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martedì, 26 maggio 2009

MONTEVERDE di Gianfranco Franchi

Di Gianfranco Franchi avevamo già avuto modo di parlarne qui, in merito ai volumi “L’inadempienza” e “Pagano“.
Torniamo a incontrare questo giovane intellettuale romano, nato a Trieste, classe 1978, creatore e gestore del popolare Lankelot, nonché scrittore e consulente editoriale di varie case editrici.
L’occasione ce la fornisce l’uscita del suo nuovo lavoro letterario: Monteverde, edito da Castelvecchi.

Trovo che la nota al libro sia molto intrigante. Ve la riporto di seguito: “Nella schiera degli antieroi che solo la migliore letteratura sa regalarci, ecco il protagonista di Monteverde, trentenne laureato e precario sempre in cerca di lavoro, e di volta in volta arbitro, giornalista-magazziniere, inseritore notturno, tirocinante, addetto allo sportello. Un nostalgico che seppellisce il suo vecchio palmare sotto la pianta di rosmarino, tifoso accanito della Magica, spirito rock, collezionista di mug. Un esule, un italiano, un letterato che rivendica orgogliosamente il suo ruolo. Uno a cui ogni tanto appare all’improvviso un cane, per strada, con un occhio più chiaro dell’altro. Ma chi è davvero Guido, che percorre avanti e indietro la sua isola, Monteverde, sulle tracce di Pasolini, e che fa strani incontri al cimitero, tra le tombe di Keats e Gramsci? Un duro o un romantico? Un asociale? Uno che si innamora? Ascoltalo: è tutto ciò che non ha patria e si ribella, e sembra non voler morire mai”.

Monteverde inizia con queste frasi:
Sono una foglia che pesa ottanta chili. Sogno refoli di vento.
Sono una batteria che si sta ricaricando. Voglio ricaricare in pace, senza sbalzi di corrente. Sono un navigatore senza programma, non so orientarmi con le stelle. Sono lo stipite stanco di una vecchia porta. Sono un contratto firmato in bianco, sono una lettera senza mittente. Sono una tela d’acqua su una cornice di carta, un telecomando che non spegne niente; se mi punto sul cielo m’accendo, funziono. Sono un orologio che batte secondi sulle tempie della sua cassa. Sono un pallone bucato.
Sono una sigaretta che non si spegne, fuma soltanto.
Sono queste mani che dovresti mutilare.

Guido Orsini è l’alter ego di Gianfranco Franchi. Un personaggio che ci fornisce alcune indicazioni sulla condizione di alcuni giovani intellettuali italiani.

Ho chiesto ad Andrea Di Consoli e a Barbara Gozzi di dire la loro su questo libro, e vorrei discuterne con voi insieme all’autore (che parteciperà al dibattito). E poi vorrei interrogarmi (e interrogarvi) sulla figura e sul ruolo dei giovani intellettuali oggi in Italia.

Così mi domando (e vi domando)…

Qual è la condizione dei giovani intellettuali oggi in Italia? Quale il ruolo?

Gli intellettuali trentenni di oggi, in cosa si differenziano da quelli di venti, trenta, quarant’anni fa? In cosa si assomigliano? I loro sogni sono uguali o sono cambiati?

Inoltre ho chiesto a Gianfranco di mettermi a disposizione uno dei bellissimi racconti di Monteverde. Ho scelto Catafalco (potete leggerlo in coda al post), per un motivo ben preciso. È un racconto che affronta il tema della morte dal punto di vista dei bambini. Un racconto che mi ha fatto tornare indietro nel tempo. Che mi ha fatto domandare: quand’è stata la prima volta che ho preso consapevolezza della morte?
Giro la stessa domanda a voi. E aggiungo quest’altra.
Secondo voi, è giusto parlare della morte ai bambini? E in che termini?

Ne approfitto per sottolineare che, oltre che con Monteverde, Gianfranco Franchi è in libreria con: “Radiohead. A Kid. Testi commentati” (Arcana).

Di seguito, le recensioni di Andrea Di Consoli e Barbara Gozzi.

Massimo Maugeri

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MONTEVERDE di Gianfranco Franchi
recensione di Andrea Di Consoli (nella foto)

Monteverde (Castelvecchi, 310 pagine, 16,00 euro), di Gianfranco Franchi, è un romanzo di formazione (Franchi è uno scrittore nato nel 1978, è romano, ma ha sangue triestino, mitteleuropeo). I romanzi di formazione sono, specialmente se costruiti sulla falsariga della propria esperienza personale, romanzi totali, generosi, magmatici – e l’unico rischio che corrono (un rischio tutto rivolto al futuro) è quello di “dire tutto”, di mettere tutte le carte sul tavolo, di bruciare in un unico fuoco legni accatastati nell’arco di due decenni. Mettiamola così: il rischio è tutto di Franchi (ripeto, per il suo futuro di scrittore), ché il lettore ha la possibilità di leggere “un mondo” e una vita con un solo libro. Questa generosità, voglio iniziare così, è il primo tratto “generazionale” di Franchi. Ne sono profondamente convinto: Monteverde è un romanzo generazionale. Ma non lo è nel senso del “target”, ma in un senso più profondo, perché riesce a dire la vitalità e il dolore e lo spaesamento tachicardico dei trentenni italiani (ripeto, senza volerlo) come nessuno lo aveva mai fatto prima. Franchi, cioè, delinea – e vi riesce, sia letterariamente che sociologicamente – la “linea d’ombra” che ha separato quelli nati negli anni ’70 da un “prima” e da un “dopo”, sia privato che collettivo, perché a questa strana generazione è capitato in sorte uno strano “passaggio” epocale, ovvero quello dal Novecento “rudimentale” e sostanzialmente romantico a un Duemila ipertecnologico, afasico, post-comunitario, globale e non più provinciale (ecc.); pure, a quelli nati negli anni ’70 è accaduto, come capita a tutte le generazioni del mondo, il “passaggio” dalla vita giovane a quella adulta. Ecco: come ebbe a dire Eduardo a Napoli, durante i bombardamenti, alla prima di Napoli milionaria al Teatro San Carlo (parafrasandolo): “Gianfranco Franchi ha detto il dolore di tutti noi”. Ripeto, ne sono profondamente convinto. E ora provo a spiegare una cosa che per me è fondamentale, ovviamente sperando di riuscirci. Mi è capitato di leggere recentemente romanzi anche interessanti come, per esempio, La futura classe dirigente di Peppe Fiore. Qual è la grande differenza che c’è, poniamo, tra Franchi e Fiore? La mia risposa è questa: che in Franchi grida e canta la tradizione e la storia sociale e letteraria italiana, perché nonostante Franchi racconti il “pop” o il cosiddetto moderno (la musica, il calcio, il precariato, gli amori spezzettati, ecc.) il collo di Franchi guarda avanti e guarda anche molto indietro (è un collo tormentato), cioè verso i padri, verso le cose perdute, verso una tradizione che continua a parlare, sia pure nell’ombra. Non è nostalgia, ma qualcosa di più profondo, ovvero, per citare Pound, “la contemporaneità di tutte le epoche”. C’è anche un’altra cosa che rende Franchi “generazionale” e sostanzialmente novecentesco, creatura divorata dalla tradizione ultima, figlia delle altre: lo stile non calcolato, non algido, non controllato, ma oscillante, con punte di incandescenza sentimentale e lirica davvero commoventi. Ecco, anche in questo Franchi rischia, rischiando, sempre, la fraternità. E’ un cuore messo a nudo, Monteverde. E vorrei dire un’altra cosa. Molti reportagisti si sono provati a raccontare Roma per mezzo della realtà (operazione utile, ricca di informazioni); ma l’anima di Roma, ecco, quella chi l’ha raccontata? L’anima di Roma l’ha raccontata Franchi. Non avevo mai visto così profondamente appalesarsi l’anima provinciale romana (Michele Plastino, i negozi di dischi, le strade d’estate, Giuseppe Giannini il giorno dell’addio, i concerti, ecc.), senza il compiacimento del provincialismo, della “trovata” sociologica. Ora so finalmente – ne ho il catalogo, le parole, lo stile – le cose che ho perduto in questi ultimi vent’anni di vita. Ora so che non sono solo – scusate la confessione – in questo disperato tentativo di fare il pieno della vita, di dare un senso a tutte le cose perdute, alle paure, al tempo, di entrare nella letteratura con tutti gli sbandamenti (dell’umore, dello stile, della cultura) che rendono certi nostri libri così poco calcolati. Ecco, finalmente, un “compagno di strada” che cercavo da tempo.

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‘Monteverde’ di Gianfranco Franchiappunti di lettura di Barbara Gozzi (nella foto)

barbara-gozzi-2009.jpgMonteverde, il quartiere romano dove vive il protagonista – Guido Orsini – è luogo di memorie, amarezze, di lucide e crude registrazioni che gli occhi dell’autore, Gianfranco Franchi, ‘prestano’ al protagonista (alter ego apparso per la prima volta in ‘Disorder’ pubblicato da le Edizioni Il Foglio nel 2006). Occhi acuti, dunque, ironici quanto precisi, capaci di annegare nel dolore, nel malessere di un vivere faticoso, incerto e perennemente in bilico, ma anche delicati, desiderosi di esplorare, tentare ancora, e ancora.
‘Monteverde’ conclude un percorso preciso, iniziato con il già accennato ‘Disorder’, passando per ‘Pagano’ ( Edizioni Il Foglio, 2007). Un percorso costruito su frammenti, tasselli uniti e slegati che poco alla volta si insinuano, delineano una strada tortuosa eppure nitida.
Guido Orsini è un laureato alla disperata ricerca di quella che, per le generazioni precedenti era un passaggio obbligato, ovvero un posto se non propriamente definibile ‘fisso’ quanto meno stabile, la possibilità dunque di dedicarsi all’unica vera e inviolabile passione-ossessione ovvero la Letteratura. Ma Guido è anche sensibile osservatore della società che lo circonda, di questo ‘Monteverde’ specchio del suo vivere tra limitazioni volute e imposte eppure immerso in tanti sottili interessi importanti. In perenne contorsione, tra ricerche fallimentari, amori sfocati, musica e calcio, orari e vizi.
La struttura stessa del romanzo fornisce una prima guida alla decodifica: sei macro oggetti letterari, un antefatto che è uno ‘spot’ di ciò che il lettore affronterà, e cinque interludi tra gli argomenti principali. Su questi ultimi, gli interludi, vorrei soffermarmi.
Nel primo c’è un cane, che muta nella razza, con gli occhi di due colori diversi e che lo fissa (‘lo’ riferito a Guido sebbene in queste pagine che staccano volutamente la struttura amalgamandola, mi è parso di sentire prepotente e trasparente, la volontà, la voce unica dell’autore). Il cane è un simbolo, un messaggero, ripreso con intelligenza nella copertina e che ritorna anche nel secondo interludio.

“… e mi spieghi se mi stanno venendo a prendere o se c’è qualcosa che sta per capitare oppure se devo smettere di cercare Letteratura e quindi incanto, magia, segno, assurdo e meraviglia in tutte le cose. Io vedo simboli e significati in tutto. Sono un giocattolo giocato da mani sempre nuove, e tutto è un mio giocattolo. Forse anche la morte.” (pag.55)

Attraverso questo simbolo, dunque, la voce inizia a denudarsi, a svuotarsi di contenuti, a riconoscersi in perenne lotta. Non è una guida dunque, il cane, è probabilmente la necessaria virata che attraversa gli oggetti tematici e ne affonda tra le carni.

“Forse il cane voleva avvertirmi che stava per tornare il male, che si avvicinava e che avrei dovuto soffrire ancora per un pezzo.” (pag.113)

Ma anche più avanti, nel terzo interludio, si insiste e si riprende l’antefatto, si incastrano, sovrappongono sensi e significati, l’eco è forte, urgente e necessario. Disperato.

“… e non trovo riposo e non conosco più gioia. Sono una sigaretta che non si spegne mai, e un calice che non s’esaurisce. Sono un caffè troppo amaro, così ti stomaco.
Il malessere fatico a tollerarlo. Ogni mattina peggiora, non so come arginarlo.
Il lavoro è un’ossessione, o un ricordo grottesco che ogni tanto fa male.
Voglio dormire. Fammi dormire.” (Pag. 177)

Il malessere è un leitmotiv pressante, sintomo evidente di un vivere che è trascinarsi tra precariato, esperienze lavorative fallimentari, deriva degli affetti, disagio economico e confusione. C’è molto dolore in questo romanzo, molta fatica da acido e sangue, molta tenace affermazione di quei ‘sogni’ schiacciati ma mai dimenticati, impossibili da accantonare del tutto, perfino nelle scene più grottesche e ironiche, che strappano sorrisi amari, consapevoli.

“… e maledetto il dio della sofferenza, che sia verità o menzogna poco cambia e poco importa: per tutto quel dolore che t’intorpidisce, per quel veleno che s’insinua, e che sordo scava, scava. Sordo, scava. Ma quanto a fondo può scavare, quanto avido ancora può essere, per ossa, e sangue infetto, e polvere e cenere, cenere. Scava. “ (pag.235)

Infinte, nell’ultimo interludio l’immagine del ponte. Che è più d’un simbolo. È chiave di decodifica. Ognuna delle sei tematiche-oggetto di cui accennavo sopra, ovvero: casa, lavoro, donne, musica, la Roma e Patrie letterarie; ognuna è ponte dell’altra, sottile collegamento capace di far traballare l’equilibrio instabile senza disperderlo del tutto, la caduta pare vicina ma mai definitiva.
C’è speranza in questo libro, nella lotta, nel cogliere i fallimenti, il dolore, il male feroce quanto l’insanabile conflitto dei sentimenti, senza imporre conclusioni. I brevi capitoli, ognuno a suo modo indipendenti, possono – sì – cadere ma subito dopo c’è una risalita, una ripartenza, un tentare e ri-tentare in una visione complessa, onesta dell’essere giovani oggi, tra titoli di studio che paiono carta straccia, mestieri inutili, illusori e legami faticosi.
Guido non è persona facile, solitario, poco incline alle mediazioni, mal disposto a cedere ai compromessi, che non accetta la rassegnazione che vede nella sua generazione, inutilità che non ha sapore né odore, senza ‘quel’ fuoco che invece è così prepotente dentro di lui: la Letteratura, amore inviolabile, passione violenta, ragione di vita probabilmente.

“Ho scelta come patria la Letteratura in lingua italiana con opportune commistioni dialettali e linguistiche perché io sono amalgamato così; ho scelto come patria la Letteratura perché è terra di menzogna e oasi di invenzioni e meraviglia, non ha pretese d’essere vera o realistica ad ogni costo, né d’essere Storia: è storia delle storie, è tante storie assieme.” (pag.306)

È un romanzo amaro, ‘Monteverde’, pieno zeppo di scene, dettagli, schegge taglienti mai pietose. Ma anche sottilmente colmo di amore e sentimenti forti quanto pieni, intensi.
Franchi è autore poliedrico, acuto e preciso. La sua lingua si plasma, è materia in evoluzione dove nulla è lasciato al caso o all’intuizione del momento. In questo romanzo, il progetto iniziato con ‘Disorder’ raggiunge una maturazione notevole, nell’intensità, gli intenti incastrati, numerosi. La lunghezza, elemento di stacco dalle precedenti opere, è pregio e difetto di un’opera che non può essere vissuta come mero romanzo. Richiede tempo e pazienza, analisi e recupero dei frammenti, delle ‘storie nelle storie’. La suddivisione in oggetti narrativi semplifica al lettore parte della comprensione, dà modo all’autore di spogliare quel Guido alter ego amato e odiato, all’interno di precise tematiche. È dunque possibile che il lettore perda la ‘strada’ nel corso della lettura, eviti di oltrepassare un certo ponte, ad esempio quello della ‘Roma’ se non ha precisi interessi per il calcio o ‘Musica’. Franchi sa essere tecnico, intinge la sua materia narrativa in elementi fortemente caratterizzati dalla stessa vita che conosce e cerca. E sono rischi calcolati, io credo, necessari per collocare Guido e il suo raccontare in un contesto preciso e inequivocabile.

Ultima annotazione personale: Franchi che scrive d’amore è secondo me perla rara. Già in Disorder alcuni capitoli sono delicati sfarfallii, inni ai sentimenti fondi, lirici senza scivolare nella dolcezza filante che stomaca.

“Una goccia di spirito cade nel silenzio d’un, e aspetto ogni giorno un pezzo di te. Se tu sapessi, che.
Amare (davvero) è pericoloso e brucia; e quando non, è la fine. “
(pag.49 – capitolo ‘Pelle’, ‘Disorder’)

In ‘Monteverde’ ho ritrovato pagine di una dolcezza meno celata, più spudorata, che si mostra fiduciosa e nulla chiede, nulla aggiunge a se stessa. C’è ‘un’ bianco che rimbomba con la forza che toglie il respiro, un bianco che può essere tutto e niente, non colore che facilmente, da un momento all’altro, rischia di finire fagocitato dalle altre tinte eppure brilla, irradia.

“Scende dal cuscino e si mette col muso contro il mio, naso contro naso, occhi negli occhi. Oddio amore mio che occhi che hai, dovresti guardarmi sempre, io questi tuoi occhi li sento dentro sempre, anche quando non ci sei.
[…]
Bianca quella notte che non voleva finire, bianco il telefono che la mattina suonava, bianca la carta delle pizze, bianca la vasca del mio bagno, bianco il pacchetto delle sigarette, bianche le mie scarpe che dovevi sporcare. Bianco il foglio che hai sporcato, bianca la luce del domani.
«Non sono mai stata così».
«Ti amo».
«Ti voglio ancora. Vieni qua».
(pag.131-133)

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CATAFALCO
da Monteverde (Castelvecchi), di Gianfranco Franchi

Un bambino non accetta un concetto in particolare. Che qualcuno o qualcosa possa morire, perché significherebbe che quel qualcuno non è più vero, non è più reale e quindi non è possibile, le cose cambiano ma non si dissolvono, niente si disintegra. Soltanto i soldatini quando li butti nel fuoco, ma qualcosa rimane e poi non sono vivi, sono veri, è diverso. Un essere umano è vivo e vero. La forma mentis del bambino si fonda su tutta una serie di implacabili sicurezze, date per acquisite e mai più smarrite. Una di queste è che le persone che lo stanno allevando saranno protagoniste per sempre della sua vita. Credo che cominciai a capire che potevano levarmi qualcuno pochi giorni prima che mio nonno morisse. Rimase chiuso in ascensore per un tempo che mi sembrò sconfinato, in realtà saranno stati quindici minuti, venti, non lo so. Avevo quasi otto anni, stavo aspettando che tornasse da lavoro, ero là sulla porta, come sempre. Magari mi aveva comprato un giocattolo. Oppure mi avrebbe raccontato un’altra storia. Un sabato pomeriggio, d’un tratto il rumore dell’ascensore s’interrompe. Sento una campana. Chiamo nonno, nonno, e nonno non risponde poi da lontano dice sono rimasto dentro e io mi spavento. Corro da nonna, lei s’è già precipitata a chiamare il portiere. I minuti passano e io non vedo chi doveva tornare. Allora m’accorgo che qualcosa può portarmi via nonno. Non so perché ma in quel momento ero convinto che non tornasse più. Nessuno era mai rimasto chiuso in ascensore, nella mia memoria, e quindi pensavo significasse qualcosa di terribile e di doloroso e di definitivo. Mi dispero, batto i pugni sul divano, piango. Non tornerà mai più, grido. Qualcosa di incomprensibile mi stava portando via nonno. Poi riescono a sbloccare l’ascensore, nonno torna, mi tranquillizza ma non serve a niente. Ho capito che c’è qualcosa che sfugge alla mia logica di bambino, qualcosa di triste e di doloroso e non è come quando un genitore se ne va per mesi interi, perché poi so che torna, questo è qualcosa di cattivo e di invincibile e imprevedibile. Qualcosa di meccanico. Tutto quel che è meccanico è sbagliato. È così. E qualche notte dopo, l’avvertimento diventa reale. Dormiamo nei letti vicini, io sto nel sonno profondo. Ricordo che qualcuno mi prende in braccio e mi porta a dormire altrove. Solo questo, mi sveglio un attimo ma mi confortano e mi ripetono dormi, dormi dai, dormi ciccio. La mattina c’è un parente in salone. Dico Marco come mai, è mattina presto. Una visita, risponde.

