mercoledì, 13 luglio 2011
Da LE AZIENDE IN-VISIBILI a LA MENTE IN-VISIBILE
Sono molto lieto di poter dare spazio a “La Mente Invisibile“, il nuovo progetto editoriale di scrittura collettiva – organizzato da Marco Minghetti – che possiamo considerare come la prosecuzione naturale del romanzo collettivo a colori intitolato “Le Aziende In-Visibili” (a cui partecipai pure io, come specificato nel post del 15 ottobre 2008 che potete leggere di seguito).
Tra i vari autori coinvolti in questa nuova avventura letteraria a più mani, figura anche il caro e indimenticabile Luciano Comida. A lui è dedicato il libro… e questo post.
Nel corso della discussione chiederò a Marco e agli autori coinvolti di spiegarci come è nato e come si è sviluppato il progetto narrativo. Chiederò anche a cosa è dovuta la scelta di pubblicare il testo su “ilmiolibro“, anziché rivolgersi a un tradizionale editore.
Segue, intanto, la scheda del romanzo.
Mentre il celebre produttore di musica pop Phil Spector e Charles “Figlio dell’Uomo” Manson sono impegnati in un misterioso progetto alla Corcoran State Prison; mentre si svolge “La Bestia del Mare”, reality show durante il quale i telespettatori decidono in diretta della vita e della morte dei protagonisti per via telepatica, attraverso i loro caschi brainframe; mentre l’oscuro funzionario Seamus è impegnato in una indagine relativa alla decapitazione del transessuale Holly Phern;mentre tutto questo accade, un duello mortale vede impegnati Sam Deckard e il “virus elettronico” o “cadavatar” (cadavere-avatar) Omar. Anteriori a questi fatti sono le vicende di Petrus, eroe oscuro di una serie di battaglie contro la Mafia e il potere costituito, al termine delle quali incontra Deckard, al culmine della potenza come Direttore Generale della Dreamcorp, una settimana prima della sua misteriosa scomparsa. Petrus diventa quindi il profeta anti-sistema chiamato l’Uomo del Deserto, che verrà fatto decapitare per desiderio della crudele Yana dal malvagio Re Kannon… Sono questi solo alcuni degli elementi intorno a cui ruota La Mente InVisibile. Dopo il successo de Le Aziende InVisibili, Marco Minghetti torna con la sua Living Mutants Society (in edizione limitata per l’occasione) con un romanzo dove si intrecciano storie liquide, discontinue, dal tempo reversibile: un cubo di Rubik narrativo in cui undici storie si incontrano, si sovrappongono, si frantumano, si confondono l’una con l’altra per poi sciogliersi in una combinazione inaspettata, che pure lascia con la sensazione di essere solo una penultima verità. Horror, Metafisica & Rock’n Roll sono le chiavi del romanzo dedicato alla memoria di Luciano Comida, uno dei membri della Living Mutants Society, scomparso proprio mentre il volume stava per andare in stampa. Oltre a Marco Minghetti, i co-autori sono: Luciano Comida, Patrizia Debicke, Antonio Fazio, Gianluca Garrapa, Mario Pireddu, Matteo Recine, Andrea Sgarro, Piero Trupia, Antonio Tursi.
Di seguito, il post dedicato a “Le Aziende In-visibili”
Massimo Maugeri
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LE AZIENDE IN-VISIBILI
post del 15 ottobre 2008
Tempo fa Marco Minghetti mi parlò di questa sua idea: “Le Aziende In-Visibili“.
Quando mi chiese se ero disponibile a dargli una mano, accettai con entusiasmo.
Si tratta di una sfida molto ambiziosa a cui hanno lavorato un centinaio di personalità dell’economia e della cultura (scrittori, manager, sociologi, attori, filosofi, economisti, musicisti e designer) virtualmente costituenti la Living Mutants Society. La sfida che hanno accettato è stata quella di mettere a disposizione la propria conoscenza umana e professionale in un capitoletto di un’opera narrativa collettiva, ispirata alle Città Invisibili di Italo Calvino.
