Dopo il successo della Storia della bellezza (oltre 500.000 copie in 27 edizioni nel mondo), Umberto Eco riflette su un tema ben più rimosso e trascurato dalla nostra cultura: quello della bruttezza.
Vi dico la verità. Io questo libro non l’ho ancora esaminato, ma mi ha colpito questa considerazione: le varie manifestazioni del brutto attraverso i secoli sono più ricche e imprevedibili di quanto comunemente si pensi.
Il concetto di ricchezza del brutto mi pare una sorta di ossimoro.
Il brutto attrae. Diciamo la verità. Affascina. Un po’ come il male.
Dicono che questo libro conduca a un “itinerario sorprendente tra incubi, terrori e amori di quasi tremila anni, dove gli atti di ripulsa vanno di pari passo con toccanti moti di compassione, e al rifiuto della deformità si accompagnano estasi decadenti per le più seducenti violazioni di ogni canone classico”.
E poi che: “tra demoni, folli, orribili nemici e presenze perturbanti, tra abissi rivoltanti e difformità che sfiorano il sublime, freaks e morti viventi, si scopre una vena iconografica vastissima e spesso insospettata. Così che, incontrando via via su queste pagine brutto di natura, brutto spirituale, asimmetria, disarmonia, sfiguramento, in un succedersi di meschino, debole, vile, banale, casuale, arbitrario, rozzo, ripugnante, goffo, orrendo, insulso, nauseante, criminoso, spettrale, stregonesco, satanico, repellente, schifoso, sgradevole, grottesco, abominevole, odioso, indecente, immondo, sporco, osceno, spaventoso, abbietto, mostruoso, orripilante, laido, terribile, terrificante, tremendo, rivoltante, ripulsivo, disgustoso, nauseabondo, fetido, ignobile, sgraziato, spiacevole e indecente, il primo editore straniero che ha visto quest’opera ha esclamato: “Come è bella la bruttezza!”
Sopra sono riportati solo alcuni degli aggettivi con cui si parla e si rappresenta la bruttezza. Di ognuno di questi, il libro ci fornisce, con humour e profondità, più di un esempio – letterario e artistico.
“In ogni secolo, filosofi e artisti hanno fornito definizioni del bello; grazie alle loro testimonianze è così possibile ricostruire una storia delle idee estetiche attraverso i tempi. Diversamente è accaduto col brutto. Il più delle volte si è definito il brutto in opposizione al bello ma a esso non sono state quasi mai dedicate trattazioni distese, bensì accenni parentetici e marginali.”
Umberto Eco
Nato ad Alessandria nel 1932, Umberto Eco è Presidente della Scuola Superiore di Studi Umanistici presso l’Università di Bologna. Tra le sue opere di saggistica si ricordano: Opera aperta (1962), La struttura assente (1968), Trattato di semiotica generale (1975), Lector in fabula (1979), Semiotica e filosofia del linguaggio (1984), I limiti dell’interpretazione (1990), La ricerca della lingua perfetta (1993), Sei passeggiate nei boschi narrativi (1994), Kant e l’ornitorinco (1997), Sulla letteratura (2002), Dire quasi la stessa cosa (2003). Nel 1980 ha esordito nella narrativa con Il nome della rosa (Premio Strega 1981), seguito nel 1988 da Il pendolo di Foucault, nel 1994 da L’isola del giorno prima, nel 2000 da Baudolino e nel 2004 da La misteriosa fiamma della regina Loana. Nel 2004 ha curato Storia della bellezza.
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Storia della bruttezza (a cura di Umberto Eco)
Bompiani, 2007, pagg. 456, euro 35
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Vi propongo, di seguito, un particolare articolo di Sergio Sozi scritto sulla base di una videointervista che Eco ha rilasciato a Gianni Riotta (direttore del TG1) qualche giorno fa.
E poi vi pongo un po’ di domande.
