mercoledì, 2 gennaio 2008
IL FENOMENO POTTER
A luglio, come qualcuno di voi ricorderà, in questo post presi un po’ in giro la “povera” J. K. Rowling, madre letteraria di Harry Potter.
Ne riparliamo adesso, dato che l’ultimo capitolo della saga del maghetto più famoso del mondo sbarcherà nelle nostre librerie (in lingua italiana) tra un paio di giorni.
Scherzi a parte, sarebbe davvero interessante dibattere sui perché di tanto successo. Stiamo parlando del caso editoriale più grande di tutti i tempi, quantomeno in termini di copie vendute e di guadagni (ad eccezione, s’intende, della Bibbia… come peraltro non manca di far notare il protagonista de “Il codice Da Vinci” di Brown, altro eclatante caso editoriale).
Proviamo a discuterne…
Quale magia ha trasformato la Rowling da una quasi indigente a una delle donne più ricche e famose del pianeta?
O, in altri termini… quali sono stati gli elementi fondamentali che hanno determinato il “fenomeno Potter”?
Vi riporto di seguito l’articolo di Roberto Denti pubblicato su Tuttolibri del 28 dicembre, che offre ulteriori spunti per il dibattito.
(Massimo Maugeri)
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Sette romanzi: una lunga serie fuori dalle consuetudini contemporanee che ne ammettono mediamente tre, almeno per quanto riguarda la letteratura per ragazzi. La Rowling ha il passo lungo della narratrice, ma anche i maratoneti hanno spesso momenti in cui cambiano il ritmo della corsa per nascondere un cedimento o una crisi. Infatti fra i primi quattro volumi di Harry Potter e gli ultimi tre, si nota una evidente differenza di ritmo: asciutti e impostati esclusivamente sulle vicende i primi, connotati da considerazioni e riflessioni i secondi. In particolare l’ultimo, Harry Potter e i doni della morte (Salani, pp.702, e 23 in libreria dalla mezzanotte del 4 gennaio) risente l’influenza del pensiero buddistico per come commenta molte vicende, che se seguissero lo stesso modulo di scrittura dei primi quattro, si ridurrebbero a poco più di un terzo rispetto alle pagine complessive.
Ancora una volta però, il giudizio sul testo non può non essere influenzato dal fantasmagorico incalzare di notizie che ha preceduto e seguito la pubblicazione del libro.
Nei mesi precedenti all’uscita del libro (21 luglio, solstizio d’estate) in Inghilterra, le scommesse sulla fine del protagonista hanno raggiunto fasi di parossismo: morirà o riuscirà a sopravvivere? La Rowling ha accontentato tutti: Harry muore ma resuscita. Il genere fantasy è debitore di precedenti illustri, da Gesù a Pinocchio.
Poi ci sono i dati che ne fanno un caso unico: 325 milioni di copie vendute, traduzioni in 64 lingue per oltre 4 miliardi di ricavi, 2.2 milioni di prenotazioni raccolte da Amazon per il nuovo libro (una ogni 5 secondi), 7 milioni le copie vendute dei primi 6 volumi in Italia finora, dalle 3000 sterline incassate per il primo volume la Rowling è diventata la 91° persona più ricca del mondo, in lingua inglese oltre 80.000 persone si sono prenotate in rete per ascoltare la lettura dal vivo del libro, l’ultimo volume ha venduto 11 milioni di copie in lingua inglese in 24 ore, ecc… (inutile, credo, ripetere i dati strabilianti degli spettatori e degli incassi dei primi 4 film).
La Rowling è un’ottima promotrice di se stessa, quasi avesse seguito un corso di marketing di livello superiore. Il 20 ottobre scorso, durante un incontro con 1500 fans alla Carnegie Hall di New York, ha rivelato che Silente (Dumbledore nella versione originale) è gay: infatti si era innamorato del cattivo mago Gellert Grindelwald. «Harry Potter incoraggia la tolleranza» ha dichiarato la scrittrice, profetizzando «nuove crociate di chi non perdonerà mai di aver abbattuto anche questo tabù». Silente è il preside della scuola di magia di Hogwarts, grande autorità morale dell’intera saga che muore nel sesto volume. Nessuno, onestamente, si era accorto di questa diversità (anche se Silente aveva la strana mania dei lavori a maglia), ma le rivelazioni della Rowling hanno permesso a giornali e tv di dedicare ai suoi libri pagine e servizi, sino alla noia.
