio italiano.
Parlando sempre del Novecento, sono particolarmente attratto dal teatro di Artaud e di Strindberg, e in modo minore da Pirandello e da Brecht.
Un capitolo a parte meriterebbe il teatro di figura (burattini, marionette, pupazzi, ecc.), considerato in Italia, a causa d’una straordinaria ignoranza, genere artistico di qualità secondaria; relegato addirittura a rivolgersi a un pubblico quasi esclusivamente infantile, pur avendo il teatro di figura, tra gli italiani, dei grandissimi artisti.
Per quel che riguarda gli ultimi anni, trovo interessanti, ma non di grande importanza: Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Marco Paolini. Li sento troppo legati al teatro immobile dell’invettiva. Così come anche Dario Fo.
Mentre Paolo Poli continua ad essere, a mio parere, un grandissimo attore.
Ed infine, due uomini che sono stati tra di loro amici, due capolavori (come direbbe Carmelone): Eduardo e Carmelo Bene. Inutile aggiungere qualche parola su di loro, tranne il fatto che la morte d’un genio, la morte di Carmelo Bene cioè, avvenuta pochi anni fa, è stata quasi ignorata dalla disgraziata Italia berlusconiana.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 12:43 da Subhaga Gaetano Failla


Su IL TEMPO ho trovato un articolo interessante in tema con questo post. lo metto nel commento successivo

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 12:56 da Manuela


IL TEMPO
A colpi di spada – I giornalisti sgomitano Anche a teatro
——————-

Nei cartelloni teatrali ormai trovate, insieme ad attori, musici e ballerine anche i nomi noti del giornalismo italiano, da Travaglio ad Augias. Non c’è nemmeno più bisogno dell’attore e del testo per fare teatro d’inchiesta o politico? Anche Odifreddi e Margherita Hack sono in giro per teatri a indottrinare le folle con la loro “scienza”.

Come mai questa “invasione di palco”? Crisi del teatro che rincorre la tv in ogni modo? Crisi del giornalismo che si confonde con lo spettacolo? O puro sfrenato narcisismo?

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 12:58 da Manuela


@Subhaga:
Che bravo: bellissimo il tuo post.
Non conosco molti dei citati, ma sono d’accordo su Carmelo Bene, su Eduardo, e su Paolo Poli.
Nella mia città in questo periodo dedicano serate a Carmelo Bene, in un teatro piccolo. Ma non posso andare, perché torno molto stanca dal lavoro e incominciano alle nove di sera.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 13:04 da roberta


Cara Roberta,
sono contento del tuo apprezzamento. E mi dispiace che tu non possa seguire le serate teatrali della tua città dedicate a Carmelo Bene. Un abbraccio e tanti auguri.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 13:20 da Subhaga Gaetano Failla


Comunque a me sembra che l’allontanamento delle persone dal teatro sia avvenuto anche a causa del teatro sempre più “difficile”. Il teatro “per pochi” é per forza destinato “alla morte”.
Perché devo andare a teatro e non capirci nulla?
Oppure perché devo uscire dal teatro con un senso di ANGOSCIA indicibile?
Il teatro di avanguardia é così, mi pare. E i “responsabili” sono i drammaturghi del Novecento.
Il teatro del “passato” avvicinava a sé le “masse”. E parlava a tutti.
Anche quello non troppo popolare( penso al Wilde de IL VENTAGLIO DI LADY WINDERMERE+ L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI ERNESTO, per esempio) si può “seguire”.
Perché: se uno spettatore “normale” deve sentirsi TORTURATO dalla difficoltà del linguaggio e dall’assenza di un intreccio da seguire, poi non ci va di nuovo. Giusto?

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 13:26 da roberta


Caro Subhaga,
farò di tutto per andarci, almeno una volta.
Se scrivi ancora sul teatro, leggerò volentieri i tuoi post.
Grazie. Cari auguri anche a te.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 13:28 da roberta


Ogni espressione artistica ha una dignità non inferiore ad altre, proprio perché è una forma di comunicazione. Nel teatro, come nel cinema, a differenza di un libro, il messaggio è mediato, nel senso che il testo ha una raffigurazione che lascia meno spazio alla fantasia del fruitore, passando attraverso la scenografia, la regia e l’interpretazione, così che l’opera può riuscire diversamente a seconda dei soggetti che la rappresentano. Questa caratteristica finisce con il diventare con una limitazione perché, tanto per fare un esempio, l’Amleto della compagnia X può risultare migliore di quello della compagnia Y, così che il testo originario può anche risentirne, a differenza del romanzo.
Stranamente la crisi del teatro, perché c’è una crisi, non è stata provocata dalla televisione, ma dalla mancata programmazione televisiva di opere teatrali. Ricordo che fino agli anni ’80 le reti nazionali avevano nel palinsesto commedie e tragedie, spesso riprese in un teatro. Io ho conosciuto Eduardo in questo modo, perché altrimenti non ne avrei avuta la possibilità e questo mi ha spinto ad assistere a rappresentazioni teatrali, perché l’atmosfera che si respira in una sala, il contatto quasi possibile con l’attore sono esperienze che danno la misura di come l’arte possa essere un flusso di emozioni che dallo spettatore si trasmettono all’interprete e da questi nuovamente agli astanti, realizzando di fatto quella che è chiamata la magia del teatro.
All’epoca Mantova, la mia città, per quanto piccola fruiva di tre teatri che ospitavano nel corso dell’anno diverse rappresentazione e questo mi consentiva di spaziare dalla commedia alla tragedia, perfino a delle piacevoli vaudeville dialettali. Poi, poco a poco, il teatro è sparito dalla televisione e si è rarefatto anche dal vivo, tanto che ora è un evento sporadico, almeno a Mantova, e quindi ho perso il piacere di essere parte di quella magia.
Il teatro non è crisi, ma è tutta la cultura che ha perso per strada gli interessati e questo purtroppo è un problema di cui al momento non vedo la soluzione.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 16:40 da Renzo Montagnoli


Ciao a tutti…
Io pure ho conosciuto il teatro anche tramite la TV. Ho visto TUTTO De Filippo (Eduardo e Peppino) da piccola, e questo mi ha formata. I miei mi portavano sempre a vedere gli spettacoli in piazza, al Teatro Greco, all’Anfiteatro romano, all’Ara di Ierone. Genitori: offrite questi stimoli ai vostri figli!
Ho fatto teatro amatoriale, quando posso scovo qualche bello spettacolo e vado a vederlo…
Ma la crisi del teatro è la crisi della cultura, schiacciata da altri interessi, altri media.
Voglio però essere fiduciosa. Il tempo farà giustizia della spazzatura e magari tornerà il desiderio della parola parlata, condivisa.
Pensiamo alle serate dantesche, a Paolini… per altri versi discutibili. Però la gente non è tutta fatta di pecoroni.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 17:09 da Maria Lucia Riccioli


Ho sempre amato cinema e teatro, con il tempo il secondo ha preso il sopravvento sul primo. Chi ama il teatro non può non incontrare Pinter prima o poi e per me che sono anche anglista come formazione è stato ancora più facile. Pinter è uno di quegli autori che sanno rimanesere fedeli alla loro ispirazione profonda, la sanno coltivare con determinazione e rigore. Anche dalle sue risposte si capisce come non fosse facile imporre il suo stile. Ai suoi esordi fu messo sbrigativamente nel gruppo dei cosiddetti Angry Young men (Osborne, Wesker), con i quali aveva poco o nulla a che fare. I suoi personaggi non sono ribelli senza causa, ma figure della difficoltà del nostro tempo a comunicare senso. L’appartenenza all’arcipelago del teatro dell’assurdo non esaurisce però la sua poetica, senza contare i lavori di rgia e anche le scenggiature per il cinema, la collaborazione a pellicole come la Donna del tenente francese, o la trasposizione cinematografica da lui stesso fatta di Tradimenti (Betrayals). e molto altro ancora. Nonostante l’apparente minimalismo il suo è un teatro di parola, di cui oggi avremmo ancora più bisogno e per questo è augurabile che lo si studi anche da un punto di vista squisitamente letterario, perchè se è vero che il teatro vive sulla scena, è altrettanto vero che senza letterarietà non si va molto lontano.
Infine è stato un uomo che ha avuto il coraggio anche di rompere con i suoi riferimenti politici (il Labour), predendo posizioni di grande durezza e coerenza ed infatti non si può dire che il suo nobel fosse accompagnato in Inghilterra da grida d’entusiasmo da parte dell’establishment, specialmente politico.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 17:23 da Franco Romanò


Come al solito vi ringrazio moltissimo per i vostri commenti.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 18:27 da Massimo Maugeri


@ Roberta
Cara Roberta,
sono contento che tu abbia apprezzato questo post sul teatro.
Ho trovato quella frase/domanda di Pinter su wikiquote:
“non dimenticate che la terra ha circa cinquemila milioni di anni, come minimo. Chi può permettersi di vivere nel passato?”
Non conosco il contesto in cui Pinter l’ha pronunciata…
Mi ha colpito perché mi ha ricordato dell’importanza (importanza, secondo me… s’intende) di vivere sempre il momento presente.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 18:32 da Massimo Maugeri


Adesso vado proprio di fretta.
Ringrazio ancora e saluto tutti gli altri amici che sono intervenuti… tornerò senz’altro sull’argomento nei prossimi giorni: E’ una discussione che mi interessa molto, questa.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 18:34 da Massimo Maugeri


Per il momento vi saluto e vi auguro una buona serata.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 18:35 da Massimo Maugeri


P.s. mi hanno colpito alcuni vostri commenti sulla connessione televisione/teatro… la Tv vista non già come concorrente, ma come mancata (o ridotta) “sostenitrice” del teatro attraverso i palinsesti televisivi.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 18:36 da Massimo Maugeri


