Pubblico con piacere questo contributo messomi a disposizione dall’amico Franco Pezzini, dedicato alla memoria di Paolo De Crescenzo (che ricordo con particolare affetto anche per via della sua partecipazione al dibattito di Letteratitudine dedicato alla “letteratura dei vampiri“).
Massimo Maugeri
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RICORDO DI PAOLO DE CRESCENZO
di Franco Pezzini
Ci sono persone che hanno la capacità di conciliare il sogno – con quanto di azzardato o cocciuto ciò comporti, perché un sogno è più che un’aspirazione, un forte interesse o persino una passione – con la sana concretezza, impastata di fatica quotidiana: persone che sanno insomma armonizzare i due termini, senza rinunciare al secondo ma senza mai permettere che il primo sia avvilito. Vorrei iniziare a ricordarlo così, Paolo De Crescenzo, rispondendo all’invito dell’amico Maugeri su uno spazio a lui dedicato.
Tengo poi da subito ad aggiungere qualcosa che non riguarda un semplice dettaglio del ritratto, ma la chiave e il combustibile di quella capacità: cioè la sovrabbondanza di umanità (burbera, ironica, esigente ma rispettosissima, affettuosa) che chiunque abbia frequentato un po’ Paolo non poteva non riconoscergli. E che rappresenta – è un discorso già fatto – una merce non troppo considerata sul listino degli interessi diffusi: eppure, senza retorica da coccodrilli, è ciò che rende speciale condividere con una persona, lavorarci insieme. E continuare a ricordarla – e farcela mancare – quando gli occhi si siano chiusi.
Molti aspetti della vita di Paolo sono stati richiamati nei primi articoli a caldo, i giorni successivi alla morte: testimonianze, in particolare, sull’avventura di fondazione e conduzione di una casa editrice votata all’horror di qualità, sullo stile delle scelte autorali, sulla costruzione di una “squadra” italiana, e in ultimo sulla parabola che attraverso crisi economica generale e malattia ha condotto al suo abbandono del timone – e su ciò non tornerei. Mi sembra invece importante riprendere un aspetto particolare dell’esperienza della Camelot gotica edificata in quel breve volgere d’anni, perché permette di non guardare soltanto indietro ma avanti, a un’eredità ideale, a un futuro.
Lo stile di Paolo era di far collaborare le persone. Per carità, in un contesto di base imprenditoriale, non per generico buonismo: eppure tale mettere insieme non era semplicemente funzionale a un risultato di cassa. Il progetto editoriale si configurava come culturale ad ampio raggio: non solo un portfolio di autori più o meno apprezzati dagli acquirenti, non solo una “scuderia” di penne di qualità per introduzioni e prefazioni ai romanzi, ma un bacino di interlocutori con cui confrontarsi e sognare. Di qui progetti continui, fino alla fine: progetti in molti casi portati avanti e approdati a esiti felici, in altri ridefiniti via via o abbandonati per scelta, in altri ancora caduti con la fine della sua direzione. E ciascuno di noi che (in forme diversissime) con Paolo abbiamo collaborato trattiene probabilmente nel proprio archivio qualcuna di queste avventure mancate.
Uno stile, comunque, (continua…)
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