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Archivio del 25 gennaio 2008

venerdì, 25 gennaio 2008

IL SUD DELL’EDITORIA. EDITORIA A PAGAMENTO

Questo post ha una duplice valenza. Vi propongo, infatti, contestualmente, un’intervista che Stefano De Matteis – direttore editoriale di Cargo e L’ancora del Mediterraneo – ha rilasciato ad Andrea Di Consoli e un articolo di Gordiano Lupi (che, ricordo, è anche il direttore editoriale della casa editrice Il Foglio) corredato dalla lettera di un aspirante scrittore.

Gli argomenti trattati sono diversi e trovano un punto d’incontro nella “problematica” dell’editoria a pagamento, che già – di per sé – offre grandi opportunità di dibattito.L’intervista a De Matteis affronta ulteriori argomenti che potrebbero essere oggetto di discussione: l’editoria del Sud, la piccola editoria, la promozione dei libri.

Naturalmente vi invito a dibattere sui temi trattati.

Direi di procedere per fasi.

Cominciamo dal tema “editoria a pagamento”, per poi passare agli altri. 

(Massimo Maugeri)

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INTERVISTA A STEFANO DE MATTEIS di Andrea Di Consoli 

Dopo quasi un anno di fermo (il tempo di cambiare promotore, e aumentare il numero delle uscite) “L’ancora del Mediterraneo” e “Cargo”, le sigle editoriali napoletane, tra le principali del Sud, tornano fra qualche giorno in libreria. Dopo aver fatto esordire scrittori come Saviano, Pascale, Lucente e Zaccuri, e dopo aver pubblicato libri di Berardinelli, Naldini, Cederna, Fofi e Niola, si prevede un anno molto ricco per la piccola casa editrice campana.   Il direttore e fondatore delle sigle è Stefano De Matteis, nato nel 1954 a Napoli e formatosi, sin dal 1977, a Milano, lavorando da Feltrinelli, da Garzanti e, dal 1985 al 1992, con Mario Spagnol della Longanesi. Nel 1992 De Matteis decise di ritornare a Napoli, dove prima ha fondato una rivista con Gustav Herling (“Dove sta Zazà”), poi ha collaborato a “Il mulino” e alla pugliese “Argo”, fino a fondare, nel 1999, “L’ancora del Mediterraneo” (“Cargo” nascerà, da una costola de “L’ancora”, nel 2005).

De Matteis, perché nel Sud Italia non è mai nata un’editoria forte, a carattere industriale? 

Primo, perché al Sud non c’è mai stata una vera imprenditoria di mercato. Secondo, perché l’editoria non è mai stata vista come un’attività remunerativa, ma semplicemente come qualcosa che rientrava nei lussi dell’assistenza istituzionale. Quindi non si è mai costituita un’imprenditoria che lavorasse sulla cultura. Non a caso a Napoli c’è San Biagio dei librai, invece non esiste un San Biagio degli editori. La storia editoriale meridionale è soprattutto una storia di tipografie e di librai.

Quali sono, a suo avviso, le principali sigle editoriali del Sud?

Ovviamente “Laterza” e “Sellerio”.

Può l’editoria di progetto avere un legame forte con il proprio tempo?

Certo che può, sia per quel che riguarda L’Italia, sia per il Sud in particolare. Noi, per esempio, abbiamo anticipato quello che poi è capitato a Scampia, oppure il problema dell’immondizia.

Quali sono i principali problemi della piccola editoria di progetto?

Il problema principale della piccola editoria è saper creare un rapporto diretto con il lettore, nel senso che c’è un rapporto difettoso con i lettori, che adesso sta migliorando tramite internet, ma siamo il paese che spende meno su internet, perché non c’è un rapporto fiduciario con questo strumento e con le carte di credito. E poi c’è stato un grande cambiamento in libreria. Le librerie “grandi spazi”, come tutti sanno, smerciano soprattutto i famosi “non libri” per il famoso “non pubblico”.

Cosa significa fare l’editore a Napoli?

La difficoltà è questa: se tu apri un’impresa al Nord, le banche ti guardano come una persona interessante; se tu apri un’impresa al Sud, le banche ti guardano come un “mariuolo”. Noi abbiamo iniziato con capitali privati, non ci siamo mai seduti a nessun tavolo politico o di spartizione culturale, non abbiamo mai voluto nessun vantaggio dalle istituzioni e dall’università. Questa scelta ci è costata molto cara. Solo quest’anno, per la prima volta, faremo un accordo con la Regione Campania, perché pubblicheremo “Questa corte condanna. Spartacus, il processo al clan dei casalesi”, libro a cura di Maurizio Braucci e Marcello Anselmo. In questo caso l’accordo con la Regione è stato interessante, perché permetterà di distribuire il libro nelle scuole, dove verrà fatto un lavoro capillare sull’educazione alla legalità.