Mi mandano a scuola. Papà viene a prendermi prima della fine, parla con la maestra, la maestra fa un sorriso e mi dice puoi andare. Non capisco, c’è qualcosa che non va. In macchina papà tira su col naso ma non piange, mi dice che nonno se n’è andato in cielo e io immagino che ci sia una scaletta, qualcosa del genere, magari dei gradini a chiocciola come nei palazzi, che appaiono soltanto quando lo decidi tu, per cui ha preso e ha deciso di arrampicarsi sino in cima, quindi non dovrebbe esserci più fisicamente, non dovrebbe più essere visibile, immagino. Come se fosse a lavoro o in un’altra città. Mi sento triste ma ancora non capisco. Saliamo su in ascensore che stavolta non si rompe e la porta di casa è spalancata e ci sono delle corone di fiori. Un’amica di famiglia mi leva il grembiule nero della scuola Sant’Ivo, mi fa poggiare la borsa prima dell’uscio, la consegna a qualcuno e non vedo chi è. Nel grande salone c’è una sorta di baldacchino che non ho mai visto, è di legno e sembra un letto ma letto non è, papà mi dice si chiama catafalco, sul catafalco c’è nonno disteso, intorno tante persone e non tutte le conosco ma tutte mi guardano con aria mista di dispiacere e di malinconia e di attesa. Nonna da una parte con delle amiche attorno. Papà mi prende per mano e mi dice vieni a salutare nonno. Nonno è là con le mani giunte e mi sembra tanto bianco. Papà cos’è successo chiedo, dice nonno è stato male. Posso toccargli la fronte dico papà dice vai e mi fa un sorriso poco convinto. Ho paura perché è freddo e penso ora gli parlo e si sveglia come dopo che era rimasto chiuso in ascensore, torna. Non torna. Nonno ciao. Non dice niente.

Arriva una babysitter e mi portano altrove, a giocare vorrebbero, e qualcuno dice il bambino non capisce i bambini non capiscono fatelo stare lontano da qua ma io voglio stare con nonno, così si sveglia. Saliamo al piano di sopra, ma io so già che dal piano di sopra se apro la porta a vetri posso sbirciare in salone e nel salone c’è il catafalco e sul catafalco c’è nonno che se n’è andato in cielo ma invece è rimasto qua. Mia sorella rimane con la babysitter al piano di sopra, io sgattaiolo via come posso e vado a guardare il catafalco, guardo nonno e penso ora si muove, ora si alza, ora parla e tutti sorridono e invece niente, sale su la compagna di mio padre e mi dice cosa fai dico nonno è morto e voglio stare con nonno mi fa una carezza e sussurra andiamo di là da tua sorella e io voglio stare con nonno. Ci penso tutto il giorno mentre mi fanno giocare e sento il campanello suonare anche se la porta è aperta, penso che sia una forma di educazione o di rispetto che non conosco, ma trovo giusta e però non mi sembra giusto che tutti vanno da nonno e io no.

Il giorno dopo quando mi sveglio a casa non ci sono ospiti, c’è odore di caffè e la nonna sta in vestaglia e piange con la signora domestica e papà invece sta in salone vicino a nonno allora vado là, dico papà perché stai qua, risponde perché è l’ultima volta che vede suo padre, dico perché ha le labbra viola, dice è normale quando te ne sei andato, allora questa morte è meno astratta, sei freddo, hai le labbra viola, sei muto, non guardi e non rispondi a nessun segno, sei come spento, papà è come quando spengo qualcosa con la differenza che non so come si riaccende ma ci deve essere un modo. E il modo no, non c’è. Cos’è questo catafalco che non capisco, la parola ha un suono che non c’entra niente con la morte, in mente ho De Falco che gioca centravanti nella Triestina appena tornata in serie B e non capisco che c’entri il calciatore De Falco col catafalco, il catafalco è un antico uso borghese, dice, quando qualcuno importante muore in casa e non all’ospedale succede che si lascia esposto nel salone sul catafalco, è un segno di rispetto. Si muore quindi si va sul catafalco. E tutti vengono a salutare il morto.

E poi arrivano dei signori con la cravatta, con l’aria seria, e portano sulle spalle una bara. E nonna piange forte e non mi fanno guardare mentre nonno va dal catafalco sulla bara, quindi vedo loro con la bara sulle spalle e escono dalla porta nonna dice qualcosa sulla bara che esce dalla porta e credo di aver capito che questo è qualcosa di odioso e di insopportabile ma è nelle cose di quando qualcuno muore e non si può fare a meno, non c’è alternativa, finisce così, con quattro estranei che ti caricano sulle spalle chiuso in una scatola di legno. E il catafalco rimane vuoto e tu non ci sei più nemmeno per i saluti.

Non capivo tutte quelle persone, a dire cose che non capivo magari sottovoce a papà e nonna, e poi era rimasto il catafalco vuoto. Era caldo. Negli anni, a partire da allora, non credo di avere più visto nessun catafalco in nessuna casa, quando è successo che qualcuno s’è arrampicato sulla scala che porta sin lassù sino a non essere più visto; ho visto persone distese sul letto, con le mani giunte, con o senza crocifissi. Tutti bianchi, labbra viola e via dicendo ma nessuno disteso sul catafalco. Questo vuol dire che nonno era proprio importante e che quando è morto tutti dovevano andare a salutarlo, perché aveva fatto cose buone e giuste per tante persone. Questo vuol dire che ci sono tradizioni italiane che non si sono spente col passare dei secoli. Questo vuol dire che nella morte siamo una volta ancora tutti diversi, a dispetto della propaganda. L’uomo grande, forte e intelligente che ha cambiato la storia della mia famiglia per generazioni s’è disteso su un catafalco, e là ha consumato gli ultimi incontri con la luce preziosa e prepotente della nostra vita. Non sapevo che in casa avessimo un catafalco, e non ricordo che sia stato portato in salone da qualcuno: non l’ho mai visto entrare, non l’ho mai visto uscire. Non voglio nemmeno sapere se è stato nascosto da qualche parte. Credo di no ma non voglio andarlo a cercare. So che dal 1985 ci sono due metri, nel salone, in cui non cammino volentieri: là, tra i due divani di pelle, di fronte al camino, dove ho incontrato la morte di un uomo che mi amava più di ogni altra cosa al mondo, e che non aveva finito di prepararmi alle cose della vita. Avevo quasi otto anni e lui sessantaquattro, non aveva una gamba da dieci anni, doveva morire nove anni prima ma invece lavorava e mi insegnava tante cose, aveva un grande ufficio con quattordici dipendenti, tante amanti, tante case, tanti progetti e tanto orgoglio per il nipote primogenito, romanista e sveglio. Non ho capito come sia possibile che una persona così possa morire, so che quando muore la mettono in salone su un catafalco, e da quel momento il salone cambia per sempre.


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Scritto martedì, 26 maggio 2009 alle 21:33 nella categoria LETTERATURA DEI LUOGHI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

221 commenti a “MONTEVERDE di Gianfranco Franchi”

Prima cosa: questo è un post molto corposo (per i vari contenuti che offre). Dunque, va gustato piano…

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:34 da Massimo Maugeri


Seconda cosa: mi fa molto piacere ritrovare Gianfranco qui a Letteratitudine.

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:35 da Massimo Maugeri


Questo suo nuovo libro ha una “targa” importante: quella di Castelvecchi. Per cui… tanti in bocca al lupo, Gianfranco.

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:36 da Massimo Maugeri


Viinvito a leggere le belle recensioni che mi hannoinviato Andrea Di Consoli e Barbara Gozzi.
Vi saluto e vi ringrazio entrambi. E a entrambi vi chiedo di intervenire, se potete…
In particolare (dato che conosco bene gli iper-impegni di Andrea), chiedo a Barbara di darmi una mano a moderare e animare la discussione.

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:40 da Massimo Maugeri


Come ho scritto sul post, il protagonista del libro è Guido Orsini: alter ego di Gianfranco Franchi. Un personaggio che ci fornisce alcune indicazioni sulla condizione di alcuni giovani intellettuali italiani.

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:41 da Massimo Maugeri


Dunque, come spesso vi propongo, vorrei dividere (virtualmente) il post in due parti.
La prima, dedicata alla discussione sul libro.
La seconda, dedicata a temi “collaterali” che il libro mi ha ispirato.

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:43 da Massimo Maugeri


Vi dicevo che questo libro, a mio avviso, ci fornisce alcune indicazioni sulla condizione di alcuni giovani intellettuali italiani.
Di seguito, vi rivolgo alcune domande “in tema”…

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:44 da Massimo Maugeri


Qual è la condizione dei giovani intellettuali oggi in Italia? Quale il ruolo?

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:44 da Massimo Maugeri


Gli intellettuali trentenni di oggi, in cosa si differenziano da quelli di venti, trenta, quarant’anni fa? In cosa si assomigliano?

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:45 da Massimo Maugeri


Secondo voi, i loro sogni sono uguali o sono cambiati?

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:45 da Massimo Maugeri


Intanto, volevo ringraziare – partiamo da qui – una volta ancora il sempre ottimo Massimo Maugeri per l’ospitalità, per la sensibilità e per lo spazio. Quindi, ringrazio fraternamente Andrea Di Consoli e Barbara Gozzi per quanto hanno scritto. Saluto tutti sin d’ora e ne approfitto per omaggiare chi ha dedicato tempo & lavoro al libro:

Copertina di Maurizio Ceccato. In redazione, Elisa Passacantilli. Impaginazione, Marcella Russano. Bandella di Alessandra Gambetti. Ufficio Stampa: Alex Pietrogiacomi, Maia Terrinoni, Angelo Bernacchia.

Grazie a tutti.
Ora mi (ri)leggo il pezzo di ADC e interiorizzo quello di Barbara.
Intanto, un caro saluto a tutti. E’ sempre una gioia e un onore ritrovarmi qui. Ave Massimo!

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:46 da franco


Come ho scritto sul post ho chiesto a Gianfranco di mettermi a disposizione uno dei racconti di “Monteverde”.
Ho scelto quello che ha per titolo “Catafalco” per un motivo specifico: è un racconto che affronta il tema della morte dal punto di vista dei bambini. Un racconto che mi ha fatto tornare indietro nel tempo. Che mi ha fatto domandare: quand’è stata la prima volta che ho preso consapevolezza della morte?
Giro la stessa domanda a voi…

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:47 da Massimo Maugeri


Quand’è stata la prima volta che avete preso consapevolezza della morte?
E aggiungo queste altre…

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:48 da Massimo Maugeri


Secondo voi, è giusto parlare della morte ai bambini? E in che termini?

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:48 da Massimo Maugeri


@ Gianfranco
Bentrovato qui!:)
Ne approfitto per rivolgerti una prima domanda (anzi due).
Chi è quel cane in copertina?
Cosa rappresenta?

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:49 da Massimo Maugeri


Adesso devo chiudere.
A dopo!

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:50 da Massimo Maugeri


questo dibattito non voglio perdermelo e cercherò di seguirlo dall’inizio!
intanto un caro saluto a massimo maugeri e gianfranco franchi.

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:51 da francesco giubilei


Il cane è protagonista degli interludi – tra una sezione e l’altra. L’illustrazione, una creazione di Maurizio Ceccato, si riferisce proprio a questo strano figuro. Nel libro ha gli occhi di due colori diversi, e incarna il male. Nella copertina, somiglia un po’ di più a come Ceccato vede me: aggressivo e grottesco insieme:).

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:52 da franco


Ave Franz, ben ritrovato;)

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 21:52 da franco


gianfranco il 4 giugno presenterai da zammù a Bologna?
Ci sarò a tutti i costi, così possiamo finalmente conoscerci.

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 22:04 da francesco giubilei


Il 6…

Queste le prossime 4 date:

Roma, 28 maggio, ore 20, Tuma’s. FRANCHI+MASCHERI. MONTEVERDE+RADIOHEAD. A KID+IL GREGARIO.
Presentano: Antonio Veneziani e Andrea Di Consoli.

Modena, venerdì 5 giugno, ore 20. Sala Conferenze Istituto Storico di Modena. MONTEVERDE+RADIOHEAD. A KID.
Presenta: Angela Migliore.

Bologna, sabato 6 giugno, ore (?), Libreria Malicuvata. MONTEVERDE+RADIOHEAD. A KID. Presentano: Marco Nardini e

Mestre, mercoledì 10 giugno, ore 18, Libreria Feltrinelli. RADIOHEAD. A KID. Presenta: Massimiliano Nuzzolo.

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 22:05 da franco


mi/ci piacerebbe leggere le risposte di gianfranco a queste domande:

Qual è la condizione dei giovani intellettuali oggi in Italia? Quale il ruolo?

Gli intellettuali trentenni di oggi, in cosa si differenziano da quelli di venti, trenta, quarant’anni fa? In cosa si assomigliano?

Secondo voi, i loro sogni sono uguali o sono cambiati?

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 22:06 da francesco giubilei


a seguire…

Cagliari, luglio. Date in arrivo!
MONTEVERDE+RADIOHEAD. A KID. A cura di Simone Olla & Opifice.
Contesto: # Passaggi per il bosco :: festival di lettere in musiche da periferia. Gruppo Opìfice, Gianluca Morozzi, Vanni Santoni, Gianfranco Franchi, Paolo Mascheri, Simone Rossi, Carlo Palizzi, Gianluca Liguori, Andrea Coffami, Enrica Camporesi, Angelo Zabaglio. Info: http://www.opifice.italbumeuropa.wordpress.com

Sassari, settembre. MONTEVERDE+RADIOHEAD. A KID. Presentano: Luca Martello, Gianluigi Pala, Elio Satta, Lalla Careddu.

Vicenza, 2 ottobre. MONTEVERDE+RADIOHEAD. A KID. Presentano: Alberto Carollo & Della Rovere.
Padova, 3 ottobre ore 18. Libreria effetti personali – via accademia 10 padova. MONTEVERDE+RADIOHEAD. A KID.
Presentano: Luciano Troisio, Marina Monego.

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 22:06 da franco


Ti rispondo a questa domanda, intanto:

“Gli intellettuali trentenni di oggi, in cosa si differenziano da quelli di venti, trenta, quarant’anni fa? In cosa si assomigliano?
Secondo voi, i loro sogni sono uguali o sono cambiati?”

> Risposta facile. Non c’è più un partito. Il partito di riferimento di tanti intellettuali di trent’anni fa era uno e uno soltanto. Era un partito capace di dare loro lavoro e stabilità. Era addirittura comodo essere eretici – ma comunque d’area – e ci sono valanghe di documenti, letterari e non, a supporto di questo stravagante equilibrio.
*
Perduto il partito-madre (o mammella), parecchia di quella gente s’è lasciata assoldare altrove. La nuova generazione ha guardato con diffidenza, fastidio e sospetto l’approccio d’antan, domandandosi quanto fosse autentica l’appartenenza dei “padri” (virgoletto a ragione) a certe cause.
*
I sogni sono quindi diversi. Gli intellettuali della nuova generazione difficilmente sono ideologizzati o hanno tessere di partito. Noi siamo liberi di poter sognare (e plasmare, a dio piacendo) utopia nuova. Noi non dobbiamo rispondere a nessun partito, a nessuna chiesa. Fatichiamo molto di più: ma siamo liberi.

In sintesi, credo di averti risposto;)

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 22:13 da franco


Vivo a Monteverde – Roma da più di quarant’anni. Mi ci hanno portato all’età di dodici e non me ne sono mai staccato. Amo monteverde più della stessa Roma nella sua intierezza (oddìo, amo Roma e la odio anche, allo stesso tempo, come si conviene a un “trapiantato”).
E questa è già la ragione prima per la quale comprerò il libro. Poi mi è piaciuto il raccconto del catafalco, e forse anche più l’incipit: “Sono una foglia che pesa ottanta chili. Sogno refoli di vento.”
Anche io peso all’incirca la stessa ottantinata. Anche io sogno refoli; che mi portino via, lontano. Ben sapendo che non riusciranno mai a strappare via da qui tutto quel peso.

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 22:29 da Carlo S.


Volevo ancora ringraziare Massimo per l’ospitalità – e voi tutti di Letteratitudine – e Andrea e Barbara per gli articoli. Ci sono dei passi eccezionalmente intensi in entrambi. In quello del gran Di Consoli, il poeta padre della “Navigazione del Po”, leggo l’espressione di una comprensione profonda del senso e dello spirito della mia scrittura, e delle battaglie; una comune e condivisa appartenenza. Il sogno di una nuova scuola romana, anche. Un riconoscimento. bellissimo.

In quello di Barbara, c’è il suo stile – analitico ma appassionato, “fuoco freddo” per dirla in termini alchemici – il suo classico ordine mentale (notevole) e la sua capacità di pizzicare passi che vengono dritti dritti dagli strapiombi dell’animaccia mia.
Scrive:
“In ‘Monteverde’ ho ritrovato pagine di una dolcezza meno celata, più spudorata, che si mostra fiduciosa e nulla chiede, nulla aggiunge a se stessa. C’è ‘un’ bianco che rimbomba con la forza che toglie il respiro, un bianco che può essere tutto e niente, non colore che facilmente, da un momento all’altro, rischia di finire fagocitato dalle altre tinte eppure brilla, irradia.”
*
Che dire: grazie ancora.

