martedì, 28 luglio 2015
ACCORDI MINORI
In collegamento con il forum di Letteratitudine dedicato a “LETTERATURA E MUSICA“, ci occupiamo del volume “Accordi minori” di Grazia Verasani (Gallucci). Su LetteratitudineNews è disponibile uno stralcio del racconto su Kurt Cobain
[Ne approfittiamo per invitare i lettori ad ascoltare (o riascoltare) la puntata radiofonica di "Letteratitudine in Fm" con Grazia Verasani dedicata al suo romanzo "Mare d'inverno" (Giunti)]
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ACCORDI MINORI, di Grazia Verasani
Gallucci, 2013
a cura di Claudio Morandini
“Strano, più muoio più mi applaudono.”
Grazia Verasani, nei brevi racconti-monologhi di “Accordi minori” (Gallucci, 2013), esplora con sensibilità partecipe quel particolare settore della musica (per lo più pop, con qualche scantonamento nel jazz) che in questi ultimi cinquant’anni ha fatto surf sull’onda lunga del maledettismo – lo diciamo senza preoccuparci di suonare irriverenti. È un mondo insieme colorato e umbratile, notturno anzi, in cui artisti di talento hanno vissuto la loro dedizione alla musica fino in fondo, fino agli esiti tragici. Incapaci di gestire il successo, la pressione, la fama, oppure logorati da ruoli che sono stati ritagliati loro addosso e in cui non si riconoscono, i musicisti coinvolti in questa dolente via crucis sono quasi tutti cantanti – fa eccezione Chet Baker, in rappresentanza di tutti gli infelici morti per autocombustione di cui è costellata la storia del jazz. Certo, alcuni di loro, oltre che interpreti, sono stati anche autori delle canzoni che li hanno portati al successo: ma nei racconti di Verasani compaiono come icone, come animali da palcoscenico oggetto di culto (di massa o di nicchia), e non li vediamo seduti a tavolino a scribacchiare versi, o intenti a comporre alla chitarra o al pianoforte, ma esposti a riflettori che ne rivelano le drammatiche debolezze, la stanchezza insostenibile, la profonda solitudine, gli abusi e l’alterazione. La musica, si direbbe, non ha rappresentato per loro una via di salvezza, ma piuttosto un’accelerazione verso la perdizione. Alla fine, «a vincere è solo la musica», come si legge nella conclusione di “Born to be kings” (Freddie Mercury): il che significa che la musica resta, anche dopo la morte dell’artista, ma anche, se vogliamo, che la musica vince su tutto, compresa la vita dell’artista.
Sin dal primo racconto, che raccoglie le esternazioni vaneggianti di Janis Joplin, i personaggi sono colti nella fase finale della loro parabola, nel momento in cui, crudelmente, il delirio ha la meglio sulla razionalità, ogni cosa è alterata da droghe alcol o follia e la deriva fatale dello spirito dionisiaco ha raggiunto un punto di non ritorno – alcuni di loro anzi ci parlano da un post mortem che non sembra migliore della vita precedente. (continua…)
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