Teatro è riflessione della vita così com’è. Non ci sarebbe se la vita fosse perfetta.
Il teatro abbisogna quindi delle contrarietà, di quelle buone come ancor più delle cattive.
Ogni epoca ha quindi il suo teatro; la nostra odierna è di una società che ha perso il senso profondo della serietà. Sarebbe un’ottima situazione per il risorgere di un teatro del risveglio spirituale e culturale, forte e richiedente tutti quei valori che non sono più richiesti.
Sebbene il degrado sia già forte e presente in ogni attività umana, non ha raggiunto ancora l’apice della sua dimensione, punto nel quale il risveglio viene alimentato dal degrado stesso, come per conservarlo per il suo prossimo turno d’apparizione.
Per il momento, lo spettatore tende di più a frequentare spettacoli di divertimento perché evadono la sua realtà grigia giornaliera, e non fa caso se essi sono superficiali, banali insensati; l’importante è per lui di illudersi di svagarsi per qualche ora.
Di questo passo la cultura diventa incultura, fino al punto, dove i diritti e i doveri democratici del cittadino non sono più sentiti, richiesti e assolti.
In quest’atmosfera di negligenza civile, il sistema democratico s’indebolisce fino a mutare nel caos e finire in una dittatura, con tutte le sue conseguenze.
A parte i pochi interessati che visitano il teatro per migliorare il loro stato di cultura, gli altri lo fanno per essere presenti ed avvalersi della loro vanità di essere tra i migliori e più colti.
Una realtà irreale, presa per reale, domina la scena sociale, dove ogni suo membro sembra trovarsi a suo agio, tanto lo è ognuno, da poter far finta che non può essere diversamente.
Il risveglio, quando arriverà, sarà tragico per tutti e ognuno incolperà l’altro ma mai se stesso, affermando di non averlo voluto mai, essendogli stato imposto da un sistema dominante il tutto ed agente per sé, invece che dall’ignoranza collettiva civile.
Per fortuna che esistono ancora i teatri piccoli, paesani, quelli dove gli artisti arrossiscono e s’inceppano quando fanno un errore e il pubblico li applaude lo stesso nel riconoscere le loro premure, prive di vanità propria perché suggerite solo dalla passione di provarci.
Così come un musicista dovrebbe far musica con il suo strumento senza tener conto della presenza degli spettatori, così anche il pubblico dovrebbe ascoltare la musica senza prendere in considerazione il musicista, al quale però potrà offrire le sue acclamazioni “misurate” alla fine della sua presentazione.
In questo modo si onora maggiormente la musica, e non le persone coinvolte nello spettacolo.
Saluti.
Lorenzo

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 18:40 da lorenzerrimo


non è un caso che è difficile trovare una intervista a Pinter in italiano, o quanto meno tradotta. Almeno, io non ne ho trovate. Il teatro in Italia è teatro di Stato (lo Stabile) per intenderci, e pertanto è soprattutto teatro di intrattenimento.
per il teatro “esperienza”, Teatro Teatro, si va fuori, in Francia o in Inghilterra.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 19:12 da francesco gianino


BROADWAY A LUTTO, SI ABBASSANO LE LUCI PER PINTER
Broadway a lutto abbassa le luci in memoria di Harold Pinter. I teatri newyorchesi attenueranno l’illuminazione delle sale per un minuto alle 19 ora locale (quando in Italia sara’ mezzanotte) per ricordare la figura del grande drammaturgo britannico, morto il 24 dicembre all’eta’ di 78 anni. “Pinter e’ stato riconosciuto come uno dei piu’ importanti e imitati drammaturghi della sua generazione”, ha affermato Charlotte St.Martin, direttore esecutivo dell’Associazione dei teatri di Broadway. “Gli siamo cosi’ grati per il suo genio e per i suoi considerevoli contributi al teatro moderno”. Sono tante gli allestimenti delle commedie di Pinter andati in scena negli anni a Broadway. L’anno scorso una delle prime fatiche del premio Nobel (‘Il ritorno a casa’, 1964) e’ tornato sul palco newyorchese ha vinto tre nomination ai Tony Awards 2008.
Repubblica.it

(30 dicembre 2008)

Postato mercoledì, 31 dicembre 2008 alle 00:25 da BROADWAY A LUTTO, SI ABBASSANO LE LUCI PER PINTER


Ringrazio Lorenzo e Francesco Gianino per i nuovi commenti.
(Francesco, vediamo se riusciamo a trovere un’intervista di Pinter tradotta in italiano…)
E grazie anche all’amico segnalatore.

Postato mercoledì, 31 dicembre 2008 alle 01:05 da Massimo Maugeri


Ragazzi, sono proprio stanco. E domani è la vigilia di capodanno…
Ma a gennaio questa discussione sul teatro mi piacerebbe riprenderla con maggiore lena.
Per il momento auguro a tutti buonanotte.

Postato mercoledì, 31 dicembre 2008 alle 01:06 da Massimo Maugeri


« Il Teatro non ha categoria ma si occupa della vita. È il solo punto di partenza, l’unico veramente fondamentale. Il Teatro è la vita. »
(Peter Brook)

Postato mercoledì, 31 dicembre 2008 alle 09:08 da sandra


Ciò che ho sempre trovato di più bello, a teatro, è il lampadario. (Charles Baudelaire)

Postato mercoledì, 31 dicembre 2008 alle 09:13 da sandra


“Devo spiegare che il teatro non mi piace: è una sorta di compravendita d’anime umane al minuto, a piccole dosi per volta; mette in mostra un gioco di sentimenti falsi concepiti senza ingegnosità, oppure si beffa di uomini che sembrano ridicoli solo perché vivono con un’anima semplice per il piacere degli altri”. (Maksim Gorkij)

Postato mercoledì, 31 dicembre 2008 alle 09:14 da sandra


“Non sarà sembrato che dicessi che il teatro è finito, vero? Ci sono dei grandi artisti che continuano a lavorarci, ma non è più collegato alla centrale elettrica principale. Il teatro resiste come un divino anacronismo; come l’opera lirica e il balletto classico. Un’arte che è rappresentazione più che creazione, una fonte di gioia e di meraviglia, ma non una cosa del presente”. (Orson Welles)

Postato mercoledì, 31 dicembre 2008 alle 09:15 da sandra


“Un bravo attore non fa mai la sua entrata prima che il teatro sia pieno”. (Jorge Luis Borges)

Postato mercoledì, 31 dicembre 2008 alle 09:16 da sandra


“Viva il teatro, dove tutto è finto e niente è falso”. (Gigi Proietti)

Postato mercoledì, 31 dicembre 2008 alle 09:16 da sandra


grazie per lo splendido post. spero di non avervi annoiato con le mie citazioni.
auguri di buon anno!

Postato mercoledì, 31 dicembre 2008 alle 09:17 da sandra


SUL RAPPORTO TRA TEATRO E TELEVISIONE
Negli anni ‘50 e ‘60, quando la Rai prefiggeva compiti pedagogici alla programmazione televisiva, il teatro di prosa occupava uno spazio rilevante nei palinsesti, con un appuntamento fisso settimanale, raddoppiato, poi, quando venne irradiato anche il secondo canale.

All’epoca le trasmissioni erano rigidamente in diretta, per cui il linguaggio di tali “teleteatri” era molto simile a quello del teatro tradizionale. In genere, però erano realizzati in studi televisivi e solo eccezionalmente riguardavano riprese di spettacoli teatrali dal vivo della scena.

Nel repertorio largo spazio era riservato a testi stranieri. Per quello che riguardava la produzione italiana un interessante filone fu quello del teatro “dialettale” come Eduardo De Filippo e Gilberto Govi.

Tra gli autori si spaziava da Aristofane ad Alfieri, Shakespeare, Schiller, Čechov, Goethe, Ibsen, Pirandello.

Con il sopravvento della teleregistrazione cambiò anche il genere, con il sorgere dello sceneggiato televisivo, la fiction e il definitivo allontanamento del linguaggio televisivo e quello teatrale.

Negli anni d’oro il mezzo televisivo contribuì grandemente alla conoscenza nel grande pubblico di autori, opere, registi, attori. In genere l’accoglienza fu entusiastica. Una operazione eccessivamente “intellettuale” fu nel 1959 il “Dyskolos” di Menandro (l’unica sua commedia pervenutaci pressoché intera) che suscitò una indignata serie di lettere di protesta per l’intreccio giudicato puerile.

Postato mercoledì, 31 dicembre 2008 alle 09:28 da Alberto Frengi


Il teatro è un’arte e come tale non vedo perchè dovrebbe avere minor dignità rispetto a poesia e letteratura. Basti pensare a Shakespeare. Oppure più recentemente a Pirandello o a Beckett.
La perdita di Pinter è la perdita di uno degli ultimi grandi autori, e questo mi rattrista. Oggi mi pare che ben poco di interessante e nuovo sia di grande levatura. Il teatro continua a vivere soprattutto di reinterpretazione dei classici (anche De Filippo è già un classico), guai se così non fosse, ma certo manca la nuova linfa vitale, mancano nuovi autori in grado di risvegliare l’interesse: si fa teatro troppo tradizionale (e si riempiono le sale) o troppo sperimentale (e non lo vedono che i soliti quattro gatti, molto spesso con buona ragione di chi lo evita a salvaguardia dell’integrità dei propri testicoli).
Nella scena odierna Paolini mi piace molto, ed è stato capace di trovare un buon compromesso tra impegno e popolarità (anche grazie alla TV), ma il suo teatro è anche piuttosto atipico: molto narrato e molto monologante. Una strada che seguono in diversi. Ma il teatro ha bisogno anche di dialoghi e di interpreti diversi a rappresentarli. E quindi anche di altre strade da rinverdire per rivitalizzarlo.
Non si vive infatti di solo passato (se questo era il senso della frase di Pinter), semplicemente perchè noi non siamo nel passato. La nostra vita è altrove.
Lasciamo il passato (e le passate) solo a chi non ha denti per masticare il presente.

Postato mercoledì, 31 dicembre 2008 alle 12:11 da Carlo S.


Cari amici, grazie per i vostri nuovi interventi.
Riprenderò a commentare con voi, in questo post… l’anno prossimo.
Auguri!

Postato mercoledì, 31 dicembre 2008 alle 18:07 da Massimo Maugeri


Commenti interessanti… citazioni bellissime!!!
AUGURISSIMI A TUTTI!!!

Postato mercoledì, 31 dicembre 2008 alle 22:26 da Maria Lucia Riccioli


Buon anno a tutti!
Conosco poco Pinter e non ne posso parlare.

Sono stata un’abbonata a diversi teatri romani, per quegli anni in cui si leggono e si imparano i classici – e per cui mi sono vista i vari moliere, i vari pirandello e shakespeare. Ogni tanto qualche graziosa commedia inglese – per strafare le regie di Luca Ronconi. Questa è la situazione del teatro in Italia: cioè la situazione della cultura in Italia – come in architettura e come in altri contesti – la morte della sperimentazione e la gloria della stantia ricelebrazione delle cose già scritte. Ogni tanto delle luminose eccezioni: Carlo S. cita Paolini, io amo la Pecora Nera, e i ricordi di uno scemo di guerra, di Ascanio Celestini. E mi sembra necessario citare la Societas Raffaello Sanzio.
Ma poi è la morte civile.
Questo è in Italia però – come esci di qui l’attività off, la scrittura di testi nuovi la sperimetazione insomma c’è vita – ovvero imprenditoria culturale.
Concetto in Italia sconosciuto: non si scommette sulla creazione perchè non si sa correre il rischio di impresa.
E giù berretti a sonagli.