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 22:33 da franco


Ave, Carlo S.!
Io abito qui dal 1978, avevo due mesi. E’ tutta un’altra Roma. E sottoscrivo in toto quel che dici – amare questo quartiere più della città è naturale. Noi non siamo Roma: siamo la vecchia frontiera di Roma, l’ottavo colle, il passaggio per l’Etruria. Tutta la mia narrativa (Disorder, Pagano, ora Monteverde) è ambientata qui. Le eccezioni sono, tendenzialmente, legate al sangue. Il sangue è giuliano e istriano e se posso canto Trieste e l’Istria. Ma Monteverde è come la Contea di Tolkien. E’ una Notting Hill meno sputtanata. E’ un quartiere incantato, pagano e ribelle. va be’:).

piacere.

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 22:36 da franco


(ti risparmio il dibattito sul reale confine tra Mv Vecchio e Mv Nuovo, altrove abbiamo perso giornate a cercare di capire se è davvero viale dei quattro venti – cioè degli “ottanta” – o se è invece donna olimpia… :) )

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 22:38 da franco


Massimo domanda:
“Qual è la condizione dei giovani intellettuali oggi in Italia? Quale il ruolo?”
*
Ecco. Una cosa a cui tenevo molto, scrivendo “New Order” – diventato poi “Monteverde” – era proprio questa. Ossia che fosse un’opera capace di raccontare il distacco (la distanza) tra ruolo (ruoli) e identità degli umanisti della mia generazione. Non solo i letterati, quindi; penso agli sfortunati laureati in Scienze della Comunicazione, Psicologia e via dicendo. Involontariamente, tutte le nostre esistenze sono diventate avventurose: ognuno di noi è diventato un avventuriero. Siamo stati tante persone diverse, combattendo e sognando (e sperando e disperando) che la gavetta avesse fine, che i tanti sacrifici conoscessero un termine (o almeno: avessero senso); continuiamo a cambiare ruolo e status con una rapidità sconcertante. E’ inquietante.
*
Io ho cercato di farne satira (anche). Di raccontarne gli effetti (in “Pagano”, le cause). Il risultato è che a volte mi sembra di vivere delle appendici di “Monteverde”, da questo punto di vista, nella vita quotidiana. Non c’è stabilità. Non c’è solidità. Non c’è quasi mai coincidenza tra identità e ruolo. Tutto questo avrà delle conseguenze (ne ha già avute; altre ne verranno) non del tutto decifrabili o prevedibili.
*

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 22:54 da franco


Ave quoque tibi, Franco!
Io invece sono genovese, de Zena, perdirlacomevadetta. Però, tu guarda la combinazione, mio nonno veniva dall’istria, Pinguente (oggi Buzet – Croazia, sul confine sloveno), e lì vicino c’è anche un minuscolo paesino che porta il mio cognome originario, in slavo, anche se la mia famiglia con la “ich” finale, poi era italiofona, e si sentiva italiana nell’impero asburgico. E questa è una cosa che non ho mai ben capito.
Quanto al confine io (che ci arrivai nei sessanta) propendo per donna olimpia,quello storico.
Se poi può incuriosirti leggere un mio breve racconto “monteverdino” lo puoi trovare qui, da una mia cara amica che ha avuto la bontà di ripubblicarlo di recente (era pure già comparso altrove):
http://www.sinestetica.net/node?page=4
Ma ora prometto di non rubare più altro spazio, forse anche un tantinello “off topic”, anche se in nome della comune monteverditudine.

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 23:19 da Carlo S.


(“stamo più larghi” è una delle frasi che sento spendere nei contesti più disparati. L’ultima volta l’ha detta una mia amica sarda a un tizio che criticava l’isola. “Non venirci allora – noi stiamo più larghi”. Grande).
(buono il racconto).
*
Quanto alla commistione di sangue, lassù… era abbastanza normale. Ognuno di noi ha gocce di sangue sloveno e croato (o serbo), da quelle parti. Il discorso era – è – che si trattava di terre culturalmente storicamente venete (quindi, italiane); l’Istria costiera era popolata, in maggioranza assoluta (con percentuali incredibili: Pola 98%) da italiani, e così Fiume (oltre il 70) e Zara. Qui dovrei aprire un’altra parentesi ma per ora glisso:).
*
La riconoscenza – e la fedeltà – all’amministrazione austriaca deriva da da secoli di tolleranza e di buon governo. Se vuoi ti segnalo qualche libro per provare a orientarti nel casino. Di solito sono libri che riusciamo a capire soltanto noi che veniamo da lassù, per i ‘tajani restiamo fumosi o misteriosi:).
Sia saggistica che narrativa. Dimmi tu;). (ma intanto ti segnalo che, guarda caso, l’ultimo racconto di MV si chiama “Frontiere” e si svolge tra Trieste e Umago. Poi ti spiegherò perché)
*
(Monteverde: quoto Donna Olimpia).
(Ma Ruberti diceva: viale dei Quattro Venti)

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 23:26 da franco


Grazie a te, caro Franco!

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 23:34 da Massimo Maugeri


@ Franco e a Carlo S.
Urge che vi andiate a prendere un caffè in quel di Monteverde! ;)

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 23:34 da Massimo Maugeri


Per oggi, cari amici, sono costretto a chiudere qui.
Auguro a tutti una serena notte!

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 23:35 da Massimo Maugeri


buonanotte anche a te;).
Caffè nel quartiere quando volete:). Meno mi muovo da qui – lavoro a parte – meglio è. A presto;)

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 23:37 da franco


Mah, che non l’avessi capito l’ho detto tanto per dire. E per capire (o non capire) quel casino basta leggere Magris, o la letteratura mitteleuropea in genere (Joseph Roth, p.es., ma anche Svevo, e oggi Pahor, che dà voce all’anima slava). Una commistione di popoli e culture molto contradditoria, ma per questo molto affascinante. Comunque tu consiglia pure, sia in narrativa che in saggistica, che i buoni suggerimenti son sempre bene accolti (Però insisto nel dire che questa conversazione a due rischia molto di essere OT!)

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 23:51 da Carlo S.


Anche a me il racconto è piaciuto. E molto. Soprattutto perché l’intero evento della morte del nonno è rivissuto, nella scrittura, dal punto di vista di chi lo ha vissuto, appunto ( il narratore- bambino).
E’ una strana coincidenza, ma nel 1985 anch’io sono stata condotta dalla mia nonna materna che era distesa sul suo letto e una delle mie zie mi diceva di baciarle la fronte; io non gliela volevo baciare, ma mi ci hanno quasi costretto e ho sentito quel freddo incredibile, una sensazione che non avrei voluto ricordare mai, pensando alla mia cara nonna. Non ero una bambina di otto anni, però; ne avevo 21. Ma la descrizione di quei giorni e l’idea di non voler camminare in quello stesso spazio in cui stava il catafalco è identica e resa molto bene nel racconto, per chi l’ha vissuta ( e non solo).
La morte non può essere “raccontata” ai bambini, nel senso: si dice loro che qualcuno è “andato in cielo” e però lo vedi lì disteso e freddo. I bambini ( e anche in questo i ricordi dello scrittore sono così precisi) pensano ad altro: pensano, per esempio, che Del Falco cosa c’entra col “catafalco”? Insomma “i conti non tornano”…
Un mio caro amico francese mi aveva raccontato anni fa che suo padre si era suicidato quando lui era bambino. Lo avevano trovato nel lago. Una sua zia ( che lui ha sempre odiato, in seguito) lo aveva guardato e gli aveva detto: ” Ora preparati: vedrai quanto sarà dura d’ora in poi per te, cosa credi?”. Ma nessuno aveva sentito le parole che questa zia aveva detto all’orecchio di Sylvain, e gli altri cercavano di nascondergli la verità. Intanto lui aveva trascorso tutta la notte accovacciato e pensava a quelle parole della zia e non ne capiva il significato.
@Gianfranco Franchi:
ho letto anche la Sua recensione al film di Lars von Triers e, per quanto anche a me sia piaciuto “Le onde del destino” ( molto inquietante anche quello..), non credo che andrò a vedere questo suo ultimo film. Mio fratello mia ha detto che “Dogville” era orrendo.
Cari saluti e complimenti per il Suo libro.

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 23:55 da roberta


Ps: eh, la frase ” Non venirci, allora – noi stiamo più larghi..” della sua amica sarda, la capisco, perché se l’isola la critichiamo noi, va tutto bene, ma se ce la criticano gli altri, allora non vogliamo più.. ( è tipica degli isolani, secondo me).

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 23:58 da roberta


maledetto inverno 1985-’86.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 01:19 da andrea branco


Carlo, ecco: Pahor è proprio l’esempio al limite: è voce di una minoranza storica e il suo orologio biologico si è fermato, in narrativa, agli anni Quaranta. Non ci aiuta a capire: aiuta, purtroppo, a mistificare. Che poi sia un buon narratore è un altro paio di maniche. Aiutano a capire la situazione Ara e Magris in “Trieste. Un’identità di frontiera”, aiuta Stuparich (“Ricordi istriani”, “Un anno di scuola”), aiuta Slataper (“Il mio Carso”). Se andiamo OT, gianfranco.franchi@fastwebnet.it

(hai ragione;) )

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 07:57 da franco


Cara Roberta,
parto dagli OT: la recensione al film di von Trier appare su Lankelot ma non l’ho scritta io, è firmata “Leon”. Leon è Federico Magi. Io ormai scrivo poco di cinema… i miei pezzi sono tutti firmati “franchi”.
*
Quanto all’isola, sono con voi. Sono un ammiratore del popolo sardo e credo sinceramente che facciate bene a prendere le distanze da chi vi critica (turisti e politici per primi): nessuno deve azzardarsi. Fossi sardo sarei orgoglioso di tutto quel che è sardo, della mia storia, della mia terra, del mio mare. Assolutamente.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 08:00 da franco


(a proposito: Roberta e Branco, grazie per la condivisione di ricordi ed emozioni sulla questione 1985-86. Buona giornata a tutti!)

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 08:05 da franco


Innanzi tutto buon giorno a tutti, mi scuso se arrivo solo ora ma sono in regime di ‘altalena da presenza on line’… leggerò tutto per bene.
Un abbraccio a Massimo, Andrea, Gianfraco e a tutti gli amici, lettori di Letteratitudine. E’ stato un onore e un grande piacere scrivere di ‘Monteverde’, come avevo già anticipato a Massimo non ho seguito (per ragione di tempo) tutti gli ampi articoli e analisi e commenti già usciti on line, dunque ho scritto di quello che ho ’sentito’.
Per ora, buona giornata!
B

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 08:34 da Barbara Gozzi


buona giornata a te, e grazie ancora per il magnifico articolo.
Inchino,
gf

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 08:39 da franco


Faccio due domande su Monterde, poi auguro una buona giornata a tutti:
-Monteverde è una serie di racconti di cui uno è “Catafalco” o un romanzo? Forse un romanzo con Guido come protagonista.
-Perché il cane è un “simbolo” del male?

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 09:03 da roberta


@ Roberta:
Franchi scrive novelle! Novelle della buonanotte perlopiù. Il fatto che casualmente si compongano come romanzi una volta riunite è, appunto, un caso. Per verificare ciò basta leggersi il suo “Disorder”, ed. Il Foglio. Come dice Barbara, “Monteverde” conclude un percorso (letterario), è una messa a fuoco “prima” di scattare la foto. La foto deve ancora venire, credo. Spero. In ogni caso queste son mie impressioni, e Franchi ti risponderà certo meglio (essendo l’autore, ci mancherebbe altro!).

http://www.youtube.com/watch?v=f8oLojgTMVA

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 09:16 da andrea branco


Eccoci…
Monteverde si legge proprio come un romanzo, a quanto pare. Stando agli articoli apparsi sul web e sulla carta stampata, “romanzo” è la definizione più gettonata. L’architettura, in ogni caso, è quella di una raccolta di racconti. Sono 47 pezzi (47 sta per: morto che parla:) ) suddivisi in 5 sezioni da 9 pezzi (Casa, Lavoro, Donne, Musica, La Roma) e 1 da 2 (Patrie Lettere). Tra una sezione e l’altra, gli interludi.
Guido Orsini è il protagonista di tutte le storie.
*
Cane: è un omaggio ai Taccuini di Otto Weininger, a David Bowie e a Cu-Chulainn. Ma non solo. C’è tutta una tradizione che associa alle creature con gli occhi di due colori diversi una natura diabolica o luciferina. Mi piaceva l’idea che il diavolo si fosse mascherato (da cane). Non serve dirti che amo molto i cani.
*
Grazie ancora!

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 09:17 da franco


(manco a farlo apposta, il commento precedente era il numero 47. )

Ecco a quanti consiglio la lettura:
è un libro per quelli che…
1 – avevano amato “Disorder” e “Pagano”.
2 – credono che la novella e il racconto siano un genere italiano, non americano.
3 – apprezzano le raccolte di racconti con un’architettura chiara e tanti diversi sentieri di lettura (e tutta una serie di corrispondenze interne…).
4 – credono che il calcio possa essere protagonista della Letteratura
5 – credono che il rock possa essere protagonista della Letteratura
6 – credono che di certi amori non si sia detto tutto
7 – credono che della nostra generazione qualcosa sia stato trascurato, o mai spiegato
8 – credono che in casa esistano tanti oggetti che parlano
9 – sanno che un gatto può parlare
10 – amano i New Order. “New Order” era il titolo originario del libro.
*
In questo libro troverai tazze, zerbini, lettori dvd, pianerottoli, ombrelloni e telefonini protagonisti dei pezzi; troverai le esperienze di lavoro più bislacche e grottesche, e la Roma raccontata attraverso il suo vecchio medico sportivo, il suo vecchio capitano, improbabili acquisti estivi e qualche programma di una radio romana; amorazzi andati a male e la birra diventata medicinale; la musica al tempo dei Cd e delle B-side, e dei vecchi concerti; teoria e tecnica delle compilation, e senso delle compilation. Anche.
Infine – i fondamentali diritti del letterato:). Un gioco – uno dei tanti – nascosto in questo libro.
*

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 09:26 da franco


Carissimo Franco:
credo nei racconti (e nei percorsi di lettura disseminati tra essi),
credo che di certi amori non si potrà mai dire tutto,
credo che la nostra generazione sia ancora da scoprire (sono nata nel 70),
credo che in casa esistano solo oggetti che parlano,
so perfettamente che un gatto – e un cane – possono tenermi sveglia per ore con le loro chiacchiere,
credo che la morte ai bambini vada sempre raccontata,
credo che raccontandola faccia meno paura,
credo che se me l’avessero raccontata in tempo non avrei creduto, per anni, che mio nonno potesse tornare,
credo che il calcio – e qualsiasi gioco – siano un preludio alla scrittura,
credo che i vecchi concerti – in piazza, in spiaggia, allo stadio – cantino ancora in me, la sera,
credo che Monteverde sia più di un quartiere, ma un mondo nel mondo,
credo che nasconda anche un mistero,
credo che ci tornerò,
e …non credo, ma sono certa che leggerò il tuo libro.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 09:43 da simona lo iacono


Ciao Gianfranco, ho letto il racconto e mi è piaciuto molto. I racconti (quando sono ben scritti) hanno la capacità di trasmettere emozioni in tempi brevi e non ritengo affatto che appartengano a un genere letterario minore. Calvino e Buzzati sono veri maestri del genere. Leggerò il tuo libro ma non lo comprerò perchè in questo momento non ho un centesimo. Me lo farò regalare da Simona. (Simonuccia fai un fioretto)

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 09:59 da Salvo zappulla


Splendido commento. Grazie di cuore. A proposito, ho sentito parlare benissimo del tuo esordio. Altrove c’è un gran bell’articolo di Sergio Sozi. Spero di potermi studiare (e godere) presto “Tu non dici parole”. Grazie ancora;).
*
(uno dei misteri di Monteverde è il cimitero di età pre-cristiana, sotto villa Pamphili e il fu ager fonteianus, sormontato dalle catacombe. L’altro è come riuscire a entrare nelle catacombe, attraverso uno dei segreti passaggi nascosti nella villa…)
(l’altro è: come è possibile che un quartiere che ha ospitato due generazioni di Bertolucci, Pasolini, Moretti, Caproni, Gadda, Rodari, Escher, Brodskij, Joe Rivetto (!), Morricone, Piovani e via dicendo non sia considerato stupenda e unica fonte di ispirazione, anche al di fuori di Roma? Credo che dovremmo fondare una nuova idea di turismo culturale, per Monteverde. Oltre al circuito classico – visite al Gianicolo, al Fontanone; omaggi agli eroi risorgimentali; chiostro del Bramante, etc – ne servirebbe uno nuovo, tutto dedicato ai grandi letterati e ai grandi musicisti che il quartiere ha avuto l’onore di accudire – o allevare).
*
Se passi di qua avvertimi;)

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 10:01 da franco


Ave Salvo!
Rubalo, il libro:).
Altrimenti, quando ci si rivede strappo copia omaggio all’ufficio stampa, e alè;).
*
(Calvino più per l’architettura che per il respiro dei pezzi, Marcovaldo a parte, si intende. Buzzati in assoluto. Ma anche Pirandello; Tozzi; Stuparich, probabilmente il fuoriclasse nel genere “racconto”; Paolo Mascheri – non so se hai letto il suo esordio, “Poliuretano” e Andrea Di Consoli (“Lagonegro”). Il catalogo è ricco – se vuoi spendo qualche nome ancora… contemporanei e non. Assolutamente italiani)

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 10:04 da franco


E aggiungo: un gran bel libro di Massimo Maugeri, che prima o poi vedrà la luce e che farà la gioia di tanti suoi lettori – e dell’editore che avrà l’onore di sostenerlo e supportarlo. Diciamo che questo è un trailer…

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 10:06 da franco


Ho letto il racconto Catafalco. Bellissimo. Complimenti.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 10:13 da Alberto


Salve a tutti.
Come al solito mi scuso per non aver (ancora) letto il libro. Cercherò di fare il mio meglio quanto prima, anche se questo quanto prima non sarà prestissimo, tempo (devo ancora finire Italia de Profundis di Genna, peraltro trascurando la coda di libri fisicamente accatastati sul comodino accanto al letto). Però devo confessare che avere una scaletta di letture imposta da dibattiti in corso, e non solo da voglie momentanee, è una bella cosa: abitua a confrontarsi con una comunità di lettori, cosa alla quale non sono abituato.
-
Non voglio ripetere qui e ora quel che ho scritto nel dibattito relativo a IDP sugli intellettuali. Ritengo però che difficilmente chi ha 30 anni sarà definito “intellettuale” da persone meno giovani. E quelle persone ovviamente sono coloro che detengono le leve del potere, comunque si voglia declinare il termine (lavoro fisso? Soldi? canali di pubblicazione?).
Collegandomi a quanto si diceva sopra, credo che sia vero che la mancanza del Partito si faccia sentire. Ed è vero che così siamo più liberi. Però è anche vero che si tratta della libertà del deserto: puoi andare dove vuoi, tanto non c’è acqua. Fuori metafora, puoi dire quel che vuoi, tanto non c’è nessuno che ascolti (o meglio qualcuno c’è, ma son pochi e ininfluenti nell’Italia di oggi).
È anche vero che se il Partito non c’è più, c’è una grande nostalgia del Partito, soprattutto nelle vecchie generazioni (quelle più giovani non ne sentono il bisogno, credo). Il problema è che siccome il Partito non è stato sostituito da qualcosa di equivalente, chi ha vissuto ai tempi del Partito è fermamente convinto che quei tempi fossero intellettualmente migliori. Ne deriva il corollario: i “giovani” intellettuali non sono intellettuali perché non sanno per cosa lottare (certo, non abbiamo vissuto i tempi del Partito!), e quindi sono meno importanti degli intellettuali meno giovani (quelli sì che sanno cosa vogliono e per cosa lottano!)
QUesta almeno la situazione all’interno dell’università, nonché in tutte le società collegate (es. la Sociatà Dantesca di Firenze, o l’Accademia della Crusca, ecc.)
Mi pare che nel mondo intellettuale italiano ci sia un “age-divide” involontariamente imposto da chi faceva riferimento al Partito. L’unico modo di scalvalcare il divide è di essere di buona famiglia, o dentro le solite organizzazioni strane che ti fanno avere un posto di ricercatore un anno dopo la Laurea. Ma anche così (e parlo ancora per l’università) stiamo a studiare cose piccole specifiche e specialistiche, senza grandi ambizioni di parlare a tutti. E se non si prova a parlare a tutti non si è intellettuali…

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 10:14 da lorenzo amato


grazie, Alberto. Mi piaceva l’idea di raccontare una cosa naturale (ma difficile da riconoscere come naturale. Sempre) senza precipitare nel morbo, senza depressioni, senza ossessività. Con semplicità, e con la voce del bambino che sono stato (e che forse rimango. Dio voglia). Tutto qui:). Se è venuto fuori un lavoro degno, significa che ho la fortuna di avere lettori sensibili e gentili.
Un sorriso, buondì
gf

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 10:15 da franco


wow, sono riuscito a infilare una serie incredibile di errori di battitura, sorry…
ovviamente “del mio meglio”, “temo” e non “tempo”, ecc. Scusate ancora, è che vado di fretta. Prometto di nuovo di leggere il libro prestissimo!