Poi c’è stata la scoperta (fine ottobre) del linguista francese Jean-Claude Milner: constatato che il mago è profondamente politico e ci parla dell’Inghilterra di oggi «il mondo della magia incarnerebbe la resistenza operaia contro la borghesia dei babbani». Addirittura l’anziana Marge, la zia cattiva di Harry, rappresenterebbe l’indimenticata signora Thatcher, esempio insuperato della reazione. Da aggiungere che Vandemort e i mangiamorte «inneggiano alla purezza della razza», mentre il protagonista ama «le contaminazioni tra diversi».
A suo tempo Antonio Faeti demolì i primi romanzi della Rowling destrutturandone la linea narrativa e mettendone in luce il limite della costruzione delle vicende. Neil Gaiman non è così negativo: «Ne ho letto qualcuno, ho visto un paio di film. E’ ok… Per chi ha letto molta fantasy e libri per ragazzi, non c’è gran che di sorprendente. Il fantasy regala magia e senso di meraviglia, un mondo accogliente e piacevole. Questa è la parte più importante del suo successo». Alan Bennet mentre ci racconta le sorprese della Sovrana lettrice non manca di rivelare che se molti auspicavano uno scambio di idee su Harry Potter, la Regina (che non aveva tempo per quel genere letterario) subito replicava: «Sì, sto aspettando il momento giusto per leggerlo» e sorvolava in fretta.
Non si può pretendere che i contemporanei diano giudizi convincenti su un best-seller globalizzato senza precedenti nella storia dell’editoria. Forse il numero sette che nella cultura indoeuropea è quello magicamente più significativo (dalle fiabe alle note musicali, dai fondamenti religiosi – i peccati, le opere di misericordia, ecc… – ai colori dell’arcobaleno, dai colli di città famose – Roma, Delhi – ai giorni della settimana) ha portato fortuna. Ma la fortuna e la montatura tecnico-pubblicitaria non bastano a giustificare un successo che non può non avere solide radici di merito, difficili da individuare in mezzo al frastuono provocato dall’evento, che il fenomeno ha permesso di costruire non soltanto nei paesi influenzati dalla cultura anglo-sassone ma addirittura nella nuova Cina.
Per i lettori che ne hanno decretato il successo è certamente scattato il processo di identificazione, come accade da quando si ascoltano le fiabe nella prima infanzia quando un romanzo è particolarmente affascinante (per le vecchie generazioni Sandokan insegna). Come Cenerentola, Harry Potter è un protagonista perseguitato che alla fine della storia trova il suo riscatto. Questo avviene per i giovani lettori ma anche per quelli adulti, così numerosi che in Inghilterra, anche per l’ultimo volume, si sono stampate due edizioni di formato diverso: una rilegata per ragazzi, una tascabile per i «grandi».
Siamo quindi al finale che più che altro è un epilogo, diciannove anni dopo la morte e la resurrezione del maghetto. Harry ha sposato Ginny e ha tre bambini, Ron ed Hermion anche loro sposati e Draco si trovano di nuovo al binario 9 e ¾ dove tutto è cominciato per accompagnare i rispettivi figli al treno per Hogwarts. Fra tutte le possibili previsioni e relative scommesse, un finale così convenzionale era difficilissimo da prevedere. Dopo tutto quello che è accaduto ad un protagonista segnato (anche in fronte) da un destino così complesso e intricato, la famiglia tradizionale era l’ultima cosa che ci si potesse aspettare. Immeritata fine!
Roberto Denti
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AGGIORNAMENTO del 03 gennaio 2008
Gli amici della libreria Cavallotto di Catania mi hanno inviato questa locandina chiedendomi di pubblicarla per promuovere l’evento che hanno organizzato insieme a Radio Zammù. Provvedo con vero piacere.
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EXTRAPOST
Il nostro Luciano Comida mi scrive a proposito di un’iniziativa letteraria lanciata a favore di Nicolas Carlino, un bambino di sette anni (siciliano di Canicattì, provincia di Agrigento). E’ malato di una rara e terribile malattia dal nome orribilmente poetico: la sclerosi tuberosa. Vi invito a leggere qui i dettagli dell’iniziativa. E vi ringrazio.
(Massimo Maugeri)
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