martedì, 4 maggio 2010
RECENSIONI INCROCIATE n. 11: Paolo Cacciolati, Achille Maccapani
Nuova puntata delle “recensioni incrociate” di Letteratitudine. Gli scrittori/ospiti coinvolti sono: Paolo Cacciolati e Achille Maccapani.
I libri oggetto delle recensioni sono: “Digestione del personale” di Paolo Cacciolati (Tea) e “Confessioni di un evirato cantore” di Achille Maccapani (Frilli).
Il romanzo di Maccapani è ambientato nella Venezia del 1791: il protagonista della storia è Luigi Marchesi, primo sopranista del Teatro alla Scala: un cantore… evirato.
Il romanzo di Cacciolati ha per protagonista Mirco Michichi: il consulente aziendale perfetto, quello che ha le conoscenze e gli agganci giusti, quello che ti fa avere i fondi per i corsi di formazione, quello che usa tutte le paroline magiche (missione vision, competitorse challenge).
Cosa accomuna i due libri, a prima vista così profondamente diversi?
Intanto la presenza di un omicidio, in entrambe le storie.
Ma non solo…
Vi riporto due “passaggi” delle recensioni incrociate.
Cacciolati sul romanzo di Maccapani, scrive: “La narrazione ha un ritmo veloce, attacca con Luigi Marchesi che nel pieno di un incontro amoroso deve fuggire dai sicari e commette un omicidio. Poi il risveglio notturno e la consapevolezza dell’amaro che gli ha lasciato quel sogno: una vita trascorsa a rincorrere obiettivi fatui. Così matura la decisione di parlare con Padre Francesco, un giovane prete di campagna ai confini tra il Naviglio e l’Adda. Instaurerà con lui un fitto dialogo, attraverso vari incontri. E’ lo stratagemma che permette al protagonista, e a noi con lui, di ripercorrere tutte le tappe della sua vita a dir poco movimentata”.
Maccapani sul libro di Cacciolati, scrive: “Ciò che emerge da tutto il romanzo è una visione tremendamente cruda, realistica, quasi rispondente ad un’esperienza vissuta fino alle viscere dall’autore, dove tutti i personaggi, con le loro piccole e grandi meschinità, rivelano dentro di sé una profonda solitudine e una desolazione senza limiti, nonostante l’immagine di facciata, il modo lavorativo di presentarsi sempre perfetto, l’autocontrollo sempre pronto, la forza d’animo che non viene mai meno, nonostante tutti i brainstorming, i tagli e i licenziamenti in arrivo, dipendenti in teoria sulle teorie di valutazione formativa, ma in realtà suggeriti dal commenda di turno”.
Ecco, allora, un altro possibile “tratto” in comune… entrambi i protagonisti, a un certo punto, si ritrovano davanti a se stessi. E quando l’uomo si mette davanti a se stesso emerge – spesso – il disagio, la necessità di ritrovare il senso dell’esistenza, il dover fare i conti con i buchi neri delle proprie contraddizioni… il bisogno di “confessarsi”.
Leggendo le recensioni di Achille e Paolo, e pensando ai protagonisti dei loro libri, mi sono venute in mente le seguenti domande rispetto alla condizione umana…
Quali sono le differenze fondamentali tra un uomo che ha vissuto alla fine del 1700 e un uomo che vive agli albori del terzo millennio? (Mi riferisco a uomini vissuti, comunque, nell’Occidente).
Quali sono i vantaggi e gli svantaggi dell’uomo che vive in quegli anni, rispetto ai vantaggi e svantaggi dell’ uomo di oggi?
L’esigenza di affermarsi a tutti costi, di sopravvivere a sé e al mondo, è davvero cresciuta – oggi – rispetto ad allora? E fino a che punto?
E quella di ritrovare se stessi, il senso delle cose e della propria esistenza… fino a che punto è cambiata?
E poi, naturalmente, avremo modo di discutere in generale dei due libri approfittando della presenza degli autori.