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 10:16 da lorenzo amato


@Franco: verrò presto per un caffè con te e Carlo.Monteverde lo conosco benissimo. E quando vivevo a Roma mi stupivo che non ci fosse un percorso letterario dedicato a Pasolini e a “Ragazzi di vita”…Per esempio dove dice:
“Riccetto abitava alle scuole elementari Giorgio Franceschi. Venendo su dalla strada del Ponte Bianco, che a destra ha una scarpata con in alto le case di Monteverde Vecchio, si vede prima a Sinistra, affossato nella sua valietta, il Ferrobedò, poi si arriva a Donna Olimpia, detta pure i Grattacieli”.

@Salvuccio sono stanca di prestarti i libri. Faccio un’eccezione solo per questo…poi però offrimi il caffè. :)

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 10:21 da simona lo iacono


Ciao, Lorenzo.
Tieni presente un elemento fondante e fondamentale: non abbiamo il partito (e in ogni caso, parlo personalmente, non sarebbe mai stato il partito di chi parlava di giustizia e uguaglianza avallando tuttavia massacri etnici – ucraini, polacchi – o per censo – kulaki, etc) ma siamo protagonisti e pionieri di una grande rivoluzione tecnologica. Il web.
Vuoi rigenerarti? Leggi “L’ipertesto” di Landow. Editore Mondadori l’altro, non quello governativo. Racconta dna, genesi e struttura del web, e senso e significati della sua nascita e del suo avvento.
Prova a pensare alle opportunità di confronto, di dialettica e di circolazione delle idee – al di là delle confezioni partitiche o ecclesiastiche – che il web potenzialmente assicura. I semi per una riforma dell’università e dell’editoria li stiamo piantando adesso. I semi per una stampa libera e indipendente (dal potere e dall’industria: giochino facile, Mondadori o gruppo RCS on staranno mica facendo “recensioni” di libri fatti in casa senza che nessuno dica niente, giusto sui loro periodici? etc), per una Università libera dalle baronie (e dall’acquisto dei libri di certi docenti: pubblicati da certi editori), per una distribuzione diversa e finalmente fondata su criteri altri dalla capacità di tirare xmila copie… sono quelli che stiamo spargendo ora.
*
Animo dunque. Poveri e abbandonati nel deserto, ma non sconfitti. Pensa alla ginestra. Quella ginestra è il simbolo dell’essenza dei letterati del tempo nuovo. Intellettuali consapevoli.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 10:22 da franco


@Franco. Non posso rubarli tutti. Ne ho già presi un bel po’ a Torino, nello stand della Castelvecchi, mentre tu eri impegnato a discutere con il Maugeri.
Se me lo fai inviare dall’ufficio stampa, potrei recensirlo. Loro hanno già il mio indirizzo.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 10:27 da Salvo zappulla


Ave Simona!
La questione Pasolini è molto delicata. Nel quartiere, dopo molti dibattiti e molte discussioni, abbiamo avuto la gioia di ospitare tre targhe. Ma ocio:
1 targa è in via Carini. La sua seconda casa monteverdina; quella dei tempi dell’amicizia con Attilio Bertolucci & eredi. A memoria mia è stata la prima targa a essere esposta.
1 targa è in via Abate Ugone, angolo via di Donna Olimpia.
1 targa è nascosta in via Fonteiana, nell’androne (!) di un palazzo.
Causa delle antiche negligenze o degli “oscuramenti”? Proprio la presenza di una parte di cittadinanza che ben l’aveva conosciuto. Non tutti sono come il Riccetto, entusiasti dell’eredità di PPP. Molti ricordano di aver subito gravi scorrettezze. Pasolini, di notte, non era un galantuomo. Non dico niente di nuovo… e so che è inutile nasconderlo. Diciamo che è bene ricordare l’artista e dimenticare certe sue attitudini violente.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 10:27 da franco


Salvo: eseguo;).
(hai fatto bene, comunque:) )

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 10:29 da franco


Caffè con Simona e Salvo: quando volete:). Massimo ha i miei numeri, la mail è pubblica (cfr. più in alto)
grazie ancora

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 10:31 da franco


credo che i sogni degli intellettuali veri siano rimasti intatti.
complimenti per il post e per il racconto. buona fortuna al libro.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 10:32 da marina


(grazie, Marina. Un sorriso e buona fortuna anche a te, per i tuoi sogni e per la tua letteratura)

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 10:46 da franco


Un pensiero di corsa sul secondo quesito di Massimo ovvero la consapevolezza della morte.
Ho questo ricordo di un bisnonno che morì semplicemente di età, o meglio come si usa di dire con schiettezza popolare ‘di vecchiaia’. Ancora lo vedo lunghissimo e secchissimo (io ero una bambina per cui le percezioni sono decisamente deformate dalla condizione). Dentro questa bara pesante (che ovviamente è una collocazione che non posso dare con certezze, non l’ho tenuta, ma così la ricordo, spessa ed enorme, pesante anche in senso interiore, affettivo) e scura, quasi nera. Ricordo vivamente che ero terrorizzata, non sapevo cosa aspettarmi, cosa si andava a fare, niente. Mio padre mi portò. Solo me, mio fratello di quattro anni più piccolo no. E ci fu anche uno scambio di battute con mamma, in merito alla scelta. Io dovevo vedere, o qualcosa del genere. Comunque mio padre non è mai stato uomo di tante parole (non in campo affettivo, da scavo umano, quando è necessario anche capire le emozioni altrui insomma). Per cui io non capii granché finché lo vidi. E fu decisamente inquietante, quando tornammo decisi che non ne avrei mai parlato, mai. E così, occhi bambini, feci. Il ricordo ovviamente ha continuato a mostrarmi. Quel ’senso della morte’ che associai all’involucro che vidi allora, scatola vuota. Secca. Ghiacciata. Inutile e insensata ormai. Ricordo anche, pensate un pò, che mi dissi in silenzio: non resta proprio niente, o qualcosa del genere. Perché quello NON era il bisnonno che andavo a trovare ogni tanto, che mi teneva in braccio nel giardino interno di un paesello della provincia modenese, che rideva e boffonchiava come solo i contadini bruciati dal sole credo possono. Ed è stato poi lo stesso pensiero, il fatto che non fosse più la tal persona ma mero contenitore, a tornarmi addosso anni dopo, per un’altra morte vissuta con diversa consapevolezza, ormai da ventenne. Un altro nonno. Ma comunque non più lì.
Credo che della morte si dovrebbe parlare ai bambini. Parlare però. Credo che ormai tanti fattori li rendono così spugnosi, elettrici, assorbitori di tutto, che è ormai impossibile non far capire, loro arrivano comunque ai sensi, i sottintesi, i toni, i significati. Dunque parlarne, spiegare, tentare di non ‘lasciar correre’, secondo me è importante. Necessario direi. Poi certo, ogni bambino ha una maturazione e caratteristiche diverse. Tutto va dosato, io credo, e ricalibrato a seconda della situazione.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 11:01 da Barbara Gozzi


Errori di battitura per la fretta, mi scuso.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 11:02 da Barbara Gozzi


La morte di un gallo cui avevano tirato il collo ed appeso per le zampe a testa in giu’. Gli usciva dal becco questo strano liquido, un misto di muco e di sangue, spesso, che andava a depositarsi sul pavimento. Le zampe incastrate dentro il cassetto del tavolo in cucina. Ecco, questo fatto della zampe incastrate li’, mi sembrava una doppia tortura, come se ad una morte violenta avessero fatto seguire un’agonia ancora piu’ violenta. La morte degli animali, di quelli domestici, in generale mi feriva molto. Ma anche un merlotto ferito e tenuto in gabbia con una zampetta ingessata, con una zampata, fu finito dal gatto di mia sorella. Fu sepolto sotto una rosa, ma mia madre non approvava tutta questa profusione lacrimale. Aveva paura dei commenti dei vicini: per la vergogna della gente! – in campagna bisogna sempre essere tutti d’un pezzo. la morte degli uomini mi ha fatto soffrire di meno. era sempre legata ad una morbosa curiosita’ e sarei rimasta a guardare il morto per ore come per capirne il mistero cencando di penetrare al di la’ del suo ” rigor mortis “. Anzi, una volta con una mia amica, fummo prese da una risata irrefrenabile e cacciate via quasi a calci in culo. ma poi, fuori, sedute sui gradini della scala, abbiamo pianto con singhizzi squassanti.
Ai bambini non bisognerebbe dire in anticipo le cose, ne’ di morte ne’ di altro che possa andare al di la’ della loro comprensione. Ai bambini bisogna solo rispondere con profonda onesta’ quando chiedono. il piu’ grande delitto e’ la manipolazione dei loro sentimenti.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 11:06 da NICOLETTA MORRICO


Grazie Franco per i consigli “istriani”. In effetti ho letto “di” Slataper e Stuparich, ma non ho mai letto nè Slataper ne Stuparich. Bisogna che prima o poi lo faccia.
Quanto ad un caffè a Monteverde con te, Simona e Salvo, perchè no? Anche una cena (peraltro debbo farmi ancora perdonare da Simona la scelta di una trattoria di trastevere che risultò gastronomicamente infelice, ma si sa, trastevere è un posto per fregare i turisti). Conosco un ristorantino a Monteverde (anche se di cucina “ischitana”) proprio dietro Piazza Fonteiana (angolo Clivo Rutario) che non è niente male! Ci ho portato una volta anche Gregori.
Ed è a due passi dalle catacombe e dai “grattacieli” pasoliniani di donna olimpia.
Forse Simona ha ancora il mio numero di cellulare. La mia mail ce l’ha Massimo, e lo autorizzo a comunicarla a chiunque la chieda.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 11:10 da Carlo S.


Beh, se dobbiamo mangiare a Monteverde… IL posto è LA GATTA MANGIONA. Via Ozanam. La miglior pizzeria romana, in assoluto (assieme a “Sforno”, dalle parti di Cinecittà). Una tradizione pluripremiata (Gambero Rosso, etc) completa di birre rare e artigianali e vini di grande qualità. Se dovete ancora esordire alla Gatta, vi guido io:). Fritti di bontà omicida e pizza e dolci e birre… mamma mia:).
*
Poi si brinda a Giani e a Scipio, è nelle cose.
*
Il posto che dici tu è “Basilico”, credo. Me ne hanno parlato molto bene… ma il top di gamma è un chilometro più su.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 11:13 da franco


Carlo…vada per la cena! Nei luoghi pasoliniani? Mi sa che è meglio se chiedi a Franco…. :)

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 11:16 da simona lo iacono


Tra gli artisti monteverdini non dimenticherei Totò (che abitava dietro a Villa Sciarra, a due passi dalla casa di Escher), Francesco De Gregori, che crebbe nella stessa via dove abito io ed era amico di mio fratello, e oggi Ralph Towner, grandissimo chitarrista di Jazz e membro fondatore degli Oregon, che abita a due passi da Piazza Scotti.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 11:17 da Carlo S.


Io sono proprio di via Fonteiana:). La Gatta Mangiona, che vi dicevo, è poco più su. Dopo potremmo far scattare un ricco giro (passeggiata meditativa post pizza & fritti).
*
Aggiungiamo anche Dario Bellezza (tra Trastevere e Monteverde). Recentemente, la traduttrice Monica Capuani. E’ nato a Monteverde il grande Massimiliamo Governi. In altre parole io vengo a rovinare la tradizione:).
*
De Gregori? Mi dai una notizia. Davvero?

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 11:19 da franco


@ Franco
Mi piacerebbe avere informazioni su questo tuo libro dedicato ai grandissimi Radiohead!

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 11:20 da Jack


Jack, sei un buongustaio. Arrivo, momento che prendo il cs e poi ti do i dettagli

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 11:20 da franco


Oxford, anni Novanta. Un giovane letterato decide di consegnarsi alla storia del rock scrivendo, assieme ai suoi compagni, la musica del crepuscolo della società occidentale, della dedizione assoluta a una donna, della letteratura antagonista. Si chiama Thom Yorke, è un intellettuale combattivo: non ha tessere di partito e non frequenta chiese, preferendo pub e librerie. È una rockstar atipica: è innamorato della donna che ha conosciuto da ragazzo e dei loro bambini, passa il tempo libero con loro o con la band, parla volentieri della musica, del cinema e della letteratura che ha amato. Spesso, le nasconde nei suoi versi: e i veri fan impazziscono per scoprire le fonti. Radiohead, A Kid è il primo studio europeo dedicato all’analisi di tutte le canzoni della band di Thom Yorke: Franchi ha analizzato ogni brano, album per album (incluse inedite e B-Side), confrontando e comparando i testi con una nutrita rassegna stampa mondiale, web e cartacea. Ne è derivato uno Yorke inedito, ribelle, antagonista, coraggioso e libero: niente affatto malinconico e depressivo. Ecco che Douglas Adams, Thomas Pynchon, Lewis Carroll, George Orwell, T.S. Eliot, Kurt Vonnegut, Goethe e Dante s’adattano alla scrittura rock come niente fosse. Everything in its right place.
*
Gianfranco Franchi, “Radiohead. A Kid. Testi Commentati”, Arcana, Roma 2009. Collana Testi. In redazione: Cristina Bellino. Copertina: Maurizio Ceccato. Ufficio Stampa: Angelo Bernacchia, Maia Terrinoni, Alex Pietrogiacomi. Direttore editoriale di Arcana: Gianluca Testani
*

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 11:21 da franco


Il commento è in approvazione, arriverà. Intanto, ti dico questo.
Allora: un anno di lavoro. Analisi – album per album, canzone per canzone – di tutti i pezzi della band; in calce, quando possibile, riferimenti a inedite, b-side, canzoni di TY apparse su “Eraser”, etc.
Scopo del gioco: raccontare tutti i riferimenti (narrativa; poesia; saggistica; cinema; radio; tv; testi di altre band; pittura) nascosti nei versi di Yorke. Assieme, restituire un’immagine di Yorke diversa dal solito – finalmente corretta.
Yorke è un grande combattente. Libero e indipendente. Niente chiesa, niente tessera di partito. E’ un letterato di grande competenza e grande capacità di assemblare opere diverse – quella più amata: la “trilogia in cinque libri” di Douglas Adams.
*
Mi sono studiato tutte le interviste rilasciate negli anni; i diari apparsi sul sito web; i booklet; i siti dei fan. Un mazzo senza precedenti. In nome della band che ho più amato in vita mia, assieme ai Joy Division, ai Nirvana e ai Depeche Mode. Questo, per ora:)

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 11:29 da franco


Vada pure per la Gatta! Ottima pizzeria (e da casa ci arrivo anche a piedi). Il Basilico in effetti è un pò più su (per l’ottimo pesce), ma in fondo non è proibitivo.
Simona (ho letto il tuo libro: è bellissimo), aspetto che ti faccia viva quando sarai a Roma.
La mia mail faccio prima a darvela io: carlocristiana@yahoo.it
Saluti.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 11:33 da Carlo S.


a posto, ti mando subito una mail così cominciamo a muoverci:)
*
saluto tutti, a più tardi

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 11:35 da franco


La morte. Ai bambini penso bisognerebbe parlarne come di un evento naturare, senza infarcirla di troppi significati, né di frasi edulcorate che servono a sviarli dall’evento. Concordo in pieno con Barbara.
@Nicoletta. La crudeltà gratuita sugli animali è una cosa che non sopporto. Che a un gallo venga tirato il collo affinchè la sua carne serva da nutrimento, penso appartenga al ciclo naturale della vita. Una volta un contadino, per far prima, recise di netto con la falce la testa a un cugino di quel gallo che hai citato. L’animale percorse circa 500 metri senza testa, andando a sbattere a destra e a manca. Una scena agghiacciante.
@Franco. Grazie, lo leggerò con piacere. Una settimana ancora per riprendermi dallo choc causatomi da “Tu non dici parole”. Quel romanzo mi ha causato non pochi guai, sono rimasto tre giorni senza parlare e senza mangiare (ma questo è un bene). E’ stato come vedere la Luce. Credo le stesse sensazioni abbia riportato Mosè quando si è trovato nel monte Sinai.
Per la cena: ottimo. Io vengo a Roma il 13 giugno, si potrebbe combinare. Potremmo ricambiare a Siracusa nei luoghi di Vittorini, a due passi di casa della Simo. “Dal lebbroso” Si paga poco e si mangia ancora meno. Però è molto suggestivo.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 11:47 da Salvo zappulla


@Salvuccio…che figura mi fai fare! Dal “Lebbroso”?????? Ma se venite a Siracusa lo sai che alla cena ci penso io…(qui a casa, candele, terrazzo sul mare, luna a fior di collo, libri, Massi e tutti gli altri amici…)
@Carletto: GRAZIEEE
@Franco: ce lo offri un altro racconto? Anche un pezzetto?
Un bacio a tutti. E sì: ci scriviamo.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 12:28 da simona lo iacono


Volentieri:). Qui:
http://www.tellusfolio.it/index.php?prec=/index.php&cmd=v&lev=66&id=3853 c’è una vecchia anteprima, pubblicata quando uscì “Pagano”. Il pezzo, “Frontiere”, è l’ultimo di “Monteverde”. Assieme, trovi una breve intro del mio primo editore (per tre libri), l’ottimo Gordiano Lupi.
*
13 giugno io sarò a Tivoli, per una manifestazione. Sincronizziamoci via mail per 14 giu o 15-31 (scegliete voi)
*
Ancora grazie a Massimo e a voi tutti per l’ospitalità e per i commenti.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 12:33 da franco


incipit e stralcio danno l’idea che Monteverde non sia descritto come una cartolina ma come un’entità vissuta in lungo, in largo e dentro. Se così è, sono portato a credere che il romanzo di Franchi sia azzeccato. In bocca al lupo.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 12:34 da enrico.gregori


Grazie, Enrico. Crepi il lupo.
Se questa è una cartolina, io vivo in una cartolina e sono contento dei suoi confini, dei suoi colori e dei personaggi;). Una delle fortune della mia vita è essere stato parte di questa terra, e di questa gente.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 12:53 da franco


Per dire. Ho scoperto il nuovo Trilussa – un Pasquino redivivo – soltanto qualche mese fa. Fa il fornaio e mette in vetrina i suoi versi. Si chiama Sandro Emiliozzi. Uno dei microcosmi veri di questo quartiere è la sua bottega di pane e poesia. Gran bella persona. Dietro piazza Ottavilla, per i romani;)

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 12:58 da franco


@Franco. si potrebbe fare per il 14.
il 13 giugno partecipo a una serata speciale, a Roma, ore 17,30, hotel Claridge, viale Liegi 62. Presenteremo “Quinto colore”, un’antologia di racconti e poesie bellissime, il ricavato sarà devoluto ai bambini orfani di Malindi (kenya). Perdonatemi il fuori post, ma dato gli scopi benefici dell’iniziativa ne ho approfittato. Mi esibirò al pianoforte e attori professionisti reciteranno alcuni brani. Ci sarà pure un rinfresco. Gli amici sono tutti invitati.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 13:02 da Salvo zappulla


fatto bene.
Se mi mandi un cs ( gianfranco.franchi at fastwebnet.it) pubblicizzo l’evento tra i miei contatti e su Lankelot.

