lunedì, 12 settembre 2016
STORIE (IN) SERIE n. 10 – Netflix
Storie (in) Serie # 10
(Qui, l’introduzione di Massimo Maugeri)
Il nuovo appuntamento dello spazio di Letteratitudine incentrato sulle Serie Tv è dedicato al “caso Netflix”
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Con Netflix le serie tv possono somigliare un po’ di più ai romanzi. Parola di E.M. Forster
Nelle lezioni tenute al Trinity College di Cambridge nel 1927 (poi pubblicate con il titolo Aspects of the Novel), Edgar Morgan Forster suggerisce un confronto tra il romanzo e il dramma: in «Pattern and Rhytm», lo scrittore sostiene che una struttura narrativa troppo rigida, per quanto sia in grado di conferire Bellezza, nel romanzo lo fa in maniera tirannica, a scapito della mimesi – e quindi dell’immedesimazione dei lettori. Nell’opera drammatica, invece, suggerisce Forster, la rigidità della struttura (una trama in cui tutto torni, costruita come un meccanismo perfetto) è giustificata, perché «la Bellezza può essere una imperatrice sul palco» (p. 145).
Cosa ha a che fare questo con le serie tv?
Se seguiamo il ragionamento di Forster scopriamo anche che una narrazione televisiva, così come una rappresentazione teatrale, consente agli sceneggiatori e allo showrunner di costruire un meccanismo narrativo in cui tutto torni, in cui i singoli elementi trovino una propria collocazione e nulla sia superfluo: gli spettatori saranno più propensi ad accettare la perfezione compositiva perché la storia è messa in scena, proposta per immagini e non per parole. Dalla lettura di un libro ci si aspetta qualcosa che ecceda la scrittura, che sporchi la letteratura di vita: se il romanzo deve essere mimetico, non può essere basato sulla perfezione strutturale, perché la vita non lo è.
È anche vero che applicare le idee di Forster sulla narrazione drammaturgica alle serie televisive non è così scontato, se l’autore accomuna il pubblico del cinema all’uomo delle caverne nell’incapacità di seguire una trama e nella preferenza di una semplice storia che risponda a una serie di ‘E poi?’ (p. 87). Ma ci troviamo nel 1927, il cinema non ha sviluppato appieno le sue potenzialità, e comunque l’autore di Passaggio in India è abbastanza lungimirante da concludere il saggio con l’idea che la letteratura debba fare i conti con le narrazioni audiovisive («will it be killed by the cinema?», p. 151). (continua…)
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