Come è stato rappresentato il brutto nella storia dell’arte? Con quali testi? Con che immagini? Con quali differenze nei secoli?
Se non sapete rispondere leggete il libro (anzi, leggiamo il libro).
Questa domanda è più facile: Il brutto di ieri equivale al brutto di oggi?
È corretto (o può aver senso) dire che il brutto di oggi è più brutto del brutto di ieri?
Massimo Maugeri
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Il politeismo della bellezza. Umberto Eco esce dieci minuti dalla tana
di Sergio Sozi
Umberto Eco, il giorno 12 ottobre dell’Anno Domini 2007, ha concesso un’intervista a Gianni Riotta di TV7 (Rai Uno, verso mezzanotte: l’ora delle streghe e dei… guru intellettuali). Il fatto fa notizia, conoscendo la riservatezza del geniale poligrafo alessandrino, dunque abbiamo trascritto per Letteratitudine qualche passo del colloquio, premettendo che la sua Storia della bruttezza esce ora in ventisette edizioni in tutto il mondo e quindi Riotta ne ha evidentemente approfittato – gatto col topo – per intrappolare il semiologo alla Fiera del Libro (Buchmesse) di Francoforte, dove lo studioso ha appena presentato al pubblico la sua nuova opera. Evidentemente il direttore della popolare trasmissione aveva attratto l’illustre ex Novissimo col formaggio di un dialogo stimolante. Ma ora, scherzi bonari a parte, veniamo all’incontro.
La polemica sui ”bamboccioni” del Ministro Padoa Schioppa apre il colloquio, ed Eco qui precisa che, sebbene molti giovani italiani siano effettivamente tali, ciò non è vero per tutti, dunque la definizione non è generalizzabile. Poi si passa ai problemi della ricerca umanistica, dove, precisa Eco ”Anche con pochi soldi si riesce a andare avanti”. Il problema dunque resta anche per Eco la sottofinanziata ricerca scientifica. Di seguito si affronta il libro: ”Una fenomenologia del brutto è estremamente più ricca e varia di una fenomenologia del bello.” Dal bello-brutto, si passa alla classica analogia bello-bene e brutto-male, un concetto risalente ai Greci, nonostante la bruttezza estetica di un buono come Socrate. Con il Romanticismo comunque, precisa Eco, si arriva a proporre il brutto-buono (Hugo) e viceversa il cattivo-bello. Oggi, infine, ”Ci troviamo di fronte ad un politeismo della bellezza: non c’è una bellezza unica e lo stesso avviene per la bruttezza. In questo politeismo, abbiamo delle bellezze che divengono bruttezze e delle bruttezze che diventano bellezze.” Esempi di belli attuali: Marilyn Manson e George Clooney ”Opposti ma entrambi validi per certi gruppi umani.”
E tocca alla televisione; Riotta, alludendo alla quotidiana attenzione televisiva per i drammi della violenza (Garlasco, Cogne, ma anche gli ammazzamenti terroristici e a sfondo politico), chiede ad Eco: ”Perché abbiamo bisogno oggi di questa riproduzione quotidiana in tv del brutto, di questa notte dei morti viventi televisiva?”. Qui la risposta dello scrittore è interessante, seppur discutibile: ”Non bisogna mai pensare che noi siamo peggiori dei nostri padri: i nostri padri erano sempre peggiori di noi: tu comincia a pensare ai Romani che andavano a vedere i cristiani divorati dai leoni, o alle code che nei secoli passati si facevano per poter andare a assistere alle impiccagioni o alle decapitazioni. Le tricoteuse in Francia, durante la Rivoluzione, facevano lì la maglia tutto il giorno, durante le esecuzioni. Quindi, per la folla bruta, per la gente di basso livello intellettuale, c’è sempre stato il bisogno di dare sangue e crudeltà. La televisione dà questo stesso materiale alla gente di basso livello intellettuale, solo che fa finta di darlo a quella di alto livello intellettuale.”
