martedì, 8 maggio 2007
DOLLÌRIO opera teatrale di Nino Romeo (recensione di Sabina Corsaro)
Nino Romeo
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Graziana Maniscalco e Nino Romeo
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Definirlo il dramma di una donna appare riduttivo; sembra, invece, più idoneo considerarlo il flusso inesorabile di una coscienza che fa i conti con la sua memoria, scevra, per sua natura, di un anestetizzante raziocinio. Mara, la protagonista, (Graziana Maniscalco) è una donna che vacilla tra la piena coscienza di sé e la consapevolezza di un’esistenza da ricostruire; conosce il dolore, sordo, viscerale che penetra profondamente fino a ledere persino le articolazioni e la fuoriuscita dei suoni vocali ma gradualmente lo trasforma in arma subdola e poi manifesta per poter agire contro i colpevoli della sua disperazione. La scena iniziale si apre quando fuori di sé si rivolge a Dollìrio (Nino Romeo) il boss del quartiere. Il trauma per l’uccisone dei genitori è alimentato in lei da una rabbia che la scuote violentemente fino ad ostacolarle l’esplicazione delle parole. La pièce si divide in sette scene che rappresentano le fasi principali dell’evoluzione della protagonista, ma quel susseguirsi di fasi non equivale ad un progresso e ad una maturazione formativa ma ha la valenza di un’acquisizione di sé, di un’esistenza in funzione di un’unica grande causa: quella del nulla. Smarrimento e dislocazione, quindi, sono gli unici punti fermi, e l’amara espressione della protagonista nell’ultima scena del dramma: “io ho fondato la mia causa sul nulla”. Il Boss è l’emblema di un sistema apparentemente irraggiungibile fino a quando non si è in grado di addentrarsi negli intrecci e nel linguaggio di quello stesso sistema, scoprendone abitudini: familiari, domestiche, intime. Mara spia i punti deboli di Dollìrio, ne prende coscienza e si fa sempre più forte, ma dietro ai due personaggi si celano i due aspetti di uno stesso elemento: il potere. Quello muto, continuo, rappresentato dalla tradizione, dal codice antico, e quello dinamico, in continua metamorfosi, che si mimetizza con la legalità e con i tempi. Entrambi convivono e si oppongono e quando il potere nuovo va a demolire quello vecchio, improvvisamente esso prende coscienza del vuoto della sua essenza. E’ questo il senso della frase di Mara? Nino Romeo lega i pezzi sparsi dell’interiorità della protagonista attraverso l’elemento linguistico, è questo a dare un’identità e una misura ai cambiamenti della personalità di Mara nel tempo, ai fatti sociali che si svolgono attorno a lei, e il dialetto siciliano si alterna ad espressioni (brevi ma intense) di alta liricità. Ed ecco la frase di Mara, così come la sottolinea Nino Romeo, che funge da unico elemento strutturale che ricompone quel mosaico di pezzi che è la coscienza della stessa donna:“Ripassare questi trentanni al setaccio di una coscienza rinnovata”, è questa la redenzione per Mara o, al contrario, è l’inferno verso cui la conduce la disperata e avida sete di vendetta? Forse entrambe le cose. Lo spettacolo è caratterizzato da un gioco di luci e musiche suggestive, grazie alla professionalità e creatività di Franco Buzzanca e Franco Lazzaro e andrà in scena fino al 6 maggio presso il teatro Angelo Musco di Catania.
Sabina Corsaro
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Sabina Corsaro, laureata in lettere con tesi intitolata "Proust e le porte della lettura" (considerazioni di Proust e Ruskin sull’estetica, sulla critica e sulla lettura), è attualmente impegnata nello svolgimento di un dottorato di ricerca in Storia Moderna (in particolare sulla Sicilia Post-Risorgimentale attraverso un percorso tra Storia e Letteratura). Ha fatto parte dal 2003 della redazione del magazine letterario "Astratti Furori". Attualmente modera (con Barbara Mancuso) il forum (per la facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Catania) "Univers’arte", dedicato alle immagini. È co-autrice del volume "Dicono di Bruno Caruso" (Lombardi editori, marzo 2007).
Scritto martedì, 8 maggio 2007 alle 19:24 nella categoria SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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