lunedì, 20 ottobre 2008
L’INADEMPIENZA (e PAGANO) di Gianfranco Franchi
Conosco Gianfranco Franchi dai tempi di “Pagano” (edizioni “Il Foglio”).
Gianfranco è un intellettuale di quelli che ci crede davvero. Di quelli disposti a mettere in gioco la propria vita per seguire il sacro fuoco della letteratura.
È appena uscita, sempre per le edizioni Il Foglio, una sua silloge di poesie.
Si intitola “L’inadempienza” ed è il suo libro primo e ultimo di poesia: 12 anni di versi; un atto postumo compiuto in vita.
Ne parliamo qui con i contributi di Marco Fressura, Patrick Karlsen, Nicola Vacca e Angela Migliore.
Invito Gianfranco qui a Letteratitudine per discutere di questa sua nuova fatica letteraria.
In coda al post anche troverete i riferimenti a “Pagano”.
Massimo Maugeri
__________
Gianfranco Franchi, “L’inadempienza”, Edizioni Il Foglio, Piombino 2008. Pag. 280.
Vivere in cerca di orientamento;
altrimenti sprofondare
nel non senso.
Che non ho.
Io non è.
Niente.
(GF)
«Gianfranco Franchi nasce poeta e tuttavia qui, nell’Inadempienza, come scrittore di poesie volontariamente muore. Il lettore infatti è davanti a una raccolta che si prefigge di risultare conclusiva. Quasi un atto postumo compiuto in vita. Eppure Franchi è nato, è, e malgrado lui stesso continuerà a essere poeta, perché ha sempre inteso la letteratura come ricerca, frastagliata e coerente a un tempo, rivolta all’interiore e all’esteriore, e come luogo di massima adesione alla vita. (…) Non c’è personaggio della modernità letteraria italiana che assomigli al triestino Franchi più del triestinissimo Slataper (…) Ma Slataper non è la sola suggestione delle origini che è possibile captare nel testo, se è vero che prima o poi dovremo pur affrontare la questione dell’espressionismo della lirica franchiana — ciò che non può fare a meno di rimandare più che al “solito” Campana alla visionaria vena di Srečko Kosovel: lo sloveno del Carso che è stato uno dei grandi cantori della novecentesca autodistruzione europea, prima che la sua voce così immaginifica si spegnesse ancora giovanissima». (Marco Fressura e Patrick Karlsen)
«Gianfranco Franchi è uno scrittore guerriero che non rinuncia a impugnare la parola come un’arma e ad usarla per pugnalare il proprio tempo. (…) La morte della bellezza è il segno devastante della decadenza che avanza. Davanti a questa triste realtà il poeta chiede aiuto anche alla dimensione spirituale del silenzio. Dalla interrogazione sublime del silenzio nascono i versi migliori di Franchi. Siamo davanti a un meraviglioso alfabeto di emozioni e sensazioni che sanno catalogare il disordine nel quale l’uomo è miseramente piombato. Franchi con la sua poesia non ha la pretesa di curare le ferite sanguinanti del pianeta Terra, ma consapevolmente invoca il sentire acceso della parola poetica, necessità interiore che ci fa pensare solo per un attimo “di sfiorare la vita”. Nel tempo incolore e freddo, nei campi inariditi di questa terra desolata, la poesia è un punto di vita dal quale bisogna sporgersi per guardare l’Inferno» (Nicola Vacca).
«Come rughe. A increspare sorrisi e pianti silenti, consumatisi in dieci anni di versi. “Anni di buio, di scrittura scontrosa, disperato studio”. Anni di notti-rifugio, di ombra, e fuoco e sogni. Simbiosi di carta e pelle, di cui L’Inadempienza costituisce sigillo. Perché questa raccolta è nodo che vincola Franchi alla menzogna della poesia. È il moderno “Canzoniere” di chi si riconosce “uomo d’ideale, cavaliere d’arte e d’amore” e dolorosamente conscio, intorpidisce le chiare, fresche e dolci acque di petrarchesca memoria, per sprofondare nel gorgo della propria “miseria di carne e spirito”. (…) “Domani non esiste”, domani non è. Piuttosto prevale il desiderio di regressione, a quel prima indefinito, quando “innocenza era sgomento”, quando ancora non si era valicato il confine. Perché la “giovinezza corrompe, deruba la poesia” e “si schianta l’ideale, defraudato”. Allora la preghiera è un sonno che difenda dal domani, distolga dalla coscienza e abbandoni all’amore. Mentre l’imperativo è “resistere, resistere: nel nome di utopia”». (Angela Migliore).
«Ecco il prezzo da pagare: nel cuore del labirinto c’è un segreto per rovesciare il sole e il suo canto è Babilonia. Colui che cerca la parola prima – la droga più infame – non sa ancora pronunciare quel nome: equazione irrisolta, costellazione caduta, cigno nero, moglie, madre e dea. Amichevoli suicidi? Magari sognando in alta definizione se una radio spenta, avamposto del nulla, infiamma la notte del mondo, il tramonto della notte (misteriosa inadempienza), la notte che non torna perché nessun Dio resiste. È tempo di incantare l’Ade aspettando l’ultima battaglia dell’angelo e dell’assassino: presto tutto potrà tacere. E mentre sorrido ricordo la mia storia». (Stefano Scalich).
______________
______________
Post del 12 settembre 2007
Vi segnalo un libro che ha tutta l’aria di essere di… interesse. Un libro forte, polemico, capace di suscitare dibattiti. Si tratta di Pagano, nuova opera letteraria di Gianfranco Franchi (Il Foglio, 2007, pag. 150, euro 10).
Vi propongo, di seguito, un estratto della recensione della mia “dirimpettaia” Francesca Mazzucato e la prefazione di Gordiano Lupi .
