martedì, 16 ottobre 2007
UNA STORIA AI DELFINI di MariaGiovanna Luini (recensione di Barbara Gozzi)
MariaGiovanna Luini, ‘Una storia ai delfini’ (Edizioni Creativa all’interno della collana ‘Declinato al femminile’ diretta da Francesca Mazzucato).
Il primo romanzo di MariaGiovanna Luini è la storia di una donna.
Una donna tratteggiata da subito come ‘la pazza’ per le bizzarrie della sua attuale vita, quella che, nel momento in cui racconta, è diventata routine necessaria, stacco dal resto del mondo e dalla gente. Perchè questo romanzo è il racconto di Lucia, che vive sola in barca e ha disimparato a parlare. Viaggia e scrive. Finchè una pinna. Poi due, tre e così via. Un branco di delfini la segue e “sembrava che sapessero dove stavo andando, che lo sapessero meglio di me e volessero ricordarlo al povero cervello liquefatto dal tempo” (pag.17). Inizia così il viaggio, questo racconto che è in realtà il diario della protagonista con un intento ben preciso: “raccontare la mia storia non significa dirvi cose che non interessano più neanche a me. Significa forse spiegare ai delfini […] perchè vivo su una barca bianca ormeggiata in un porto qualsiasi, perchè ho perso la voglia di parlare e ascoltare, perchè non sono più io.” (pag.20)
Sono dunque gli occhi di una donna che narrano il passato arrivando a spiegare un presente all’apparenza solitario ma che cela profondi solchi, cicatrici indelebili di un’esistenza vissuta a due velocità. La scelta di un io narratore in prima persona diventa un espediente necessario per permettere al lettore di entrare nella vita della protagonista assaporandone odori e colori amplificati. Percepiti intensamente. La lunghezza stessa del romanzo facilita a mio avviso questo processo in quanto non stanca il lettore anzi, lo guida verso un viaggio pieno. Un assolo semplice ed efficace. Allo stesso tempo le descrizioni che fa Lucia dei luoghi che ama costeggiare, dove si ferma per visite veloci sono il tratteggio che serve al lettore per inserire la trama in un ambiente preciso tra il mare e Ponza, in netto contrasto con gli appartamenti milanesi sempre piccoli dove ha vissuto in passato. “Ponza è l’isola che placa il mio cuore” (pag.59) spiega Lucia.
La storia destinata ai delfini è dunque il viaggio di una donna tormentata. Contradditoria. Fragile e fiera. Una donna che vive molti anni nell’apatia, nell’accettazione di avvenimenti avvertiti nel profondo come sbagliati e disumani. Errori per sua stessa ammissione ai quali, però non si ribella, chiude gli occhi e ne aspetta la fine nel disperato quanto fallimentare tentativo di non perdere l’uomo che crede di amare. Da qui i silenzi, i pensieri abbandonati e “il lungo e freddo buio” (pag.44) che la porterà a disimparare il piacere fisico pur di non contraddire il marito. “Mio marito mi amava e io lo assecondavo in tutto. Proprio in tutto” (pag.47) chiarisce Lucia che arriverà fino a sprofondare in un’ “apatica accettazione della realtà” (pag.49) quando il marito tanto venerato si innamorerà di un’altra. Sarà una circostanza drammatica a scuoterla, a riportarla alla vita con la ferocia tipica delle malattie destinate ad annullare tutto, a spazzare via tempi e pause. Lucia prova a ignorare i segnali, si trincera dietro a finzioni sporadiche, blandi tentativi di congelare una realtà che non vuole, non accetta. Poi l’inevitabile, una ripresa lenta e nuove gioie. Fino al crollo finale e a un equilibrio fragile ma stabile che le permette di raccontarsi ai delfini con occhio critico ma consapevole. Perchè questo libro racconta un’intera esistenza e lo fa denudandosi, senza risparmiarsi niente, dando in pasto al lettore ogni emozione senza filtri e, come spesso accade nella realtà quotidiana, tracciando quelle rotte che mutano e ci portano ad amare e a perdere.
