lunedì, 29 dicembre 2008
LA MORTE DI HAROLD PINTER E IL TEATRO OGGI
Come è noto, il 24 dicembre è morto Harold Pinter: drammaturgo, regista teatrale, attore teatrale britannico. Ha scritto per teatro, radio, televisione e cinema. I suoi primi lavori sono considerati fra i capolavori del teatro dell’assurdo.
Come ha sostenuto Alessandra Serra in “Harold Pinter, Teatro” (Einaudi): «Le prime rappresentazioni delle opere di Harold Pinter furono massacrate dai critici. Ad eccezione di Harold Hobson, scrissero tutti che era un autore eccentrico, inaccettabile, incomprensibile, che non aveva nulla da dire. Oggi forse è l’autore [vivente] più rappresentato al mondo ma, come dice egli stesso, «Adesso sono diventato comprensibile, accettabile, eppure le mie commedie sono sempre le stesse di allora. Non ho cambiato una sola battuta!». »
Nel 2005 gli fu tributato il Premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: “nelle sue opere scopre il precipizio che si nasconde sotto i discorsi oziosi di ogni giorno e entra con forza nelle stanze chiuse dell’oppressione”.
Di seguito troverete due articoli: il primo, pubblicato dal settimanale “Panorama”; il secondo, firmato da Paolo Petroni per l’ “Ansa”. Troverete anche quattro risposte di Pinter a quattro domande (fonte: Il Giornale).
Vi invito a dire la vostra per ricordare Pinter e le sue opere (se ne avete voglia).
Tra le varie citazioni attribuite al Premio Nobel appena deceduto, ho trovato questa (mi sembra particolarmente interessante): “non dimenticate che la terra ha circa cinquemila milioni di anni, come minimo. Chi può permettersi di vivere nel passato?”
Già! Chi può permettersi di vivere nel passato? Che ne dite?
Poi – visto che Pinter era un uomo… “da palcoscenico” – vi invito a discutere proprio sul teatro.
Che rapporti avete con il teatro? Lo amate? Lo detestate? Vi lascia indifferenti?
Il teatro vi sembra in crisi? Qual è la vostra percezione?
Segue una domanda provocatoria…
Ritenete che il teatro abbia dignità uguale, inferiore o superiore alla narrativa e alla poesia?
A voi la parola… rinnovandovi gli auguri per il nuovo anno.
Massimo Maugeri
———————–
Morto il Premio Nobel Harold Pinter
da Panorama
“Ho scritto 29 piece in 50 anni, non è abbastanza? Certamento lo è per me”. Harold Pinter amava ripetere questa frase negli ultimi anni, segnati dalla malattia che lo aveva colpito nel 2002, dalla soddisfazione di aver avuto il Premio Nobel nel 2005, ma anche dalla rinnovata voglia di impegno politico e di difesa dei diritti civili, che lo aveva fatto attaccare duramente Bush e Blair.
Lo scrittore, scomparso a Londra all’eta di 78 anni, aveva infatti già consegnato la sua opera al passato, vendendo il suo archivo alla British Library, giusto un anno fa per 1.65 milioni di euro. Centocinquanta scatoloni contenenti lettere, manoscritti, fotografie. Tra le gemme preziose quella del capitolo segnato dalla sua amicizia con Samuel Beckett, con il quale condivideva la passione per cricket e il rugby, ma anche ovviamente quella teatrale.
Non è certo un caso, anzi indica la forza di suggestione che ha la sua opera, il fatto che dal nome di Harold Pinter sia nato un aggettivo, pinteriano, che segue, ma si diversifica da beckettiano, derivato dal nome dell’autore di cui è sempre stato considerato un po’ l’erede. Il primo esprime comunque un disagio, una sensazione forte di incertezza e timore, mentre l’altro ha un sapore di catastrofe e smarrimento più totale.
Raramente un autore è stato così immediatamente metaforico per forza poetica, per qualità e invenzione drammatica come Harlod Pinter, che era considerato da tempo un classico del Novecento. Non si è mai tirato indietro davanti all’impegno civile e col tempo è passato da una vena più esistenziale a una più decisamente politica mantenuta fino all’ultimo. Di pochi mesi fa il suo ultimo appello per fare giustizia ed individuare i responsabili dell’uccisione di Anna Politkovskaia.
Il suo impegno radicale contro ogni prevaricazione del potere, anche quello democratico, e in nome della pace, che diventa pubblico negli anni del governo Thatcher, lo avvicina, per certi versi, a un altro premio Nobel, Dario Fo. L’impegno lo avvicinò anche ad Arthur Miller con il quale nel 1985 fu protagonista in Turchia di una violenta denuncia dell’oppressione politica che costò ad entrambi la cacciata: ne nacque la commedia “Mountain language”.
