martedì, 21 gennaio 2020
LA BAMBINA E IL NAZISTA di Franco Forte e Scilla Bonfiglioli
La nuova puntata della rubrica di Letteratitudine intitolata “A botta e risposta (un tandem letterario conversando di libri)“ è dedicata al romanzo “La bambina e il nazista” di Franco Forte e Scilla Bonfiglioli (Mondadori): un romanzo sulla memoria e sugli orrori dell’olocausto, in una storia triste ma coraggiosa, in cui il desiderio della vita prevale sulla mostruosità dello sterminio.
Franco Forte è nato a Milano nel 1962. Scrittore, sceneggiatore e giornalista, per Mondadori ha pubblicato, tra gli altri, Roma in fiamme, Cesare l’Immortale e il fortunato Romolo.
Scilla Bonfiglioli è nata a Bologna nel 1983. Attrice e regista teatrale, oltre che scrittrice, ha pubblicato racconti in diverse antologie e nel Giallo Mondadori.
Abbiamo invitato i due coautori del romanzo a partecipare al “tandem letterario” di Letteratitudine.
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Scilla: Scrivere a quattro mani con Franco è stata un’esperienza intensa ed emozionante. Mi ha telefonato una mattina dicendomi: “Senti, ho questa idea in testa da molto tempo, vuoi scriverla con me?” e mi ha raccontato di un soldato nazista che di punto in bianco vede la sua vita rovesciarsi dopo la tragica morte di sua figlia. La vicenda del nostro Hans Heigel inizia da lì. Sarei stata entusiasta all’idea di scrivere qualsiasi storia con Franco, che per me è stato un maestro e lo è ancora, ma questa mi ha conquistato fin dalle prime parole: i temi sono molto forti e crudi, era necessario approcciarsi con grande sensibilità alle vite dei protagonisti di cui abbiamo narrato. Anche se sono personaggi inventati, ricalcano da vicino le tragedie delle persone che hanno vissuto sulla loro pelle uno dei drammi più feroci della storia umana. Ma da dove viene l’idea dietro “La Bambina e il Nazista”?
Franco: Come è nata l’idea di scrivere questo libro? L’avevo già in testa da un po’ di tempo, dal giorno in cui ho trovato la notizia autentica di un ufficiale nazista che salvò una bambina ebrea dall’inferno dei campi di concentramento. Non sono più riuscito a ritrovarla, ma l’immagine mi è rimasta dentro insieme alla necessità di raccontarne la vicenda. Così ho chiesto a Scilla di scriverla insieme a me e di andare a fondo in un periodo storico nero, cercando di raccontare i fatti ma, soprattutto, le emozioni, le motivazioni e i sentimenti che si nascondono negli eventi della Storia.
Sono un autore di romanzi storici, ma questo può essere considerato un romanzo storico?
Scilla: Gli anni del nazismo, il ricordo della Seconda Guerra Mondiale e delle barbarie perpetrate in quel periodo in nome di ideali assurdi sono ancora abbastanza vicini a noi per farcene sentire il peso. Allo stesso tempo, però, è un periodo che si sta allontanando troppo in fretta, soprattutto dalla memoria. E per ricordare sono necessarie le storie. Un poeta brasiliano diceva che “narrare è resistere” e noi abbiamo cercato, raccontando, di dare il nostro contributo per non dimenticare. Nel romanzo ci siamo sempre rifatti a eventi reali e a informazioni autentiche, ma forse questo libro ha un respiro più ampio di un romanzo storico, è più letterario. L’abbiamo scritto con l’intento di rendere più difficile la dimenticanza, per conservare il ricordo e impedire che tragedie come questa si ripetano ancora. Credi che Hans sia un personaggio adatto per adempiere a questo compito?
