giovedì, 19 ottobre 2006
PAMUK E IL NOBEL
La settimana scorsa, come saprete già, è stato attribuito il Nobel per la letteratura. Nemmeno stavolta è andato a Philip Roth, o a Don DeLillo o a Gore Vidal. Il Nobel, di questi tempi, è lontano – immagino con cognizione di causa – dall’America. E viene il dubbio che le suddette grandi stelle del firmamento letterario planetario, sebbene abbiano sottolineato in maniera peculiare distorsioni e contraddizioni del loro Paese, possano arrivare a spegnersi senza vedersi tributato il prestigioso riconoscimento internazionale.
Si sa, il peso del Nobel è politico, o quantomeno “anche” politico (da qui le polemiche sul cosiddetto caso Grass: se fossero stati noti i suoi trascorsi nazisti – sostengono i detrattori dello scrittore tedesco – di certo non gli avrebbero tributato il Premio). Così, fatti fuori (si fa per dire) Roth, DeLillo, Vidal e gli altri principali papabili, lo sguardo dei giurati si è rivolto dall’altra parte del mondo e si è posato sul pur ottimo Orhan Pamuk (54 anni). La motivazione è stata riportata su tutti i quotidiani: “Nella ricerca dell’anima malinconica della sua Istanbul, Pamuk ha scoperto nuovi simboli per raccontare lo scontro e il dialogo tra culture. È una figura controversa nel suo Paese, come d’altra parte lo è la maggioranza degli scrittori premiati in passato con il Nobel.”
Orhan Pamuk
Pamuk, nel suo Paese, ha rischiato tre anni di carcere per aver parlato del genocidio degli armeni e del massacro dei curdi. È stato incriminato per vilipendio all’identità turca (poi, con una sorta di escamotage, il caso è stato archiviato senza ripercussioni gravi per lo scrittore). E questo è accaduto nella moderna Turchia, quella che (presto?) farà parte dell’Unione Europea.
Il Nobel a Pamuk, dunque. Onore al merito. E al coraggio. Con buona pace – almeno spero – dei vari Roth, DeLillo, Vidal.
P.S. cliccando qui vi collegate al sito ufficiale di Pamuk
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