Postato giovedì, 1 gennaio 2009 alle 14:01 da zauberei


BUON ANNO, Massimo!
Irnerio

Postato giovedì, 1 gennaio 2009 alle 19:50 da Irnerio


Grazie mille, Irnerio.
Buon anno a te, a Zauberei, a Maria Lucia, a Carlo e a tutti.
In particolare a tutti gli amanti del teatro…

Postato giovedì, 1 gennaio 2009 alle 19:57 da Massimo Maugeri


Mi approprio ”indebitamente” di quanto detto a chiare note da Roberta e lo ricopio per divulgarlo qui sotto. Brava Roberta. Aggiungerei solo una cosetta, che mettero’ sotto alla tua citazione.
-
”Comunque a me sembra che l’allontanamento delle persone dal teatro sia avvenuto anche a causa del teatro sempre più “difficile”. Il teatro “per pochi” é per forza destinato “alla morte”.
Perché devo andare a teatro e non capirci nulla?
Oppure perché devo uscire dal teatro con un senso di ANGOSCIA indicibile?
Il teatro di avanguardia é così, mi pare. E i “responsabili” sono i drammaturghi del Novecento.
Il teatro del “passato” avvicinava a sé le “masse”. E parlava a tutti.
Anche quello non troppo popolare( penso al Wilde de IL VENTAGLIO DI LADY WINDERMERE+ L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI ERNESTO, per esempio) si può “seguire”.
Perché: se uno spettatore “normale” deve sentirsi TORTURATO dalla difficoltà del linguaggio e dall’assenza di un intreccio da seguire, poi non ci va di nuovo. Giusto?”
-
Ed ora la mia giunta:
la tradizione teatrale italiana – ricchissima, dicono tutti nel mondo – ha tutt’ora da esprimere sul palcoscenico tanto piu’ di quel che pensiamo, e l’angoscia, priva di fantasia e di genialita’, dei miei contemporanei la lascio alle ortiche della Storia, che le pungeranno il… sederino! Meglio un classico ben fatto ed interpretato che una novita’ sterile e dissanguata come la vita reale italiana.
Sergio

Postato giovedì, 1 gennaio 2009 alle 21:17 da Anonimo


Anonimo sono io, Sergio Sozi. Pardon.

Postato giovedì, 1 gennaio 2009 alle 21:19 da Sergio Sozi


Post Scriptum
Cio’ non toglie che ci siano tutt’ora dei registi e drammaturghi interessanti e geniali. E cio’ non toglie che per fortuna oggi NON TUTTI I GIOVANI artisti siano ”avanguardisti”. Il ”nuovo a tutti i costi”, se non ha niente da raccontare, serve ad aggiungere uno zero tondo.

Postato giovedì, 1 gennaio 2009 alle 21:22 da Sergio Sozi


Mah io ci sono passata a lungo dalla fase di Roberta, ma nell’ambito della pittura. Come se l’arte avesse il dovere di masticarmi la pappa e sedurmi, produrre delle cose che mi piacciano e mi edifichino. E anche quello che io traducevo come angoscia e morte era – non sempre ma non raramente – la mia traduzione dovuta a un misto di aroganza intellettuale e pigrizia che mi impedivano di relazionarmi seriamente all’opera magari informandomi e prendendo notizie con serietà e umiltà.
Poi una volta sono andata a una mostra – e ho passato le prime due ore a leggere i cataloghi a disposizione del pubblico. Ecco cambiò il mio modo di relazionarmi all’arte – in genere.
E a Sergio dico – in un paese che ha una solida tradizione culturale e le risorse SIA per proteggerla SIA per farla fiorire, non dovrebbero esserci aut aut e scelte tra letture di classici e nuove prospettive sperimentali. Nei paesi dove la cultura è protetta e si fa sul serio si finanziano entrambe.

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 11:53 da zauberei


Ciao, Zauberei, Buon Anno! Ti vorrei rispondere su quanto scrittomi, cioe’ questo: ”E a Sergio dico – in un paese che ha una solida tradizione culturale e le risorse SIA per proteggerla SIA per farla fiorire, non dovrebbero esserci aut aut e scelte tra letture di classici e nuove prospettive sperimentali. Nei paesi dove la cultura è protetta e si fa sul serio si finanziano entrambe.”
-
Be’, bisogna che lo Stato selezioni e scinda fra cio’ che va finanziato e cio’ che non vale niente (e dunque se lo paghino i produttori). Il problema sta tutto qui, appunto: i politici sono incompetenti in fatto di arte, quindi spesso finanziano cose scadenti e rifiutano prodotti d’alto livello.
-
Per quanto riguarda Roberta, sono d’accordo con lei e non con te – succede spesso, solita routine, Zau.
Credo infatti che Roberta desideri legittimamente avere dell’arte degna di questo nome, non la solita roba di ”avanguardia” che, spesso, oltre ad essere pure vecchia e gia’ sentita da decenni in Europa, non propone altro che angosce e masturbazioni mentali ormai sorpassate e volte a coprire con degli pseudoconcettualismi vuoti e banali le scritture povere, grigie e autoreferenziali di drammaturghi inesperti o scadenti. Di Carmelo Bene ce n’era uno, di Ronconi anche. Di imitatori e succedanei troppi ed inutili al teatro italiano.
Infatti i giovani vanno a vedere i classici e gli attori navigati e bravi, che interpretano Goldoni o Eschilo in maniera fedele, non gli sbarbatelli o i vecchi alcolizzati depressi che ancora stanno a piangere sulla fine del comunismo e a rompere le saccocce a tutti con l’esistenzialismo, le problematiche pseudopoliticheggianti et similia. Se li guardassero loro, gli animali sgozzati sul palco e le Medee vestite come sadomasochisti niuiorchesi.
Ciaociao
Sergio

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 14:21 da Sergio Sozi


P.S.
Ma la festa dura ancora poco, per ’sti ex sessantottini (molti finanziati dallo Stato, mi pare): la loro generazione casinista e disillusa invecchia e lentamente si estinguera’ come natura vuole. I nuovi drammaturghi capiranno i classici e li rispetteranno.

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 14:25 da Sergio Sozi


@Sergio Sozi: ho assistito, in passato, a teatro sperimentale, per lo più incomprensibile perfino agli stessi attori. L’arte, come il genere umano, registra sempre una lente evoluzione. Non dico di no al teatro moderno, ma questo non deve essere solo una rottura con il passato, che non possiamo negare, a patto di perdere un’identità culturale costituita da contributi di millenni. Il presente si costruisce sul passato, senza distruggerlo, perchè è come se togliessimo le fondamenta alla nostra società. E invece vediamo ogni giorno i danni di questa pseudo innovazione culturale, che assolutamente non è cultura, ma disordine, perfino mentale.
Dice bene Roberta quando parla di difficoltà di comprensione, ma le assicuro che è difficile capire testi di cui perfino gli autori ignorano il significato.
Non dico che dobbiamo vedere solo Moliere o Pirandello, ma che gli autori seguano un percorso che è in funzione dell’evoluzione dell’umanità e quindi anche del pubblico. Monologhi lunghissimi senza senso non sono più teatro, ma esibizionismo incolto.
Del resto non solo il teatro ha questi problemi, ma anche la pittura e ovviamente la narrativa e la poesia.
Per quest’ultima ricordo che l’armonia deve essere basilare, perchè altrimenti diventa una brevissima prosa; eppure, non pochi poeti, anche famosi e osannati, scrivono in questo modo pezzi che a chiamarli poesie si commette tranquillamente un’eresia.

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 14:52 da Renzo Montagnoli


Ma lo sapete che quando Ionesco fu rappresentato una delle prime volte metà del pubblico si alzò e se ne andò?
E confesso inoltre, che di mio lo farei anche adesso. Quanto il gusto individuale e il momento storico hanno il diritto di sancire la rappresentabilità di un testo? Ce lo hanno enorme – come dimostra lo stato stantio della cultura italiana – ma dimostra lo stato stantio del momento storico di cui si parla. Non so se mi interessa avere dei politici competenti in materia di arte – certo che Bruno Vespa nel cda del teatro dell’Opera fa piangere – ma vorrei un regno delle possibilità espressive.
Sergio buon anno:)

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 18:24 da zauberei


Che rapporti avete con il teatro? -Nessuno
Lo amate? -Non particolarmente
Lo detestate? -No
Vi lascia indifferenti? -Abbastanza
Il teatro vi sembra in crisi? Qual è la vostra percezione? -La mia percezione è che ormai si tratti di superflua coazione a ripetere, meglio il cinema.

Chi, tra voi, va abitualmente a teatro? -Io mai.

rex ex-ex

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 18:45 da rex


Ritenete che il teatro abbia dignità uguale, inferiore o superiore alla narrativa e alla poesia?
-
Decisamente inferiore a entrambe, ormai. Il teatro andava bene fino all’invenzione del cinema, ma continuare a fare teatro ai nostri giorni è come voler usare il velocipede al posto dell’automobile. A me il teatro oggi pare una inutile “moda culturale”.
rex

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 18:53 da rex


non dimenticate che la terra ha circa cinquemila milioni di anni, come minimo. Chi può permettersi di vivere nel passato?”
Già! Chi può permettersi di vivere nel passato? Che ne dite?
-
Boh! L’universo ne ha quindicimila di milioni di anni, no? Che c’entra. L’uomo entra in età storica da appena seimila anni… che vuoi che sia. Quale passato?
ma se siamo appena venuti fuori…
rex
Auguri a tutti e a Massimo in particolare

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 19:02 da rex


Come al solito mi trovo in sintonia col caro Renzo Montagnoli, pertanto lo ricopio qui sotto:
”Dice bene Roberta quando parla di difficoltà di comprensione, ma le assicuro che è difficile capire testi di cui perfino gli autori ignorano il significato.
Non dico che dobbiamo vedere solo Moliere o Pirandello, ma che gli autori seguano un percorso che è in funzione dell’evoluzione dell’umanità e quindi anche del pubblico. Monologhi lunghissimi senza senso non sono più teatro, ma esibizionismo incolto.
Del resto non solo il teatro ha questi problemi, ma anche la pittura e ovviamente la narrativa e la poesia.
Per quest’ultima ricordo che l’armonia deve essere basilare, perchè altrimenti diventa una brevissima prosa; eppure, non pochi poeti, anche famosi e osannati, scrivono in questo modo pezzi che a chiamarli poesie si commette tranquillamente un’eresia.”
-
Mi interessano, Renzo, soprattutto il destino della poesia, della narrativa e del teatro vero, ossia il teatro ”di parola”, com’e’ uso dire. Del cinema mi interessa ben poco, invece: montagne di quattrini spesso buttati per costosissime opere delle quali tre su quattro fanno pena. Allora meglio il teatro, che almeno costa poco e se fa schifo pazienza.
La poesia, pero’, effettivamente oggi non esiste piu’: non esiste il verso, ne’ il ritmo, ne’ la tecnica versificatoria. La poesia italiana di oggi non vale niente, eccetto eccezioni. Rarissime.

