martedì, 3 maggio 2011
NARRARE I DIRITTI UMANI
Più di una volta ci siamo interrogati sul ruolo della letteratura. La letteratura ha una funzione sociale? Può avere un senso “etico”? È dotata di una valenza formativa? Oppure è solo “intrattenimento”?
Sul numero di “Domenica” de Il Sole 24Ore del 1° maggio 2011 (cfr. pagg. 2 e 3 del supplemento), è stato pubblicato un bellissimo articolo del Premio Nobel per la Letteratura Mario Vargas Llosa intitolato: La finzione vi condurrà all’azione. Vi consiglio di leggerlo per intero, anche se di seguito propongo solo un breve passaggio (premettendo che l’articolo è ispirato dai “Miserabili” di Victor Hugo e da una celebre stroncatura del suddetto libro firmata da Lamartine).
Ecco cosa scrive – tra le altre cose – Mario Vargas Llosa:
“(…) Tutte le finzioni fanno vivere ai lettori “l’impossibile”, tirandoli fuori dal loro io individuale, rompendo i confini della loro condizione, e facendo loro condividere, immedesimati con i personaggi dell’illusione, una vita più ricca, più intensa, o più abietta e violenta, o semplicemente differente da quella nella quale sono confinati, in questo carcere di massima sicurezza che è la vita reale.
Le finzioni esistono per questo e grazie a questo. Perché abbiamo una sola vita e i nostri desideri e fantasie esigono di averne mille. Perché l’abisso tra quello che siamo e quello che vorremmo essere doveva essere riempito in qualche modo. Per quello sono nate le finzioni: affinché, in quel modo surrogato, temporaneo, precario e contemporaneamente appassionato e affascinante, come è la vita nella quale ci trasportano, incorporiamo l’impossibile al possibile, e affinché la nostra esistenza sia contemporaneamente realtà e irrealtà, storia e favola, vita concreta e avventura meravigliosa“.
Belle, le parole di Vargas Llosa. Da questo breve brano si deduce che per lui la letteratura ha un ruolo, una funzione (una potenza dirompente, leggiamo nel sommario dell’articolo). “Va bene”, potrebbe dire qualcuno. “Ma è l’opinione di uno scrittore, di un addetto ai lavori. Al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori”, potrebbe continuare a dire questo qualcuno, “non è così”.
E invece no. Da più parti arrivano – nonostante tutto – esempi che ci dimostrano che la letteratura può avere (ha!) ancora un ruolo.
Nei giorni scorsi mi è giunta in posta elettronica una mail firmata da Sebastiano Grimaldi, Presidente dell’Ordine degli avvocati di Siracusa, nella quale mi spiegava il senso di un progetto intitolato “Daedalus” (la cui locandina è riprodotta qui sopra). Ne riporto qualche passaggio…
“Si intitola Progetto Daedalus – Percorsi giuridici, filosofici, storici e letterari. Nell’ambito della formazione degli avvocati”, mi scrive Sebi Grimaldi, “abbiamo immaginato di affiancare alla formazione strettamente tecnico-giuridica una serie di incontri formativi di più ampio respiro che abbiamo aperto alla partecipazione della cittadinanza. Come ho scritto solo ieri a Dacia Maraini (che parteciperà alla conferenza, n.d.a) spiegando i nostri intenti, vorremmo coniugare la formazione scientifica degli avvocati con i saperi che, a nostro modo di vedere, dovrebbero far parte del patrimonio dei giuristi, fosse solo per il fatto che con il diritto si incrociano: la filosofia, la storia e la letteratura. Mi rendo conto che forse si tratta di un’utopia, ma in un paese come il nostro nel quale si legge sempre meno, immersi in una spirale planetaria di divagazioni centripete (nel senso che ci allontanano sempre più dal centro…), è un po’ difficile concentrarsi su tutte queste belle cose. Lo dico sempre, con la consapevolezza della modestia dei nostri mezzi e con la convinzione della bontà degli intendimenti: è un tentativo di “alzare l’asticella”; superare l’ostacolo è altro capitolo!
Ma il salto va provato: non è possibile che le professioni intellettuali e, in particolare, quella degli avvocati, e più in generale il mondo dei giuristi appaiano sempre più chiusi dentro gli steccati invalicabili dei loro piccoli saperi. La tecnica ci aiuta perché stabilisce le regole; e questo, in un mondo complesso come il nostro, è quasi simbiotico rispetto alla democrazia e alla tutela delle libertà. Ma la tecnica ha bisogno di riconoscere sé stessa ed i propri limiti; altrimenti – sarà banale – ma si trasforma in tecnicismo. (…)
Non mi faccio illusioni, attendo laicamente di consumare il passaggio del dovere che il ruolo oggi mi impone; ed egoisticamente di dare, con le cose che faccio, un senso estetico alla mia quotidianità!“
Ecco. Credo che questo progetto (come si evince dalla mail dell’avvocato Grimaldi) possa in qualche modo confermare il fatto che, ancora oggi, alla letteratura viene riconosciuto un ruolo. Auspico (fortemente auspico) che progetti come questo possano svilupparsi anche in altri ambiti.
Sono convinto che dare iniezioni di “umanesimo” alle attività che governano le nostre vite, possa dare buoni frutti.
Ciò premesso, vorrei concentrare l’attenzione sulla conferenza del 5 maggio del Progetto Daedalus intitolata “Narrare i diritti umani“. Insieme a Dacia Maraini, agli avvocati Rita Siringo e Lucia Sciacca, parteciperà anche la “nostra” Simona Lo Iacono (nella duplice veste di scrittrice e magistrato). Di conseguenza, questo post diventa un nuovo appuntamento della rubrica che ho affidato a Simona: “Letteratura è diritto, letteratura è vita“. Più in basso, potrete leggere un suo articolo sul tema.