Il pubblico dei lettori è peggiorato in questi ultimi anni?

Assolutamente no. C’è stata però una forbice che si è molto divaricata tra quelli che leggono molto e quelli che leggono un solo libro all’anno.

I promotori hanno una grande responsabilità? 

E certo che ce l’hanno, perché devono posizionare bene i libri, fare un braccio di ferro con il libraio, sempre meno motivato. Il libraio purtroppo non è più il consulente dei lettori, ma è uno che riempie le schede e sposta i libri. Un tempo il libraio consigliava, era una figura di riferimento per l’editore. Oggi, con la rotazione che c’è, i librai fanno solo lo spelling sul computer per vedere se un libro c’è o non c’è.

La piccola editoria è anche un luogo di improvvisati e di cialtroni? 

Sicuramente. Ci sono alcuni come me che vengono dall’editoria “pura”, e molti che usano il surplus dei loro guadagni, fatti in altro modo, decurtandoli dalle tasse, e li investono in piccole case editrici. Mantengono quindi in vita una struttura dove non c’è un progetto forte. Se si prende invece Fanucci, e/o, Donzelli, e via a scendere fino a “L’ancora”, c’è un’identità tra imprenditore, ideatore e sistema editoriale. In molti casi, invece, c’è un’estraneità completa.

Ci sono anche speculazioni?

Penso proprio di sì. Ci sono situazioni dove si fanno grossi investimenti, non sempre trasparenti, per costruire marchi che possano funzionare a livello di mercato.

Quali sono le caratteristiche di un’editoria indipendente di progetto?

L’editoria di progetto costruisce un percorso sui tempi lunghi. L’editoria di speculazione, invece, è fatta di improvvisazioni che lasciano ben poco. C’è una tempistica che è completamente diversa, quando fai un’editoria di progetto, perché ti costringi ogni giorno a immaginare il futuro.

E’ rilevante l’editoria a pagamento? E come la giudica?

Purtroppo credo che sia molto rilevante, soprattutto quella che si appoggia all’università, in specie al Sud. Questo tipo di editoria, al di là di qualsiasi ragionamento etico e culturale, non mi piace per due motivi: primo, perché si crea una ridondanza di mercato, perché s’intasano le librerie con prodotti mediocri; secondo, perché si creano una miriade di sigle editoriali senza nessuna credibilità.

Chi sono i nemici dell’editoria di progetto?

I nemici sono tutti quelli che fanno non libri, non cultura, e che non insegnano a leggere. Il vero nemico, come suole dirsi, è la moneta falsa.

Quali sono le differenze tra “Cargo” e “L’ancora del Mediterraneo”?

Cargo” è un marchio nuovo nato nel 2005. Fino ad ora vi abbiamo pubblicato 15 titoli (tra gli altri, Arenas, Grass, Goytisolo), mentre solo nel 2008 ne faremo altri 15. “Cargo” pubblica esclusivamente narrativa straniera, e la direttrice editoriale è Milena Ciccimarra. “L’ancora del Mediterraneo” manterrà la collana “Le gomene”, che pubblicherà libri di attualità e pamphlet, la collana “Odisseo”, che farà gli esordienti e i narratori italiani, e “Gli alberi”, che sarà la collana della saggistica “pura”.

Ci dica alcuni titoli in uscita.

Per “Cargo” è in uscita MacPherson, che è un giornalista di guerra americano, che ha scritto un romanzo su una banda di americani che decide di aiutare il presidente a trovare le armi di distruzione di massa in Iraq. Poi uscirà un altro americano di “disinformations”, che si chiama Nick Mamatas, con un libro intitolato “Come mio padre ha dichiarato guerra all’America”. Per “L’ancora” uscirà un reportage sui rom d’Europa di un austriaco, Gauss, che s’intitola “I mangiacani di Svinia”, perché uno dei grandi olocausti del ‘900 è proprio quello dei rom.

Avete anche pubblicato molti libri sui gulag e sui laogai cinesi.

Adesso facciamo per il “Memento Gulag”, a novembre, la storia di un jazzista russo finito in un gulag. La collana su questi temi si chiama “Un mondo a parte”, in omaggio a Gustav Herling, che è stato, ed è tutt’ora, l’ispiratore de “L’ancora del Mediterraneo”.   

