domenica, 24 marzo 2019
I MALAVOGLIA di Giovanni Verga (Leggerenza n. 1)
Com’è facile intuire, il titolo di questa rubrica mutua il verbo “leggere” e il sostantivo “gerenza”, che indica l’assunzione di responsabilità da parte del direttore di un giornale: per dire che, trattandosi di libri (in questo caso di romanzi, dove l’opinione conta più del postulato), i giudizi espressi non saranno che miei, quindi del tutto discutibili. Il proposito è di leggerne alquanti (più esattamente si tratta di rileggere, riguardando sempre capolavori ben noti), scegliendoli – anche questo personalmente e dunque discrezionalmente – dalla mia libreria: dove non c’è stato mai verso di ordinarli secondo qualche criterio, districati in quella confusione che tuttavia procura il sottile piacere di ritrovare libri dimenticati. Per modo che sarà un po’ il caso a scegliere i libri tra quelli che ho amato, a formare così un mio canone. Ognuno ha il suo, s’intende, e nessuno è preferibile a un altro, ma dal momento che molti libri figurano in molti canoni, ne deriva che per somme linee condividiamo un’unica grande biblioteca. La nostra: di contemporanei, di occidentali e perché no di italiani.
Un romanzo che vale riaprire e dal quale vale certamente partire è I Malavoglia, magari dopo una visita ad Acitrezza e una capatina a Casa Verga, a Catania. Se ne avrebbe motivo per chiedersi lì perché Acitrezza e qui quali libri lo scrittore leggesse. Una duplice domanda intrecciata che sbriga la questione se I Malavoglia fu davvero il frutto di una geniale ispirazione che improvvisamente colse Verga. Non lo fu. Già Carmelo Musumarra, italianista catanese e autorevole verghiano, scriveva che «Verga non dev’essere considerato come un fenomeno, ma soltanto come il risultato di un lungo processo evolutivo». Il fenomeno riguarda ovviamente I Malavoglia. Che Natalino Sapegno definisce «la scoperta più intelligente e feconda della nuova letteratura italiana» mentre Pietro Citati parla di «scoperta intellettuale» e del paradosso che coglie Verga: «Non aveva mai conosciuto l’intelligenza e fu salvato dall’intelligenza». Un’intelligenza ben poco feconda, in verità, perché il capodopera verghiano rimase un episodio mentre il verismo infiammò le lettere il tempo che sulla scena nazionale, voltando lo sguardo dalla società ai salotti e su sé stessi, apparissero i modelli decadentistici di Pirandello, Svevo e D’Annunzio. (continua…)
Pubblicato in LEGGERENZA (a cura di Gianni Bonina) Commenti disabilitati
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