lunedì, 1 agosto 2011
SCUSATE LA POLVERE, di Elvira Seminara
Altre volte, qui a Letteratitudine, abbiamo affrontato il tema della morte. Vorrei riprenderlo in questo nuovo post, per discuterne da un punto di vista diverso.
Tema tutt’altro che estivo, direte. Be’, non è detto!
Parto subito con una domanda: c’è la possibilità di affrontare il tema della morte in maniera… ironica?
La risposta è affermativa. Dal punto di vista letterario ce ne fornisce un valido esempio il nuovo ottimo e divertente romanzo di Elvira Seminara (già ospite della puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” dell’1 luglio 2011): “Scusate la polvere”, edito da Nottetempo.
Il libro, raccontato in prima persona, comincia proprio da un particolarissimo incontro tra la protagonista (Coscienza, detta Enza, Enzima, Cosce, Zen, a secondo dei casi) e il fantasma del marito defunto (segue l’incipit del romanzo):
“Quando mio marito Andrea mi si parò davanti in cucina, in piedi accanto alla lavastoviglie, con la polpa di fico spalmata in testa e le unghie sporche di fango, capii che non mi sbagliavo, veniva dal cimitero. Mentre lo calavano sottoterra, e io piangevo stretta fra Alice e Mia, avevo visto infatti un grande fico che si spingeva sulla bara come ad abbracciarlo, o forse sorreggerlo durante l’ultimo viaggio. Ed era pieno di frutti.
Ultimo no però, visto che quel giorno, martedì, me lo vidi davanti in cucina. Avevo il pentolino rosso in mano e stavo armeggiando da un po’ per farlo entrare nella lavastoviglie, avevo spostato i bicchieri ma non c’entrava lo stesso, nemmeno un buco per infilarlo. (…)”
Potete leggere un generoso estratto del libro cliccando qui.
Insieme all’autrice discuteremo, dunque, di questo romanzo – che conferma il grande talento narrativo di Elvira Seminara, già apprezzato ne “L’indecenza” e ne “I racconti del parrucchiere” – e su alcuni dei temi da esso affrontati. Anticipo che, oltre all’approccio ironico sul tema della morte, “Scusate la polvere” offre molti spunti di riflessione (su alcuni tic e manie dei tempi moderni, ad esempio; oppure su alcune nuove forme di lavoro) e ci invita a diffidare dalle apparenze… perché non sempre le cose sono così come appaiono a prima vista.
Non aggiungo altro e vi rinvio alla bella recensione di Maria Rita Pennisi che trovate alla fine del post.
Prima, però, come al solito, pongo qualche domanda con l’intento di avviare la discussione.
1. L’ironia può, in qualche modo, favorire la cosiddetta elaborazione del lutto?
2. Sul rapporto ironia-morte, e più in generale nel rapporto con la morte, riscontrate differenze tra la nostra (cultura occidentale) e altre culture?
3. Quali sono le affinità tra sorriso e morte?
4. In che modo la leggerezza può meglio interpretare la fine? Come elaborazione, come ricostruzione, come indagine del passato, o semplicemente come contrappeso al dolore della perdita?
5. Spesse volte le apparenze ci portano a raggiungere conclusioni affrettate. Esiste un metodo per evitare che ciò accada, o siamo comunque sempre destinati a rimanere vittime del “ciò che sembra” (salvo ricredersi a seguito di approfondimenti)?
Di seguito, la recensione di Maria Rita Pennisi.