E ora, le due recensioni incrociate…
Massimo Maugeri
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Confessioni di un evirato cantore, di Achille Maccapani
Fratelli Frilli editore – 2009 – euro 15,90
recensione di Paolo Cacciolati
Potrei titolare questo pezzo le cose che dovete sapere per scrivere un romanzo storico. Io è da una vita che vorrei scrivere un romanzo storico, ma mi hanno sempre bloccato mille dubbi. Come parlano le persone vissute qualche secolo fa? Che razza di dialoghi metto loro in bocca? Che pensieri vomerano i loro prati mentali? E, naturalmente, come fanno l’amore? Queste sono solo alcune tra le domande più stupide che mi vengono in mente.
Leggendo Confessioni di un evirato cantore, di Achille Maccapani, non ho trovato esattamente le risposte che mi aspettavo, ma ci sono andato vicino. E poi mi sono ricordato di quella frasetta che al liceo buttava lì il prof di greco, leggendoci Archiloco. L’uomo è sempre lo stesso, e così i suoi pensieri.
Più che un romanzo storico, definirei Confessioni di un evirato cantore un romanzo in costume, dove il lettore si immerge nei costumi di quella che è stata l’ultima epoca di sfarzo nobiliare, il periodo tra fine settecento e inizio ottocento, a cavallo tra rivoluzione e restaurazione, prima che lo tsunami storico della borghesia spazzasse via quel mondo fatto di alte (o basse) corti.
Così, per dirla con Marino Magliani che scrive la quarta di copertina (e per soddisfare uno dei miei balenghi quesiti di cui sopra), impariamo come un evirato potesse condurre al delirio -non solo dei sensi- le damazze dell’alta società, tra nastri e cuscini, parrucchini e concerti. E non solo. Impariamo come ci si sfidava a duello, gli intrighi di corte, l’ammissione a una loggia massonica, come si vestivano le ragazze negli strusci milanesi di inizio ottocento e cento altri dettagli che tratteggiano l’epoca meglio di un manuale di storia.
Ma sto volutamente trascurando il vero protagonista di questo libro. No, non è Luigi Marchesi, il nostro evirato cantore, primo sopranista del Teatro alla Scala, che ci prende per mano a seguire le sue avventure tra successi e pericoli in una società divisa tra la dominazione austriaca e la cometa napoleonica. Il Marchesi ha solo funzione di psicopompo nel condurci al vero protagonista della storia, ovvero a quello che potrebbe essere l’ospite dominante, tra le passioni del nostro Achille Maccapani. La scrittura? chiedete voi. Nooo, perlomeno non solo, rispondo io. La storia? Proverà a dire qualcun altro. Certo, dico io, nel nostro autore è evidente la cura per il dettaglio storico, il gusto per la riproduzione fedele della società dell’epoca. Ma non è neppure questa, secondo me, la sua vera passione.
I più perspicaci tra voi avranno sicuramente capito quale sia la più grande passione di Achille Maccapani, che emerge inesorabile in questo libro, prima in modo sommesso, come pisciatine fatte di nascosto all’ombra di un portone, poi in modo sempre più prepotente. Chi non ha ancora capito ovviamente non deve far altro che leggere il romanzo.
La narrazione ha un ritmo veloce, attacca con Luigi Marchesi che nel pieno di un incontro amoroso deve fuggire dai sicari e commette un omicidio. Poi il risveglio notturno e la consapevolezza dell’amaro che gli ha lasciato quel sogno: una vita trascorsa a rincorrere obiettivi fatui. Così matura la decisione di parlare con Padre Francesco, un giovane prete di campagna ai confini tra il Naviglio e l’Adda. Instaurerà con lui un fitto dialogo, attraverso vari incontri. E’ lo stratagemma che permette al protagonista, e a noi con lui, di ripercorrere tutte le tappe della sua vita a dir poco movimentata.
Foscolo, Mozart, Paganini, sono solo alcuni dei personaggi che il nostro incontrerà lungo il suo cammino. Non dico dove condurrà questo cammino, per non togliere al lettore il gusto della sorpresa, ma certo il percorso risulta leggiadro a seguirsi, lieve come una delle piume adornanti i cappellini delle nobildonne che si accompagnano al nostro evirato cantore.