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 20:08 da Sergio Sozi


Zau, scusa, ma tu hai detto prima che i finanziamenti dovrebbero esser dati anche al teatro non classico, giusto? Allora non capisco perche’, poi, dici ”Non so se mi interessa avere dei politici competenti in materia di arte – certo che Bruno Vespa nel cda del teatro dell’Opera fa piangere – ma vorrei un regno delle possibilità espressive.”
Se non sono i politici a decidere i finanziamenti all’arte chi, allora? Non sono forse gli Assessori e i Ministri della Cultura a decidere, seppur con consulenti specifici, a chi vanno i soldi pubblici?
Ti deve interessare si’, invece, se i politici hanno o meno cultura artistica e letteraria, altro che!

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 20:19 da Sergio Sozi


Carlo S., ciao, Tanti Auguri anche a te, prima di tutto.
Poi, tu dici: ”Lasciamo il passato (e le passate) solo a chi non ha denti per masticare il presente.”
Be’… se il presente e’ fatto di persone che capiscono il passato sono d’accordo con te. Altrimenti sono orgoglioso di non avere denti e di nutrirmi solo del passato.

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 20:34 da Sergio Sozi


Si Sergio hai ragione – non sono stata chiara e temevodi fare un commento troppo lungo.
Certo che servono responsabili competenti, e infatti Bruno Vespa al teatro dell’Opera è un incubo – ma sarebbe bene, a mio giudizio, avere tanti responsabili competenti le cui competenze siano affiliate a diverse formazioni – perchè la competenza è sempre intrisa di storia, e di percorsi – a cui il potere deve delagare le scelte, ma in rispetto di una pluralità. Quando il potere politico si arroga il diritto di poter avere tout court competenze estetiche – c’è sempre puzza di totalitarismo di regime e di pericolose organizzazioni in termini di stato etico.
A questo pensavo, quando dicevo che non voglio dei politici che si occupino di arte – ma voglio una democrazia, in cui i politici garantiscano l’espressione dell’arte. E se proprio devo trovare dei vantaggi nel capitalismo – che ogni tanto si farebbe anche una certa fatica – trovo che uno di quei vantaggi dovrebbe essere la libera rappresentazione e realizzazione delle possibilità espressive.
Certo quando funziona per davvero – e non mi pare il caso italiano.

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 20:40 da zauberei


Sergio, ma dove sono mai queste persone che capiscono il passato ?

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 21:31 da eventounico


Brava Zauberei.
Mi associo al tuo discorso e a quelli contro il teatro barbiturico, contro lo star system che riguarda i media in genere…
Non oso parlare di Harold Pinter, non lo conosco ma mi piace il teatro sperimentale, ha coraggio su tematiche profonde, nonostante le loggie ed il sistema, ho visto sul palcoscenico ottimi attori che sapevano fare il loro mestiere e buone regie, ingredienti fondamentali per quello che si vuol trasmettere ad un pubblico attento a cui viene catalizzata l’attenzione.
Sono i contenuti quelli che contano e che fanno riflettere: un biglietto ben speso è proprio questo, sentirsi appagati da quel che si è visto e sentito.
Ma oggi ad attirare il pubblico sono i nomi famosi, una sorta di macchina che punta al successo con esche ormai scontate, attori, attrici, tutti un pò eccessivamente iconizzati, la gente si sente personalmente coinvolta se prima di vedere il film racconta a chi è sedutto al suo fianco di quel piccante gossip letto dal parucchiere o, ancor peggio, sulle pagine dei quotidiani……………………………….e questo piace a tutti, insomma procedendo su un ragionamento di causa effetto, l’artista esibizionista è l’artefice di un certo voyerismo di massa, Dorian Gray ovunque, bene o male che importa l’importante è che se ne parli, il narcisismo imperante è oltremodo pericoloso poichè viviamo in una società che scimmiotta qualsiai cosa la eccita e nella quale vede uno specchio per la sua immagine.
Una società che vuole il superlativo, fu proprio questo il successo di Superman e di tutto ciò che ruotò intorno a lui, dei superoi, di wonderwoman, della supermacchina, di giorno anonimi e occhialuti cittadini dai normalissimi lavori e la notte la trasformazione, in volo nell’iperspazio con tanto di mantellina rossa, genitali super, le stelline sugli stivali, e un torace bello gonfio con una S che sta per scoppiare… fosse scoppiato davvero!!!!!
BUON ANNO A TUTTI
UN BACIONE
ROSSELLA

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 21:46 da Rossella


un grande augurio particolare a tutti quelli con i quali è stato davvero profiquo lo scambio nel 2008, Miriam, Massimo, Zaub, Lucia Arsì, Didò, l’amico Luca Gallina, Lorenzerrimo, Carlo S., in molti mi hanno fatto riflettere su argomenti che da sola non avrei mai potuto affrontare in maniera vitale e culturale.
Baci.
Scegliete voi il colore
Rossella

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 21:53 da Rossella


Sergio come potevo dimenticarti?
Buon anno
Rossela

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 21:56 da Rossella


Grazie altrettanto, carissima Rossella, bentrovata nel Duemilanove!
-
Zau. Ah, adesso ci siamo capiti. E concordo perfettamente.

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 22:03 da Sergio Sozi


Auguri, caro Pasquale!
Ti rispondo:
gente che capisce il passato ce n’e’. Poca ma bisogna scovarla e aiutarla ad affermarsi nelle proprie competenze. Per restare in tema di teatro: Proietti, Bene, Poli, Ronconi, Borbone… solo qualche nome… ed anche gente sulla quarantina, mica solo ultraottantenni… E’ questione di cultura e soprattutto di sensibilita’.

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 22:09 da Sergio Sozi


@Sergio: ma com’è il teatro in Slovenia? Già che ci sono buon 2009.

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 22:09 da Renzo Montagnoli


P.S.
In ogni caso io mi nutro di passato e di qualche ”porzioncina” di presente, perche’ penso che oggi di veri artisti in giro ce ne siano pochi. O almeno poca e’ la gente paragonabile ai De Filippo, Pirandello, Shakespeare, Goldoni, Moliere eccetera che sono esistiti fino alla prima meta’ del Novecento.
Questa non e’ un’era di creativita’, ormai mi sembra lapalissiano.

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 22:13 da Sergio Sozi


Altrettanto, Renzo caro. Io a teatro oggi vado pochissimo, purtroppo, perche’ preferisco leggere e scrivere – e’ il mio mestiere dopotutto. Pero’ il buon teatro c’e', qui, ne sono certo: la scuola teatrale ha buoni drammaturghi, registi teatrali ed attori da sempre. L’area centroeuropea, si sa, e’ molto ”filodrammatica”!
Ciaociao
S.

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 22:15 da Sergio Sozi


@Sergio: la crisi è un po’ mondiale, ma noi italiani siamo sempre in testa alle classifiche (quelle negative).

Postato venerdì, 2 gennaio 2009 alle 22:27 da Renzo Montagnoli


Ringrazio tutti per i nuovi commenti.

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 00:51 da Massimo Maugeri


Nella storia della letteratura rimangono solo in pochi (sia in narrativa, sia in poesia, sia in teatro).
Mi piace pensare che il numero degli autori di teatro del primo secolo del nuovo millennio che entreranno nei libri di storia della letteratura non sarà inferiore a quello dei secoli precedenti.
Sano ottimismo o pia illusione?

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 00:55 da Massimo Maugeri


Quel che si lamenta generalmente oggi in Italia è l’ulteriore drastica diminuzione dei fondi a favore della cultura, e del teatro in particolare.
Vi è comunque un pullulare di piccole iniziative, e il tipo di difesa che si attua per tenere in vita l’attività scenica è spesso quello di collegarsi in reti e consorzi provinciali e regionali.
Mi sembra che la forma del monologo sia molto diffusa, e mi chiedo se ciò non sia legato anche a motivi economici (minore necessità di allestimento scenico, divisione degli incassi tra un solo attore, pochissimi tecnici e un paio di organizzatori).
Talvolta si respinge un’opera definendola incomprensibile, noiosa e cerebrale forse a causa di equivoci che scaturiscono da un contatto frammentario che l’Italia contemporanea ha avuto con il teatro. Nelle opere dei maestri che hanno preceduto e inevitabilmente influenzato Pinter (Beckett, Genet e Ionesco) vi sono testi bellissimi e appassionanti. Uno degli spettacoli, da me visto a teatro molti anni fa, che maggiormente mi ha incantato, è stato “Il re muore” di Ionesco, nell’eccelsa interpretazione di Flavio Bucci.
L’Italia, pur avendo una preziosa tradizione recente che attinge alla Commedia dell’Arte (vedi per esempio Totò), ha relegato, come già dicevo, il teatro di figura (burattini, pupazzi, ecc.) – il quale, proveniente da origini remotissime, fa riferimento, in epoca moderna, proprio alla Commedia dell’Arte – nell’ambito dei sottoprodotti culturali. Sarebbe interessante approfondire in tal senso l’opera teatrale di Garcia Lorca che utilizzava sia l’attore sia la “figura”, in azioni sceniche in cui talvolta erano presenti contemporaneamente entrambi i personaggi.
Nel mio precedente commento di qualche giorno fa avevo dimenticato di citare uno dei grandi attori che a mio parere rende vivo e vitale il teatro italiano odierno: Daniele Luttazzi.