Massimo Maugeri
P.s. Tra i vari contributi dedicati a questo libro, segnalo quello offerto dall’amico Luigi La Rosa sul suo blog Verso il faro
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SCUSATE LA POLVERE di Elvira Seminara
Nottetempo, 2011 – pagg. 212 – euro 12
recensione di Maria Rita Pennisi
Rituali, per seppellire un dolore, nel nuovo romanzo di Elvira Seminara, “Scusate la polvere”, il cui titolo emblematico è tratto dall’epitaffio della scrittrice americana Dorothy Parker. La protagonista Enza, Coscienza all’anagrafe, che non riesce a trovarsi, l’amica Mia, che si cimenta in catering disgustosi, ma di grande effetto scenico, e l’altra amica Alice, architetto della psiche, che di continuo smarrisce la strada, sono una Trimurti perfetta. Profonda conoscitrice di Freud, Schopenhauer, Bergson, Realismo Magico e culture orientali, la Seminara, con questo romanzo ci vuole “divertire”, ma anche guidare tra gli strati più profondi della psiche umana, nelle anse più interne del cuore e verso la vita, i cui avvenimenti e incontri non sono mai casuali. La protagonista ha un nome pesante da portare, Coscienza, che il padre ha convertito in Enza. Le persone più intime, però, le danno altri nomi. Il marito la chiama Zen, come il quartiere degradato di Palermo; Alice invece Cosce, come per sottolinearne la sensualità; Mia, la chiama Enzima, appellativo dei catalizzatori dei sistemi biologici. Sua madre si ostina a chiamarla Coscienza, anzi Coscieeenza, come per riportarla di continuo alla realtà. Il nome è importante, per primo ce lo dice Dio nel libro della Genesi. Perché allora Enza, in verità, non ha un suo nome? Lo scopriremo leggendo.
Il romanzo inizia nella cucina di Enza, in maniera insolita e divertente, per poi spostarsi nelle strade di Parigi, belle, ariose e leggere, come lei, che respira ad ampi polmoni, in un giorno che sembra calzarle a pennello. La sua decisione di acquistare un abito H&M e la sua indecisione sulla taglia, mentre lo prova… e poi quella telefonata di Mia, che le comunica che il marito ha avuto un brutto incidente d’auto e lei deve tornare subito. Lo stordimento di Enza è tale, che fugge da
Parigi con addosso l’abito che stava provando. Solo l’indomani scoprirà che il marito, quando ha avuto l’incidente mortale, era con una donna. Prima lo stordimento e poi il sospetto del tradimento, si fa strada nella sua psiche. Di conseguenza la sua impossibilità di piangere e di concentrarsi su altro, chiari segnali di chi non può rassegnarsi all’evidenza. Ci chiediamo da subito: “Come mai il marito riusciva a non lasciare nessuna traccia dei sui tradimenti?” Questo aspetto giallo è seguito dall’autrice con grande maestria.
Il fantasma di Andrea, che ad Enza appare in cucina con la testa spalmata di polpa di fico e la terra sotto le unghie, non la sorprende affatto né la spaventa. Tutto nel suo mondo fiabesco ha un posto, un ordine. Lui vuole rivelarle qualcosa. Andrea, in vita, era stato un agronomo, che amava i frutti della terra e anche l’alito vitale, che ci differisce dal fango informe, mentre Enza, invece, sembra sospesa tra cielo e terra, deliziosamente incapace di scavare fino in fondo.
Forte questo romanzo di Elvira Seminara nella sua apparente levità, in cui ogni parola e ogni riferimento hanno un’importanza fondamentale. Soffuso di sottile ironia, pieno di citazioni colte e scritto con stile elegante. Affascinante il personaggio di Enza- Coscienza, le cui asserzioni non vanno prese alla lettera, perché proferite da un soggetto tendenzialmente nevrotico. Un grande esempio di opera aperta, questo romanzo, in cui il lettore è continuamente chiamato in causa, per accertare che le asserzioni della protagonista siano veritiere o rimodellate da lei a suo vantaggio. Un viaggio nella coscienza pieno di volute, anse e passaggi segreti, in cui noi possiamo raggiungere la luce, senza però evitare la polvere.
Tags: elvira seminara, ironia, maria rita pennisi, morte, nottetempo, scusate la polvere
Scritto lunedì, 1 agosto 2011 alle 18:23 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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