A questo punto Riotta obietta che, però, lui ha ”L’impressione che anche gli intellettuali siano attratti dalla cronaca nera”. La risposta di Eco è la seguente: ”Chiunque ogni tanto prova il piacere d’incanaglirsi; in più c’è una differenza tra il trash sanguinolento e la cronaca nera, cioè: vedere una testa che esplode e il sangue che sprizza, questo fa parte dello stesso gusto degli Antichi Romani che andavano a vedere i leoni e i cristiani; la cronaca nera… be’ lì interviene anche il gusto del poliziesco, dell’enigma: chiedersi ma il ragazzo è davvero colpevole o no?… e questo è anche un gusto intellettuale, c’è poco da fare. I maggiori consumatori di romanzi polizieschi sono gli intellettuali, solo che non lo dicono.”
Dunque, si chiede Riotta: tale diffusa bruttura televisiva genererà in noi un’educazione maggiormente democratica o una semplice assuefazione ai servizi che ci mostrano le immagini di stragi e orrori vari?
”Oggi siamo obbligati a vedere l’orrore là dove c’è nel mondo. Io non so”, tituba Eco, ”capiremo solo tra un secolo quale dei due elementi pesi di più, se la possibilità di rappresentare l’orrore ci ha resi più sensibili o più insensibili; e può anche darsi che la risposta sia che per certe persone sia stata un elemento di sensibilizzazione e quindi di risveglio morale, per altre invece sia stato un elemento narcotico. Forse la verità sta proprio in mezzo.”
Riotta, poi, passa alla Letteratura, citando la tremenda Giornata di uno scrutatore di Italo Calvino, narrazione-testimonianza ambientata negli orrori del Cottolengo di Torino. Con una citazione da quel romanzo, infatti, Eco conclude la sua ultima opera storico-antologica. E dice: ”Questa pagina è pervasa da una immensa pietà. L’ho voluta come pagina finale proprio perché, dopo una lunga rassegna del brutto attraverso i secoli che può provocare anche qualche compiacimento nel lettore, questo richiamo alla pietà, al rispetto dell’orribile, quando l’orribile è sofferenza e condanna, mi è parso un modo molto giusto per concludere il libro.” Poi si va a finire.
Be’, secondo me l’intervista forse avrebbe potuto dare frutti migliori, ma Riotta, avendo inserito l’intervento di Eco nell’ambito di un successivo dibattito sul nuovo Partito Democratico, ha comunque cercato di conciliare le esigenze dell’attualità politico-sociologica – concernenti le tematiche di TV7 – con quelle inerenti lo specifico ruolo dell’illustre invitato. Certo, potremmo magari chiedere a Gianni Riotta di dedicare un giorno una puntata intera ad Umberto Eco, il cui pensiero complesso variegato e affascinante ha faticato in questa occasione ad emergere dal ruolo di opinionista – vestito che gli sta stretto, direi.
Tuttavia, grazie ad entrambi i colloquianti, di stimoli da dibattere penso che qui ne siano emersi molti. Per esempio la crudeltà nostra che è inferiore a quella dei nostri antenati Romani; la sovraesposizione al macabro televisivo giornaliero, che potrebbe anche migliorare la nostra moralità; il trash che è diverso dalla cronaca nera attuale; l’attrazione-repulsione per la morte che diviene per gli intellettuali un gioco giallistico; i plurisecolari canoni estetici oggi andati a briglie sciolte. Sarà proprio così?
Inoltre personalmente aggiungerei questa domanda collaterale: ma la nuova Letteratura italiana proprio non può fare a meno, oggi, di seguire, imitare, agganciare troppo strettamente il nostro reale incanaglimento collettivo? Romanzi come Il nome della rosa ci mostrano le infinite possibilità per la (buona) Letteratura di affrontare temi e interrogativi sempre attuali, pur senza parlare di angosce metropolitane, psicofarmaci, pistolettate, borghesia decaduta e stragi politiche. Cose, queste, che alla lunga annoiano, visto che stanno su tutti i giornali e su tutti gli schermi – oltretutto vestite di una onnicomprensiva trascuratezza linguistica grigia, lugubre e ammorbante.