Franco: Credo proprio che lo sia. Abbiamo deciso di affrontare questa storia partendo da un punto di vista scomodo, quello di un soldato nazista. Forse la figura in assoluto più difficile con cui empatizzare. Eppure, quello di Hans Heigel è il punto di vista migliore. Il nostro tenente è un uomo che non ha in simpatia il Reich, eppure abbassa la testa e fa quello che deve fare, lavorando come burocrate in un ufficio lontano dalla guerra. Non è coraggioso, non è un combattente e di certo non è un eroe. Finge di non vedere quello che succede purché tutto il male che inonda il mondo non tocchi il suo personale angolo di paradiso: la sua casa, sua moglie, sua figlia Hanne. Questa era la situazione in cui molti si sono trovati a vivere durante l’ascesa del regime ed è la situazione in cui spesso ci si trova anche oggi davanti alle ingiustizie più grandi. Per questo siamo partiti da lui, per seguire la strada di un uomo che, messo con le spalle al muro, scopre dentro di sé un coraggio del tutto umano e una forza che non avrebbe immaginato di possedere. Abbiamo parlato del nazista. E della bambina, cosa mi dici?
Scilla: Che non ce ne è solo una. Le bambine di questa storia sono due. Una è la piccola Leah, l’altra protagonista del romanzo: una bambina ebrea gettata con i suoi sette anni nell’inferno più atroce e che diventa per Hans la luce in cui combattere in mezzo alle tenebre che circondano entrambi. Ma c’è anche un’altra bimba, Hanne, la figlioletta di Hans che muore all’inizio della storia e sconvolge la vita perfetta che lui ha cercato di proteggere fino a quel momento. Sono due bambine distinte, con storie diverse e vite che non si somigliano, due piccole che non si sono mai viste e che non si vedranno mai. Eppure sono una cosa sola. Ma ci sono tanti altri personaggi che hanno storie terribili e interessanti. Qual è il tuo preferito? E quello che odi di più?
Franco: Penso che uno dei personaggi migliori sia Franz Meyer, il superiore di Hans a Osnabrück. Meyer è un mentore che, nella vita del tenente Heigel, svolge quasi il ruolo di un padre e che avrà un arco narrativo interessante. Sul lato opposto della medaglia c’è il maggiore Vossel. Un uomo bellissimo e crudele che incarna il Reich in tutta la sua cupezza. E i tuoi quali sono?
Scilla: Io ho un particolare amore per Larysa, una guardia ucraina del campo di Sobibór alle dipendenze dei soldati nazisti o almeno così pare: una combattente che avrà un ruolo particolare nella nostra storia. Il personaggio che ho odiato di più in fase di scrittura è stata Alida Haller, una terrificante ausiliaria tedesca per la quale ci siamo ispirati alla figura storica di Ilse Koch, la “strega di Buchenwald” e alla criminale austriaca Hermine Braunsteiner-Ryan. Entrambe hanno saputo guadagnarsi una fama fin troppo sinistra. E per quanto riguarda i luoghi in cui abbiamo ambientato la vicenda, si può dire che siano altrettanto terribili?
Franco: Non si può fare una classifica dell’orrore, ma i campi di concentramento costruiti dal Reich in Polonia sono stata una delle pagine più nere di un capitolo della Storia già oscuro di per sé. Abbiamo cercato di gettare una luce su degli eventi che spesso vengono lasciati a margine, basti pensare che gran parte della documentazione esistente non è mai stata tradotta dal polacco.
Il campo di Majdanek portava i prigionieri alla disumanizzazione prima che alla morte con un’organizzazione tanto precisa da riuscire a svolgere le sue attività praticamente sotto agli occhi dei cittadini di Lublino senza destare troppe preoccupazioni. Le informazioni arrivate da Majdanek restituiscono un quadro dell’orrore che ammutolisce, fatto di torture e aberrazioni e che abbiamo cercato descrivere con la massima lucidità. Quasi completamente distrutto, questo campo non ha lasciato l’enorme mole di testimonianze atroci che ci sono arrivate da altri lager e questa è stata l’unica ragione per cui Majdanek non è stato scelto come simbolo delle atrocità del Reich, triste titolo passato al campo di Auschwitz. Perché abbiamo scelto di ambientare parte del romanzo a Sobibór, invece?