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 09:42 da Subhaga Gaetano Failla


Come ho già espresso nell’altra mia, il teatro è il riflesso della vita umana, che viene riportata con tutte le sue sfaccettature, ad incominciare con la tragicità, l’ipocrisia, la falsità, la santità, la benevolenza, la malevolenza, il tradimento, la fedeltà ecc.
Lo spettatore vuole in principio divertirsi, e il regista lo fa al meglio presentando la sua trama dietro una facciata buffa, comica, o in forma di satira, soprattutto quando svela il malcostume della classe politica.
Teatro è vita e quindi rispecchio dello stato morale, etico e culturale della società.
Nel corso della storia sono apparse diverse forme di esercitazione teatrale, a incominciare da quella classica che, a mio parere, riporta ottimamente il senso della trama verso lo spettatore, obbligandolo poi a riflettere sullo stato della sua esistenza che, illuminata dalla trama trasmessa, può indurlo a mutarla per il suo meglio.
In questa forma, il teatro assolve i suoi compiti di essere uno strumento istruttivo e formativo dell’individuo e infine della società intera, e difende la sua indispensabilità.
Purtroppo, anche il teatro soffre oggi del degrado della società, assumendo anch’esso forme organizzative e di strutturazione che lo rendono fermo e chiuso, come auto-referenze, raccomandazioni di persone non idonee attraverso l’influsso della classe politica ed economica.
Non è più teatro, ma una continua auto-celebrazione, fino ad estinguersi.
I movimenti del 68 e anche di dopo non hanno risolto i problemi sociali che li avevano fatti sorgere, perché erano privi di una valida e migliore alternativa concettuale, oltre che della necessaria esperienza pratica.
Mi sembra che oggi domini un vuoto identificatore culturale, superabile solo con l’impegno serio ed attivo di personaggi carismatici, cioè capaci di trasmettere al pubblico aspettante nuove idee, basate su valori sani che diano alla vita un senso vivo e rigeneratore.
Il rinnovamento può essere sollecitato solo dalla classe culturale, quando, nel suo ruolo di suo migliore rappresentante, sia diventata cosciente dei suoi veri compiti educatori.
Sebbene la forma classica sia la mia preferita, non si può negare alle altre forme il loro diritto di presentare un teatro buono ed utile, quando rispetti i suoi doveri sopra accennati.
Viviamo oggi in una società materialmente sazia, ma spiritualmente povera, a causa dell’influsso della politica e di questa dell’economia.
L’allargamento dell’istruzione ha incrementato la competitività a scapito della qualità, con il risultato del sorgere di tantissime produzioni, facilmente denominate opere d’arte e come tali intensamente commercializzate, nelle quali domina il senso dell’individualità creativa, a scapito di una tematica collettiva, necessaria a ritrovare un’unione di base, nella quale poter risorgere culturalmente e civilmente.
Le crisi del teatro vengono e passano, così come la società riesce a risollevarsi dalla letargia del consumo, diventato vizio, cioè sempre più richiedente più sazio è, e ricercante di nuovo le sue forze rigenerative, onde ritrovarsi sul percorso della sua elevazione evolutiva.
Saluti.
Lorenzo

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 11:41 da lorenzerrimo


@ Sergio
Caro Sergio,
come sempre hai saputo re-interpretare il mio pensiero e ri-scriverlo in forma geniale: “le Medee vestite come sadomasochiste niuiorchesi” é STREPITOSO.
Anch’io preferisco “non avere denti”, se averli significa masticare questo presente. Che così poco mi piace.
Anche quello che scrive Renzo é verissimo, secondo me, quando parla di “esibizionismo incolto”.
Sia per la poesia che per la prosa e per il teatro, ci vuole una solida preparazione. E forse bisognerebbe ri-leggere il passato con “occhi nuovi”, così come faceva la Yourcenar( che ha scritto MEMORIE DI ADRIANO E L’OPERA AL NERO) e però conosceva e traduceva i Lirici Greci. E la sua prosa non é improvvisata, ma é talmente “poetica” proprio perché si é “abbeverata” là, nei “luoghi giusti”.
Quando studiavo letteratura tedesca ci avevano fatto leggere un testo teatrale di un commediografo( del periodo della Repubblica di Weimar) che si chiamava Von Horvath: aveva scritto “FIGARO DIVORZIA”, ri-leggendo Beaumarchais perché voleva “avvertire” i tedeschi dell’arrivo del Nazismo. Era stato censurato, ovviamente. Il nostro prof. lo adorava e anche noi, leggendolo con lui. Ma quanto era bravo..

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 16:18 da roberta


Ps: Nel XVII° secolo in Francia una “perenne” e celebre “Querelle”: quella tra LES ANCIENS ET LES MODERNES. Io ho sempre preferito LES ANCIENS, per “forma mentale”, credo.
Certo: é anche vero che l’anno scorso ho visto a teatro un’edizione di “LES FEMMES SAVANTES”( tradotto con LE DONNE INTELLIGENTI, credo) di Molière e stavo “uccidendo” l’amica che mi stava a fianco: una recitazione abominevole, con attrici che URLAVANO sempre e pestavano i piedi sul palcoscenico. Aiuto: un orrore. Non vedevo l’ora di uscire. L’amica mi chiedeva: “Cos’hai?”- “Nulla”-le rispondevo- “Non ce la faccio più con questo schifo”.
Ho ritentato l’anno scorso con LA TEMPESTA e sembrava anche lì che mi stessero “scorticando”: Prospero urlava e anche Ariele( che era una specie di “doppio” personaggio) lanciava queste “gridoline” stridule.. Insomma io avevo detto a due amici: ” Venite a vedere Shakespeare? Non c’é nulla di più bello”. Loro non conoscevano LA TEMPESTA, però ogni tanto incrociavo i loro occhi pieni di “interrogativi”( come a dire: “Ma questo é Shakespeare?”). Sì, ma vedevano i miei “infuriati”, ancora una volta.
Che dire? Per i teatro sono necessari anche e soprattutto bravi attori.
Io non vado molto a teatro, ma l’unica attrice che mi ha dato “i brividi” é stata Lucia Poli( recitava Wilde). Lei sì che é proprio brava. Altri bravi non ho la possibilità di vederli, forse.

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 16:34 da roberta


Ps: mi sono accorta di aver fatto un uso improprio delle parentesi, prima.
“che ha scritto LE MEMORIE DI ADRIANO+L’OPERA AL NERO” non andava tra parentesi..

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 16:38 da roberta


@rex.
Vorrei dire a Rex( che scrive: “Il teatro andava bene fino all’invenzione del cinema”) che i grandi registi del cinema non hanno mai fatto a meno del teatro. Mi viene in mente un esempio:
In FANNY E ALEXANDER Ingmar Bergman fa giocare Alexander con il “teatrino”( la LANTERNA MAGICA..) e il padre dei due ragazzi é un ATTORE di teatro; quando muore lui, la sua famigliola cade nella tristezza infinita.. E il cinema di Bergman é “pieno” di citazioni dal teatro (Strindberg, Shakespeare, Mozart).
Penso anche al Truffaut dell’ ULTIMO MéTRO.
Chissà quanti altri esempi potranno venire in mente ad altri.
Sono due arti complementari, non sono contrapposte.

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 17:02 da roberta


Grazie mille per i nuovi commenti, cari amici.
Sono lieto che il dibattito sul teatro continui…

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 17:23 da Massimo Maugeri


Cara Roberta, mi pare evidente che se il teatro è agonizzante è inutile sforzarsi di tenerlo artificialmente in vita. Vuol dire che non incontra più l’interesse della gente (tranne l’esigua minoranza di acculturati, o che ritengono di essere tali, e che però lasciano il tempo che trovano), perché è superato, dal cinema e dalla televisione. Questo è il “teatro” del nostro tempo, come la luce elettrica è l’illuminazione del nostro tempo: il tuo discorso a me suona così, più o meno:- caro rex, sappi che prima delle lampadine andavamo a candele di cera, e chi ha inventato le lampadine ne era perfettamente consapevole.
Grazie, cara Roberta. Solo che io preferisco le lampadine alle candele, che oggi possono servire solo a illuminare qualche cena romantica. Ciao

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 18:05 da rex


Cioè: noi potremmo anche considerare “complementare e non contrapposto” l’utilizzo delle candele di cera e quello della luce elettrica. E se qualcuno preferisce le candele, per me va bene. L’importante è che poi non si scandalizzi per il fatto che io e la maggioranza delle persone ci serviamo solo di lampadine. Cioè, il “matto”:-)) … è quello che va a candele, mica io e la maggioranza che non ne vogliamo sapere e preferiamo le lampadine

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 18:15 da rex


@Caro Rex,
la tua opinione é rispettabilissima. E un pò c’hai pure ragione..
Ma ci sono persone che affondano sul “passato” le radici del proprio pensiero o della loro “visione del mondo”. Io sono così. Non che non sappia adattarmi al presente e alle sue “lampadine”( anzi: ringrazio il cielo perché é stato inventato il computer..”) però trovo nella mia epoca troppe cose che solo a pensarci mi “distruggono” dentro e quindi me ne allontano come posso. Praticamente “me ne vado in un altro luogo”.
Per farti un esempio: in nome del progresso, si distrugge il pianeta. Tutto dev’essere assoggettato alle esigenze degli umani. Questo a me non piace. Forse mi dirai che ho troppo “il mito del buon selvaggio”…
E’ probabile. Però ognuno é anche il frutto di ciò che “mangia” o che beve sin da piccolo, nel senso: mia madre mi ha messo in mano ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE quando avevo 4 anni e quindi io da lì ho cominciato a “nutrirmi” in questo modo.. e ad “abbeverarmi” a quelle fonti. E di anni ne sono passati 40, da allora.
Non sono una “romantica pseudo-nostalgica” e neppure una “acculturata o che si crede tale”( però hai ragione quando scrivi che molte persone che vanno a teatro credono che sia stato “scritto” per loro, che sarebbero i veri “intenditori”, nella loro mente – invece non é così). Ho una grande passione per il teatro. Purtroppo lo leggo e basta, o lo vedo spesso recitato male..( o a me SEMBRA recitato male).
Mi piace moltissimo anche il cinema( quello che piace a me, ovviamente- te l’ho citato prima..).
Credo che comunque il teatro non debba morire e che sia giusto che qualcuno ne parli se muore un “grande” del teatro, com’era Harold Pinter( di cui mi dispiace non ho potuto dire nulla, ma mi fido dell’opinione di chi lo conosce).

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 20:13 da Anonimo


Scusa: ero io. Non é un anonimo.
Approfitto per aggiungere: che prendo così tanto ” a cuore” l’argomento perché mi é stato spesso detto che ho molta “vis comica” ( chissà se é vero..)e fatto sta che invece mi hanno mandato al liceo scientifico, quand’ero piccola. Così, mi é sempre rimasto il rimpianto di non aver potuto “calcare le scene”…
Ciao

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 20:18 da roberta


Ottima la ”difesa d’ufficio” della Commedia dell’Arte da parte di Gaetano, il quale ci fa notare come tale forma popolare – o popolaneggiante – di rappresentazione teatrale, oggi sia stata confinata nelle ingiuste regioni dei ‘’sottoprodotti culturali”. Sottoprodotto un corno. Il teatro di figura e’ una forma artistica di prima scelta. Bravo, Gaetano!
-
Roberta: non disperare per il ”povero” Shakespeare: solo i mostri sacri possono essere dissacrati dagli urlatori di oggi (gente senza voce e priva di corretta dizione che se non prende gli psicofarmaci per farsi sentire dalla platea non arriva neanche al golfo mistico, dove stanno gli orchestrali). Per fortuna (ancora) esistono anche quelli come Flavio Bucci, Dario Fo e Giorgio Albertazzi che hanno fatto le scuole adatte.

