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Archivio del 9 giugno 2015

martedì, 9 giugno 2015

PER DISTRATTA SOTTRAZIONE

Per distratta sottrazioneIn collegamento con il forum di Letteratitudine dedicato a “LETTERATURA E MUSICA

***

Fosca MassuccoPer distratta sottrazione

Raffaelli editore, 2015

* * *

a cura di Claudio Morandini

“Per distratta sottrazione” è il titolo della raccolta di versi che Fosca Massucco ha affidato a Raffaelli Editore – la sua seconda, dopo “L’occhio e il mirino” (L’Arcolaio, 2013).
È vera poesia bucolica, questa di Massucco. Si inserisce con composta naturalezza in una tradizione illustre, che parte ovviamente da Virgilio, tocca Pascoli (gran traduttor di Virgilio, oltre che bucolico di suo), arriva, come sensibilità, dalle parti della Pieve di Soligo di Zanzotto, mette gli a-capo a Fenoglio (è Elio Grasso, che firma la densa prefazione,  ad accostare colline a colline, Langhe a Astigiano). Intendiamoci sul termine “bucolico”: non vuole rimandare a bozzettismo, a localismi di maniera, a arcadie provinciali. Piuttosto indica una poesia che insiste con sguardo acutissimo sugli oggetti, sulle creature della natura, anche quelle più nascoste o neglette, sulle tracce lasciate dal lavoro dell’uomo, sul paesaggio lavorato ostinatamente, anche, se vogliamo, su quel che di tecnologico che ha cambiato la vita delle generazioni dei lavoratori della terra e degli abitanti delle campagne. E forse, a questo punto, potremmo usare più appropriatamente il termine “georgico”.
Non a caso Grasso definisce subito il mondo poetico dell’autrice, il suo quadrilatero di riferimento, come “metropoli boschiva, zeppa di sguardo e di passi privi di retorica”. Si percepisce in effetti una sorta di pudore, nobile, che la Massucco esercita nel lavorare con le parole attorno alle cose che le sono care. Nei suoi versi l’attenzione per i segni della natura e dell’uomo non porta a toni altisonanti, a un’epica della campagna, a un’eloquenza muscolare (il rischio c’è sempre): piuttosto si sottrae, ci si ritrae, ci si finge distratti, si sbircia controluce quel mondo fitto di cose. “Bisogna avere grande prudenza / è tutto un universo di avvisi.” Si ricorre a quella mezza ironia che sorride di tutto, anche di se stessa. Si diventa reticenti, se proprio occorre.
Quei segni di cui la natura si gonfia in disordine, la poesia di Fosca Massucco li distilla in versi che sono un modello di sintesi (“Il disordine composto della piana / nel mese mercedonio, i campi gonfi / d’acqua – un giurassico in ritardo – / la perfezione vibrante del vapore”). La sua ansia di precisione lessicale tende a giocare con le antitesi e gli ossimori (“Il baccano della quiete di collina”, “una casa brulicante di silenzio”), talvolta si spinge verso singolari accostamenti, verso nomenclature insolite – ma ecco che le Note alla fine del volume ricollocano ogni analogia nel suo contesto, definiscono i termini (per esempio “mercedonio”).
Anche le scelte metriche si sintonizzano con questo bisogno di esattezza: oscillano tra le cadenze illustri della poesia italiana, tra endecasillabi e settenari, che ora dilatano ora restringono conservandone sempre una reminiscenza. Diciamo che i versi della tradizione sembrano funzionare come poli di attrazione a cui tendono le cadenze personali di Fosca.
Si sente che Fosca Massucco ama questo paesaggio delimitato e imprevedibile che è l’Astigiano, che non si stanca di percorrerlo con lo sguardo, di toccarlo, di camminarci, di viverci, di interrogarlo, di trovarvi un riflesso di qualcos’altro (di sé). A seconda di come lo guardi, della prospettiva in cui ti poni, un angolo familiare diventa nuovo, rileva nuovi dettagli. Amica dell’infittirsi delle cose, la poesia di Fosca Massucco è attratta anche – leopardianamente – dal suo contrario, dal nulla, dalla “compiutezza ineluttabile / del vuoto”: “Ancora pensi all’universo capovolto, / dove traspare solo vuoto tra i cipressi / e la cinta delle mura? Il nulla / è immagine di sé e il vuoto / non è vuoto, vacilla in solitudine.” La sua personale versione dell’Infinito leopardiano, insieme ironica e sentita, è “Davanti si porge l’eterno / in tutta la sua vacuità, / altèra gramigna / di massicciata.” Segni e silenzi: davvero Fosca Massucco si accosta al mondo come farebbe un musicista, come un interprete (schivo, però, lontano da ogni posa da virtuoso) a una partitura ancora carica di segreti.
Chiedo a Fosca se si ritrova in quest’immagine. (continua…)

Pubblicato in LETTERATURA E MUSICA   Commenti disabilitati

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