(ok per il 14)

scappo in ufficio:)

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 13:03 da franco


Un pensiero sulla domanda di Massimo.Il mio ricordo sulla prima esperienza della morte è un misto di dolore e leggerezza,di mistero e di abbracci,la certezza che una persona,uno zio materno, non sarebbe stata più alla tavola di campagna con noi a litigare sulla politica e cantare in tedesco le opere di Wagner.Una grande famiglia che pranzava insieme e riviveva i luoghi della memoria cari a tutti,scambiando un bacio e un abbraccio e parlando della vita.Non faceva differenza che q

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 13:06 da francesca giulia


Un pensiero sulla domanda di Massimo.Il mio ricordo sulla prima esperienza della morte è un misto di dolore e leggerezza,di mistero e di abbracci,la certezza che una persona,uno zio materno, non sarebbe stata più alla tavola di campagna con noi a litigare sulla politica e cantare in tedesco le opere di Wagner.Una grande famiglia che pranzava insieme e riviveva i luoghi della memoria cari a tutti,scambiando un bacio e un abbraccio e parlando della vita.Non faceva differenza che quel giorno fosse il funerale dello zio.Lui non c’era più, ma c’era sempre.Credo perciò che senza troppe bugie e mistificazioni,ai bambini bisognerebbe parlare naturalmente della morte,ma senza forzarli a comprendere tutto ciò che nemmeno noi adulti potremmo comprendere mai.Lasciare che colgano il mistero e vivano con noi l’emozione,perchè ai bambini non si insegna nulla con le parole che non possano cogliere con i sensi.
un grande in bocca al lupo all’autore,i luoghi fisici sono ciò che da luce alla nostra memoria e significato alla nostra vita,complimenti.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 13:10 da francesca giulia


La morte non mi fa più paura. Durante la mia vita sono morta tante volte, nel senso che mi sono trasformata come il bruco in farfalla, nel senso che la morte è giornaliera se la intendi come rinascere per cambiare. Dovrebbe essere così anche per chi crede nelle robbe karmiche e giù di lì…
Il problema della morte visto così ha un senso profondo, ma prende una strada illogica quando si ribalta nella relazione.
Esistono gli assassini, quelli che, consciamente o inconsciamente, hanno la tendenza ad ammazzare il prossimo, gli stessi che per intenderci ” buttano fuori” dalla vita per trionfare con il loro ego. La serpe è dentro di loro, si arrotola e impazza quando avverte il bastone che potrebbe a sua volta ammazzarla. Generalmente questi individui non hanno una tendenza all’edificazione del prossimo e dunque della specie e dunque di sè stessi, ma hanno scambiato il termine “annullamento” con quello di ” annientamento”e, se hanno ottenuto potere, sono in grado di commettere dei veri e propri errori colossali, per esempio la morte della cultura o meglio della saggezza è davvero un danno per l’umanità,( i libri di storia hanno lasciato pagine terrificanti a questo proposito), ma non andiamo lontano se pensiamo al dolore di quelli che non vengono “riconosciuti” poichè avvertiti pericolosi …l’istinto non ama essere giudato da un grado superiore di ragione.
Sai perchè?
L’evidenza intellettiva obbliga a riconoscere l’insensatezza delle scelte, l’arroganza di chi siede sul trono e l’assurdità dei suoi risultati. Assurdità che di solito non è un fatto individuale ma viene fuori con il pianto della collettività, di una collettività che sbatte contro il muro delle utopie.
Penso che Non sia un fatto squisitamente ” moderno”.
Io sono una pittrice, sono una scrittrice, sono un paio di occhi che scrutano, una lente d’ingandimento, una tela bianca sulla quale dipingere, un telefono che squilla, una canzone, una preghiera, un bicchier d’acqua fresca, ma PERCHE’ DOVREI ESSERE QUESTE MANI CHE DOVRESTI MUTILARE?

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 13:14 da Rossella


scusate non so perchè è scappato un commento a metà.
Sugli intellettuali non saprei rispondere,ma mi è sorta una domanda,per chi ne avesse voglia, è ancora opportuno oggi parlare di “intelletuali”? E chi sono per voi gli “intelletuali”?

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 13:14 da francesca giulia


Sono una foglia che pesa ottanta chili. Sogno refoli di vento.
Sono una batteria che si sta ricaricando. Voglio ricaricare in pace, senza sbalzi di corrente. Sono un navigatore senza programma, non so orientarmi con le stelle. Sono lo stipite stanco di una vecchia porta. Sono un contratto firmato in bianco, sono una lettera senza mittente. Sono una tela d’acqua su una cornice di carta, un telecomando che non spegne niente; se mi punto sul cielo m’accendo, funziono. Sono un orologio che batte secondi sulle tempie della sua cassa. Sono un pallone bucato.
Sono una sigaretta che non si spegne, fuma soltanto.
Sono queste mani che dovresti mutilare.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 13:18 da Rossella


Francesca Giulia, scusa, hai postato un attimo prima di me che volevo postare per Franco…una risposta alla domanda? che strana combinazione

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 13:20 da Rossella


Rossella non saprei,pensavi allo stesso argomento?

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 13:30 da francesca giulia


Sulla differenza tra i giovani intellettuali di oggi e di ieri.
La differenza vera la fa internet. Non è cosa da poco.
E gli intelletuali che dileggiano internet, lo fanno solo perché manca loro il coraggio del confronto vero. senza la protezione del loro comodo recinto, intendo

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 13:57 da Serafina


Agli intellettuali di oggi manca principalmente il… rigore intellettuale. L’intransigenza, come avrebbe detto Gobetti. E manca loro pure una certa volontà di schierarsi (non necessariamente dal punto di vista politico).

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 14:01 da Barbara X


Mah, non sono d’accordo Barbara X. Mi sembra il contrario. Di intransigenti ne vedo troppi in giro. Di schierati pure. Forse manca un po’ di sana coscienza , ma non solo agli intellettuali.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 14:08 da Antonio C.


Ah, be’, la coscienza sta al primo posto nella lista delle cose che mancano alla società tutta, non solo agli intellettuali: in questo ti do pienamente ragione. Intransigenti? Schierati? Sì, ma troppo spesso per questioni superficiali, di poco conto. Le battaglie vere appartengono sempre più di rado agli intellettuali d’oggi, questo è un dato di fatto inoppugnabile. Ma attenzione: non solo per responsabilità degli intellettuali stessi. Chi magari si impegna sul serio, non viene minimamente considerato perché scomodo o poco commerciabile. (Non so se interverrai ancora, ma chiamami pure solo Barbara: X è il mio cognome d’arte).

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 16:02 da Barbara X


@francescagiulia
Scritto poeticamente come ha fatto Gianfranco Franchi attraverso Monteverde, oppure spiegato come ha fatto la sottoscritta, la sostanziale risposta alla tua domanda è che oggi gli intellettuali , quelli veri, sono confinati da una tendenza che va avanti già da un pò e che si chiama ISTINTO COLLETTIVIZZATO. Anche se sanno patteggiare la sofferenza dell’intellettuale rimane.
Un autore francese, un critico d’arte, scrisse che al giorno d’oggi se inconsciamente l’artista o l’intellettuale viene riconosciuto “produttivo” nel sistema economico allora ha un senso la sua esistenza , altrimenti, anche se è ammirato esteriormente, internamente è considerato come un qualcosa di cui sarrebbe meglio disfarsene, soprattutto se illumina con un grado di coscienza elevato l’oscurità… non so se hai presente l’antipatia istintiva che certa gente prova alla vista di chi gli mette in faccia la verità con cognizione di causa…

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 16:08 da Rossella


Si parla di morte del nonno con catafalco con grande disinvoltura e allo stesso tempo si organizzano con altrettanta disinvoltura appuntamenti conviviali. Sono disorientato. Sono molto grato a Gianfranco, per aver segnalato recentemente senza tante discussioni il mio ultimo romanzo sul suo sito letterario. Ma non me ne voglia se non sono d’accordo sulla piega che ha preso la discussione del suo libro. Dopo aver letto il racconto proposto, sono rimasto commosso e mi scuso se non sono in vena di seguirvi in nessun ristorante. Posso fare un’eccezione per la casa, ma non sono stato invitato.
Scherzi (ma non troppo) a parte, i migliori auguri per la pubblicazione.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 18:22 da Felice Muolo


ave Felice.
Pardon ma la struttura del blog non consente deviazioni in pagine diverse, argomento per argomento. Sarebbe bello se un giorno i commenti si biforcassero – come nel rizoma – e nessun argomento si sovrapponesse. Succede. :)
*
Governare il rizoma è impossibile, in una struttura verticale. Pensaci. E’ un guasto strutturale del web 2.0.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 18:29 da franco


(Rossella, Francesca Giulia, vi sto leggendo:) Domattina rispondo con calma. Intanto grazie per il confronto e per il dibattito)

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 18:30 da franco


complimenti per il libro e per la bella discussione. mi avete fatto venire la curiosità di visitare monteverde. spero di riuscire ad intervenire domani.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 19:03 da andrea paggi


L’amore è una pagina che non vuole voltarsi e dorme domesticata sulle mie dita. Straniero, scapolo, sconosciuto a chi invece non. Che stravaganza. [...] L’amore è atto impulsivo, creatività d’ossessi e diktat di carne che chiede: carne. La mia preghiera pagana vive e appartiene a chi ha inteso perché ne era padrone da sempre. Carne: carne. Carne. Non dimenticate la carne. Carne.
(pag.138)

Importanti i discorsi fatti sopra sull’essere letterati oggi, sulla resistenza, su patria, partiti, Roma come ‘location’ pregna di dinamismo creativo, volontà e freni, incontro di menti e occasioni.
Il brevissimo pezzo che ho riportato sopra vuole solo farsi leggere. E ricordare che Gianfranco Franchi è anche narratore appassionato, passionale, che ha strutturato un libro concatenando racconti con fili precisi a unirli comunque, seppure nella varietà. Ma che, io credo, è a un passo dal raccontare una storia dove personaggi, sentimenti, azioni, dettagli e interiora si incastrano, magari con frammenti, perché no. Ma dove qualcosa – dentro chi legge – finisce per vivbrare come già succede per talune pagine di ‘Monteverde’ (a me è successo, ad esempio nel ‘bianco’ pezzo che ho citato negli appunti).

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 21:30 da Barbara Gozzi


Se vorrà scriverla, una storia così. Ovviamente.
:-)

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 21:41 da Barbara Gozzi


@Lorenzo Amato
Io non so in realtà quali categorie di persone potrebbero essere definite ” giovani intellettuali” ( trentenni ); le categorie non mi sono granché simpatiche. Normalmente si intendeva, un tempo, che un intellettuale “pensava” anche per gli altri, nel senso= era una guida. Mi viene in mente Gramsci o Pavese o Sartre in Francia. Non sono mai state “figure” di riferimento per tutti, nel senso “popolari”, credo. Ma sono esistite ed esistono. Ora a me piace ascoltare e leggere Pietro Citati, che non è un trentenne ( evidentemente), ma quando avevo vent’anni erano i miei prof all’università i miei “intellettuali” di riferimento, quelli che mi facevano pensare e mi facevano conoscere scrittori e saggisti che mi aprivano nuovi orizzonti.
Ho conosciuto cinque anni fa due giovani professori universitari, non credo ancora professori associati. Quanto erano bravi questi due giovanissimi non so davvero dire.
Allora io penso questo: sono i loro studenti quelli che li ascoltano di più e che più di tutti possono “giudicarne” la bravura. Non sono convinta, infatti, che la “fama” ufficiale sia più importante di quella “nascosta”, per così dire, perché è nel parlare alle persone meno “importanti” che si raggiungono più “menti” e quindi c’è una maggiore possibilità di libertà nell’esercizio del pensiero.
Magari ho una visione romantica ( non mi discosto quasi mai da “Les Phares”, in questo senso).

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 21:56 da roberta


Ciao a tutti…
ho avuto la fortuna di leggere Monteverde…e quindi complimenti a Gianfranco!

Per quanto riguarda la condizione dei giovani “intellettuali” oggi, ovvero i pluritirocinanti a vita, è meglio che non apra nemmeno il discorso, perché forse non riuscirei più a chiuderlo…

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 22:01 da Sofia


Vi ringrazio tutti (ma proprio tutti) per i numerosi commenti.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 23:08 da Massimo Maugeri


Mi pare che la discussione si sia sviluppata bene e in maniera interessante.
E seguendo i filoni di dibattito che vi ho proposto.
Un grazie particolare a tutti coloro che hanno risposto alle mie domande.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 23:10 da Massimo Maugeri


Pregasi notare, in alto sul post, la nuova foto (versione vip) di Barbara Gozzi:-)

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 23:10 da Massimo Maugeri


Ovviamente, oltre a Barbara (e ancora a tutti voi), ringrazio Gianfranco Franchi per la generosa presenza

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 23:11 da Massimo Maugeri


Caro Gianfranco,
chiedo a te (e a tutti coloro che conoscono il quartiere… a partire da Carlo S.)… qual è il maggior pregio di Monteverde? Quale il più grande difetto?
(A vostro avviso, s’intende)

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 23:13 da Massimo Maugeri


Ri-metto in evidenza (di seguito) le domande del post…

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 23:16 da Massimo Maugeri


Qual è la condizione dei giovani intellettuali oggi in Italia? Quale il ruolo?

Gli intellettuali trentenni di oggi, in cosa si differenziano da quelli di venti, trenta, quarant’anni fa? In cosa si assomigliano? I loro sogni sono uguali o sono cambiati?

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 23:17 da Massimo Maugeri


Credo che 30/40 anni fa c’era una eccessiva politicizzazione di tutto, dalla musica, alla letteratura. Oggi, cadute le ideologie, questo connotato tende a venir meno, e forse in tal modo il modo di esprimersi degli intellettuali, oltre ad essere più comprensibile dalle masse (si usa ancora dire “masse”?), sembra anche più sincero.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 23:35 da Anonimo


Voglio andare a Monteverde!
Per rispondere alle domande: io sono del 1973 e credo che sia vero che noi settantini ci siamo beccati un momento storico niente male, a cavallo tra THE END OF THE WORLD AS WE KNOW IT e… un postmoderno che non finisce e non sappiamo dove ci porterà.
Il tempo delle grandi ideologie è finito. E direi: era ora. Vorrei che cominciasse un’era di vera attenzione per l’uomo, per la natura, per la vita vera.
Gli intellettuali avranno questo compito difficile ma esaltante: pensare e scrivere, fare arte, agire nel mondo con questa nuova consapevolezza.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 23:48 da Maria Lucia Riccioli


Cara Mari,
organizziamoci per andare a Monteverde insieme…
Ci stai?:-)
Intanto auguro una serena notte a te e a tutti gli amici di Letteratitudine.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 23:53 da Massimo Maugeri


Il racconto è molto bello.
La morte è un argomento di cui non amiamo parlare con i bambini. Tabù, come il sesso.
E i bimbi lì a chiedersi se la scema non sei tu, che parla di fiori e apine. E non sa che i morti non hanno scalette per salire in cielo.
Verità allora. Con delicatezza, senza passare le nostre paure e ansie ai bambini. Fosse facile.

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 23:56 da Maria Lucia Riccioli


Ok!
:-)

Postato mercoledì, 27 maggio 2009 alle 23:58 da Maria Lucia Riccioli


Vippese, vippese prego… buona giornata a tutti!
;)

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 08:11 da Barbara Gozzi


@ Francesca Giulia: crepi il lupo;).
@ Rossella: “Sono queste mani che dovresti mutilare” > Così smetto di scrivere:).
@ Serafina: sottoscrivo in toto. E’ il web che fa la differenza. Cfr. qualche commento più in alto a proposito di Landow e dell’Ipertesto.
@ Andrea Paggi: grazie ancora.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 08:41 da franco


Barbara:
“è a un passo dal raccontare una storia dove personaggi, sentimenti, azioni, dettagli e interiora si incastrano, magari con frammenti, perché no. Ma dove qualcosa – dentro chi legge – finisce per vivbrare come già succede per talune pagine di ‘Monteverde’ (a me è successo, ad esempio nel ‘bianco’ pezzo che ho citato negli appunti).”

> Chissà. Prima o poi comincerò la stesura del più grande libro del mondo contro il telefono (e sulla storia della telefonia, etc). Là tutto dovrà ritrovarsi “in its right place”, come insegna Thom Yorke;).