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Digestione del personale, di Paolo Cacciolati
Tea – 2009 – euro 12
recensione di Achille Maccapani
Un meccanismo infernale a orologeria, che acchiappa il lettore con una virulenza tremenda e non lo molla più fino all’ultima pagina. La scelta strutturale, compiuta da Paolo Cacciolati con il suo romanzo d’esordio Digestione del personale, di far partire il tutto dalla fine, o meglio da un potenziale finale, senza svelare le ragioni del perché il protagonista, il formatore di risorse umane Mirco Michichi, si trovi in quella strana condizione.
Il meccanismo dei flashback incrociati scandisce quindi il ritmo di una trama narrativa moderna, vicina al mondo odierno, fatto di zone industriali, gestione esasperata dei bilanci aziendali col solo obiettivo di giungere al tanto agognato attivo, ricorrendo il più possibile ai tagli, ma non solo, anche a tutti gli espedienti più o meno legali che possano esistere. Lo scenario disegnato da Cacciolati, quello dell’hinterland torinese, è quello di una provincia metropolitana che non si differenzia affatto rispetto a quella milanese, in preda ad una frenesia e ad una tensione più che lavorativa, psicologica e in preda a dinamiche sempre più legate ad uno stato di isterismo ansioso, tipico dei nostri tempi, nel quale non si riesce a percepire i segni di una speranza rivolta al futuro, ma dove tutti lottano contro tutti e chi, come Michichi, si trova ad operare come freelance, resiste solo per merito degli agganci con l’ufficio pubblico che gli permette di avere una corsia preferenziale per i fondi statali o regionali per la formazione nelle imprese.
Ma ciò che emerge da tutto il romanzo è una visione tremendamente cruda, realistica, quasi rispondente ad un’esperienza vissuta fino alle viscere dall’autore, dove tutti i personaggi, con le loro piccole e grandi meschinità, rivelano dentro di sé una profonda solitudine e una desolazione senza limiti, nonostante l’immagine di facciata, il modo lavorativo di presentarsi sempre perfetto, l’autocontrollo sempre pronto, la forza d’animo che non viene mai meno, nonostante tutti i brainstorming, i tagli e i licenziamenti in arrivo, dipendenti in teoria sulle teorie di valutazione formativa, ma in realtà suggeriti dal commenda di turno.
Attraverso questo romanzo, emerge quindi un quadro profondamente diverso dalla mitologia dell’universo urbano torinese. Chissà per quale motivo, nel corso degli anni, abituato a conoscere le problematiche dell’hinterland milanese fino ai primi anni ’90, mi ero fatto una strana idea della vita lavorativa torinese: tutti uniti e compatti, fedeli all’azienda, zero mondanità, grigiore totale in città, al massimo il tifo per la Juve, e vacanze nei centri Fiat. Mi aveva molto colpito, invece, qualche anno fa un saggio di Bruno Babando, nel quale si analizzava la profonda trasformazione del sistema economico torinese, per giungere ad una teoria coraggiosa e dura: quella di considerare l’area del torinese come l’allargamento forzato della provincia di Milano. Una tesi, questa, che indirettamente è confermata dal romanzo di Paolo Cacciolati, che ci svela una realtà urbana e industriale sconosciuta, profondamente trasformata, sintomo di una pesante alienazione psicologica dei vari personaggi, dove alla fine il rischio serio, di fronte al fatto di continuare ad opporre, in reazione ai piccoli e grandi soprusi, l’arma della diplomazia e dell’autocontrollo, sia quello di abbattere di colpo l’argine, e trovarsi a compiere gesti folli, violenti, inaspettati, ma che in realtà rappresentano il frutto di una lunga serie di tensioni che si sono accumulate, a mano a mano, in silenzio, e sono tuttavia pronte ad esplodere in tutta la loro virulenza e scatenamento.