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 21:14 da Sergio Sozi


Sì, infatti.
Forse quest’anno in primavera danno una rappresentazione del MACBETH nella mia città. Però, questa volta ( e magari é quella in cui sarei contenta di vederlo-ma non lo saprò mai..) mi riguardo il MACBETH di Roman Polanski, invece. ( sarà contento Rex..perché preferisco la versione cinematografica).

Postato domenica, 4 gennaio 2009 alle 01:13 da roberta


Il cinema… eeeh… serve a lenire la mancanza di grande teatro, in questo caso, Roberta cara. Pero’ va detto che oggi in Italia c’e’ grande scelta anche di teatro, no? Soprattutto nelle citta’ medio-grandi si puo’ trovare roba molto buona. Almeno a giudicare da ”Palcoscenico” di Marzulletto, che, vivendo io a Lubiana, vedo ogni tanto per sapere cosa combinate laggiu’.
Speriamo bene e tiramm’innanze – come dicono a Napoli.

Postato domenica, 4 gennaio 2009 alle 01:57 da Sergio Sozi


Devo dire che per me entrare nelle conversazioni di Letteratitudine é stato come uscire dalla “prigione” in cui mi ero rinchiusa per molto tempo: una stagnante immobilità e quasi “repulsione” al pensiero. Avevo abbandonato le mie vecchie “passioni” letterarie. Ora, invece, riprenderò in mano molte cose e cercherò di leggere qualche autore contemporaneo: non ne conosco neppure uno e mi sembra non vada bene.
Anni fa portavo a teatro i miei alunni del liceo almeno una volta ogni quindici giorni. Dovevamo fare un lungo viaggio ogni volta. Abbiamo visto di tutto un pò( anche un’edizione “allucinante” di “ATTRAVERSO LO SPECCHIO” di Lewis Carroll). Comunque gli studenti erano sempre contenti. Bisogna che ricominci a farlo. Pazienza: quello che ci fanno vedere, ci fanno vedere: lo vedremo.
Solo che certe volte ci sono difficoltà “insormontabili”. Per esempio l’anno scorso mi ha scritto una compagnia di attori francesi che lavora a Roma, il Tournée Théatre Français. Lavorano con le scuole per far rinascere l’amore per la loro lingua. Mi hanno scritto che però per organizzare una partecipazione da noi era necessaria la presenza di molti alunni e noi siamo solo tre sezioni. Nulla da fare, per il momento.
Vista la mia “rinascita” grazie a Voi, cercherò di contattare altre scuole, in modo da avere un bel numero di alunni, così la compagnia potrà venire a “risvegliarci”.
Caro Sergio, guardo anch’io Palcoscenico, anche se é sempre tardi.
Ora mi metto a cercare le rappresentazioni che danno nella mia città da qui alla primavera.

Postato domenica, 4 gennaio 2009 alle 13:00 da roberta


Cara Roberta,
per quanto riguarda i libri, pero’, ci tengo a sottolinearlo, mi sento (e di gran lunga) piu’ competente rispetto al ”teatro a teatro” (in realta’ sono rimasto ai magnifici Plauto e Aristofane e mi pare ”modernissimo” il Signor Rostand del ”Cirano di Bergerac”, che considero fra i massimi capolavori mondiali).
Infatti io sono uno che ama immaginare leggendo (e scrivendo novellistica), quindi me ne importa poco della messa in scena: le opere teatrali me le leggo a casa, lo confesso spudoratamente.
Pertanto, diro’ egoisticamente e senza vergogna alcuna, che le compagnie eseguano pure in pubblico i loro ”lesa maesta”’… la cosa non mi tange.
Per me e’ piu’ importante la vitalita’ delle pagine scritte: racconti, romanzi, versi o commedie non importa. Scripta manent.
Ciao, cara, lieto che questo blog ti abbia giovato anche nel lavoro.
Sergio

Postato domenica, 4 gennaio 2009 alle 13:21 da Sergio Sozi


P.S.
Una listarella di titoli che augurerei fossero tradotti – e che quindi considero buoni da leggere – l’ho inserita sul ”post” dedicato alla traduzione, sempre qui a Letteratitudine. Se vuoi, vacci a dare uno sguardo, cara.

Postato domenica, 4 gennaio 2009 alle 13:23 da Sergio Sozi


Sergio, ti ringrazio ancora. Andrò a vedere la lista e prenderò nota.
Temo che dovrò vincere una certa pigrizia, per affrontare “nuove” letture.
Mi fido del tuo per me infallibile giudizio. I miei amici e parenti mi rimproverano sempre, mi dicono che mi “fossilizzo” e non leggo i contemporanei. Aiuto. Ti confesso: quanto mi é difficile non immagini.
Per l’”immaginare leggendo”, lo capisco. Ma l’atmosfera del luogo mi affascina più della mia immaginazione( non sempre, però..).
E che dire del Cyrano di Bergerac? Non l’ho letto, ma ho visto la versione con Gérard Dépardieu..La trovo bella. Non avrà lo stesso effetto della lettura, immagino. Non é mai la stessa cosa.
Ciao, cari saluti:)

Postato domenica, 4 gennaio 2009 alle 15:02 da roberta


Ringrazio Rex, Roberta e Sergio per aver continuato a tenere viva questa discussione.

Postato domenica, 4 gennaio 2009 alle 17:29 da Massimo Maugeri


@ Rex
In parte hai ragione quando dici che televisione e cinema hanno messo in crisi il teatro. Ma è pure vero che la televisione, almeno fino a qualche anno fa (vedi commenti sopra), ha contribuito a far conoscere il teatro al grande pubblico (creando, forse, una sorta di effetto di ritorno… che probabilmente oggi non c’è più… o c’è di meno).
Del resto c’è chi diceva che la televisione (e la tv a colori, in particolare) avrebbe ammazzato il cinema (che, invece, è ancora vivo… così come parte del teatro).
Peraltro il teatro rimane arte a sé. Televisione e cinema – nel bene e nel male – non potranno mai offrire allo spettatore “dietro lo schermo” lo stesso impatto di cui può beneficiare uno spettatore “dal vivo”.
Poi, per carità, subentra il gusto personale… che può far dire che il cinema è meglio del teatro (e viceversa).

Postato domenica, 4 gennaio 2009 alle 17:37 da Massimo Maugeri


Caro Massimo,
é vero: lo spettatore “dal vivo” partecipa alla rappresentazione in modo molto diverso, rispetto al film al cinema.
C’é chi ha la passione per la scrittura e leggendo immagina, c’é chi ama il cinema e chi “si svena” per il teatro. Ecco io proprio “mi sveno” dell’atmosfera, dei rumori delle scarpe sul palcoscenico, dei movimenti degli attori, dei costumi, delle tende che si chiudono alla fine dello spettacolo e dell’applauso finale che fa rientrare gli attori( o gli interpreti) uno per uno a prendere altri applausi, specialmente quando si applaude “il più bravo” e il pubblico l’ha riconosciuto e glielo fa capire urlando: “BRAVO!”.
Parlo anche di OPERE e BALLETTI.
Avete visto le riprese dei concerti di Maria Callas? Che emozione.
Avevo visto Rudolph Nurejev a teatro quando avevo 17 anni: avevo applaudito fino al dolore alle mani( perché l’applauso fa male, dopo mezz’ora..). Nurejev trasmetteva a tutta la sala un’emozione incredibile.
E ho visto tempo fa un’edizione strepitosa del COSI’ FAN TUTTE di Mozart.
Una signora a fianco a me, mentre applaudivo( ma non a sproposito, perché c’erano gli applausi di tutti)mi aveva detto: “Scusi, lei potrebbe fare più silenzio”- “Ma qui non si viene per fare silenzio, signora! Qui si applaude!”

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 01:20 da roberta


Caro Massimo, sono d’accordo con te. Il problema, a mio avviso, è soprattutto questo: si può scrivere teatro ancor oggi? La mia risposta è no, perché questa è l’epoca del cinema e della tv. Come non si possono più scrivere opere liriche, per dire, perché siamo nell’epoca del rock, o del jazz e derivati, ed è questa la musica “classica” del nostro tempo, ci piaccia o meno: poi, il teatro (del passato) si può e si deve rappresentarlo, e farlo sopravvivere “artificialmente” con i contributi dello stato perché di cultura si tratta. Ma forse sarebbe ora di lasciar perdere questa forma d’arte (nel senso di smetterla di scrivere teatro), che non è che abbia molto di più da dire di altre senz’altro più vicine a noi come il romanzo.
Il teatro nasce quando non c’era il romanzo, la gente non sapeva leggere, non c’era il cinema e quindi bisognava “rappresentare” il racconto dal vivo.
Così come i cicli di affreschi nelle chiese medievali raccontavano “cinematrogaficamente” la vita di Gesù per immagini ai contadini: oggi, anche questo è un linguaggio finito, cioè oggi non si possono più affrescare le chiese alla Giotto, per dire. Si possono mostrare in tv a tutto il mondo gli affreschi di Giotto. E sovvenzionare i restauri. E andarsela a vedere sul posto la chiesa di Giotto. Ma non dipingere ancora affreschi alla maniera di Giotto, penso. Ciao e alla prossima-:))
rex

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 03:38 da rex


Mi spiego meglio: il teatro nasce perché era “naturale e obbligatorio” che nascesse, non c’erano alternative: se si voleva raccontare una storia (semplifichiamo al massimo, tralasciando gli aspetti civili e religiosi del teatro antico che sono quasi incomprensibili, pienamente, a noi moderni) al grande pubblico non c’era alternativa possibile al teatro: né libri (a costi accessibili e comunque la grande massa non sapeva leggere, è stato così fino quasi ai nostri giorni) né cinema né tv. E’ come quando si andava a dorso di mulo o d’asino o a cavallo: non era una scelta, era un obbligo, non c’erano altri mezzi (si poteva andare in carrozza ma sempre una settimana ci voleva… per fare 10 km :-) )
La storia che si voleva raccontare al grosso pubblico bisognava per forza rappresentarla, non c’erano alternative.
-
Oggi abbiamo mezzi molto più moderni ed efficaci per raccontare le storie al grande pubblico, e il cinema è il naturale e più efficace sostituto del teatro rappresentato (come l’aereo o l’automobile lo sono del cavallo per andare da Palermo a Milano, poniamo: difficilmente incontriamo diligenze sull’autostrada), così come il romanzo (arte molto più complessa e completa del testo teatrale) lo è del testo teatrale che oggi ci appare superato perché troppo “semplificante” rispetto alla complessità moderna, che richiede altri mezzi per essere raccontata con efficacia. Mezzi adeguati, mezzi moderni
rex

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 09:53 da rex


Ma Rex, anche se so che non ti rivolgi a me, guarda che non é detto che il romanzo sia “arte molto più complessa e completa del testo teatrale”..
Se ti riferisci all’approfondimento psicologico dei personaggi e alle descrizioni( spero di non “banalizzare” il tuo pensiero)in un certo senso é vero( se pensi a Balzac o a Proust, per esempio).
Ma prendi in mano RE LEAR….. o AMLETO ( non per citare sempre lo stesso “mostro sacro”, come dice Sergio, ma mi viene in mente lui per dimostrare meglio la mia “tesi”) oppure Checov..che ne so.. ti pare che manchi la “complessità”?
Sì, poi in effetti non stai dicendo che non dev’essere rappresentato, anzi.
Stai dicendo che non se ne può scrivere altro.