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 08:43 da franco


@ Sofia: grazie ancora. Tirocinanti a vita non è male come definizione:).
@ Massimo: grazie ancora a te per la disponibilità e per l’ospitalità.
@ Massimo: domandi…
“Qual è il maggior pregio di Monteverde? Quale il più grande difetto?”
> Direi che il pregio è la vivibilità. La vita a misura d’uomo; l’assenza o quasi di traffico (monteverde vecchio) e di problemi di parcheggio (idem; a Mv nuovo c’è qualche problema); la dimensione popolare (paesana) della quotidianità; la facile reperibilità di tutto, camminando tranquillamente a piedi. A piedi si va tranquillamente a Trastevere (quindici minuti) via Gianicolo.
Il difetto sono gli scarsi collegamenti con il centro e con le periferie. C’è una stazione dei treni, ma ha una tratta ridicola; c’è qualche bus, ma si tratta di linee famose per i ritardi e per l’imprevedibilità:). Parlo del 44 e del 75. Ora mi rendo conto che ti ho dato una risposta tecnica e non letteraria, ma credo fosse quella che cercavi:).

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 08:48 da franco


@ Maria Lucia: un avatar potremmo averlo. E’ Thom Yorke. Se avrai modo, che tu sia una fan dei Radiohead o meno, punta “Radiohead. A Kid. Testi commentati” (Arcana, 2009). Poi se ne riparla;)

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 08:50 da franco


Stasera, a Rm, alle otto… Di Consoli, Mascheri e il sottoscritto vi aspettano per parlare del gran “Gregario” di PM e di “Monteverde”.
*
Tuma’s Book Bar
Via dei Sabelli, 17 – SAN LORENZO
info@tumasbookbar.com
*
http://www.tumasbookbar.com/news.interna.php?notizia=335
giovedì 28 maggio
ore 20,00

presentazione di
Monteverde, di Gianfranco Franchi
(castelvecchi editore)

Radiohead. A Kid, di Gianfranco Franchi
(arcana)

Il gregario, di Paolo Mascheri
(minimum fax)

intervengono
Andrea Di Consoli e Antonio Veneziani
partecipano gli autori

(non mancate!)
*
Prossime date: Modena (5 giu) Bologna (6 giu) Mestre (10 giu)

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 08:52 da franco


Oggi, in edicola, grande articolo dedicato a “Monteverde” su IL SECOLO D’ITALIA – a firma ROBERTO ALFATTI APPETITI. 28 maggio 2009 pp. 1, 8,9.

Ringrazio il Direttore Responsabile Luciano Lanna e il grande RAA per l’articolo.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 10:00 da franco


ho letto il bellissimo racconto e l’incipit del libro. entrambi mi hanno colpita. grazie. ti faccio tanti auguri.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 10:51 da letizia di giacomo


grazie a te, Letizia. Inchino.
Sorriso, buona giornata.

gf

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 10:58 da franco


per g.f.
caro gianfranco, c’è qualche autore del passato con cui ti identifichi e che reputi come maestro?
e tra gli scrittori viventi, chi prediligi?

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 11:40 da stefano


Bellissima domanda.
Io vengo da una tradizione – quella degli scrittori giuliani – di cui sono eccezionalmente orgoglioso. Slataper (“Il mio carso”), Svevo, Giani Stuparich, il dalmata Bettiza, Vegliani, Tomizza (istriano) sono parte fondante del mio dna.
*
Il paradigma era e rimane il grande Guido Morselli, in primis per la Dissipatio. Nel Novecento italiano, mi sento vicino per certi aspetti a Bianciardi – ma più d’uno ha già provato a dire perché. Qualcuno dice Tondelli. Non so.
Tra gli stranieri, almeno Knut Hamsun, Drieu La Rochelle e Stig Dagerman. E il primo Hornby.
*
Contemporanei… domani ti faccio un elenco migliore. Intanto: amo Mascheri, Di Consoli, Morici, Consonni: loro su tutti. Sto studiando Pincio, in questo periodo. Paris è l’ultimo erede della scuola romana, “La vita personale” è un capolavoro. Ma devo argomentare meglio:)

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 12:05 da franco


belle risposte. grazie.
parlando di stranieri hai fatto il nome di hornby, che non piace a tutta la critica…

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 12:38 da stefano


scrittrici?? :-)

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 13:08 da francesca giulia


vero! non sono stati fatti nomi di scrittrici :)

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 13:11 da stefano


Non mi direte che non ci sono??Dai Franco tira fuori qualche illustre collega donna,vivente e non.Sarei veramente curiosa di sapere.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 13:18 da francesca giulia


Ma era la domanda, che era al maschile!
La domanda parlava di scrittori, autori, mica di scrittrici ed autrici! eh.

Sugli intellettuali:
una persona che si reputa intellettuale è intellettuale oppure questo termine le deve essere, come dire, dato da altre persone a cui altre persone hanno…etc etc?
chi decide che la tal persona è un’intellettuale, e la tal’altra no?

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 15:08 da andrea branco


Monteverde è una ventata di aria pulita nella narrativa italiana.Libro con il quale Gianfranco conferma la sua irriverente inadempienza nei confronti della cultura. Gianfranco è uno di quei rari esempi di scrittore corsaro che vuole sentirsi libero aldi sopra di ogni cosa e scrivere soltanto quello che più gli piace non ponendosi il problema di voler piacere a tutti. Rara figura di intellettuale onesto in questo tempo di narcisi e voltagabbanasempre in cerca di una mediocre carità intellettuale.
nicola vacca

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 15:17 da nicola vacca


Scusate la latitanza imperdonabile a questa discusione, ma sono oberato di cose da fare e non tutte piacevoli. Mi intrometto solo per fare un grande in bocca al lupo a Gianfranco e sono contento di aver pubblicato con Il Foglio i suoi primi tre libri. Nelle pagine che ho letto di Monteverde sento echi di Disorder e Pagano. Legeteli, se non lo avete ancora fatto.

Gordiano Lupi

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 15:26 da Gordiano Lupi


@ Francesca Giulia: io sono un vecchio ammiratore della Nothomb (e della Capuani, la sua traduttrice). Lei in prima battuta. Tra le narratrici contemporanee italiane, apprezzo molto Francesca Mazzucato e Fiorenza Aste; trovo molto promettente Barbara Gozzi (e ho grande fiducia nel suo futuro). Se ne ho dimenticata qualcuna prometto di correggermi presto;).
Voci del Novecento: troppo facile nominare la Plath? Meno se ti escludo la Woolf. Più Ada Negri che la Merini. Aleramo=zero assoluto.
Altro non mi viene in mente, per adesso (e non è un gran segno). Mi dicono grandi cose del libro della Lipperini sul Don Giovanni (ma stiamo passando alla saggistica; allora dovrei spendere anche il nome della Klein, per capirci… )

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 15:45 da franco


@ Stefano: Hornby è stato il mio idolo sino a “31 canzoni” incluso, con l’eccezione di “Come diventare buoni”. “Febbre a 90°” e “Alta fedeltà” sono libri che trovo difficile non idolatrare. Personalmente so di avere qualche pezzo di Dna condiviso con lui.
Dovrei nominarti tanti artisti morti che amo e che non sento come maestri. Il primo che viene in mente è Douglas Adams. Vorrei saper scrivere come lui, ma so che siamo abbastanza distanti. Il secondo è il Landolfi fantastico (e il Buzzati fantastico). Se cominciamo a parlare di Letteratura non finiamo più, credo:).
*
Tornando agli italiani viventi: l’elenco dei contemporanei che voglio segnalarti è questo. Paolo Mascheri, “Poliuretano”. Paolo Mascheri, “Il gregario”. Claudio Morici, “Matti slegati”. Claudio Morici, “Actarus”. Andrea Di Consoli, “La curva della notte”. Andrea Di Consoli, “La navigazione del Po”. Renzo Paris, “La vita personale”. Luigi Cojazzi, “Alluminio”.
Tecnicamente, tra i viventi, mi sembra che Permunian sia uno dei migliori; prova a leggere almeno “Dalla stiva di una nave blasfema”. Stesso vale per Ottonieri (almeno “Album cremisi”). Loro sono sull’antica linea Savinio-Bufalino-Manganelli, quella della grande letterarietà. Veneziani (Antonio), in prosa, è sulla linea Boine-Slataper-Campana. Prosa lirica. Che classe.
*
Tommaso Labranca è quello che ha più originalità e personalità. Punta almeno “Andy Warhol era un coatto” e “Neoproletariato”. Magris ha più classe di tutti, e Vassalli è il miglior cantastorie. Eco come narratore è un bluff. E’ un uomo di Lettere – e un grande studioso.
*
Tra i più sopravvalutati ci sono, senza dubbio, Aldo Nove (il più scarso in assoluto), Niccolò Ammaniti (c’è già Lansdale; c’è già King), Soriga (quando esce dalla Sardegna, addio). L’elenco è abbastanza sterminato. Aggiungo, tra i più scarsi in assoluto, Sergio Campailla (Bompiani). Ma nominarli non credo serva – basta non leggerli, no?:).
*
Ho detto anche qualche cattiveria:). Pardon.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 15:58 da franco


@ magister Nicola Vacca: saluto e omaggio il poeta Nicola Vacca (Manni, Il Foglio) e il critico Nicola Vacca (Linea, ex Secolo, Liberal…). Anima libera e forte, poeta interprete di un amore grande e magnifico per una e una donna soltanto. Danke Nick!

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 16:01 da franco


@ Gordiano: grazie ancora al maestro Lupi;).
Credo di essere uno dei primi lupologi, sino a 2 anni fa avevo recensito e schedato tutto l’edito (e parte dell’inedito). Sono onorato e orgoglioso di aver pubblicato tre libri col Foglio di Gordiano.
Gordiano è una figura inedita, nel nostro panorama letterario. Una bandiera della cultura alternativa e irregolare da salutare tutti i giorni.

*

Grazie ancora a tutti:)

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 16:05 da franco


@Maria Lucia & Massimo: v’attendo a Monteverde:)

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 16:25 da franco


Bello il racconto sul catafalco. Io credo che della morte si debba parlare ai bambini semplicemente perche’ fa parte della vita e perche’ cosi’ non debbano trovarsi impreparati all’incontro che, fatalmente, avverra’. Un nonno, purtroppo, lo perdiamo quasi sempre durante l’infanzia o la prima adolescenza. Ed e’ uno strappo al quale si dovrebbe arrivare con la giusta consapevolezza. A meno che, come nel mio caso, con i nonni non si abbia grande confidenza e comunanza. Della morte della mia nonna paterna ho un ricordo confuso di qualcosa di eccezionale dal quale, comunque, non mi sentivo particolarmente toccata. Avevo sei anni e mi sentivo fiera di essere ammessa al funerale mentre mia sorella, un anno appena, restava a casa. Quando mori’ il mio nonno materno ero di poco piu’ grande e ricordo una convulsa ridarella insieme ai cuginetti mentre si seguiva il feretro. Perche’ in coda al funerale ci era aggiunto un bastardino male in arnese e noi non riuscivamo a smettere di ridere pensando che un cane seguisse il funerale del nonno. La consapevolezza della morte, vera e tangibile, arrivo’ quando a 12 anni partecipai al funerale di un lontano cugino di 14, morto per un errore dell’anestesista durante una banale appendicectomia. Era un coetaneo, era livido, freddo e cereo, disteso in una bara. Capii allora che la morte poteva appartenere a chiunque, anche ai bambini, non si limitava a prendere le persone anziane. E lo capii da me, elaborando lo choc, perche’ nessuno mi aveva spiegato il concetto.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 16:31 da Laura Costantini


@Franco. Solo per spirito campanilistico desidero segnalarti alcuni scrittori siciliani.
Roberto Mistretta (tutta la serie del maresciallo Bonanno. Cairo Editore).
Elvira Seminara (L’indecenza- Mondadori).
Massimo Maugeri (Identità distorte) Un ragazzo ancora poco conosciuto ma con un grande futuro.
Simona Lo Iacono. (Tu non dici parole) Prossima candidata al Nobel per la letteratura.
Robero Alajmo. (E’ stato il figlio- Mondadori).
Maria Attanasio (Il falsario di Caltagirone. Sellerio)
Silvana Grasso (La pupa di zucchero. Rizzoli)
Paolo Di stefano( Nel cuore che ti cerca. Rizzoli).
Giacomo Cacciatore (Figlio di vetro. Einaudi)
E tanti altri ancora. Non li cito tutti se no facciamo notte.
Mi genufletto dinanzi al maestro Lupi.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 16:36 da Salvo zappulla


@ Laura: grazie per questo bellissimo commento e per la condivisione dei tuoi ricordi.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 16:48 da franco


@ Salvo:
la mia top 5 di scrittori siciliani:
BUFALINO
TOMASI DI LAMPEDUSA
PIRANDELLO
SCIASCIA
VERGA
riserva 1
PICCOLO
*
Quanto ai nomi che mi proponi: conosco Mistretta per via di diversi articoli, ma non amo la letteratura di genere. Rispetto molto la sua attività artistica ma non credo appartenga a quel che sto cercando e studiando da anni.
Non conosco invece la Seminara. Annoto.
Maugeri… ne parlavo qualche commento fa:). L’ho recensito e intervistato, in due momenti diversi. Ma tenderei a non nominare l’ospite più di una volta, in casa sua, in contesto elogiativo o celebrativo;).
La Lo Iacono devo leggerla. Ho studiato l’articolo di Sozi e ho deciso che accadrà;). Come se non bastasse, è quasi omonima di un leggendario calciatore della Roma.
Alajmo… è un incontro che prima o poi si materializzerà. Ricordo degli articoli di Barbara Gozzi. Notevoli.
Attanasio mi manca – ma se è autore Sellerio, a posto, fiducia cieca. Sellerio significa Adelphi o Elliot o Quodlibet. Serie A.
La Grasso e Di Stefano – proprio come Cacciatore (figlio del grande Eduardo, sepolto al cimitero acattolico? Lui era geniale) – mi mancano. Sospetto per via dei loro marchi editoriali.
*
Aggiungo: Andrea Libero Carbone, filosofo e traduttore di Aristotele, più famoso in Francia che in Italia, uno dei fondatori delle DuePunti, in autunno esordio per Castelvecchi.
Aggiungo: Paolo Castronovo, giovane letterato di sicuro avvenire. E’ con noi su Lankelot.
Aggiungo: Marco Busetta, esordio con le edizioni END (ma dietro c’ero io) qualche anno fa. Grande stile.
Aggiungo: il buon Tonino Pintacuda, e la poetessa Laura Caroniti.
Siciliani al cento percento. Anime belle e tutte letterarie.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 16:55 da franco


Io sono fratello dei sardi, ma non sono cieco:). So che dalla vostra isola nasce tanta arte. Quando ho nominato la Sardegna, prima, è stato perché sono legato da un vincolo di sangue con i sardi. Ma conosco la letteratura di entrambe le isole (e sto cercando di individuare le voci più intense e potenti, per le ovvie ragioni che immagini).

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 17:03 da franco


Massimo chiedeva pregi e difetti di Monteverde (il quartiere, non il libro).
Franco ha già risposto. Altre risposte sono già in quello che lui ha scritto precedentemente (gli itinerari pasoliniani p.es., o le catacombe “misteriose” con i loro passaggi segreti); la scelta fatta da altri intellettuali & artisti (ne sono stati citati tanti, dai Bertolucci fino a Escher) di viverci dovrebbe dirla lunga, d’altronde.
A questo e alla prossimità con il gianicolo aggiungerei anche la presenza d Villa Pamphili e di Villa Sciarra, diversissimi (anche per estensione) polmoni verdi. E la vista che si ha su Trastevere, sulla città e sui castelli dai “Fortini” (luogo tranquillissimo e di storico “pomicio” della adolescenza di molti monteverdini) è superiore a quella che si ha dal Pincio: e senza caterve di turisti tra i coglioni (chi non è di Monteverde non sa neanche cosa e dove siano “i fortini”).
Infine aggiungerei la presenza di scuole storiche: il liceo “Manara”, gli scientifici “Kennedy” e “Morgagni”.
E il più bell’ingresso a Trastevere, scendendo dal Fontanone attraverso Via Garibaldi, o il più rapido, per la scalinata del Tamburino.
Basta così và.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 17:05 da Carlo S.


applausi per Carlo:).
Sottoscrivo in toto.
Il Gianicolo è il balcone di Roma.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 17:13 da franco


ho trovato il link sul libro dell’ospite su lankelot
http://www.lankelot.eu/index.php/2007/09/18/maugeri-massimo-identita-distorte/
:)

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 17:16 da stefano


Dimenticavo.
Salvo Mugno, da Trapani. Curatore dell’opera di Lo Presti; narratore e poeta. Mugno è un gran bel letterato siciliano. In catalogo per Jaca Book e Stampa Alternativa (curatela epistolario Messina Denaro).

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 17:16 da franco


grazie per le risposte.
avevo trovato il riferimento all’ospite sul sito di lankelot, e inserito il link. :)
però il commento non è apparso.
:(
che l’ospite abbia inibito la possibilità di linkare i suoi stessi libri???
e perché mai?

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 17:18 da stefano


Ti dico cos’è successo… 99 su cento è in approvazione. Uno dei bug di questa piattaforma kataweb è l’inibizione dei link con estensione .eu
In sostanza, non appena Massimo – o chi per lui – potrà connettersi per monitorare la discussione, troverà uno o due commenti in approvazione. Allora andranno on line;)
(due sono i link maugeridi su Lankelot. Se non ricordo male. No, ricordo bene;) )

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 17:22 da franco


attendiamo fiduciosi :) (io però ne ho trovato uno solo di link)

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 17:24 da stefano


ok
punta l’archivione in alto a sx (è quell’accrocco col logo orrendo)
quindi, clicca su “letteratura”. Quindi, “letteratura italiana”. Da lì, vai fino alla lettera “M”. Trovi doppio Maugeri. Articolo + Intervista.

danke

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 17:34 da franco


A proposito di Sicilia e siciliani, cito la fu Bombasicilia (ah, casa!), dove potete trovare appunto il Pintacuda e la Caroniti qui: http://www.bombasicilia.it/
e i nuovi Pupi di zuccaro (sempre Pintacuda, ed altri, tra cui ricordo Geraci e Merlino) qui: http://pupidizuccaro.wordpress.com/
progetto appena nato e che darà presto frutti.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 17:58 da andrea branco


li ho visti entrambi. grazie a te :)

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 18:26 da stefano


;)

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 18:34 da franco


Ringrazio tutti per i nuovi commenti. E Franco per la sua costante presenza.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 19:03 da Massimo Maugeri


@ Stefano
Ho recuperato il tuo commento. Era finito nell’antispam:-)
Ti ringrazio moltissimo. Però ogni riferimento libresco all’uomo con la camicia celeste, in questo post, è da considerarsi off topic.
-
Ne approfitto per scusarmi con tutti per i pasticci dell’antispam. Purtroppo è imperfetto, anche se – ogni giorno – riesce a filtrare e bloccare centinaia e centinaia di commenti con link a siti commerciali, porno e a porcherie varie.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 19:06 da Massimo Maugeri


@ Andrea Branco
Scusami anche tu. Per arcani motivi il tuo commento era andato in moderazione.
Adesso, però, è visibile.:-)
Abbiate pazienza, eh!
-
A dopo!

