domenica, 16 dicembre 2007
CARA ITALIA, DIMMI COME TI VEDONO E TI DIRÒ CHI SEI
Nei giorni scorsi il New York Times ha dedicato alla nostra Italia un articolo in prima pagina. Un articolo che ha fatto il giro del mondo.
In quell’articolo si sostiene che il nostro paese soffre di una sorta di ”depressione collettiva” che passa dall’economia, alla politica, fino alla società.
Che peccato!, sostiene in estrema sintesi il NYT. Sì, perché l’Italia è un Paese ”che tutto il mondo ama perché è vecchio ma ancora affascinante”. E tuttavia, sebbene sia ”adorato all’estero e nonostante tutti i suoi innati punti di forza, l’Italia non sembra amarsi e gli italiani sono il popolo meno felice dell’Europa occidentale.”
”Per la maggior parte, i problemi non sono nuovi e questo è il problema”, sottolinea il New York Times, secondo cui l’Italia ne è preda da così tanti anni che nessuno sembra sapere ”come cambiare o se sia ancora possibile.” Senza contare che quelli che erano i punti di forza dell’Italia “si stanno trasformando in debolezze”. Sarebbe il caso delle piccole e medie imprese che si trovano, oggi, a dover competere con l’economia globalizzata e con il neocolosso cinese.
Ronald Spogli, ambasciatore americano a Roma, ha avvertito del rischio di un diminuito ruolo internazionale dell’Italia e di difficoltà nel rapporto con Washington: ”Devono tagliare l’edera cresciuta intorno a questo fantastico albero vecchio di 2.500 anni che minaccia di ucciderlo”; ma l’impressione, ha continuato, è che ”il malessere nasca dalle poche speranze di tagliare quell’edera e questo rende gli italiani tristi e arrabbiati.”
Il giornale americano non manca di osservare che di siffatta rabbia si sia fatto portavoce nei mesi scorsi Beppe Grillo con il suo “V-day” e il suo “Basta!” rivolto a tutte le forze politiche e al sistema. E non è un caso, sempre secondo il quotidiano, che i bestseller dell’anno siano stati La Casta e Gomorra.
L’allarme, sostiene il NYT, passa anche dalla questione generazionale. In un contesto del genere, non stupisce più di tanto che ”il 70% degli italiani tra i 20 e i 30 anni vivano ancora a casa, condannando la giovinezza ad un’estesa e improduttiva adolescenza, mentre molti delle menti più brillanti, come i poveri di un secolo fa, lasciano l’Italia”.
E poi… sapete cosa ci rimane dopo la morte di Luciano Pavarotti?
Ce lo spiega un ragazzo intervistato: ”ci sono rimasti solo la pizza e la pasta.”
È proprio così? Non del tutto. Perché, come precisa il giornalista americano, è vero che ”non ci sono nuovi Rossellini, Fellini o Loren, ma ci sono la Ferrari, la Ducati, la Vespa, Armani, Gucci, Piano, Illy, Barolo.”
Certo, il problema è che ”gli imprenditori lamentano di essere soli: i politici offrono poco aiuto per rendere l’Italia competitiva e questo resta l’ostacolo principale. L’imprenditoria vuole meno burocrazia, più leggi sulla flessibilità del lavoro e maggiori investimenti nelle infrastrutture per favorire il movimento delle merci.”
Che destino ci aspetta? Secondo gli amici americani, se non cambiamo rischiamo di fare la fine della Repubblica di Venezia: ”Bloccata dalla grandezza del passato, con gli anziani turisti a fare da incerta fonte di vita.”
Insomma, l’Italia come una sorta di Florida d’Europa.
Secca e schietta la replica del nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: “Scommettete sull’Italia, sulla nostra tradizione e il nostro spirito animale. (…) Ci vuole continuità nella politica di governo in alcuni campi come la difesa, l’università e l’economia. Ciò detto l’Italia è assolutamente un paese forte su cui vale la pena di scommettere”.
Diversa l’opinione di Walter Veltroni, sindaco di Roma e leader del Pd: “Siamo un paese che deve scrollarsi di dosso questa specie di scimmia della paura di ogni cosa nuova perché c’è l’idea che ogni cosa nuova che accade debba spaventare. Quando ci sono delle novità, se sono giuste, fanno bene a tutti.” Secondo Veltroni, il New York Times “non ha scritto cose infondate: il paese ha i fondamentali per farcela, ma è il contesto, la farraginosità del sistema politico e istituzionale, il clima di odio e di contrapposizione che determina lo stato non sereno al quale il quotidiano statunitense ha fatto riferimento. (…) L’Italia ha bisogno obiettivamente di ritrovare fiducia, sorriso, serenità, energia e speranza puntando sui seguenti punti di forza: la grande vita culturale, un meraviglioso sistema delle imprese, ragazzi di primissimo livello, gente che vuole lavorare”.
Ora, pensando agli americani verrebbe da dire: guarda un po’ da che pulpito viene la predica!
Ma non si accorge, il New York Times, che il sogno americano per molti cittadini a stelle e strisce si è trasformato in qualcosa che somiglia molto a un incubo?
Ma che cosa pensano ‘sti americani?
Che sia finito il Bel Paese?
Che gli italiani non siano più Bella Gente?
Che abbiamo lasciato il mandolino ad ammuffire dentro la custodia? Le pizze a bruciare dentro il forno? La pasta a scuocere in pentola?
Domande – queste – che potrebbero essere condivisibili, ma anche banali. E di comodo. E forse le considerazioni di comodo non portano da nessuna parte.
Rimane il fatto che dal di fuori vedono Beppe Grillo come una sorta di “comprensibile e inevitabile rivolta interna” al sistema, e il duo “La casta”-“Gomorra” (che credo siano anche i nostri libri più noti e letti all’estero) come gli anticorpi saggistico-letterari all’italico malessere.
È proprio così?
Siamo davvero così depressi?
Siamo sul serio il popolo meno felice dell’Europa occidentale?
E fino a che punto non ci amiamo più?
E poi, esiste davvero una sola Italia?
Massimo Maugeri
Tags: America, Italia, New York Times, Usa
Scritto domenica, 16 dicembre 2007 alle 23:19 nella categoria PERPLESSITA', POLEMICHE, PETTEGOLEZZI E BURLE. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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