Al posto di Marco Polo e l’Imperatore della Cina, troverete a dialogare l’Amministratore Delegato di una Corporation e il suo Direttore del Personale: una cornice che utilizza la metafora dell’azienda per parlare della nostra contemporaneità.
A me è stato proposto di tradurre, nella sezione Le aziende e i morti, la città calviniana di Adelma (Episodio n. 78 del volume). Ancora una volta ho accettato con entusiasmo, proponendo una sfida nella sfida: mescolare la mia scrittura a quella di Calvino (operazione rischiosissima), e paragonando il licenziamento di un lavoratore a una sorta di trapasso.
Di seguito vi proporrò il testo dell’episodio da me tradotto. Vi invito a leggerlo e a commentarlo.
Subito dopo vedrete la prima pagina di questo “romanzo a colori”, impreziosito dalle immagini di Luigi Serafini, e avrete la possibilità di leggere ampi stralci della prefazione di Marco Minghetti.
Invito Marco Minghetti e tutti i membri della Living Mutants Society a raccontare la loro esperienza di scrittura all’interno di questo grande progetto.
A voi chiedo di interagire con loro.
E poi… cosa pensate dell’idea di utilizzare l’azienda come metafora per parlare della nostra contemporaneità?
Massimo Maugeri
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da Le Aziende In-Visibili (Scheiwiller, 2008, € 29)
Missione finale – Limbo
Link alle Città Invisibili: Le città e i morti. II Adelma
di Massimo Maugeri
Ho visto cose che voi burocrati non potete neppure immaginare: i dipendenti con un occhio solo di Arimaspia, la nostra società mineraria, che contendono l’oro ai grifoni; i carpentieri della falegnameria Aborimon, che corrono velocissimi, con i piedi girati a rovescio; gli ermafroditi della catena di porno-shop Nasamono, che alternano l’uno e l’altro sesso accoppiandosi nei peep show per i clienti più affezionati; i fachiri informatici di Bangalore, sdraiati su letti di microchip per entrare in completa simbiosi con la Rete; i ponti della Garutti Constructions, che uniscono continenti e si illuminano magicamente quando in una consociata nasce un talento; i grandi allevamenti della Divisione Alimentare in Estremo Oriente, dove si alleva l’anfisbena, il basilisco, il catoblepa, la manticora, il leontofonte, la donna-carota…
Ma mai nelle mie missioni mi ero spinto fino agli uffici algidi e tristi della LedInc, società controllata dalla Corporation in via di dismissione.
Era quasi sera quando ne varcai la soglia d’ingresso per la prima (e ultima) volta. L’usciere si avvicinò, diede un’occhiata alla mia carta d’identità e annuì.
Non disse nulla. Solo annuì. Mi aspettava. Lo guardai meglio. Somigliava a un tale con ambizioni dirigenziali che aveva frequentato un corso di management con me, anni fa.
Era l’ora di chiusura. Gli impiegati si accalcavano per timbrare i cartellini. Molti di loro ascoltavano musica su iPod. Erano stati un regalo aziendale, gli iPod. L’ultimo omaggio prima della notizia della dismissione della società.
E dei conseguenti licenziamenti.
Un vecchio portava una ventiquattrore in pelle un po’ usurata; credetti di riconoscerlo; quando mi voltai era sparito tra i corpi, ma avevo capito che somigliava a un impiegato che, già anziano quando io fui assunto, non poteva più far parte del personale attivo.
Mi turbò la vista di un cassaintegrato che esponeva un cartello dove chiedeva istruzioni su come spiegare ai figli il motivo per cui non sarebbe più riuscito ad arrivare alla fine del mese: quando incontrai mio padre, poco prima che morisse, mi disse che il suo studio di imagineering era fallito guardandomi con gli stessi occhi assenti. Voltai lo sguardo; non osavo fissare più nessuno in viso.