Ma tanto fu diretto nella vita quanto invece allusivo sulla scena, dove diede vita al teatro della minaccia (‘’La vita di ognuno di noi è sempre minacciata e incerta. Viviamo nella repressione e fingiamo di vivere nella libertà’’). La sua è l’arte di scrivere per sottrazione, costruendo personaggi e vicende esemplari, sganciate da ogni contingenza. E nonostante questo riuscendo a farli sentire vivi, concreti, esemplari.
Vale per le figure dei primi drammi anni Cinquanta e Sessanta, dal “Calapranzi al Guardiano”, come per quelli più politici degli ultimi venti anni, da “Il bicchiere della staffa a Ceneri alle ceneri”, passando per le tragicommedie che trattano apparentemente dell’amore e delle sue menzogne, da “L’amante a Tradimenti”, ma che forse parlano di inganni ben più profondi e esistenziali, della morte inevitabile di illusioni e speranze.
Pinter, nato ad Hackney, un sobborgo di Londra, il 10 ottobre 1930, iniziò la sua carriera teatrale come attore, prima frequentando grandi scuole di recitazione, poi girando l’Irlanda con una compagnia shakespeariana con lo pseudonimo di David Barron. La sua carriera di drammaturgo iniziò, quasi per caso, nel 1957, quando scrisse per un amico in quattro giorni un atto unico intitolato “La stanza”. Del 1958 il celebre “Festa di compleanno”, in cui due ignoti visitatori piombano a casa di un giovane misantropo che vive isolato. Ancor maggiore impatto suscita i lavoro di Pinter quando gli argomenti diventano più drammatici, e si capisce che il riferimento è, per esempio, alla tragedia dei desaparecidos argentini in “Il bicchiere della staffa” del 1984 o alla Shoah in “Ceneri alle ceneri” del 1996.
Autore del suo tempo, Pinter ha anche scritto testi radiofonici, volumi di poesia e sceneggiature per il cinema, legando il suo nome a film di qualità e successo, come “La donna del tenente francese” di Reisz, per cui è stato candidato all’Oscar e al Golden Globe, “Cortesie per gli ospiti” di Schrader, “Messaggero d’amore” di Losey. Ha adattato per il cinema anche il capolavoro di Proust, mai realizzato e uscito solo in volume.
—————–
QUATTRO DOMANDE A HAROLD PINTER
Stralcio di intervista a Harold Pinter rilasciata a “Il Giornale” il 12 ottobre 2004
Su cosa si concentra quando pensa una delle sue creature?
«Sul silenzio. È nel silenzio che i personaggi acquistano consistenza, presenza. Nel non detto».
Scriverà ancora? Sta preparando una nuova storia d’anime?
«Non voglio più scrivere commedie, ne ho scritte abbastanza e credo di non esserne più capace, ho intenzione di dedicarmi alla regia e preferisco comporre poesie. Vado molto poco anche al cinema, diventato violento come un incubo, almeno in Gran Bretagna. Preferisco tranquille passeggiate nel parco, a contatto con la natura, respirando forte».
La politica è stata da sempre la sua «passione parallela». In questo momento qual è il suo sguardo?
«Gandhi ha detto molti anni fa che un occhio per un occhio farà un mondo cieco, e adesso siamo di fronte al potere degli Stati Uniti che faranno sempre di più quello che vogliono e che, purtroppo, possono contare sull’appoggio dei governi che conosciamo. Ma quello di cui hanno bisogno gli Stati Uniti è una sfida, non un appoggio».
Le prime rappresentazioni dei suoi testi furono bocciate e giudicate vuote e incomprensibili. Cosa è cambiato da allora? Qualcuno dice che il suo linguaggio ha anticipato i tempi.
«È possibile. Comunque non ho mai cambiato nulla dei testi, sono sempre quelli. I cambiamenti avvenivano solo durante le prove. Ma piuttosto che aggiungere si tagliava».
