sabato, 10 settembre 2016
JACKIE di Pablo Larrain (dal Festival Cinema Venezia 2016)
Dalla 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia pubblichiamo un nuovo articolo di Ornella Sgroi (curatrice della rubrica Letteratitudine Cinema).
Venezia73 – Concorso
“Jackie” di Pablo Larrain
Con Natalie Portman, Peter Sarsgaard, Greta Gerwig, John Hurt
(Venezia, 10 settembre 2016)
Pablo e Natalie. Multipli e molteplici. Con classe, maestria e immaginazione. Rispettivamente, regista e attrice protagonista di un ritratto di donna che fugge tutti i rischi del biopic e mette a segno un Larrain “doc”, senza mai ripetersi. Sempre nuovo, sempre diverso, sempre lui. Maneggiando una materia incandescente come incandescente può essere la ricostruzione di ciò che accadde nel cuore, nella mente e nella vita di Jacqueline Kennedy nei tre giorni immediatamente successivi l’assassinio di suo marito, l’amato e compianto presidente degli Stati Uniti JFK, ucciso a Dallas il 22 novembre 1963.
Primo progetto cinematografico americano per il giovane regista cileno, con la produzione esecutiva di Darren Aronofsky che ha diretto Natalie Portman dritto verso l’Oscar per “Il cigno nero”, “Jackie” in concorso alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia è un continuo alternarsi di primi piani, stretti, strettissimi, sul volto della First Lady, per catturarne ogni più intima e sottile sfumatura, ogni emozione, ogni sobbalzo dell’anima. E tutto – dalla musica stridente di Mica Levi alla regia di Larrain, dalla fotografia di Stéphane Fontaine all’interpretazione della Portman – sembra restituire il forte senso di straniamento in cui precipitò Jackie dopo avere tenuto sulle proprie gambe quel che restava del volto dilaniato del marito John.
Dubbi, paure, sensi di colpa. Rabbia, confusione, disorientamento. E tanto dolore. Inerte, immobile, impotente. Con tutti gli occhi puntati addosso ed un protocollo da rispettare, mentre chiusa nelle sue stanze private alla Casa Bianca Jackie ripercorre in una notte ciò che aveva preceduto quel fatidico momento in cui tutto cambiò. Spazzando via il mito di Camelot, tanto caro a JFK e preservato fino all’ultimo dalla sua Jackie. Affinché “nessuno dimentichi che ad un certo punto ci fu un barlume di gioia”.
È così che Larrain ci regala un gioco di contrasti cromatici ed emozionali rari e preziosi. Lavorando con scrupolo certosino alle contrapposizioni tra la Jacqueline pubblica, restituita in bianco e nero attraverso la famosa intervista televisiva in cui la First Lady accompagnò l’America dentro la Casa Bianca “in una visita guidata” in prima persona, e la Jackie privata, a colori, scavata a fondo da un reporter accolto con diffidenza e rigore nella dimora in cui Jacqueline si rifugiò dopo avere lasciato la dimora presidenziale. Un contrasto messo a nudo con una somiglianza sorprendente da Natalie Portman, data come favorita per la Coppa Volpi che verrà consegnata questa sera, grazie alla sua interpretazione raffinata e potente che incarna con la stessa forza la vanità effimera dei balli di corte di questa “regina senza trono” – come l’ha definita lo stesso Pablo Larrain in conferenza stampa a Venezia – e la determinazione dolente che l’ha accompagnata nel lutto. Con la paura che tutto, prima o poi, sarebbe passato e che il suo John sarebbe diventato solo un ennesimo ritratto appeso alle pareti della Casa Bianca.
Che non fu così lo ha testimoniato la Storia e a ricordarcelo, oggi, è questo film rigoroso e solenne, con uno sguardo dinamico e originale che passa attraverso il punto di vista di una donna diventata icona contro ogni sua aspettativa. «Non ho mai voluto la celebrità. Sono solo diventata una Kennedy» dice Natalie/Jackie ad un certo punto al suo prete confessore. E già in queste poche parole è racchiuso tutto il suo mondo. Insieme al senso del film di Larrain. (continua…)
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