Pensai: “Se la LedInc è un’azienda che vedo in sogno, dove non s’incontrano che cassaintegrati e dipendenti in attesa di licenziamento, il sogno mi fa paura. Se la LedInc è un’azienda vera, abitata da personale in attività, basterà continuare a fissarli perché le somiglianze si dissolvano e appaiano facce estranee, apportatrici d’angoscia. In un caso o nell’altro è meglio che non insista a guardarli”.
Una hostess reggeva una cesta ricolma di pen drive. La ripose su un tavolino dislocato vicino alle porte degli ascensori. La ragazza era uguale a una che lavorava nell’ufficio di fronte al mio e che si era innamorata del caporeparto. Quando scoprì che il caporeparto era gay e se la faceva con suo marito si licenziò. La hostess alzò il viso: era mia nonna.
Mi passò per la mente una strana frase: “Si può arrivare a un momento nella vita aziendale in cui – tra la gente con cui si è lavorato – i disoccupati e gli inoccupati superano per numero il personale attivo. E a quel punto è come se la mente rigettasse i volti dei nuovi dipendenti e imprimesse i vecchi calchi, e per ogni faccia trovasse la maschera che s’adatta di più”.
Altri uscieri scendevano per le scale e si dirigevano per i corridori, curvi sotto il peso di pacchi di cartone; le facce erano nascoste da cappellini a lunga visiera. “Ora si alzano la visiera e li riconosco”, pensavo, con impazienza e con paura.
Ma non staccavo gli occhi da loro; per poco che girassi lo sguardo sulla folla che gremiva quei corridoi, mi vedevo assalito da facce inaspettate, riapparse da lontano, che mi fissavano come per farsi riconoscere, come per riconoscermi, come se mi avessero riconosciuto. Forse anch’io assomigliavo per ognuno di loro a qualcuno che stava per essere licenziato o messo in cassa integrazione. Ero appena arrivato alla LedInc e già ero uno di loro, ero passato dalla loro parte, confuso in quel fluttuare d’occhi, di rughe, di smorfie.
Pensai: “Forse la LedInc è l’azienda in cui si arriva per perdere il posto e in cui ognuno ritrova persone con cui si è lavorato. È segno che sto per essere licenziato anch’io”. Pensai anche: “È segno che la crisi del mercato del lavoro dilaga”.
Massimo Maugeri
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Ante. Premesse teoriche
di Marco Minghetti
Le Aziende In-Visibili. Il romanzo costituisce l’applicazione letteraria di una piattaforma per la generazione di percorsi narrativi. Cosa con ciò si debba intendere spero di riuscire a chiarirlo nella presente nota. Diciamo però subito che alla declinazione romanzesca di questa piattaforma, ovvero il volume che avete tra le mani, hanno lavorato un centinaio di personalità dell’economia, dell’arte e della cultura virtualmente costituenti la LMS, ovvero la Living Mutants Society (in appendice si trova l’elenco completo dei novantotto membri, con l’indicazione del contributo offerto da ciascuno). La sfida che hanno accettato: racchiudere la propria conoscenza umana e professionale – i sogni, le emozioni, le esperienze – in un breve apologo, che rivisita una delle Città Invisibili di Italo Calvino, divenendo al tempo stesso uno dei centoventotto episodi del romanzo Le Aziende In-Visibili. Si è così aperta la strada ad una ricerca individuale e collettiva che, grazie alla forza dell’analogia, varca i confini del tradizionale modo di guardare al mondo imprenditoriale e, soprattutto, utilizza la metafora dell’azienda per parlare della nostra contemporaneità. Un approccio dunque innanzitutto analogico che, in prima battuta, consente di giocare con lo specchio rappresentato dal testo di Calvino in uno spirito vicino non solo a quello con cui Mussorgsky traduceva in musica la pittura o Wagner la mitologia, ma anche alle forme più caratteristiche della creatività odierna: basti pensare a molte opere pubblicitarie degli ultimi vent’anni (come ha bene messo in evidenza la recentissima rassegna della Triennale di Milano “Classico Manifesto. Pubblicità e tradizione classica”) o a tantissimi oggetti prodotti dal design più innovativo (come testimoniato dalla celeberrima mostra itinerante “Surreal Things”, che sta avendo un grandissimo successo in tutto il mondo e che evidenzia in maniera puntuale il debito non solo del design industriale ma della moda, del cinema, del teatro, della grafica, dell’architettura, della gioielleria nei confronti del surrealismo).