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 19:07 da Massimo Maugeri


@ Massimo Maugeri:
Avevo visto che era andato in moderazione, probabilmente perché ho messo due link (-: nessun problema in ogni caso.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 19:10 da andrea branco


A Gianfranco: grazie del suggerimento sui Radiohead…
Leggi Silvana La Spina, specie i romanzi storici, che io trovo geniali… ma non so se sono il tuo genere.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 19:26 da Maria Lucia Riccioli


@Franco. Complimenti vivissimi per il tuo interessamento a tutto tondo. Immagino lo fai per mestiere ma è anche vero che il vero letterato(soprattutto se lavora per una casa editrice) è sempre alla ricerca del nuovo talento da valorizzare, non si accontenta di arare sul seminato. E tu mi dai l’idea del segugio alla perenna ricerca della pista buona. Non è una sviolinata, ma una constatazione sincera. Vorrei mandarti in privato la recensione che ho fatto io al libro della Lo Iacono. Con tutto il rispetto per il caro Sergio, a cui voglio un gran bene, devo dirti che non mi ha convinto del tutto quello che ha scritto sul romanzo. Fermo restando che rispetto le sue idee e lo stimo.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 20:08 da Salvo zappulla


Caro Salvo,
di “Tu non dici parole” di Simona ne abbiamo già ampiamente parlato qui:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/01/21/tu-non-dici-parole-di-simona-lo-iacono/
Uno speciale in cui credo ci sia tutto… o quasi.
Ora direi di tornare al tema del post.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 20:19 da Massimo Maugeri


@ Franco
Caro Franco,
credo che “Monteverde” in un certo senso chiuda un tuo cerchio letterario… una sorta di “ciclo”.
Mi riferisco, evidentemente, a “Disorder” e a “Pagano”.
È così?
Cosa ti (e ci) riserverà il tuo futuro letterario?

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 20:22 da Massimo Maugeri


Secondo me non c’è una ‘patente’ di intellettuale. Non c’è una scuola che dichiara che sei un ‘intellettuale’, allo stesso modo in cui sei ‘geometra’ o ‘ragioniere’. Per fortuna direi. Mi è piaciuta la domanda sul sogno tra gli intellettuali del passato e quelli del nostro tempo: ‘I loro sogni sono uguali o sono cambiati?’ secondo me, no. Se i sogni sono veri, no. Credo che di gente che riesca a sognare ce ne sia ancora. Grazie per l’opportunità.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 21:06 da Alessandra


Grazie a te, Alessandra.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 21:29 da Massimo Maugeri


In questo momento Gianfranco Franchi dovrebbe essere al Tuma’s Book Bar, in Via dei Sabelli, 17 – SAN LORENZO, insieme a: Andrea Di Consoli, Paolo Mascheri e Antonio Veneziani per parlare di “Gregario” (di Paolo Mascheri) e di “Monteverde”.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 21:32 da Massimo Maugeri


@ Franco
Raccontaci come è andata.
Mi piacerebbe che intervenissero anche Paolo Mascheri e Andrea Di Consoli.

Postato giovedì, 28 maggio 2009 alle 21:33 da Massimo Maugeri


Cari amici tutti,
qui intervengo solo con questo unico messaggio ed in via definitiva, poiche’ poc’anzi citato.
Ecco: il mio modo di essere, di vivere e di vedere le relazioni umane, l’amicizia, la conoscenza, la cultura, sovente la Letteratura e direi perfino la Natura e la Storia dell’Italia, ma soprattutto la mia diversa maniera di usare la ”tecnologia” diverge sostanzialmente da quello in uso in questo luogo – e cio’ ha determinato e determina la mia assenza da Letteratitudine, dico senza alcuna passionalita’, acredine, senza alcuna antinomia di fondo, ma piuttosto constatando tal fenomeno scientificamente, asetticamente.
Tuttavia, da un punto di vista direi meramente intellettuale, sarei dell’avviso che nessun organo di stampa e tantomeno un blog possa affermare di dire la sola e definitiva parola critica su una qualsiasi opera letteraria. Mi riferisco al libro di esordio di Simona Lo Iacono, che credo di aver recensito – in altro luogo – dal punto di vista di chi (il sottoscritto) dopotutto nel 1995 fondo’ e diresse per cinque anni una rivista letteraria seria e riconosciuta come ”I Polissenidi”. Dal punto di vista di chi, insomma, non si e’ svegliato una mattina e ha preso a scrivere di critica, ma lo fa assiduamente dal 1989 sulla stampa – locale o nazionale; ed ovviamente non intendo, dicendo questo, paragonarmi a nessuno qui ne’ altrove, ne’ tantomeno svilire o ironizzare o aggredire nessuno: semplicemente dico qual e’ il mio curriculum vitae ”minimo” che mi legittima, credo, ad esprimere un’opinione di livello accettabile su un libro qualsiasi.

Abbracci Cari a tutti
Sergio Sozi

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 01:17 da Sergio Sozi


@ Maria Lucia: mi dici: “Leggi Silvana La Spina, specie i romanzi storici, che io trovo geniali… ma non so se sono il tuo genere.”
> Dipende. Adesso vado a documentarmi qui:
http://www.girodivite.it/antenati/xx3sec/_laspina.htm

intanto ti ringrazio;)

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 09:09 da franco


@ Salvo:
Grazie di cuore, caro. E’ come dici, sono sempre sulle tracce di qualcosa (di qualcuno) di nuovo. Attendo il tuo articolo sul libro della Lo Iacono, allora;)

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 09:10 da franco


Caro Sergio, Caro Salvo,
intanto grazie per avermi recensita.
Mi spiace che la discussione si sia spostata (non so come) su di me. Leggo adesso e devo dire che mi dispiace perchè entarmbe le recensioni di cui ho beneficiato sono profonde e hanno letto bene nel mio cuore e nel mio libro. In quella di Salvo ho apprezzato la contestualizzazione e l’approccio storico, in quella di Sergio l’attentissimo esame linguistico e testuale.
Da entrambe ho appreso molto su me stessa, su quanto emerge e affiora, su ciò che spesso il lettore attento ci insegna.
Vorrei dire brevemente (perchè mi preme restituire questo spazio al carissimo Franco) che la letteratura ci offre moltissimi sguardi, tutti preziosi. E che nessuno di essi si sovrappone a un altro, ma al contrario lo integra e lo compie.
Ringrazio luoghi come questo che consentono proprio la molteplicità delle voci e delle opinioni. D’altra parte ricordo che la recensione di Sergio affiorò proprio all’interno del post dedicato al mio libro, così stupendomi per l’ulteriore approccio, approfondito e competente, che andava a unirsi alle altre recensioni e che testimoniava come il confronto fosse molteplice e affettuoso.
Grazie a entrambi.

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 09:11 da simona lo iacono


@ Massimo: sì, “Monteverde” chiude la trilogia dell’identità: Disorder + Pagano + New Order – diventato infine “Monteverde”. E’ la fine di un ciclo e di un progetto cominciato nel 2004. Quanto al futuro…
rimangono inediti un vecchio romanzo (“L’ombra”, 2002-2003), una raccolta di inedite e b-side scritte per la poetica del fallimento e stop. Sto lavorando a due progetti nuovi ma non ho tempo né ispirazione, ancora. Uno è dedicato alla telefonia. L’altro all’aldilà.
*
A dirtela tutta, vorrei fare lo scout per qualche anno, adesso, lo scout e il consulente editoriale; preferibilmente per la narrativa IT. Scriverò sempre tanti articoli e via dicendo, ma narrativa nuova non so. Poesia, come sai, nihil da tre anni, “L’inadempienza” ha chiuso i giochi.
*
Diciamo che in questo momento preferirei uscisse un antimeridiano con i miei circa 1000 pezzi di critica (letteraria in primis) piuttosto che un altro libro di narrativa. “New Order” è stato scritto nel 2007. Da allora, qualche racconto e poco altro. Sto ancora pensando all’opera nuova. Serve tempo, pazienza, sicurezza di poter sopravvivere lavorando… è dura:)

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 09:18 da franco


Mi scuso con il carissimo Massimo perchè involontariamente l’attenzione si è spostata su di me e con il carissimo Franco la cui discussione è godibilissima e va continuata sulla scorta delle riflessioni già iniziate.
Purtroppo ieri non ho avuto modo di collegarmi e non ho notato la piega che la discussione assumeva (altrimenti avrei evitato che fosse dedicato spazio al mio libro).
Rimbalzo la palla a Franco chiedendogli come è andato l’incontro di ieri e quali emozioni ha suscitato.
Un abbraccio a tutti (e uno speciale a Massimo e Franco)
Simo

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 09:21 da simona lo iacono


@ Massimo: a fine giugno dovrebbe uscire un progetto di cui sono molto contento, un audiolibro atipico, diciamo così. Ho curato un’antologia stravagante. Sarà una chicca per bibliomani.

@ Massimo: Tuma’s! Ieri sera è stata una gran serata. Andrea Di Consoli, Antonio Veneziani e Renzo Paris hanno parlato del Gregario e di Monteverde. ADC ha fatto una ricca intro, comprensiva di una panoramica sulla nostra generazione, di tutta una serie di osservazioni sul senso della scrittura e della tradizione, di riflessioni sulle distanze e sui punti di contatto tra PM e me; ha parlato del ruolo del padre. AV ha approfondito altri aspetti: in primis, quelli legati all’avatar di Thom Yorke; in secundis, quelli legati alla scrittura. Infine, RP ha fatto un intervento commovente.
Circa 60-70 persone, locale strapieno, faceva molto caldo e parecchi andavano a prendere boccata d’aria fuori (parlottando e fumando amabilmente). Mascheri in gran forma:).
C’era la redazione del Paradiso degli Orchi e qualche anima di Lankelot, varie presenze della scena editoriale e letteraria romana, diverse persone che non conoscevo e non ho inquadrato.
Paolo Mascheri ha parlato della sua scrittura, del suo romanzo (spiegando bene che non racconta la provincia ma il paradigma padre-figlio, il clima culturale contemporaneo, il nostro tempo).
Io ho parlato molto di chi avevamo intorno: di Di Consoli, Paris, Veneziani, di Mascheri, dell’editoria romana, della lotta dell’editoria romana di progetto contro il grande capitale lombardo e lo strapotere milanese, della Castelvecchi… e di Thom Yorke.
Questo in sintesi.
C’era una bellissima atmosfera.

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 09:26 da franco


Ave Simona:).
Va benissimo così:). Si parlava di te perché stavamo meditando sui nuovi talenti della letteratura italiana, territorio per territorio. A un tratto la discussione è virata sulla Sicilia. E’ cosa buona e giusta che si sia anche discusso di come scoprirli e analizzarli, pre-lettura;).
Un sorriso grande,
gf

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 09:28 da franco


ecco, una cosa vorrei dirla, a proposito di ieri sera.
La scena romana sta rinascendo, e la vecchia scuola romana non è morta. La nuova scuola sarà deideologizzata: la letteratura sarà l’unica ideologia. Niente partito e niente chiesa, e a quanto pare niente accademia. Niente vecchi baroni e niente vecchi tromboni al nostro fianco. Nessuna casa editrice di riferimento, soltanto il territorio, l’amicizia e la grande letteratura come punti di riferimento. Si sogna la riforma dell’editoria e la rivoluzione culturale, e la rinascita di Roma e della tradizione. L’anello si sta forgiando non sulla base delle chiacchiere, ma dei libri e degli articoli pubblicati nel tempo.
*
Si sogna e si pretende coerenza e rispetto dei sacrifici, dei talenti e della missione di quegli artisti grandi che ci hanno preceduto. Guardiamo al futuro con la testa alta. Non siamo sconfitti, e in ogni caso ci batteremo fino alla fine. Renzo Paris insegna. Roma non muore e non può morire. Risorgeremo;)

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 09:34 da franco


Caro Franco,che meravigliose parole hai detto sulla letteraturra e sul modo di appropriarsene senza mai sentirsene i padroni assoluti e spocchiosi,niente accademia e vecchi tromboni,bravo.Io ,molto più modestamente di te perchè ne ho strumenti meno competenti dei tuoi,aggiungo che se la letteratura riuscisse a riprendere la capacità ci abbracciare pur parlando lingue diverse che sono il seme e il frutto rispettoso allo stesso tempo di una vera democrazia della parola e del pensiero,allora gli intellettuali avrebbe recuperato il senso vero dell’arte e della vita:la condivisione.Se accanto alle competenze di molti camminasse anche la modestia di aprirsi al confronto sano e proficuo delle menti tutto sarebbe fruibile in modo tale da produrre altro pensiero,non siamo nulla se gli altri non accolgono ciò che pensiamo di dare.Ti mando il mio personale in bocca al lupo per il tuo lavoro e che non venga mai meno la passione del fare sapendo di essere nel giusto,perchè così non si tradisca l’arte nè il proprio pensiero.

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 09:47 da francesca giulia


Splendidi auspici. Mi unisco in toto alle tue speranze.
(crepi il lupo;) ).

un sorriso grande, buona giornata.
gf
*
e grazie.

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 10:07 da franco


Gianfranco,
sono andato a leggermi FRONTIERE. E’ bellissimo. Non mi riferisco alla parte dialettale, (il dialetto non mi piace tanto in letteratura, compreso Camilleri) ma a quella scritta in un italiano preciso, nitido, vivo, incisivo, essenziale. Nel Catafalco trovo che a tratti sei barocco. Perchè hai cambiato stile? Che bisogno c’era? Sei bravo comunque, naturalmente.
A proposito, come va con il mal di testa?

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 10:47 da Felice Muolo


Ho appena scoperto letteratitudine. Bellissimo! Complimenti davvero.
Anche se ho perso una mattinata a leggere i commenti.
:)

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 11:19 da Anna Rita


cara anna rita e scoprirai presto che il tempo perso su letteratitudine è tutto guadagnato!!
te lo dice una letteratitudodipendente felice!!

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 15:29 da francesca giulia


@ Felice: in realtà credo che lo stile sia sempre quello. In “Catafalco” c’è un registro diverso – è comunque un flusso di coscienza, e inevitabilmente il lessico, i tempi e i colori mutano – ma sospetto di essere sempre molto facilmente riconoscibile:). “Monteverde” ospita anche un pezzo in terza persona; un’incursione nelle favole e una nella fantascienza. Volevo applicare il concetto morselliano di narrativa come confederazione di generi. Proprio a partire da una raccolta di racconti:).
*
Il mal di testa tornerà tra 12 mesi. La mia cefalea a grappolo ha una frequenza di 18 mesi. 5 mesi fa ho avuto il solito mese e mezzo di aggressione terrificante. Tornerà e mi farà stramazzare sul letto per un mese e mezzo, quasi due. Sarà orribile e quando guarirò avrò più voglia di vivere di prima. Va be’:). Grazie per avermelo chiesto.

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 16:54 da franco


@ annarita: sottoscrivo francesca giulia.

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 16:57 da franco


@ anna rita: consiglio scolastico: dopo esserti felicemente perduta per i meandri del sogno del Maugeri, punta con sicurezza il libro di Letteratitudine:
http://www.azimutlibri.com/dettagli/dettaglio_general.php?id=258#

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 17:31 da franco


Rieccomi. Perdonate l’assenza, ma è stata una “giornatina”.:-)
Intanto ringrazio tutti per i commenti…

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 21:05 da Massimo Maugeri


@ Sergio Sozi
Hai scritto: “sarei dell’avviso che nessun organo di stampa e tantomeno un blog possa affermare di dire la sola e definitiva parola critica su una qualsiasi opera letteraria. Mi riferisco al libro di esordio di Simona Lo Iacono, che credo di aver recensito – in altro luogo – dal punto di vista di chi (il sottoscritto) dopotutto…”.
-
Caro Sergio, nel mio commento di giovedì, 28 Maggio 2009 delle 8:19 pm, ho lasciato il link al post dedicato al romanzo di Simona, scrivendo che si tratta di “uno speciale in cui credo ci sia tutto… o quasi”.
In effetti su quel post trovi il link alla recensione del nostro ottimo Salvo (caro Franco, puoi leggerla direttamente da lì) e – come ha già evidenziato Simona – la tua articolata recensione espressa in forma di commenti (poi confluita anche su Lankelot). Trovi anche tuoi ulteriori e corposi commenti che ti sei sentito di scrivere e che hai espresso in assoluta libertà.
Credo di non aver altro da aggiungere, se non un ringraziamento per il tuo commento rilasciato in questo post e cordiali saluti.

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 21:14 da Massimo Maugeri


@ Simona
Ma di cosa ti scusi, stella? :)

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 21:16 da Massimo Maugeri


@ Franco
Grazie per il commento sulla serata di ieri. Devo dire che mi sarebbe piaciuto essere dei vostri.
Spero che siate riusciti a farvi una birra alla salute dell’uomo con la camicia celeste e di tutti gli amici di letteratitudine.:)

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 21:17 da Massimo Maugeri


@ Francesca Giulia
Condivido in pieno il tuo commento delle 9:47 am.

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 21:19 da Massimo Maugeri


@ Anna Rita
Benvenuta su Letteratitudine!
Hai ragione! Ma sappi che sto sperimentando un sistema per far confluire i commenti letteratitudiniani al cervello con un solo click e nel giro di un paio di secondi ;)

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 21:21 da Massimo Maugeri


Più tardi tornerò a mettere in primo piano il Letteratitudine Book Award (a proposito, siete tutti invitati a giocare!).
Ma qui la discussione continua… (se volete).

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 21:23 da Massimo Maugeri


Brindammo, amice, brindammo:).
Grazie ancora per l’ospitalità e per il tempo che hai voluto dedicarci. Saluto tutti. Buon tutto,
gf

Postato sabato, 30 maggio 2009 alle 09:48 da franco


ohi ohi, ho perso due giorni e qui tutti si stanno già dicendo “arrivederci e grazie, è stato bello”… insomma, a forza di star dietro alle mie cose (peraltro urgenti e gravi) mi sono perso la festa (diciamo così).
-
Rispondendo a Franco, volevo solo dire en passant che certamente neanche io rimpiango il Partito (non l’ho mai vissuto… dovrei?). Constato però che ancora lo spettro aleggia su di noi come un’assenza non colmata. In buona sostanza se in tutta la civiltà occidentale l’apprezzamento del lavoro intellettuale è ai minimi di tutti i tempi, in Italia siamo all’avanguardia anche in questo…
-
Ad ogni modo, visto che si parla fra amici (diciamo così, e spero che un giorno qualcuno del blog mi offra una cena :-) ) mi sono messo in testa di reagire a questa situazione tristissima che colpisce soprattutto chi in qualche modo ruota ancora attorno al mondo universitario (eh sì perché non tutti i cultori di cose umanistiche sono scrittori: ci sono studiosi che vorrebbero veder riconosciuto il proprio lavoro, e a metà dei trent’anni potersi permettere almeno un affitto decente con la propria fidanzata sarebbe già qualcosa…).
Ad ogni modo la mia “reazione” parte da una fondanda (= ancora da fondare) associazione culturale. Si vedrà che ne viene fuori…
-
Nel frattempo auguro un buon lavoro e buona scrittura (e buone recensioni su riviste “serie” (???) a tutti).
Lorenzo

Postato sabato, 30 maggio 2009 alle 14:16 da lorenzo amato


Ave Lorenzo.
A questo punto attendiamo la fondazione della tua associazione culturale, persuasi che ne deriveranno cose buone per tutti. In bocca al lupo.
Accompagnarla a una rivista seria sarà il primo passo, immagino. Forza!
*
Salut!