In tutto questo sentire e trasmettere, i delfini appaiono in distanza; sbucano in punta di piedi e sembra quasi che sorridano rassicuranti a Lucia che è l’unione di frammenti della MariaGiovanna scrittrice donna e medico. “Scriverò la mia storia e la regalerò a loro, insieme al ricordo straziante della mia felicità. Del senso perduto della mia esistenza.” (pag.71) E’ tutto riassunto in questa frase. Una felicità che strazia e un’esistenza perduta ma comunque vissuta, a due velocità come accennavo poco fa, ma pur sempre assaporata fino in fondo. Perchè Lucia è un personaggio mutevole, che passa dall’immobilità dell’accettazione passiva alla forza per riappropriarsi dei colori, di quegli aromi mai assaporati fino in fondo che diventano per lei linfa vitale. Lucia smette di operare e si dedica anima e corpo agli affetti e alla scrittura che diventa per lei valvola di sfogo, strumento di esternazione emozionale.
Credo che in questo libro si sentano i respiri dell’autrice in molti angoli. Non è un testo autobiografico per sua stessa ammissione però racchiude frammenti della MariaGiovanna Luini medico e della donna che in barca scrive, entra nei sentimenti altrui e li scava. Accoglie le gioie ma sopratutto i dolori come parte integrante di un vivere a pieno ogni giornata.
Ed è proprio l’accettazione del dolore la parte che più mi ha colpita. Un finale che vuole essere anche un messaggio senza la pretesa di insegnare o imporsi ma con l’intento delicato di lasciare addosso qualcosa al lettore che ha seguito fin lì i delfini.
“Quando fuggivo dallo strazio della disperazione le mie gambe correvano veloci e la ricerca affannosa dell’oblio consumava ogni energia […] Poi qualcosa ha rallentato i miei passi e l’andatura più lenta ha permesso al dolore di raggiungermi.” (pag.95). Ecco dunque l’essenza dello scrivere questa storia. Ma prima ancora del riflettere. Dell’accettare l’onda dolorosa e traziante perchè il dolore non si annulla né si può mescolarlo con altro nella speranza che la sua voce sia meno graffiante, “è inutile combatterlo” (pag.95).
La prefazione di Umberto Veronesi è straordinariamente pulsante. C’è l’uomo di scienza che osserva le sofferenze umane ogni giorno e cerca di alleviarle non senza fallimenti e “l’impotenza di fronte alla loro invasione nel nostro sottile e fragile filo esistenziale” (pag.11). Ma c’è anche l’uomo che si immerge nell’universo femminile e ne condivide fragilità e punti di forza.
‘Una storia ai delfini’ apre il cuore di una donna e lo mostra così com’è. Pulsante. Scalfito. Sincero e silenzioso. Immobile quanto frenetico. Innamorato e apatico. E’ una storia che si potrebbe etichettare ‘come tante’ ma sarebbe un tentativo ridicolo di sminuirla. E’ un romanzo che scava nelle profondità degli avvenimenti cercandone i nodi. Le emozioni più forti e nascoste.
La scrittura della Luini è scorrevole, la scelta delle parole è accurata. E la struttura narrativa lineare permette una lettura fluida e immediata. Per chi fosse interessato, segnalo i blog dell’autrice dove periodicamente vengono pubblicati piccoli racconti, flash narrativi:
http://mariagiovannaluini.splinder.com/, http://mariagiovanna.typepad.com/.
Altri riferimenti web: Il sito della casa editrice, il blog della collana ‘Declinato al femminile’.
Barbara Gozzi
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Una storia di delfini di MariaGiovanna Luini
Edizioni Creativa, 2007
collana Declinato al femminile
pagg. 110, euro 10
Tags: creativa, gozzi, luini, una storia ai delfini
Scritto martedì, 16 ottobre 2007 alle 23:15 nella categoria SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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