L’operazione non è dunque una mera, ennesima, sperimentazione di narrazione collettiva fondata sul potenziamento di uno schema che dai primi goal di Luther Blissett ad oggi è stato giocato, con molteplici varianti, e che potrebbe essere sintetizzato nello slogan, dotato di una sua efficacia benché oggettivamente di dubbio gusto, “dai 5 Wu Ming ai 100… Wu Minghetti”. Si inquadra invece in una riflessione metadisciplinare sviluppatasi inizialmente intorno alle riviste «Hamlet» (da me fondata nel marzo 1997 e diretta fino al luglio 2003) e «Personae» (2003-2005); descritta in termini teorici generali nel Manifesto dello Humanistic Management (Etas, 2004); approfondita nei volumi L’Impresa shakespeariana (Etas, 2002, illustrato da Milo Manara), in cui ho sintetizzato i contenuti concettuali di maggiore rilevanza emersi nel periodo ebdomadario hamletiano, e Nulla due volte (Scheiwiller, 2006), che ho scritto in collaborazione con il Premio Nobel per la Letteratura Wislawa Szymborska (ed arricchito con fotografie di Fabiana Cutrano, nonché con 25 commenti di illustri rappresentanti di altrettanti campi disciplinari, dalla politica alla cinematografia, dalla musica alla filosofia, dal giornalismo al management).
Le Aziende In-Visibili. Il romanzo, esito (provvisoriamente) finale di questo percorso, va quindi ulteriormente contestualizzato nel dibattito attuale, letterario ma non solo. Per farlo possiamo prendere l’abbrivio da Paolo di Stefano, che, nell’arco di una settimana (16 e 22 gennaio 2008), ha pubblicato sul «Corriere della Sera» due recensioni del volume di Arturo Mazzarella, studioso di letterature comparate, La grande rete della scrittura. La letteratura dopo la rivoluzione digitale (Bollati Boringhieri, 2008). Il 17 era apparso su «La Stampa» un altro articolo di Marco Belpoliti. Altri contributi alla discussione sono venuti da Mario Baudino, Giorgio De Rienzo, Nico Orengo, mentre Massimo Maugeri ne ha fatto oggetto di un lungo post pubblicato sul suo blog Letteratitudine raccogliendo moltissimi commenti. Queste recensioni ruotano intorno all’idea che «nel ’67 esce Cibernetica e fantasmi di Italo Calvino, vero e proprio manifesto della nuova letteratura; tuttavia ad accorgersene sono in pochi. Su questa strada, che coniuga comunicazione e letteratura, moltiplicazione del punto di vista e virtualità, si sono già mossi Beckett e Borges, seppur con esiti diversi e persino opposti. E, prima di loro, Henry James ha messo a punto alcune delle svolte decisive del Novecento. Secondo Mazzarella, per orgoglio di casta personaggi come Franco Fortini e Pietro Citati hanno continuato a riconfermare il paradigma incontrastato del sapere umanistico, anche quando appariva ormai privo di rilevanza. Sostenitori della letteratura come unico viatico di conoscenza piena e assoluta appaiono, a detta di Mazzarella, Asor Rosa, Giulio Ferroni, Claudio Magris, George Steiner, Marc Fumaroli, vestali di un’idea di “belle lettere” tramontata da un pezzo. Mentre scrittori come Kundera e DeLillo, dopo Calvino e Borges, e poi Martin Amis, Houellebecq – ma anche Manganelli, Landolfi, Volponi e Gianni Celati – hanno dimostrato la fine dell’unico punto di vista, la dissoluzione della visione cartesiana, evidenziando nel contempo la porosità del reale e l’idea del caos non come disordine, bensì velocità di scorrimento del reale stesso, le istituzioni letterarie continuano a perpetuare un’idea conservatrice, se non proprio reazionaria». Concetto rafforzato da Paolo di Stefano che così chiude il suo secondo articolo: «il management industriale sa che sono i filosofi, non gli scrittori, ad avere espresso negli ultimi decenni capacità immaginative straordinarie».