Massimo Maugeri
__________________________________________________
“Antiromanzo, certo, ma anche summa di tutta la letteratura passata e anticipazione visionaria di quella che verrà, nel suo sotteso scoramento raccontato con uno stile superbo, Pagano ci scuote dal nostro piccolo torpore polveroso, e ci scuote con uno schiaffo. Anzi. Con una serie di schiaffi e di accerchiamenti. È bellissimo ed è anche terribile, è il nostro tempo precario appeso a un filo già mezzo tagliato rivisto attraverso il caleidoscopio non consolatorio di un letterato che ha fatto sue le considerazioni di Samuel Beckett sul fallire e sulle rovine. (…) Questo è un romanzo che solo un miope, un prevenuto, un corporativo consorte di qualche potentato d’accatto non può non riconoscere come fondamentale. A che cosa, a quale tempo (e a quale ritmo) può essere solo il lettore a dirlo, come sempre, quando si parla di letteratura, come sempre quando un libro ha iniziato il suo viaggio (o meglio il suo camminare sul filo, il suo volo obliquo, il suo arrancare, il suo pellegrinaggio, o anche messa a nudo, apoteosi, preghiera laica, esaltazione, via crucis di soste e attese, telematiche risoluzioni e presidi di amici, di estimatori silenziosi e attoniti, esattori di rimasugli incancreniti dei frantumi passati, detrattori ammutoliti, sudori, pacche sulle spalle, mani che agganciano, sudore, sangue e altra scrittura, subito, tutto in agguato). Licenziate (pre)giudizi e conformità alle scenografie del banale e tenete caro questo libro dopo, come vi ho suggerito, almeno una seconda lettura”. (Francesca Mazzucato).
__________________________________________________
Una Vita agra contemporanea
Conosco Gianfranco Franchi dai tempi in cui dirigeva le riviste universitarie Ouverture e Der Wunderwagen, ho collaborato con le sue creature e con il portale culturale Lankelot che ospita stimolanti interventi critici. Tra me e lui ci sono ben diciotto anni, ma nonostante questo gap generazionale abbiamo tante idee e progetti in comune. Sarà perché chi lotta per produrre opere letterarie che vogliono scuotere le coscienze trasmette sulla stessa lunghezza d’onda e quindi è facile entrare in sintonia. Franchi ha già pubblicato con Il Foglio l’interessante Disorder, una raccolta di racconti che denuncia l’appiattimento della vita quotidiana. Adesso è la volta di Pagano, antiromanzo esistenziale che racconta il disagio giovanile nella società contemporanea. Pagano è un testo che non può essere incasellato in un genere letterario, ma è un lavoro importante, irrinunciabile per chi ha deciso di pensare con la propria testa. Franchi guarda fuori dal vetro dei suoi giorni e trova pensieri bruciacchiati, scrive come suonerebbe un piano, è un’isola che non si lascia popolare, legge opere importanti, ascolta musica che fa ragionare e odia la televisione. Franchi ha trent’anni e nessuna certezza, scrive libri e si schiera con i deboli, fonda riviste e case editrici, lancia accuse e si sbatte per comunicare idee forti. Ha una sola certezza, quella che da un po’ di tempo a questa parte non si vuole più ammazzare. Franchi ci racconta i fatti suoi, ma lo fa con grande eleganza e con superbo stile letterario, soprattutto si comprende che i fatti suoi sono comuni a una generazione nata dalla crema dei sessantottini che ha cancellato i diritti dei lavoratori a vantaggio dei padroni. Franchi costruisce un testo politico che non è schierato con nessun partito, ma rappresenta un manifesto anarchico di grande spessore. La sua alternativa al vuoto che ci circonda è chiamarsi fuori, restare laterali e dilettanti, studiare, scrivere e combattere, anche se la sconfitta è l’unico risultato possibile. Pagano ricorda La vita agra di Luciano Bianciardi, attualizzata ai nostri giorni, in chiave antiberlusconiana, anticapitalistica e anticomunista. Franchi è uno degli ultimi samurai che pretende la rivoluzione degli intellettuali, guarda avanti e non si piega al conformismo, non si fa comprare e non scende a compromessi, cerca di sopravvivere al suo destino. Franchi è uomo di destra, ma di una destra sociale che non esiste più, si ispira a Evola più che alle costruzioni partitiche e non crede a un surrogato di democrazia capitalistica. Mi sono sempre detto uomo di sinistra, ma confesso che leggendo il testo di Franchi spesso sono stato in pieno accordo con le sue considerazioni. E anche quando non lo ero mi dicevo che si trattava di argomenti che meritavano di essere discussi. Non ho mai pensato che questo libro non andasse pubblicato per motivi ideologici perché in una democrazia culturale non può esistere una censura delle idee. Ben vengano libri forti e polemici come questo, di qualunque impostazione essi siano. E allora forse è vero che esiste una politica degli intellettuali, un modo d’intendere la realtà contemporanea tipico di chi ama la letteratura. Sarà per questo che io e Franchi ci sentiamo culturalmente vicini, nonostante le diverse esperienze, forse siamo accomunati da una medesima anarchia letteraria. Siamo due cavalieri dell’utopia, samurai in via di estinzione che lottano sino alla fine solo perché convinti di doverlo fare. E poi dicono che perdere ogni tanto c’ha il suo miele e se dicono che vinco stan mentendo, cantava qualcuno un po’ di tempo fa. E pure lui mica era di destra.
Gordiano Lupi
Tags: gianfranco franchi, gordiano lupi, il foglio, l039inadempienza, Pagano
Scritto lunedì, 20 ottobre 2008 alle 18:30 nella categoria SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
Commenti recenti