Sergio Sozi
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AGGIORNAMENTO del 5 dicembre 2007
Ieri, 4 dicembre 2007, il mondo della cultura lubianese era in fermento – ma in verita’ la cosa nei nostri ambienti si risapeva da una decina di giorni – per via del conferimento ad Umberto Eco della Laurea Honoris Causa in Lettere presso l’ateneo della capitale slovena.
Va detto che qui Eco fa molta eco soprattutto da quando il principale quotidiano ”Delo” (circa 60-70.000 copie in media: gli sloveni sono in tutto due milioni di cristiani, quasi tutti Cattolici), da quando quel giornale, dicevo, allego’ in omaggio la traduzione del ”Nome della rosa” (accadde qualche anno fa).
Dunque, ieri, alle ore diciotto, mi sono recato nella capiente sala conferenze ”Linhartova dvorana”, sita nel grandissimo complesso ad usum incontri culturali, conferenze, fiere dell’editoria e fiere varie (una specie di Lingotto torinese) che si chiama ”Cankariev dom” (”La casa di Cankar”, Ivan Cankar e’ uno dei maggiori narratori sloveni a cavallo fra Ottocento e Novecento). Avevo il biglietto per via di un mio caro amico e connazionale che insegna italiano all’Universita’ di Lubiana.
Trovo almeno 6-700 persone nell’anfiteatro della sala (una sorta di teatro, con tanto di sipario, galleria, platea e boccascena), il solito assedio di fotoreporter e telecamere; dunque mi sorbisco l’intera ”conferenza” dell’Eco (corroborata da immagini in diapositiva) in inglese. Solo in inglese! Domande alla fine della ”conferenza”: in inglese. Spiegazione delle virgolette: Eco, furbacchione, ha detto in inglese quel che tutti sappiamo come introduzione della sua ultima ”Storia della bruttezza”, niente piu’: citazioni di poeti, scrittori e pittori con Italo Calvino a concludere. La mattina stessa aveva ricevuto l’onorificenza e la sera ”allentava” ’sta boiata agli sloveni come se fossero cretini (mio suocero filologo classico, che c’era, ha detto, giustamente, che era una boiata).
Insomma, finisce la cosa (circa un’ora comprese le cinque sei domande del pubblico, in gran parte studenti, accademici e uomini di cultura interessati alla Letteratura italiana) ed io vado da Eco, il quale stava firmando su di un tavolinetto le copie ai ragazzotti. Gli dico, in italiano ovviamente: ”Mi scusi professore, io non ho libri da autografare, ma vorrei un giorno, magari, parlare con lei a proposito del ”romanzo”, per conto del blog Letteratitudine.”
Lui risponde: ”E cos’e?”’
”Un blog di letteratura molto visitato. Io sono un critico.”
”Ah… potrei lasciarLe questo indirizzo. Ha della carta?” E mi scrive sul depliant che io, tremebondo, gli porgo, un indirizzo di posta elettronica.
”Arrivederci e grazie.”
Ecco tutto.
Una fregatura. Per dirla alla GREGORIana maniera.
Avrei almeno immaginato qualcosa di piu’ che una serata pubblicitaria per i suoi libri Bompiani. Non c’e’ piu’ dignita’, ragazzi. Onesta’ e’ parola gia’ eliminata persino dal vocabolario dei grandi come lui. Uno che fa eco. Ma ricordiamoci uno dei miti di eco: quello della donna troppo ciarliera che Giunone condanna a parlare solo con la voce degli altri.
Anzi: se ne ricordi lui.
Sozi
Umberto Eco a Lubiana in occasione della laurea honoris causa
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