Io credo che al fondo di questa, come di tante altre discussioni contemporanee, vi sia il testo di Francois Lyotard La condizione postmoderna (Feltrinelli, 1979). Qui si tematizza la fine delle “grandi narrazioni” che hanno orientato trasversalmente i saperi moderni. Oggi, dice Lyotard, siamo in una condizione frantumata e disseminativa dei saperi, che, come bene ha riassunto Franco Cambi, «hanno perduto Unità e Senso». La condizione postmoderna produce però sensibilità per le differenze e capacità di tollerare l’incommensurabile, facendo affidamento sulle “instabilità del sistema”. La legittimazione dei saperi si ottiene attraverso il dissenso, per “mosse” anche audaci, in un modo che si configura come un modello opposto al sistema stabile. Se non possediamo più metanarrazioni che ci orientino tra i saperi, di quei saperi dobbiamo – invece – recepire il dismorfismo, la dialettica, l’iter disseminativo.
A questi fondamentali riferimenti se ne dovrebbero aggiungere molti altri, fra cui il concetto di complessità elaborato da Edgar Morin e da una folta schiera di epigoni, la visione della modernità liquida di Bauman e della modernità riflessiva di Beck, la teoria dei non luoghi di Augè e quella del genius loci di Trupia, il sensemaking descritto da Weick, l’effetto Medici scoperto da Johannson, l’ascesa della nuova classe creativa celebrata da Florida. E ancora le riflessioni di Levy sul virtuale e sull’intelligenza collettiva, di Virilio sull’arte dell’accecamento, di Kevin Kelly sulla necessità attuale di guidare le organizzazioni senza averne controllo, di Castells e Rullani sull’economia delle reti, di De Masi su fantasia e concretezza…
Insomma, un lungo elenco. Ciò che qui mi preme sottolineare, però, è che questo insieme di apporti, pur essendo entrato nei confronti di idee svoltosi su moltissimi tavoli diversi, specialistici e trasversali, negli ultimi trent’anni, di fatto non si è tradotto in pratiche narrative veramente nuove, almeno per quanto riguarda i due versanti che più mi interessano, quello artistico (letterario, in particolare) e quello manageriale. Certo, sempre più spesso studiamo saggi di sociologia o di management che traggono ampia ispirazione dai lavori di filosofi e romanzieri, e, viceversa, leggiamo romanzi o assistiamo a film o spettacoli teatrali o rappresentazioni artistiche in genere, in cui si prendono a prestito linguaggi, temi e tecniche di scrittura dalle discipline più disparate, come dimostrano anche gli esempi citati in apertura riferiti a pubblicità e design. Ma si tratta nel migliore dei casi di contaminazioni, miscellanee più o meno riuscite, spesso mere giustapposizioni (il giudizio critico vale innanzitutto per i lavori che io stesso ho realizzato), generalmente intruppate nell’onnivoro concetto di postmodernità, che come ogni post è in realtà una trappola linguistica. Strictu sensu, postmoderno significa “ciò che viene dopo il moderno”: e cosa viene dopo il moderno? Tutto e il contrario di tutto. E’ come se, andando a cena da amici, vi pungesse la curiosità di chiedere: “Ottimo questo risotto, quale è la prossima portata?”, e la risposta non fosse “carne”, o “pesce”, o “salumi”, ma: “il postrisotto”. E con il più grande rispetto per l’affascinante percorso critico proposto dal sopra evocato Mazzarella bisogna riconoscere che: a) Anche, poniamo, Underworld di Don De Lillo ha più a che fare con I Buddenbrock e le grandi epopee borghesi del romanzo ottocentesco, che non con Virtua Tennis 3 o qualunque altro