Andrea Di Consoli  

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SULL’EDITORIA A PAGAMENTO di Gordiano Lupi

Da quando ho pubblicato Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura (Stampa Alternativa, 2004) e Nemici miei (Stampa Alternativa, 2005) ricevo le confessioni e gli sfoghi di tanti scrittori caduti nella rete degli editori a pagamento. Oggi voglio far conoscere quello che ci racconta Simone Pazzaglia, un autore toscano che ha ricevuto una proposta da una casa editrice a pagamento. Lui è d’accordo che venga pubblicizzata una brutta esperienza che può servire anche per altri colleghi. Diffidate degli annunci che trovate sui giornali e soprattutto di chi vi propone di pubblicare (meglio sarebbe dire stampare) il vostro libro in cambio di soldi. Se proprio dovete farlo potete ricorrere a un print on demand! Costa molto meno… In ogni caso il discorso sugli editori a pagamento sarebbe lungo, perché è anche vero che ci sono presunti scrittori (i famigerati scrittori locali che esistono un po’ ovunque) che se li meritano e che senza di loro non potrebbero mai definirsi scrittori. Chi pubblica pagando non è uno scrittore, ma soltanto un ambizioso che vuole il nome su una copertina.

A caro prezzo, di solito.

Gordiano Lupi

http://www.infol.it/lupi/

- – -

“Non ho mai avuto grandi passioni in vita mia. A volte ho la sensazione che tutte le cose che faccio siano solo e soltanto un modo per riempire un vuoto, un po’ come fa chi guarda la pubblicità aspettando l’inizio di un film. Non mi intendo di calcio e non conosco neppure il nome dei giocatori anche se al bar spesso vengo tirato a forza in discussioni sull’arbitraggio della domenica o sui prossimi acquisti della mia presunta squadra del cuore. Con lo studio poi idem per il calcio. Certo mi sono laureato con poco sforzo ma con minima soddisfazione e anche lì una continua lotta per fingere, ad ogni esame, di sapere ciò che ignoravo e di essere ciò che non ero.Per il lavoro lasciamo perdere… non mi piace la moda, la trovo una cosa stupida, eppure mi scopro a dare consigli sugli acquisti o sugli abbinamenti di colore da fare ad attraenti donne attempate; è il mio lavoro, quello che mi fa mangiare, gestisco un negozio di abbigliamento.

E poi infine la politica, con anni di militanza in un partito ad organizzare concerti e fare riunioni interminabili per ritrovarmi con un’importante carica amministrativa a livello locale, nel mio sperduto paese. Sono una maschera di me stesso come diceva qualcuno oppure sono come quel cavaliere inesistente che doveva costantemente tenersi occupato in qualcosa per non svanire nel nulla. Essere ciò che gli altri si aspettano è un buon modo per sentirsi vivi, ma vivi a che prezzo?

In mezzo a questo galleggiare, spinto dal vento di ciò che non è mio, si insinua presente la scrittura simile ad un’ancora di salvataggio. E’ stata, da sempre, il mezzo tramite il quale raccontare quella parte di me, sconosciuta in fondo anche a me stesso, che si materializzava a volte sul foglio come avesse una vita sua propria.Eccomi allora nelle mie pagine sgrammaticate, nello sforzo di esprimere un minimo di sincerità; prima con delle poesie e poi con romanzi che raccontano il mio modo di vedere la realtà. Sì, scrivere mi piace e quando lo faccio, e sento che la penna scivola tra i miei pensieri, provo piacere, un piacere fisico simile allo sprigionarsi di uno strano calore nella pancia e nel petto.Va be’ mi diverto è vero, ma chi sa se quello che scrivo piace anche a qualcun altro?E allora perché non provare a spedire un po’ di materiale in giro, magari qualcuno è disposto a leggerlo e perché no a pubblicarlo! Ed ecco che la testa comincia a viaggiare e mi faccio il filmino di essere un vero scrittore e di poter pubblicare un libro, il mio, una cosa vera che mi appassiona e mi racconta.

Vai che si parte… e come dico io “niente a caso”, leggo sul mio quotidiano preferito un concorso letterario con i controcoglioni; c’è una casa editrice che selezionerà una storia di non meno di settanta cartelle dove, chi arriva primo su più di 2000 partecipanti, otterrà la pubblicazione del libro più 1500 euro di anticipo sui diritti d’autore.

Animato da grandi speranze, impacchetto il mio capolavoro e spedisco. Nel giro di una quindicina di giorni mi arriva una lettera dalla suddetta casa editrice dove mi si dice che il materiale è arrivato, lo analizzeranno e mi faranno sapere entro un mese il risultato.