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 12:38 da roberta


I discorsi strettamente “avanguardistici” e “futuristi” mi fanno pensare appunto alle AVANGUARDIE del Novecento, ai Dadaisti e a Breton che alla fine volevano “disfarsi” totalmente di tutta la tradizione poetica precedente. Poi si sono ritrovati a scrivere poesia difficile che non piaceva a nessuno, che era per pochi intellettuali e si racconta che il gruppo dei Surrealisti si sia “sfasciato” anche per le posizioni irriducibili del suo fondatore. Pare si siano addirittura messi un giorno ad osservare dei “fagioli messicani” che saltellavano sul tavolo, per trovare ispirazione..
Non vorrei di certo sminuire né Breton né tutta l’avanguardia, figurarsi: me ne guardo bene( penso a quanto mi piace Guillaume Apollinaire… letto solo con l’aiuto della nostra prof di letteratura francese).
Però si devono affondare le radici in qualcosa e trarre da lì tutto quanto.
( e Apollinaire lo faceva, infatti. Così come lo faceva T.S. Eliot).
Se no, secondo te buttiamo via il cinema tra un pò e ci “inchiniamo” all’avvento dei Reality? Che orrore..

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 12:50 da roberta


Simpatica Roberta, se ti piace Amleto, prova a leggere direttamente la Bibbia: l’Amleto è gia tutto scritto lì:-)), solo che la Bibbia è molto meglio. Ciao

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 12:52 da rex


Mi sembra che Rex semplifichi troppo, senza distinguere se la cultura moderna sia migliore o peggiore.
Io personalmente preferisco il teatro classico per l’influenza che esercita sulla mia psiche, perché trasmette e spiega la psicologia umana, mentre le manifestazioni moderne, come per esempio il rock, mi disturbano a tal punto da farmi arrabbiare e da chiedermi che senso abbia un urlare a squarciagola e uno strimpellare sul mezzo musicale come se fosse un martello.
A mio parere, dietro questa mania di fare musica si nasconde una rabbia derivante dal vuoto spirituale esistente. Mi viene in mente il paragone con l’essere che, prigioniero della sua incoscienza, anela alla sua emancipazione e libertà e si sforza tanto per raggiungerle, e una volta raggiunte non sa che cosa farsene.
Arte è per me tutto ciò che cerca di svelare un segreto della natura umana al confronto con tutto ciò che gli è superiore attraverso l’impegno mentale e con lo scopo di raggiungere l’armonia finale, cioè elevarsi al superiore (divino).
Sul tema della velocità per raggiungere un posto, è chiaro che oggi si vive con più comodità, ma mi chiedo anche che senso abbia arrivare prima e poi non sapere cosa fare con il tempo rimasto libero. Alcuni riescono ad occuparlo sensatamente, mentre la massa si annoia non appena arrivata a un posto e si da ad effusioni senza senso, se non quello di uccidere il troppo tempo rimasto libero.
Questo è ciò che costato nel comportamento generale della società moderna benestante, perché vive senza un fondamento serio e costruttivo.
Saluti.
Lorenzo

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 12:59 da lorenzerrimo


Roberta, leggi Qoelet e/o Giobbe, ad esempio, nella Bibbia: altro che Amleto e tutte quelle chiacchiere! (ne abbiamo discusso sul “leggere e scrivere” a suo tempo, uno spasso)
Sai invece, cara Roberta, cosa difficilmente trovi nella Bibbia, a mio parere? Don Chisciotte, quello è veramente moderno. Ciao
-
Grazie Lorenzerrimo, e saluti anche a te.
rex

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 13:04 da rex


Che aggiungere, Rex?
In inglese si direbbe : “We can’t understand each other”.(?)
Apprezzo il tuo invito a leggere il Don Chisciotte, però mi perdonerai se la Bibbia non me la sento di riprenderla in mano ora? Forse da anziana, se arrivo a quella età?
Comunque: ognuno ha le sue idee su tutto. Io le rispetto.
Ciao
Cari saluti:)

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 13:22 da roberta


@lorenzerrimo
Caro Lorenzo,
ho letto alcuni tuoi commenti su altri argomenti: li trovo sempre profondi e pieni di significato.
Sono d’accordo sul “chiasso” di certo rock, anche se molte cose mi piacciono( David Bowie, per esempio). Anche qui, come per la lettura, dipende sempre da come sei stato “allevato”. Certo se le tue orecchie sono abituate a Mozart, difficilmente ti piace l’Heavy Metal. Ti capisco.
Sul concetto di Arte ho un’altra idea, rispetto alla tua, però la tua mi sembra molto bella.

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 13:27 da roberta


Carissimi amici,
ricordare Harold Pinter o scrivere qualcosa su di lui è come invitarmi a nozze, nel senso che la mia vita fino ad oggi è stata caratterizzata dal teatro, per ragioni familiari ataviche, per scelte di vita (giornalista teatrale, autrice di teatro), ecc. La sua morte, dunque, mi ha colpita e addolorata particolarmente. Ma cosa dire di più di un premio Nobel, di uno dei più grandi drammaturghi del ‘900, insieme a Pirandello, a Samuel Beckett, a Eduardo De Filippo, a Raffaele Viviani? Voglio solo dire che la mia generazione ha particolarmente amato e sentito il teatro di Harol Pinter, ascrivibile a quella schiera di autori tra cui appunto Beckett, Ionesco, che hanno dato forma e vita al “Teatro dell’Assurdo”, all’uso del linguaggio teatrale inteso come vettore di grande inquietudine, di incomunicabilità nei confronti di una realtà che tende al disfacimento. Fotografia perfetta di un mondo claustrofobico, dominato dai “grandi fratelli orwelliani” ma anche di testimonianza e sottesa ribellione. Su Harold Pinter si potrebbero dire tante cose che vanno dall’impegno sociale a quello politico. Infine il suo essere uomo di teatro a 360°: autore, regista e con un passato di attore. In merito alle domande sul teatro, credo di aver fatto comprendere il mio grande amore e rispetto profondo per questa forma di arte. Per ciò che attiene le vere o presunte crisi teatrali sospendo il giudizio. Sono anni che sotterriamo il teatro e poi lo riesumiamo, però tra il “teatro tradizionale”, quello attinente le varie forme di sperimentazione – sempre molto attive in Italia ed oggi ospitate ampiamente nei circuiti ufficiali – e nonostante la scomparsa dei due grandi vati del teatro moderno italiano: Carmelo Bene e ultimamente Leo De Berardinis, io credo che ci sia ancora molta vivacità. E anche se le ultime forme televisive hanno in qualche modo cambiato la visuale degli italiani, i teatri sono pieni. Forse bisognerebbe ancora una volta adeguare alcune norme alle esigenze economiche delle medie e piccole realtà teatrali professionistiche, per fare in modo che il teatro, forma d’arte tra le più antiche, non si trasformi col tempo in un lusso per pochi eletti. Buon anno a tutti.

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 14:08 da delia morea


Cara Delia, splendido intervento il tuo, e ti scrivo per complimentarmi. Però però… davvero stanno succedendo tutte queste cose nel mondo?
-una realtà che tende al disfacimento. Fotografia perfetta di un mondo claustrofobico, dominato dai “grandi fratelli orwelliani”-, scrivi: ti domando, senza ironia: davvero sta succedendo tutto questo nel mondo? Non riesco a capacitarmene. Sarà perché in questo momento splende un magnifico sole dalle mie parti, ma a me sembra che il mondo non sia mai stato così aperto e libero e in piena evoluzione. Boh, sarà che io non sono un intellettuale e questi ragionamenti difficili non li capisco. Sarà per questo. Però dev’essere senz’altro come dice Pinter e il teatro, sennò mica gli avrebbero dato dato il Nobel! Il Nobel è una garanzia, se uno vince il Nobel è un genio ufficiale, lo sappiamo tutti (però che in che brutti posti abitano ’sti geni, eh?). Mah, il mio mondo invece -non ci crederai- somiglia di più a quello dei cinepanettoni di De Sica. Sarà che abito al mare e qui al mare siamo gente frivola. Auguri.
rex

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 14:34 da rex


@Lorenzerrimo: non posso che concordare (ma penso che questa precisazione non sia di per sè necessaria, visto le nostre opinioni precedenti).
Purtroppo viviamo in un periodo in cui si è accentuato il vizio di non chiamare le cose con il loro effettivo nome. Oggi, in nome della cultura, per lo più si tende a spacciare roba che non solo non porta a un accrescimento individuale, ma che addirittura sgretola il passato, circostanza che porta a quella realtà che tende al disfacimento di cui ha scritto Delia. Orwell aveva visto giusto e non so se è stato frutto di una sua attenta analisi o di una circostanza fortuita, ma oggi il mondo è dominato dalla menzogna. Nulla è come appare, tutto viene estraniato dalla realtà. L’uomo non riesce a guardare dentro se stesso, perchè non riesce a vedere correttamente ciò che è intorno a lui. Così crediamo di avere delle opinioni, ma queste sono imposte, pensiamo di avere un ruolo determinato da noi, ma non è così.
Il teatro, quello di una volta, aveva l’uomo al centro della sua dinamica; oggi siamo tutti attori inconsapevoli di una commedia fra le più tragiche e non c’è l’uomo al centro di una moderna rappresentazione teatrale, bensì il nulla.
Altro che scavare dentro di sè per conoscerci sempre di più! L’unica conoscenza che è rimasta all’uomo del XXI secolo è di credere di essere libero, ma non lo è.