videogame; b) il modo più ovvio e radicale di riprodurre la poliedrica virtualità dei punti di vista è fare scrivere insieme un numero il più possibile elevato di persone, provenienti da campi disciplinari e da esperienze eterogenee, facendole interagire come se fossero i neuroni di uno stesso cervello, creando sinapsi creative al servizio di una opera finale collettiva, interconnessa e condivisa, dall’identità molteplice, certo, ma al tempo stesso unica e coerente: modalità operativa che da soli, per quanto geniali, anche autori come De Lillo, Kundera o lo stesso Calvino non possono mettere in atto e che invece rappresenta il fulcro de Le Aziende In-Visibili, così come, almeno in certa misura, della mostra organizzata dalla Triennale di Milano nel 2002-2003, curata da Gianni Canova (già nel team creativo di Nulla due volte) ed intitolata Le Città In-visibili, cui hanno partecipato numerosi artisti di differente ispirazione – fotografia, pittura, architettura, eccetera – e che si proponeva di “rendere visibile il non visibile. Indagare quanto di reale c’è nell’immaginario con cui pensiamo alla città e quanto di immaginario c’è nel nostro modo di vivere lo spazio urbano”.
Sotto questo aspetto, l’auspicio espresso nel suo ruolo di critico della letteratura da Berardinelli, ovvero che si possa transitare dall’ormai usurato concetto di postmodernità ad una pratica narrativa radicalmente mutante, che sia in grado di dialogare con il patrimonio letterario del passato, prossimo e remoto, guardando tuttavia al futuro, può credo più generalmente tradursi nella tensione verso un modo di leggere, interpretare ed infine gestire la realtà che sappia superare vecchie tassonomie e modelli mentali. L’approccio collettivo e metadisciplinare che ha presieduto alla stesura de Le Aziende In-Visibili, in maniera ancor più programmaticamente marcata che in tutte le precedenti esperienze dello Humanistic Management, il cui bagaglio concettuale ormai può tranquillamente proporsi quale vero e proprio Humanistic Mindset per la (tentativa) comprensione, a trecentosessanta gradi, del mondo in cui viviamo, ha l’ambizione di affermarsi come una possibile modalità pratica di scrittura mutante, che travalica le distinzioni fra scrittori e manager, fra sociologi e attori, fra musicisti e designer, fra filosofi ed economisti, cercando di trovare un terreno comune di intesa (la piattaforma per la generazione di percorsi narrativi cui accennavo all’inizio) che sarà poi possibile declinare attraverso specifici linguaggi e svariate tecnologie di comunicazione ed espressione (si veda ad esempio Le Aziende In-Visibili: il Metablog - http://marcominghetti.nova100.ilsole24or… – in cui i temi del romanzo vengono discussi e approfonditi con le modalità tipiche della Rete).
(…)
Retro. Il Piano dell’Opera.
Il Piano dell’Opera si è consolidato innanzitutto intorno all’ipotesi di realizzare la riscrittura della cornice calviniana, costituita dai dialoghi fra Marco Polo e l’Imperatore che aprono e chiudono ciascuno dei 9 capitoli de Le Città Invisibili. Prendendo spunto dall’idea narrativa che sta alla base de Il Responsabile delle Risorse Umane di Abraham Yehoshua mi sono assunto il carico della loro trasformazione in una conversazione fra l’Amministratore Delegato di una Corporation e il suo Direttore del Personale. Questa “traduzione” è stata quindi offerta come frame di riferimento unitario a tutti i co-autori delle 110 Aziende In-Visibili, ovvero due per ognuna delle 55 “Città Invisibili” del romanzo.