—————–
HAROLD PINTER: DA BONACELLI A FO, GLI AMICI ITALIANI
di Paolo Petroni
“Una persona straordinaria per l’umanità e la modestia”, così Dario Fo, anche lui uomo di teatro e premio Nobel, ricorda Harold Pinter, scomparso il 24 dicembre a Londra, e gli fanno eco Paolo Bonacelli, suo interprete e amico, che ne ricorda “la disponibilità, la gentilezza priva di supponenza, quando lo avvicinai la prima volta, dopo aver recitato ‘Terra di nessuno’”, come la sua traduttrice Alessandra Serra, che sottolinea “l’onestà e la lealtà dell’uomo, una volta che lo avevi conquistato, le stesse qualità che lo accendevano d’indignazione per ogni ingiustizia. Davanti alla violenza e l’inganno perdeva il lume della ragione e scendeva subito in piazza, come ha fatto sino all’ultimo con i suoi interventi politici”. “In questo ci somigliavamo molto e il nostro teatro – racconta ancora Fo – nasceva dalle stesse ragioni di denuncia contro il militarismo, la guerra, la supremazia degli interessi economici. Di questo abbiamo parlato quando l’ho conosciuto, di come un certo capitalismo ha ridotto il mondo d’oggi”. Del resto aveva detto lui stesso nel 2005 che non avrebbe più scritto teatro, per dedicarsi all’impegno politico. “Quando ci incontravamo, io gli parlavo del suo teatro, di quel che vi leggevo, ma lui spostava il discorso sulla politica, chiedeva cosa stesse accadendo in Italia, si accalorava, bevendo, come l’ultima volta in un ristorante italiano, i suoi amati vini bianchi, solo francesi o italiani e ghiacciati. Poi c’era la sua passione per il cricket, cui giocava da sempre, quelle lunghe partite che durano giorni, spiegando che era come la vita: una noia continua con rare esplosioni di gioia”. Gianfranco Capitta e Roberto Canziani, autori di una biografia critica di Pinter più volte aggiornata (l’ultima è edita ad Garzanti col titolo ‘H.P. scena e potere’) lo hanno frequentato dal 1993 e ricordano il suo discorso violentemente anti-americano e contro la politica di Bush fatto a Fiesole il giorno prima del fatidico crollo delle Torri Gemelle, che fece scrive a certa stampa Usa che il primo attacco lo aveva lanciato Pinter. La guerra in Afghanistan e in Iraq poi fu come avessero dato ragione alle sue tesi e quindi lo spinsero a un impegno antimperialista e per la pace sempre maggiore. Quanto alle sue opere, se la Serra nota come Pinter “abbia dato dignità ai vuoti di scena, ai silenzi improvvisi, riempiendoli di senso, dandogli quel valore di sospensione che hanno i silenzi nella vita, specie se seguono una battuta, sempre per lui essenziale, asciutta”, Canziani e Capitta ricordano il suo rapporto con la scrittura, il rispetto che diceva di avere per i suoi personaggi, come si trattasse di esseri umani reali, di cui non poteva prevedere quel che avrebbero detto o fatto: “diceva che ‘Terra di nessuno’ era nata mentre in taxi una sera tornava a casa, anche un po’ brillo, e sentì nascergli in testa due voci, la prima che chiedeva ‘Con ghiaccio?’ e la seconda che rispondeva ‘No, assolutamente liscio’. Così corse a casa per non perderle e partendo da quelle due battute cercar di capire chi fossero le due persone, come qualcuno incontrato senza conoscerlo e che pian piano ci si svela. Non era il burattinaio classico, che sa bene cosa faranno e come agiranno i suoi personaggi, ma, al contrario, da essi si sentiva pirandellianamente visitato”. La Serra, che fu anche aiuto regista di Pinter a Palermo per ‘Cenere alle ceneri’, racconta di come, lui attore, lasciasse spazio e interagisse con gli attori quando faceva il regista, invitandoli a esprimere una propria idea del testo, perché anche lui se ne faceva una solo a posteriori, terminata la scrittura”. Canziani e Capitta ricordano infine la sua ultima recita, fatta dopo esser stato colpito dalla malattia, non a caso ‘L’ultimo nastro di Krapp’, un monologo testamentario di Beckett, interpretato con la voce disfatta… “e nel buio, attorno al cono di luce che lo inquadrava, tutti hanno scritto che la morte si sentiva come una presenza viva, fisica, col suo senso di fine. Eppure, dopo, al bar sulla sedia a rotelle su cui era ormai costretto, stupì tutti ritirando fuori il suo solito umorismo tagliente, il suo piacere per la convivialità, l’affetto per gli amici e il grande amore per la moglie, la scrittrice Antonia Fraser, che, ricorda Bonacelli, “definiva una realista ottimista, al contrario, sottolineava, di come sono solitamente i realisti, e non finiva di lodarla per la dedizione con cui gli era stata vicina dopo la malattia”.
(Fonte: Ansa)
Tags: harold pinter, Nobel, nobel letteratura, TEATRO
Scritto lunedì, 29 dicembre 2008 alle 19:03 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
Commenti recenti