Ecco, quello che più mi ha colpito nel romanzo di Cacciolati è il modo in cui descrive tutte queste tensioni, sembra di averle vicine a noi queste situazioni, queste tensioni, pare di vivere gli episodi e gli sviluppi che si dipanano all’interno degli uffici della Elektracar, forse perché l’utilizzo delle tecniche cinematografiche recenti (penso a Pulp Fiction di Quentin Tarantino, in primo luogo, ma anche al John Woo di Face Off) o comunque più vicine al background personale dell’autore si fanno sentire in modo vistoso, al punto da farci sentire dentro l’azione, e con una progressione narrativa incandescente, tale da renderci consapevoli di come questo mondo urbano contemporaneo stia diventando sempre più alienante, più insostenibile, più inaccettabile, e non sia forse il caso di dire basta una volta per tutte, cambiare vita, cercare una soluzione diversa e più compatibile per il resto dei nostri giorni, visto che i lussi del consumismo non rappresentano certo la panacea per dare risposta alle nostre domande.
Forse l’unica carenza che si potrebbe cercare di trovare in questo incandescente romanzo dai toni thrilling, ma che illustra con forte evidenza, e meglio di uno dei tanti saggi sociologici editi da Franco Angeli o Cortina, lo stato della nostra società del Nord Italia di questi ultimi anni, l’assenza di un germe, anche il più piccolo, della speranza.
Ma, a ripensarci bene, non è affatto detto che sia l’autore a dover cercare e provare a suggerire al lettore le soluzioni, specie se – come nel caso di questo romanzo – l’io narrante è proprio il protagonista principale, Mirco Michichi, alle prese con un esito infernale, con la logica conseguenza di questa highway to hell percorsa senza un briciolo di pentimento, e che si trova, consapevolmente o meno, a trovarsi di fronte ad una battuta d’arresto destinata, probabilmente, ad essere suggellata dall’ennesimo articolo di cronaca nelle pagine locali de La Stampa, magari a poca distanza dalle notizie di una provincia torinese, che, passo dopo passo, si sta scoprendo sempre più meneghina, e dove alla fine i comuni dell’hinterland che circondano Torino non hanno, ormai, più nulla di diverso rispetto a quelli della cerchia metropolitana milanese, e si ritrovano unificati dalla grande serie di centri commerciali che, con il loro fattore aggregativo sempre più incombente, hanno praticamente cancellato l’identità di tante piccole comunità locali, trasformatesi in veri e propri dormitori al servizio delle grandi città.
Tematiche, queste, che emergono profondamente nel romanzo di Paolo Cacciolati, e che suscitano profonde riflessioni sull’Italia di oggi, con una lucidità e un’amarezza che ben difficilmente, forse a causa della contingenza delle news, della frenesia del sistema giornalistico attuale, si riesce a percepire dall’informazione italiana dei nostri giorni, ma che emergono in modo più stringente e vero, proprio grazie alla narrativa contemporanea: esempi come Digestione del personale ce lo confermano, appunto, in modo ulteriore.
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Extrapost
In coda al dibattito, esaurita la discussione sui due libri oggetto delle recensioni incrociate, avremo modo di approfondire la conoscenza del nuovo romanzo di Achille Maccapani: Bacchetta in levare (edito da Marco Valerio).
Segue un breve scheda del libro.
Un direttore d’orchestra di fama internazionale, sconvolto da una lacerante crisi personale decide improvvisamente di smettere con la carriera artistica. Con una serie di colpi di scena che condurranno ad esiti imprevedibili, sarà invece il ritorno sul podio a svelargli la verità che ad ogni costo cercava di rimuovere dalla propria vita. E a riconciliarsi col mondo che lo circonda. Un romanzo che ci introduce dietro le quinte del mondo della musica sinfonica.
Tags: achille maccapani, bacchetta in levare, Confessioni di un evirato cantore, digestione del personale, fratelli frilli, marco valerio, paolo cacciolati, tea
Scritto martedì, 4 maggio 2010 alle 00:03 nella categoria RECENSIONI INCROCIATE, SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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