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 16:01 da Renzo Montagnoli


@ Renzo Montagnoli
come sempre, ti ringrazio anch’io della tua bella e chiara esposizione della realtà ipocrita e cieca, che ci domina senza che ce ne accorgiamo.
Non vogliamo accorgercene, perché siamo dominati dalla presunzione di poter rappresentare Dio, che intendo come forza superiore e creatrice.
Mi viene in mente un paragone tra Dio e l’essere umano: l’uomo crede di essere Dio, mentre Dio non può essere uomo, se non quando l’uomo stesso si sia così tanto evoluto da averLo compreso e quindi raggiunto.
Saluti.
Lorenzo

@Rex
grazie dell’attenzione. Se non mi sbaglio, ci conosciamo, senza essere entrati in comunicazione all’infuori di una volta e solo brevemente, dal forum di Paolo di Stefano.
Un benvenuto qui a Letteratitudine anche da me. Anch’io non sono un intellettuale e ne sono anche lieto, perché mi sento così più libero di esprimere le mie osservazioni, che sono sempre e solamente frutto di analisi personali, seguendo la mia indole di voler sempre scrutare senza mai finire.
Dallo scambio di opinioni impariamo un po’ tutti, perché nessuno possiede la verità assoluta, essendo essa solo il fine di un ragionamento, dal quale poi procedere ancora verso altre verità.
Saluti.
Lorenzo

@Roberta
concordo, naturalmente, con il tuo detto. La soggettività ci sprona allo scambio, così che il pensare, non ha mai una fine. Capisco anche il tuo stato di ebbrezza nell’applaudire l’artista; capita anche a me, sebbene raramente, perché sono per indole una persona che cerca di controllarsi sempre, nella coscienza che nessuno si meriti troppi elogi, che poi lo svierebbero dalla sua scia creativa.
Un artista, quello vero, è emotivamente così preso dalla sua creatività, da immedesimarsi in essa e immaginarsi di vivere in un altro mondo, da non aver bisogno degli altri che incomincia a sfruttare e infine a disprezzare dal momento nel quale esagerano.
Questo in linea di massima la mia opinione sui meriti guadagnati. Sul tipo d’arte preferito conta certamente il gusto guidato dalla propria istruzione ricevuta e dalle caratteristiche naturali, ma io credo che in ogni decisione presa ci sia anche un motivo psicologico con la sua origine nel proprio inconscio che una volta esaminato e compreso porterebbe a un’altra decisione.
Anche il nostro mondo percettivo è paragonabile a una rete, apparentemente inestricabile, ad ogni modo molto complessa e difficile da governare.
Chi riesce a creare in esso un po’ di ordine, potrà più facilmente stabilire un equilibrio e infine armonia; ma su quali criteri farlo, quando ogni rinuncia va a scapito di altre rivelazioni anche loro giuste e necessarie secondo del momento del loro impiego. Si può rinunciare per un periodo a un qualcosa, ma sempre….?
La ragione è un mezzo utile, ma non sempre applicabile e sopportabile, quando i sensi richiedono il loro tributo.
Saluti e grazie dei tuoi bei commenti, i cui contenuti rispetto pienamente, anche quando fossi di un parere diverso.
Lorenzo

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 18:02 da lorenzerrimo


Per gli appassionati del “TEATRO ALLA TELEVISIONE”:
stasera danno una commedia di Eduardo verso le 23.
E venerdì alle 21 “La Bottega del Caffé” di Goldoni nella rilettura di Fassbinder. Non ricordo su quali reti, però.

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 21:46 da roberta


Cari amici, ringrazio anche qui per i numerosi commenti pervenuti.

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 23:34 da Massimo Maugeri


@ Rex
Credo che di fronte alla Bibbia e ai classici della mitologia greca tutti potremmo (e dovremmo) battere in ritirata. Nel senso che, da un certo punto di vista, è già stato scritto tutto.
Chi scrive, lo sa.
Ma si scrive ancora (per fortuna o per disgrazia), nel tentativo di ri-scrivere le stesse storie tentando di carpire i cambiamenti dell’uomo e della società (se ce ne sono stati).

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 23:37 da Massimo Maugeri


Sul teatro mi sento di essere ottimista… e credo che continuerà a vivere (o a sopravvivere).
Io lo spero!
Del resto la pittura è sopravvissuta alla fotografia.
(Anzi – accidenti – i quadri dignitosi continuano a costare parecchio).

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 23:40 da Massimo Maugeri


@Grazie a te, Lorenzerrimo. Scusami se non ti ho risposto prima.
Scrivi sempre delle belle cose.

Postato martedì, 6 gennaio 2009 alle 23:21 da roberta


Il teatro ha, comunque si voglia mettere la faccenda, una caratteristica che nessun altro medium artistico possiede: LA VITA. Onore al teatro italiano, dunque. Non e’ vero che viene disertato dai giovani, ne’ dai meno giovani.

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 21:40 da Sergio Sozi


Sergio,
sono d’accordo anche su quest’ultima affermazione.
Non é vero che il teatro viene disertato, anzi.
Si dice spesso( a me sembra una cosa così stupida e banale) che sia per la televisione che per il teatro “bisogna ASSECONDARE i gusti del pubblico”; non é vero: é il pubblico che dovrebbe essere ben “educato” ( “cultivated”, come dicono gli inglesi. E l’immagine rende bene l’idea, credo).
Se, come hanno scritto altre persone in questo post, alla tele facessero vedere di più il teatro, le persone lo conoscerebbero e lo amerebbero, sarebbero incuriosite. Invece le si tiene intenzionalmente lontane dalle cose belle, così si abituano a quelle brutte, anzi, a quelle orribili.

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 22:03 da roberta


Roberta,
sei una persona che dice cose giuste ed equilibrate. EDUCAZIONE e’ la parola giusta. Lo Stato ne e’ responsabile – i mass-media anche ma e’ roba privata e fa discorso a parte – dunque dobbiamo chiedere allo Stato di educare la gente alla lingua italiana, all’amore per LE arti e alla creativita’, al rispetto e alla legalita’. Meglio sarebbe all’amore per la Patria, ma non chiediamo la luna, suvvia…

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 02:37 da Sergio Sozi


@Grazie a te, Lorenzerrimo. Scusami se non ti ho risposto prima.
Scrivi sempre delle belle cose.
Postato Martedì, 6 Gennaio 2009 alle 11:21 pm da roberta
Cara Roberta,
siamo tutti più o meno occupati con le altre attività giornaliere; non devi quindi scusarti.
Mi procura piacere comunicare con te su questo Blog, dove molto, se non tutto, è possibile, quando espresso nella dovuta forma di cortesia e correttezza.
Infine non è così che ne approfittiamo tutti del nostro presentarsi, ognuno alla sua maniera perché suggerita dalle proprie necessità e grado d’intendere?
Conversando con lo scopo d’imparare, ci educhiamo anche e rendiamo questo mezzo elettronico utile e necessario, una scuola viva nonostante le grandi distanze che ci separano.
M’impressiona l’intensità e la varietà dei tuoi commenti, che conduci con entusiasmo e che sono veramente ricchi di concetti interessanti e degni di una riflessione profonda.
È giusto ringraziare Massimo per l’opportunità che ci offre e quelli che si mettono al nostro confronto per insegnarci un qualcosa della loro vita e sapere, che potrebbe esserci utili. Non dimentichiamo però, che anche loro confidano di imparare anche da noi.
È nostro compito, quindi, riflettere bene su tutto ciò che desideriamo comunicare, senza toglierne il senso della semplicità e spontaneità che arricchiscono lo scambio comunicativo rendendolo delizioso e affettuoso.
Saluti.
Lorenzo

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 20:11 da lorenzerrimo


Caro Lorenzerrimo,
sì hai ragione: questo é uno spazio in cui possiamo imparare e scambiare molte idee. E sempre si impara. Trovo giusto che Massimo faccia in modo che si parli sempre degli argomenti proposti e non accetti i toni poco educati e da “rissa”: ma che senso avrebbe, infatti?
Io scrivo qui da pochissimo e sono stata accolta in modo più che benevolo. E, come dicevo in un altro post, le persone con cui si esce di solito( almeno a me capita sempre così) trovano “noioso” parlare di letteratura e anzi, se per caso ti sfugge qualcosa al riguardo, ti guardano come se fossi un “marziano”. Io imparato dai tempi del liceo a nascondere i miei veri gusti( ne parlo con due o tre persone al massimo)perché rischiavo di essere considerata una “strana” e questa cosa non mi piaceva allora così come non mi piace adesso. Così, visto che la Natura é stata generosa nel concedermi alcune doti “recitative”, riesco spesso( mi sembra, almeno) a far credere che la letteratura non é per me una grande passione.
Certo, da un pò di tempo mi é più difficile farlo, forse perché sono cresciuta, non so. O forse perché sto incominciando a pensare: “Che credano quello che vogliono, cosa mi importa?”. Sto diventando un pò più “misantropa”, rispetto a prima, forse é la nostra epoca che mi spinge in quella direzione. Boh.
Ci sono immagini e interviste a una delle mie scrittrici preferite, Marguerite Yourcenar: alla fine della sua vita se n’era andata a vivere a Desert Mountain. E nella bellissima intervista LES YEUX OUVERTS(= “CON GLI OCCHI APERTI”) Matthew Galey le chiede:”Chi sono i suoi amici?” e lei risponde che detesta le serate “mondane” in cui ognuno ti “acchiappa” per parlare incessantemente di sè e dice: “Il lattaio, le capre che stanno qui vicino, i miei cani”.
Ti ringrazio per quello che mi scrivi: io qui mi sento sempre “at home”.

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 21:19 da roberta


Grazie a te, Lorenzo.
Ciao, Roberta.
Sono io che ringrazio voi (e che da voi imparo).

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 22:03 da Massimo Maugeri


Se può consolare, l’unica occasione che ho di parlare di letteratura è solo su Letteratitudine.

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 22:17 da Renzo Montagnoli


[...] tra narrativa e teatro e alle tematiche a esso collegate. In passato avevamo già avuto modo di occuparcene, ma stavolta tenteremo di farlo in maniera ancora più approfondita. Lo spunto ce lo fornisce il [...]

Postato mercoledì, 5 dicembre 2012 alle 16:51 da Kataweb.it - Blog - LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Blog Archive » NARRATIVA E TEATRO: COMICI RANDAGI



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