Le Aziende In-Visibili mantiene, in prima battuta, anche l’organizzazione concettuale de Le Città Invisibili, come è noto articolate intorno ad undici diverse categorie di città, ognuna dal nome di donna, che presentano, nella mappa dell’Impero di Kublai Kan descritta da Marco Polo, ciascuna cinque varianti: Le città e la memoria, Le città e il desiderio, Le città e i segni, Le città sottili, Le città e gli scambi, Le città e gli occhi, Le città e il nome, Le città e i morti, Le città e il cielo, Le città continue, Le città nascoste.
Il medesimo schema è rispecchiato (nel senso di replicato e insieme duplicato) ne Le Aziende In-Visibili, poiché è facile vedere come ciascuna categoria calviniana si presti ad una riflessione, morale, estetica, politica, sociologica, e dunque al tempo stesso manageriale, coerentemente con i principi dello Humanistic Management/Mindset – non a caso Renzo Piano, nell’intervista introduttiva al volume Le città visibili (Electa 2007), catalogo dell’esposizione, ispirata a Calvino, dedicata ad illustrare i capolavori del grandissimo architetto italiano, parla della sua disciplina negli stessi termini: “L’architettura – afferma- ha diverse dimensioni: artistica poetica, espressiva, sociale, economica, umanistica, scientifica.” Complessivamente il mosaico del romanzo è costituito da 128 episodi: 110 Aziende In-Visibili (ciascuna affidata ad un autore diverso, salvo una decina che ho scritto io) più le 18 semi-cornici che aprono e chiudono i 9 capitoli.
(…)
Marco Minghetti
——
The Living Mutants Society
Massimo Acantora Torrefranca, Armando Adolgiso, Andrea Amerio, Giuseppe Antonelli, Giovanni Anversa, Sisina Augusta, Gloria Bellicchi, Chiara Beretta Mazzotta, Alessio Bertallot, Enrico Bertolino, Domenico Bodega, Francesco Bogliari, Cinzia Bomoll, Caterina Bonetti, Aldo Bonomi, Elisabetta Bucciarelli, Leonardo Buzzavo, Luciano Canova, Diomira Cennamo, Pepa Cerruti, Antonella Cilento, Innocenzo Cipolletta, Paolo Costa, Annalisa Decarli, Franco D’Egidio, Giorgio Del Mare, Stefano Delprete, Antonio Fazio, Paolo Ferrarini, Marcello Foa, Andrea Fontana, Paolo Gai, Nicola Gaiarin, Alberto Garutti, Gi(ov)anni Gasparini, Emilio Genovesi, Lucilla Giagnoni, Michele Governatori, Andrea Granelli, Gianmichele Lisai Senes, Maria Ludovica Lombardi, Giuseppe Longo, Pina Luciani, Pierfrancesco Majorino, Francesca Marzotto Caotorta, Armando Massarenti, Massimo Maugeri, Gianna Mazzini, Mariagrazia Mazzocchi, Paolo Melissi, Rossella Milone, Francesco Morace, Franco Morganti, William Nessuno, Andrea Notarnicola, Valeria Novellini, Josephine Pace, Michele Pacifico, Roberto Panzarani, Elisabetta Pasini, Walter Passerini, Massimo Pietroselli, Valentina Pisanty, Federico Platania, Alberto Provenzali, Adriana Quaglia, José Rallo, Enzo Riboni, Alessandro Rinaldi, Isabella Rinaldi, Dario Rinero, Valeria Rossi, Pier Aldo Rovatti, Enzo Rullani, Giulio Sapelli, Paolo Savona, Luigi Serafini, Andrea Sgarro, Antonio Staglianò, Antonio Strati, Cristina Tagliabue, Giovanna Tinunin, Piero Trupia, Francesco Varanini, Pino Varchetta, Luca e Laura Varvelli, Elena Varvello, Walter Veltroni, Amalia Vetromile, Carmelo Vigna, Gianpietro Vigorelli, Roberto Vittori, Alessandro Zaccuri, Anna Zanardi, Antonio Zoppetti
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Scritto mercoledì, 13 luglio 2011 alle 23:02 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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