Scilla: Abbiamo scelto il campo di Sobibór perché stato teatro di una celebre ribellione. Spesso non si racconta di quante ce ne siano state, di rivolte che hanno finito per destabilizzare il Reich nel momento delicato in cui era impegnato in guerra su più fronti. Da quella del ghetto di Varsavia, che doveva risolversi in pochi giorni e invece ha costretto i nazisti a impiegare più forze del previsto per contrastarla, a quella del campo di Treblinka che ha terrorizzato gli ufficiali e fatto stringere il pugno di ferro. La rivolta di Sobibór diventa famosa perché colpisce al cuore il regime dall’interno, in un momento in cui il Reich comincia a perdere colpi sui fronti internazionali. Purtroppo non sono molti i prigionieri che riescono a guadagnarsi la libertà, ma quell’atto di enorme coraggio meritava di essere raccontato. Nel romanzo, i personaggi che tirano le fila di questi eventi sono di fantasia, ma sono ispirati molto da vicino al soldato ucraino Aleksandr Pečerskij e all’ebreo Leon Feldhendler, che seppero organizzare la ribellione del ‘43. Dopo tutto questo, ti faccio un ultima domanda. Visti tutti questi eventi così cupi, perché i lettori dovrebbero leggere il nostro romanzo?
Franco: Proprio perché questi eventi vanno ricordati, lo dico ancora una volta. E perché raccontiamo una storia di speranza, che mostra come una luce, per quanto piccola, possa rischiarare le tenebre. “La Bambina e il Nazista” è un libro in cui la lotta di uomo diventa la lotta di tutti.
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La scheda del libro: “La bambina e il nazista” di Franco Forte e Scilla Bonfiglioli (Mondadori)
Germania, 1943. Hans Heigel, ufficiale di complemento delle SS nella piccola cittadina di Osnabrück, non comprende né condivide l’aggressività con cui il suo Paese si è rialzato dalla Prima guerra mondiale; eppure, il timore di ritorsioni sulla propria famiglia e la vita nel piccolo centro, lontana dagli orrori del fronte e dei campi di concentramento, l’hanno convinto a tenere per sé i suoi pensieri, sospingendolo verso una silenziosa convivenza anche con le politiche più aberranti del Reich. Più importante è occuparsi della moglie Ingrid e, soprattutto, dell’amatissima figlia Hanne.
Fino a che punto un essere umano può, però, mettere da parte i propri valori per un grigio quieto vivere?
Hans lo scopre quando la più terribile delle tragedie che possono capitare a un padre si abbatte su di lui, e contemporaneamente scopre di essere stato destinato al campo di sterminio di Sobibór.
Chiudere gli occhi di fronte ai peccati terribili di cui la Germania si sta macchiando diventa d’un tratto impossibile… soprattutto quando tra i prigionieri destinati alle camere a gas incontra Leah, una bambina ebrea che somiglia come una goccia d’acqua a sua figlia Hanne.
Fino a che punto un essere umano può spingersi pur di proteggere chi gli sta a cuore? Giorno dopo giorno, Hans si ritrova a escogitare sempre nuovi stratagemmi pur di strappare una prigioniera a un destino già segnato, ingannando i suoi commilitoni, prendendo decisioni terribili, destinate a perseguitarlo per sempre, rischiando la sua stessa vita… Tutto, pur di non perdere un’altra volta ciò che di più caro ha al mondo.
Ispirandosi a fatti drammatici quanto reali, Franco Forte e Scilla Bonfiglioli ci trasportano nelle tenebre profondissime di una pagina di Storia che non si può e non si deve dimenticare – soprattutto oggi – mostrando però che persino nella notte più nera possono accendersi luci di speranza, a patto di vincere le nostre ipocrisie e lasciarci guidare dall’unica che ci accomuna tutti: la nostra umanità.
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Tags: Franco Forte, La bambina e il nazista, mondadori, Scilla Bonfiglioli
Scritto martedì, 21 gennaio 2020 alle 17:57 nella categoria A A A - NOTA LEGALE, RESPONSABILITA', NETIQUETTE. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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