Prima, però, vorrei invitarvi a partecipare alla discussione… partendo – come al solito – dalla formulazione di alcune domande.
1. Siete d’accordo sul fatto che, come sostiene Vargas Llosa, uno dei ruoli della letteratura sia quello di colmare l’abisso tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere?
2. La letteratura può avere anche oggi (anzi, soprattutto oggi) un ruolo formativo? (O è pura utopia?)
3. Da quali opere letterarie possiamo trarre il concetto di libertà?
4. Quali opere letterarie si prestano meglio di altre a approfondire la tematica sui diritti umani?
Ne approfitto per segnalarvi che, nel corso della discussione, con la collaborazione della docente e scrittrice Elvira Siringo, avremo modo di accogliere i pareri degli studenti del liceo che incontreranno Dacia Maraini nella mattinata di giovedì 5 maggio.
Segue l’articolo di Simona Lo Iacono.
Massimo Maugeri
P.s. Aggiorno il post con questo video registrato il 5 maggio 2011, poco prima dell’inizio della conferenza del Progetto Deadelus
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NARRARE I DIRITTI UMANI
Possiamo trovare una radice letteraria alla elaborazione giuridica dei diritti umani? O, anche, possiamo comprendere lo spessore di questi diritti attraverso le opere letterarie? Cominciamo col chiederci quando l’uomo si interroga e codifica diritti valevoli universalmente. E da quale fonte attinge l’idea dell’assolutezza di questi diritti. I precedenti più lontani vanno cercati in alcune affermazioni dell’antico testamento e nel Codice di Hammurabi. Le scritture, in particolare, ci danno delle indicazioni di percorso. Per esempio, quando sollecitano la premura per il povero e per il debole, o quando insistono nell’affermare che il membro vulnerabile del popolo deve essere trattato non solo con giustizia, ma con la stessa generosità che Dio ha mostrato nei confronti di Israele in Egitto. Ma soprattutto, le scritture pongono alla loro base il fatto primordiale di un Dio creatore e redentore, il quale detiene ogni primato, che crea l’uomo a Sua immagine. Da tale prospettiva emerge una precisa concezione dell’uomo, a cui compete una posizione unica ed eminente all’interno del cosmo.
Questa radice non si creda che sia solo riferibile ai primordi della riflessione umana sui diritti dell’uomo. Nonostante la matrice laica, la prima affermazione politica fondante, quella statunitense, fa riferimento proprio alla creazione, al momento iniziale dell’esistenza dell’uomo e dunque condivide quella originaria impostazione biblica, quella prima intuizione su una caratteristica specialissima della nostra umanità: l’impronta di Dio, e – in senso più lato – la non conducibilità di ogni nostra espressione al campo della sola esperienza umana. Questa impostazione ribadita dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 (laddove anela “allo spirito di fratellanza”) ci fa comprendere che la codificazione moderna dei diritti umani, sebbene sia frutto di spinte non religiose, ma laiche, non trova fondamento in un fatto puramente giuridico o procedurale, ma nella universalità dell’origine trascendente della persona umana. Ciò posto, il campo per intendere le affermazioni enunciate dalle codificazioni di tali diritti, non è solo quello tecnico giuridico, ma quello dello sguardo che sa cogliere “oltre” e che è quindi adatto a interpretare il trascendente: lo sguardo letterario. Infatti nessuno sguardo più di quello letterario offre questa dimensione. Nessuna arte più della letteratura ha come scopo quello di penetrare l’apparenza, sventrarla, cogliere nella realtà la scintilla trascedente, scintilla che rincorre attraverso al ricerca della bellezza. Ne era consapevole Schiller quando nelle sue lettere sulla “educazione estetica dell’umanità” avvertiva dell’importanza che ha il coltivare la sensibilità estetica e artistica per raggiungere la libertà interiore. E, quindi, quella dignità e pienezza che la codificazione dei diritti umani tende a tutelare. La funzione della bellezza, infatti, è emancipatrice. Dice Schiller che il risultato della cultura estetica è “mettere l’uomo nella condizione di fare da solo ciò che vuole, restituendogli la libertà di essere quello che deve essere”. Non si tratta, ovviamente, della sola bellezza che coincide con l’armonia o la gradevolezza delle forme. Piuttosto la bellezza della scrittura è quella di cui parla Rainer Maria Rilke, per il quale: “la bellezza è quel grado del terribile che riusciamo a sopportare”. Dunque, la bellezza dell’arte consiste nella sua irresistibile attrazione, attrazione che può colpirci come una carezza o come una graffiatura. “Il bello non piace né dispiace: richiama l’attenzione” (Alain). In conclusione, il principale effetto della bellezza è fermare l’attenzione distratta che scivola sulle cose e sugli uomini, che calpesta la loro dignità con l’indifferenza e il loro diritto a un’esistenza piena e consapevole. Solo dopo questo viaggio, doloroso e inebriante, nel cuore delle cose, ne emergiamo vividi, liberati, affrancati e sensibili al nostro destino e a quello degli altri. In una parola, pronti a capire che l’enunciazione del diritto umano non è che lo sbocco codificato della nostra origine trascendente, e che il rispetto effettivo di questi diritti, delle loro implicazioni profonde, non può che passare attraverso una ricerca di natura estetica.
Tags: Dacia Maraini, daedalus, elvira siringo, Mario Vargas Llosa, narrare i diritti umani, sebastiano grimaldi, simona lo iacono
Scritto martedì, 3 maggio 2011 alle 21:48 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, LETTERATURA È DIRITTO... È VITA (a cura di Simona Lo Iacono). Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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