Sono un’ottimista inguaribile, e per tutto il tempo di attesa inizio ad immaginarmi con il mio bel libro in un salotto letterario a firmare autografi e a godermi il premio monetario.

Dopo un mese circa arrivò la risposta a destarmi dal mio fantasticare, diceva più o meno così: il suo racconto non ha vinto il premio ma è stato trovato molto interessante bla, bla, bla, e allora avremmo intenzione se lei è d’accordo a sottoporlo alla valutazione di case editoriali di nostra conoscenza bla, bla, bla…

Aspettai quindi ancora con ottimismo ed iniziai, questa volta, ad immaginarmi con un piccolo libro, senza premio ma pur sempre con qualcosa di mio.Passano giorni di trepidante attesa ed io continuo a consigliare le mie vecchiettine sulle gonne che vestono meglio o sui maglioni che smagriscono, intervallando il lavoro con importanti riunioni comunali sul problema dei cani randagi e sulle scritte offensive che insozzano i muri di tutto il paese.

Poi un giorno, proprio all’ora di pranzo, arriva la mia compagna con in mano la lettera tanto attesa da parte della casa editrice.

La apro a tavola tra lo scoppiettare dell’olio nei tegami, le urla di fame di mio figlio che non intende aspettare e la tensione di Alessandra che legge insieme a me da dietro le mie spalle.

Sento Alessandra che sospira alle mie spalle mentre io le faccio cenno di richiudere la bottiglia e rimetterla in frigo.

Alzo la cornetta e chiamo la casa editrice dicendo di poter essere interessato alla proposta e di voler leggere il contratto di edizione.In fin dei conti si tratta di capire bene cosa significhi “un limitato numero di copie” e per di più tutte le spese di pubblicità e distribuzione nelle svariate librerie d’ Italia sono a spese loro quindi ancora non tutto è perduto.

Aspetto ancora. Non perdo neppure il mio solito ottimismo ma questa volta mi immagino, non più in un salotto letterario, ma in una bancarella davanti alla Coop a vendere il mio manoscritto.

Ed intanto i giorni passano sorretti da speranze non ancora cancellate.

Arriva dunque il pacco postale e dentro vi trovo due libri in regalo (…) dove sono spiegati tutti i misteri del mondo del libro dalla pubblicazione (con le relative spese), alla vendita in libreria. Leggo il contratto e vado subito con gli occhi a cercare l’articolo che parla del “limitato numero di copie” da acquistare… sono 298 per un totale di tremila euro. Bla, bla, bla, spese a carico dell’editore, bla,bla,bla, tiratura di 1200 copie, bla,bla,bla, 3 mesi di tempo per stamparlo in caso di pagamento in contanti, 6 in caso di pagamento in due trance, 9 mesi in caso di comodo pagamento dilazionato.

A questo punto perdo quasi tutto l’ottimismo che possiedo ma ne lascio una goccia per soppesare la possibilità di ottenere un finanziamento da parte di qualche ente. In fin dei conti danno l’idea di crederci nel mio stile e forse tutto il mondo dell’editoria va avanti così; per di più che diamine! Non sarò mica l’unico scrittore che si auto-finanzia un libro!

Ne parlo anche con un signore del mio paese che ha già pubblicato che mi assicura che gli editori solitamente non leggono e il fatto che la casa editrice mi abbia preso in considerazione è già importante. Mi dice inoltre che anche lui ha dovuto pagare per pubblicare, è la prassi. In fondo c’è sempre la pensione di mia nonna nel peggiore dei casi!Provo con Comune, Pro-loco, banche ed infine Coop per ottenere un finanziamento ma è tutto inutile e con il passare del tempo ho come la sensazione che il mio importante romanzo non sia neppure stato letto.

Rifletto se all’inizio della mia avventura come scrittore fosse stato questo quello che cercavo e mi accorgo che la strada intrapresa non ha nulla a che vedere con quello che avevo in mente.

Telefono a Sasha che mi è stato vicino in tutto il mio percorso e tra una birra e un’altra gli racconto la mia avventura.

Dopo una lunga chiacchierata mi alzo sbronzo ma stranamente con le idee più chiare circa il mio futuro.Intanto ho portato a compimento un altro romanzo che mi piace e mi ha fatto star bene nello scriverlo. Per ora non lo ha letto ancora nessuno ma credo che lo spedirò a qualche casa editrice… se non altro lo devo alla bottiglia di Brunello ingiustamente stappata che attende nel mio frigo.”

Simone Pazzaglia

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