Postato sabato, 30 maggio 2009 alle 14:31 da franco


@Franco
Soffro di cefalea ( non a grappolo) da molti anni: ti capisco troppo+ ti ringrazio per l’affetto che dimostri per la nostra isola e i suoi abitanti. E’ un affetto che in certi momenti non ho neanch’io, sebbene questi paesaggi pur aspri ( che tu conosci, immagino) mi impediscano di starne lontana. In certi punti dell’isola è difficilae capire come la bellezza del pesaggio strida terribilmente con la “mentalità” delle persone ( talvolta ancora prigioniere di pregiudizi atavici- ma è proprio questo che “affascina” gli “stranieri”….).
Cari saluti:)
@Sergio Sozi
Caro Sergio, per quello che mi concerne, io sento molto la tua mancanza qui, a Letteratutudine; e siccome la sento qui e non ho per ora l’intenzione di frequentare un altro blog, qui la sento. Riconosco che certe volte, leggendo i tuoi commenti, avrei preferito che tu “sorvolassi” su alcune polemiche, perché le trovavo un pò inutili e faziose ( ma questa è una mia personalissima opinione di cui tu puoi non tener conto, ovviamente); nondimeno avevo con te per la pura letteratura una sorta di “identità di gusti”, se così possiamo chiamarla, e aggiungo anche la sensazione di una quasi totale percezione che tu capissi profondamente e sempre il mio pensiero, al punto tale da “tradurlo”, qualche volta. Credo che fosse il “culto dei classici” la chiave di volta.
Cari saluti.

Postato sabato, 30 maggio 2009 alle 16:55 da roberta


Scusate: sono andata fuori tema.
@Massimo scusami:)

Postato sabato, 30 maggio 2009 alle 16:55 da roberta


Cara Roberta,
i tuoi compatrioti mi hanno detto “bevi come un sardo”. E tutta una serie di altre cose (come un sardo). E’ un onore, ti dico. E capisco la tua nostalgia, punto;).
Sii sempre orgogliosa di essere sarda.

gf
e grazie.

Postato sabato, 30 maggio 2009 alle 18:23 da franco


Caro Franco,
sì, lo sarò. Grazie:)
A proposito dei tuoi “1000 pezzi di critica letteraria” ( hai scritto sopra:
“in questo momento preferirei uscisse un antimeridiano con i miei circa 1000 pezzi di critica (letteraria in primis) piuttosto che un altro libro di narrativa.”), ho letto l’elenco.. e, se non ho sbagliato ancora a considerarli tuoi, certi trovo siano strepitosi e alcuni ero sbalordita nel vederli! Per esempio: “Gli dei hanno sete” di Anatole France+ “Matto per le bambine” dedicato a Lewis Carroll+ Cacciatore di anime + “Sotto il vulcano” di Malcolm Lowry e ancora.. Golding, Orwell e Voltaire…( Truffaut, Kubrick e Polansky..).
Penso che dovrebbero davvero pubblicare un volume con questi tuoi saggi.

Postato sabato, 30 maggio 2009 alle 19:05 da roberta


E’ morto oggi Nico Orengo (Nato a Torino nel 1944).
-
Fu di farfalla il battito
leggero, una ferita
che si allargò nell’aria,
un segno di matita
sospeso come un’onda
che s’incanta nel timore
di una riva.
(Nico Orengo, “Canzonette di mare”)

Postato sabato, 30 maggio 2009 alle 22:45 da Subhaga Gaetano Failla


Chiedo scusa: il commento precedente era destinato alla “Camera accanto”. Per errore è finito qui.

Postato sabato, 30 maggio 2009 alle 22:47 da Subhaga Gaetano Failla


Sono proprio quelli:). France, Carroll, Lowry, Krzizanovski, et. Anni di lavoro, di ricerca e di sperimentazione. Ancora non del tutto conclusi:).
*
Caro Failla, fatto bene comunque. Salutiamo Nico Orengo. Mi spiace non aver mai studiato le sue opere, altrimenti avrei potuto dirti qualcosa di più.
*
Grazie ancora, Roberta:)

Postato domenica, 31 maggio 2009 alle 11:23 da franco


Ringrazio GiFranchi (= Franco!) per l’incoraggiamento. Ho (abbiamo) tutta l’intenzione di fare una cosa seria, con proposte di corsi (quelli che via via taglieranno all’università di Firenze, e magari altre, o che sono insegnati male), semirari, e pubblicazioni. Siamo solo all’inizio, e come ho detto si vedrà. Ma un po’ di persone valide già sono coinvolte.
D’altro canto, come è possibile educare e “addestrare” centinaia di aspiranti ricercatori, facendoli diventare docenti per anni senza un contratto decente (considerando che interi corsi di laurea a Fir si reggono sulle nostre spalle) e magari trattandoli anche male personalmente, e credere che almeno alcuni di questi non siano in grado di organizzarsi in qualche modo e costruire qualcosa di alternativo? Ci hanno dato un know-how che spero riusciremo a usare non dico contro di loro, ma per costruire qualcosa di alternativo a loro. Si vedrà…

Postato lunedì, 1 giugno 2009 alle 16:40 da lorenzo amato


forza, a maggir ragione;).

Postato lunedì, 1 giugno 2009 alle 17:30 da franco


(maggior)

Postato lunedì, 1 giugno 2009 alle 17:30 da franco


@ Lorenzo Amato
Bravo, Lorenzo. Hai tutto il nostro sostegno…

Postato lunedì, 1 giugno 2009 alle 18:02 da Massimo Maugeri


@Franco, posso solo limitarmi ad immaginare che il romanzo mi piacerà.
Spero di riuscire a leggerlo quest’estate. Monteverde è un luogo che conoscevo bene, ora forse sarà molto cambiato. Amo Trieste ci sono stata più volte. Ottima la scelta di Bufalino e Tomasi di Lampedusa, autori che prediligo per il diverso, splendido stile.
Di Sciascia ho letto tutti i suoi libri con molta ammirazione, l’ho anche recensito. – E che dire di Pirandello e Verga?
Posso solo inchinarmi con umiltà e deferenza.
Il mio augurio sincero é che Franco possa divenire bravo ed amato come tutti loro. Ora il mondo è vostro! Coraggio dunque, e non arrendersi mai.
Tessy della vecchia guardia

Postato lunedì, 1 giugno 2009 alle 18:19 da M.Teresa Santalucia Scibona


Grazie, Maria Teresa. Monteverde Vecchio, ti assicuro, è rimasto intatto. Abbiamo perduto i vecchi alberi – discutibile scelta della circoscrizione – ma le strade, i palazzi e il sorriso dei paesani (paesani siamo) sono quelli:). Siamo sempre scollegati dal centro, siamo sempre estranei alle strisce blu, siamo sempre quelli che hanno un teatro e nessun cinema; zero locali notturni, o quasi, e via dicendo;).
*
Trieste non si discute, si ama:).
*
Grazie per il tuo augurio, Tessy della vecchia guardia.
Combattere, sì. Fino alla morte. Altro non c’è da fare (sognare, soltanto. Sempre).

Postato lunedì, 1 giugno 2009 alle 19:08 da franco


Cara Roberta, cari tutti di Letteratitudine,

la mancanza e’ reciproca. Tuttavia la mia attivita’ di scrittore prosegue. Chi voglia esserne aggiornato, mi scriva pure qui:
sergio.sozi@yahoo.it
Un Caro e Riconoscente Saluto a tutti, Massimo Maugeri e Letteratitudiniani.
Sergio

Postato lunedì, 1 giugno 2009 alle 20:29 da Sergio Sozi


Sognare, soltanto. Sempre
Bellissima frase, Franco. Condivido e sottoscrivo.
-
In bocca al lupo a Sergio per la sua attività di scrittore.

Postato lunedì, 1 giugno 2009 alle 22:20 da Massimo Maugeri


Crepi il lupo, Massimo. ”Io ho quel che ho donato”, disse D’Annunzio e ripete’ Franchi. Io spero sia cosi’ anche per me – insomma spero di avere agito onestamente, finora, e dunque di poter ricevere qualcosa di onesto in futuro.
Abbracci a tutti
Sergio

Postato lunedì, 1 giugno 2009 alle 22:57 da Sergio Sozi


Gianfranco Franchi , le faccio i miei complimenti. Lei sembra davvero un intellettuale a tutto tondo.Uno di quelli veri. Diffido invece di quegli intellettuali o pseudotali che sentono l’esigenza di ostentare titoli e curriculum.In genere sono delle patacche.
Lei che ne pensa in proposito?

Postato martedì, 2 giugno 2009 alle 12:40 da Angela


Buongiorno, Angela. Io sono d’accordo con lei. Non me ne frega niente dei titoli o del curriculum: mi interessano l’anima, l’intelligenza, la preparazione, la generosità, la dedizione. Il cv può restarsene chiuso nell’hard disk, i titoli servono per le cornici, in casa.
Sono personalmente molto orgoglioso dei miei antichi studi letterari, ma so benissimo che da soli non vogliono dire niente. Ridacchio molto di un sacco di cose, anche. Credo di aver risposto:)

Postato martedì, 2 giugno 2009 alle 14:38 da franco


Beh, mi riallaccio subitissimo a questi ultimi post per (ri)infilare la mia discussione su cosa siano gli intellettuali oggi. Una categoria sociale o un modo di pensare? Nel primo caso sarebbero solo persone anziane o ricche, nel secondo come si distingue l’intellettuale dal chicchierone (soprattutto online)?
-
Io personalmente ho un bel cv nell’hard disk del mio computer, e dall’alto (?) del mio cv posso dire che una cosa è aver studiato materie umanistiche all’università, un’altra è la capacità di ragionare sul mondo moderno con la propria testa. Altrove ho fatto alcuni esempi di persone con Dottorato di Ricerca in Cultura del Rinascimento (o materie di antichistica, o anche cose più moderne) che, ai tempi dell’invasione dell’Iraq, non sapevano nulla delle problematiche legate all’Iran, e non erano in grado di distinguere fra sciti e sunniti, e non sapevano nulla della questione dei curdi, in Iraq o Turchia, e non sapevano nulla del Pakistan, grande alleato degli americani, e soprattutto consideravano gli afghani e i turchi (e gli iraniani) degli arabi (“tanto è la stessa cosa”). È ovvio che il titolo di studio non dice nulla sull’effettiva preparazione umanistica e umana (e culturale e sociale e politica ecc.) di una persona. Oggigiorno il titolo di studio dice solo che per vari motivi una persona ha voluto e potuto permettersi di specializzarsi in una sotto-sottodisciplina letteraria o artistica che non ha più nessuna connessione col resto del mondo.
Ero scandalizzato allora e resto scandalizzato adesso…

Postato martedì, 2 giugno 2009 alle 15:04 da lorenzo amato


chicchierone = chiacchierone (uffa, ’sta tastiera…)

Postato martedì, 2 giugno 2009 alle 15:05 da lorenzo amato


@ Lorenzo Amato:
mi sembra ovvio che non si possa sapere tutto di tutto, l’importante sarebbe riconoscere i propri limiti e, nell’eventualità, riuscire a trovare le informazioni che di volta in volta sentiamo di aver bisogno. Lo studio dovrebbe non insegnarci tutto, ma renderci “duttili” nella necessità.
La cultura del rinascimento, per dire, non mi sembra che non abbia nessuna connessione col resto del mondo. Anzi, mi sembra un buon punto di partenza verso altri lidi, per dire, l’arte contemporanea (ma l’arte contemporanea è di nicchia…per dire). Le connessioni, a parer mio, se si vuole, si trovano, senza peraltro trovarle campate in aria. Se poi non ci interessa trovarle, questo è altro discorso.

Postato mercoledì, 3 giugno 2009 alle 15:15 da andrea branco


Ciao Andrea,

visto che io stesso ho frequentato e completato quel dottorato, sono d’accordo con te che IN TEORIA il Rinascimento sarebbe un ottimo punto di partenza per comprendere e connettersi con altre discipline e col resto del mondo. Il fatto è che IN PRATICA non lo è, perché a tutti i partecipanti (a quel dottorato) è richiesta specializzazione nel proprio piccolo argomento, e non capacità di sintesi rispetto ad altri argomenti. Una persona specializzata sul Quattrocento fiorentino era ad esempio incapace di dire alcunché sul Cinquecento ferrarese. Conoscendo diverse scuole di dottorato toscane e non, vedo che è ovunque così. Questa è la cultura accademica contemporanea: una nuova scolastica (in senso medievale) che basa la conoscenza sui manuali e su studi altrui assai più che sulla lettura di testi originali e (soprattutto) sulla conoscenza comparata di altre discipline. Il che comporta che chi si laurea e si addottora in discipline umanistiche oggi diventa un tecnico ultraspecializzato nella propria sottodisciplina, e ignorante di tutto il resto. Cinquant’anni fa non era così.
-
Il mio esempio sull’Iraq era significativo non tanto in assoluto, quanto perché fa capire che, in un momento storico drammatico per il mondo e per l’Italia (ve li ricordate i 3 milioni di persone che manifestarono a Roma e a Milano?) la grande maggioranza di persone specializzande in una branca importante di storia della cultura europea non avevano gli strumenti culturali per leggere la contemporaneità, né avevano alcun interesse ad approfondire le notizie leggiucchiate nei titoli dei giornali. Detto in parole molto povere, di quel che accadeva ne capivano tanto quanto una massaia con diploma di terza media. Il che non vuole offendere la massaia in questione, ma semmai chi, nei convegni e nei seminari, si atteggiava (e si atteggia) a intellettuale che sapeva e capiva tutto di tutto perché selezionato all’interno di un “dottorato d’élite”.
-
Certo lo studio di una cultura, fosse anche la nostra nel suo periodo più splendido, non dà risposte a questioni di tipo diverso, o almeno apparentemente diverso. Però dovrebbe dare gli strumenti culturali e, come dici tu, la duttilità per andare oltre il primo livello (quello dei tg e della chiacchiera da bar) nelle questioni che agitano il mondo contemporaneo. Ecco, appunto: non è così, almeno non oggi e non nelle nostre università. Non c’è differenza, a mio avviso, fra specializzarsi nelle clausole di esametro dell’Africa del Petrarca oppure nelle proprietà fisiche di un materiale semiconduttore: se si conosce solo quell’argomento si è degli ignoranti, per quanti libri si siano letti o pubblicati.
-
Spero, con questo, di non aver offeso nessuno.

Postato mercoledì, 3 giugno 2009 alle 19:15 da lorenzo amato


Ciao Lorenzo.
Dunque, cosa vuoi che ti dica? Posso dirti che conosco qualche laureato di Firenze, anche dottorando, che non è così. Ti dico anche che una di queste persone, laureate, sul medio oriente ci lasciava sempre tutti basiti. Non era forse un mostro di simpatia, ma di sicuro una persona preparata sull’attualità (e studiava tutt’altro). E un’altra che, vabbé, se c’è una cosa che cerca di fare, è essere duttile.
Le eccezioni, in una facoltà come quella fiorentina, ci sono. Magari non ci stanno simpatiche, o hanno età diverse dalla propria ed è difficile, ma ci sono. La cosa che fa male, semmai, è che proprio queste persone probabilmente non arriveranno dove meriterebbero perché sono persone dritte, da pochi compromessi.

Tu scrivi che 50 anni fa non era così. Ma forse neppure 30 anni fa. A mio parere il 3+2 ha estremizzato di molto le cose. O meglio, per alcune facoltà è secondo me un’ottima soluzione, ma non per tutte. C’era da valutare meglio dove e come applicarlo. Vabbuò.

Tornando a Monteverde: leggilo!
(-:

Postato venerdì, 5 giugno 2009 alle 00:50 da andrea branco


Ciao Andrea, grazie del consiglio: leggerò Monteverde sicuramente! Ma già l’avevo detto, e malgrado i miei tempi non rapidissimi leggo sempre quel che prometto.
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E per quanto riguarda l’università, certo che ci sono eccezioni. Anche fra le persone che conosco io ce ne sono. Sarei molto ingiusto se dicessi che tutti i dottorandi di oggi sono solo dei tecnici della loro disciplina. Quel che dico è che l’educazione universitaria di oggi, anche umanistica, spinge all’ipertecnicismo, e non a comparazioni metodologiche o disciplinari e a confronti costruttivi. Il fatto è che (e forse lo sai già) se studio un argomento che nessuno ha mai studiato è facile pubblicare velocemente. Ma ovviamente le cose non studiate prima sono veramente piccoli argomenti, o approfondimenti di cose già studiate da altri (di solito i nostri professori), e quindi piccoli argomentini ultraspecialistici. Al contrario se si perde tempo informandosi anche su altre discipline e argomenti che non c’entrano direttamente con la nostra ricerca si “produce” meno (= si pubblica meno, ecc.), e quindi si perde terreno rispetto alla concorrenza diretta per futuri (ipotetici e onirici) posti di ricercatore o docente.
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Poi io utilizzavo quello fiorentino come un esempio, ma funziona così dappertutto (ho visto in vari seminari e convegni che questa è la cultura accademica oggi). E non credo che c’entri il 3+2: i dottorati che conosco derivavano dalla vecchia laurea quadriennale. Ma è vero che la situazione sta ancora peggiorando con le nuove leggi. Lo dice anche Giuseppe Genna: se per un esame si devono studiare meno libri, alla fine si sanno meno cose. E la suddivisione in due lauree (3+2 appunto) non ha aiutato in nessun ambito.
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Ora a Firenze siamo a metà del guado fra la 509 e la 270; è cambiata la legge, e bisogna adeguarsi, con la conseguenza che molti insegnamenti, per ora tenuti a contratto NON RETRIBUITO, sparirà. Sono i corsi insegnati da docenti con meno di 40 anni, ovvero i “giovani” della nostra università, molti dei quali validissimi. Non credo che i giornali faranno grande rumore, ma la situazione è piuttosto triste…
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Un saluto a tutti, e buon lavoro!

Postato venerdì, 5 giugno 2009 alle 10:04 da lorenzo amato



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