venerdì, 29 giugno 2007
INTRODUZIONE – “L’OCCHIO ALATO: storie di disumanizzazione scolastica” (di Miriam Ravasio)
Ho iniziato a scrivere solo per ricordarmi quello che stavo facendo. I progetti messi in cantiere erano corposi, la mia dedizione assoluta e quel mondo, giorno dopo giorno, mi stupiva confondendomi e, a volte, spaventandomi. Lavorare con i bambini necessita di una preparazione adeguata, una sensibilità che non può venire mai meno, un’attenzione continua e generosa. Non volevo deludere, o rinunciare ad un’esperienza che si stava manifestando come unica e straordinaria; temevo la mia inadeguatezza e così osservavo ogni cosa con curiosità scrupolosa. Ero a scuola e volevo imparare la sicurezza delle vecchie maestre che sanno tenere la classe con facilità. Così, cercavo di stare con loro il più possibile, facevo domande. Le osservavo, m’ incuriosivo ai programmi, all’organizzazione complicatissima delle loro riunioni (di team, di circolo, di interclasse), chiedevo il perché di ogni cosa, come una bambina. Ero l’esperta esterna in educazione all’immagine ed “esterna” lo ero in ogni senso, non solo per la scuola ma anche per la società. Avevo trascorso più di vent’anni chiusa nel mio studio a cercare ed elaborare immagini per stoffe e ricami, che poi viaggiavano per il mondo. Pochi amici, molti libri, tanti tantissimi disegni. Intervallavo il lavoro impegnandomi in qualche impresa teatrale come scenografa, costumista e in un felice caso, come autrice. Poi qualcosa cambiò e nel giro di poco tempo mi ritrovai a scuola per realizzare progetti didattici finalizzati alla conoscenza della storia del territorio, attraverso lo studio dell’arte. Con il cambio di attività era cambiato anche il resto: i miei interessi, le mie letture, la mia arte. La Storia meravigliosa di Peter Schlemihl di A. Von Chamisso mi aveva aperto una nuova via. Conoscevo nuovi autori, grandi maestri; scoprii Lessing, Schiller, Novalis e poi il pensiero filosofico dalle sue origini a Socrate e poi Platone, Spinoza. I miei pensieri si riformulavano in una ricerca sul senso della vita, sul significato delle azioni e delle scelte. Un percorso a ritroso nel mio bagaglio formativo che negli anni si era accumulato per caso, su suggestioni, simpatie ideali, ideologiche e personali, mi dava una nuova visione del mondo. Con uno stato d’animo in fermento, affrontai la nuova esperienza, consapevole che ogni gesto, ogni piccola parte del tempo sono formativi, ci educano e fanno di noi degli “esseri” o dei “viventi”. Tutto questo si trasformava in un entusiasmo che con grande facilità trasmettevo a bambini e maestre, coinvolgendoli in attività tecnicamente facili, ma di senso; “Saper vedere è l’inizio di ogni scoperta perché l’osservazione stabilisce un rapporto con la realtà, ma è anche la condizione per non smarrirsi nell’avventura umana” (Elemire Zolla). Mi sentivo giovane e pensavo che alle scuole elementari questo senso di leggerezza fosse una condizione comune; invece no. Ogni giorno mi scontravo con l’assurdità di una logica espressa, inseguita e perseguita con incongruenza che produceva esiti incerti, comici e tristi. Paradossi da teatro, ma noi eravamo a scuola! Ricordo un grande cartello colorato, appeso all’ingresso di una scuola materna che, in occasione di Halloween, invitava mamme, papà, nonni e zii al “Gioco della strega impalata”. Le maestre si erano impegnate, come sempre, a preparare con cura la competizione, e quel gioco, con quel titolo, non lo avevano inventato loro; era stato ripreso da un libro: dal libro di Circolo per le attività. Consultai quel testo, pubblicato per gli addetti ai lavori, lo lessi dalla prima all’ultima pagina e mi resi conto che, a tutti noi, alla società, in questi ultimi vent’anni era sfuggito qualcosa di grande, di essenziale: la dimensione educativa. Quel giorno, iniziai a prendere appunti. Come Makarenko annotavo, sul computer, le cose fatte, gli episodi del giorno, cose normali, fatti comici o inquietanti; prendevo nota delle perplessità e degli entusiasmi. Come don Milani riflettevo sul significato di essere uomo, spaccando il capello in quattro per cercare di capire dove, come e quando era iniziato questo processo di disumanizzazione scolatica.
Lecco, 8 marzo 2007
Mais dans l’art comme dans la vie tout est possible si a la base il y a l’amour.
Marc Chagall
Introduzione
Il quarto anno consecutivo come esperta in educazione all’immagine si è concluso felicemente; chiuse le mostre, chiuse le scuole, sistemato lo studio. Ordine; per incominciare un nuovo periodo, una nuova vita e un nuovo progetto creativo. Sono stati anni pieni, un lungo e veloce susseguirsi d’ore occupate, di lavori manuali, letture e nuove conoscenze, un’esperienza illuminante ma, nelle stesse condizioni, irripetibile.
Nei giorni delle mostre ero afona, senza un filo di voce e con una tosse invadente che m’impediva la comunicazione, forse un segno. Non dovevo aggiungere altro, tutto era lì, per chi voleva capire, conoscere il lavoro, scoprire le intenzioni, leggerci le passioni, cercare ispirazioni per nuove attività. Forse una ribellione del fisico stanco che mi dava lo stop. Negli anni ero stata contemporaneamente in quattro scuole diverse, sei plessi, trentun classi, cinquecentottanta bambini, un infinito numero di maestre e non so quanti disegni: non li ho mai contati, forse più di cinquemila. Tanti tantissimi, che preferisco non evocare perché mi disturbano il sonno, riaccendono il momento, rivivo la fatica e lo sfinimento entusiasta. Quest’anno i progetti sono stati tre e tutti in piccole scuole di montagna, uno dedicato all’acqua che erode le rocce, scava le montagne ed è fonte di vita, un altro alle parole che scandiscono il tempo che nominano i luoghi, e l’ultimo alla bontà del riciclo, che però (visto la mia avversione a trasformare la scuola in uno sponsor delle aziende municipalizzate) ho convertito in un: educhiamoci al bello osservando l’ambiente.
Ho allestito due mostre importanti, la terza mi è stata raccontata. Tutte hanno avuto un notevole successo, sono piaciute agli adulti, riempito d’orgoglio i piccoli, stupito gli amministratori e compensato le maestre per l’impegno profuso.
Ad Erve, il piccolissimo paese delle rocce, l’allestimento colpiva per la tenerezza, a Monte Marenzo per la dimensione museale, a Torre per la bella riuscita nonostante i pochi mezzi.
Miriam Ravasio
Miriam Ravasio abita a Lecco, si occupa di educazione all’immagine nelle scuole; un lavoro a cui è arrivata “per caso”, dopo una vita dedicata alla moda e alla ricerca di immagini per abiti, tessuti e ricami. L’impatto con la scuola, e in particolare, con il frastuono pedagogico della didattica, è stato così forte e violento da indurla a scrivere.
Scritto venerdì, 29 giugno 2007 alle 09:53 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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