sabato, 13 maggio 2017
LA BELLEZZA CHE RESTA
Il nuovo appuntamento della rubrica di Letteratitudine chiamata “Saggistica Letteraria” è dedicato alla nuova opera di Fabrizio Coscia intitolata “La bellezza che resta” (Melville)
* * *
Fabrizio Coscia (Napoli, 1967), scrittore, docente, critico letterario e teatrale è già stato ospite di questa rubrica con il volume SOLI ERAVAMO e altre storie (ad est dell’equatore). Torno ad ospitarlo con grande piacere per discutere della sua nuova opera intitolata “La bellezza che resta“, pubblicata da Melville edizioni nella collana Gli impossibili diretta da Andrea Caterini (anche lui, di recente, nostro gradito ospite con “La preghiera della letteratura“, edito da Fazi). In fondo alla pagina potrete leggere il testo della bandella del libro firmata dallo stesso Caterini. Qui di seguito, invece, vi propongo questa “chiacchierata online” con l’autore…
- Caro Fabrizio, partiamo dall’inizio… ovvero dalla genesi di questa tua opera. Nei “ringraziamenti” scrivi: “Questo libro non sarebbe mai stato scritto se Andrea Caterini non mi avesse proposto di lavorare a un saggio su Tolstoj“.
Come si è sviluppato il passaggio dalla elaborazione di questo saggio su Tolstoj al concepimento di “La bellezza che resta”?
«In effetti all’inizio la prospettiva di scrivere un saggio su Tolstoj, come mi aveva chiesto Andrea Caterini, mi ha affascinato ma anche terrorizzato non poco. Ho scelto allora di concentrarmi sull’ultimo Tolstoj, e in maniera ancora più circoscritta sul suo ultimo romanzo, uno dei suoi capolavori meno conosciuti, che è Chadži-Murat. Pensavo, cioè, che restringere il campo d’indagine potesse aiutarmi a non perdermi del tutto. Ma poi, come mi capita spesso, mi sono lasciato cogliere dal «demone dell’analogia» e dalla mia passione per le divagazioni, e così ho cominciato a riflettere sulle “opere ultime” dei grandi artisti, e su quale fosse il significato più profondo di un libro, un quadro, una musica, un’opera teatrale composti in prossimità della morte e nella consapevolezza di questa prossimità. Ho cercato, cioè, di penetrare nel significato di alcuni grandi capolavori, ma con molta umiltà, quasi in punta di piedi, per così dire. Così il mio saggio su Tolstoj è diventato alla fine qualcosa di molto diverso, e allora ho capito che era proprio questo “qualcosa di molto diverso” che mi era stato chiesto fin dall’inizio».
- Come epigrafe del libro hai scelto questa citazione di Joyce “sul padre” (da Finnegans Wake). La riporto di seguito. «I go back to you, my cold father, my cold mad father, my cold mad feary father».
Perché questa scelta? E perché hai voluto riportare la frase in originale (senza la traduzione in italiano)? (continua…)
Pubblicato in SAGGISTICA LETTERARIA Commenti disabilitati
Commenti recenti