lunedì, 8 gennaio 2007
LA STORIA DI LISEY (di Stephen King)
Questo romanzo è una stupenda storia pervasa di forza e tenerezza e sorretta dai più vividi, toccanti e credibili personaggi mai visti ultimamente. Ho adorato Lisey e le sue sorelle; ho sofferto con Scott per tutto quello che ha passato; e quando sono giunto al finale, così vero, così dolceamaro, il mio primo impulso è stato di ricominciare daccapo per non dover abbandonare i miei vecchi amici. Questo è Stephen King al suo massimo; questa è un’opera che si continua a leggere anche dopo aver chiuso il libro.
Fermi tutti. Quello che avete letto qui sopra – badate bene – non è il mio pensiero, ma quanto è stato scritto da Nicholas Sparks e riportato in quarta di copertina de La storia di Lisey, il più recente libro pubblicato da King.
Vi dico la verità. Quando ho letto questa nota di Sparks ho pensato: “ma da quando Stephen King necessita del supporto promozionale di amici scrittori?”
Prima di iniziare la mia lettura con pregiudizio, però, ho sbirciato la postfazione (nota) dell’autore e ho ri-scoperto che King, oltre a essere il Re del brivido, è anche un campione di ironia e autoironia. Guardate un po’ cosa scrive:
“Nan Graham è colei che ha curato questo libro. Spesso chi recensisce romanzi, specialmente i romanzi di scrittori che di solito vendono un gran numero di copie, dice: “Al Tal dei Tali avrebbe giovato una vera revisione”. A tutti coloro che avessero la tentazione di esprimersi così su La storia di Lisey, sarò lieto di sottoporre qualche pagina campione della prima stesura, completa delle annotazioni di Nan. Mi furono restituiti compiti in classe del primo anno di francese più puliti. Nan ha svolto un lavoro encomiabile e io la ringrazio per avermi spedito in pubblico con la camicia ben infilata nei calzoni e i capelli ben pettinati.”
Non male per un signore che ha scritto (questo compreso) cinquantaquattro romanzi vendendo milioni di copie in tutto il mondo.
Consentitemi un ulteriore piccolo preambolo.
King per molti anni è stato indicato dalla critica con l’appellativo di scrittore horror, o di thriller; e comunque come scrittore di genere che non poteva aspirare a nulla di più del titolo di (appunto) Re del brivido. Oggi l’approccio di molti critici nei confronti di King è più cauto, soprattutto da quando – è accaduto pochi anni fa – l’autore americano è stato tributato del prestigiosissimo National Book Award, uno dei premi letterari statunitensi più importanti.
Io sono sempre stato convinto che la forza di King, la vera forza di King, non consiste nel creare situazioni horror. C’è molto di più. Intanto una scrittura schietta che non tende a compiacersi o a specchiarsi su se stessa. Una scrittura che pesca molto dalle espressioni gergali e che cerca di comunicare emotività attraverso un approccio psicologico molto intenso. E poi, soprattutto, i personaggi. I personaggi di King non rimangono mai sulla carta. Sono personaggi vivi, veri. Personaggi di carne e nervi che escono dal piattume delle pagine e riescono a conquistarsi la terza dimensione.
In una delle tante interviste King ha dichiarato: “questo libro è così diverso e mi pare il migliore che io abbia mai scritto”. E poi anche: “I miei libri sono tutti emotivi. Lo so che mi definiscono uno scrittore horror, e io non ho mai fatto obiezioni a questa etichetta, ma non l’ho neppure davvero accettata. A me interessa aggredire le emozioni dei lettori, scipparle. Non credo che i libri debbano essere una questione intellettuale. Il mio lavoro è quello di farvi bruciare la cena mentre leggete i miei libri. Se poi spegnete la luce e avete paura che ci sia qualcosa sotto il letto, bene. Se con La storia di Lisey riesco a farvi provare tristezza e a mettervi in relazione con i sentimenti che avete provato per qualcuno, bene”.
In un’intervista rilasciata a Keith Blackmore, (The Times, London) e poi pubblicata su Repubblica.it del 28 ottobre 2006, leggiamo (e qui ci addentriamo nella storia del romanzo): “Ho sempre avuto questa idea, su cosa poteva succedere se uno scrittore famoso lasciava dei manoscritti non pubblicati e arrivava qualcuno dopo di lui. L’idea l’ho presa da storie che sento da tutta la vita. Chissà se c’è qualcosa di vero, ma dicono che J. D. Salinger sia ancora vivo, e che non c’è nessun dubbio, è nel New Hampshire, ma dicono anche che scrive ancora e che ha scritto chissà quanti libri. Il mio curatore presso la Doubleday, Bill Thompson, mi ha raccontato una storia secondo la quale Salinger sarebbe andato nella banca dove ha una cassetta di sicurezza per depositare un pacco incartato più o meno grande così e una donna gli ha chiesto: "Mi scusi, signor Salinger, è un nuovo libro?". E lui ha risposto: "Sì". E la donna ha detto: "Lo pubblicherà?". E Salinger avrebbe detto: "E perché?". Io ho pensato che fosse una stupidaggine. Quando ho sentito questa storia, ho pensato: cosa succederebbe se ci fosse uno scrittore così e qualcuno rapinasse la banca, non per i soldi ma per impossessarsi dei manoscritti non pubblicati? Quel libro non è mai stato scritto, ma ho pensato: e se uno scrittore famoso morisse e ci fosse un pazzo che vuole i manoscritti non pubblicati? In questo libro, quella persona è Dooley. Alla fine, però, questo elemento è diventato meno importante della storia di fondo. La storia di fondo è diventata la storia principale di quello che è successo a Scott (N.d.R. – lo scrittore protagonista del libro) da ragazzino e il dialogo interno del loro matrimonio. Quando ho cominciato La storia di Lisey ho pensato che sarebbe stata una storia ironica e divertente sul fatto che, come si dice, dietro a ogni uomo di successo ci sia una donna di successo. So per esperienza che è vero e falso al tempo stesso. Ma il vero elemento è questo. Le mogli degli uomini famosi spesso sono totalmente ignorate, sono tenute completamente in disparte, eppure sono molto, molto importanti; e ho pensato di mostrare una donna che salva ripetutamente un uomo, ma nessuno lo sa a parte lei".
(Per il “coinvolgimento” di Salinger e per quella frase [cosa succederebbe se ci fosse uno scrittore così e qualcuno rapinasse la banca, non per i soldi ma per impossessarsi dei manoscritti non pubblicati?], King è stato un po’ punzecchiato dalle Vespe del Domenicale del Sole 24Ore.)
Da questo stralcio di intervista si è capito con chiarezza qual è il tema de La storia di Lisey. Non è la prima volta che nei romanzi di King appaiono scrittori tra i personaggi principali. Era già accaduto in Shining, Misery, La metà oscura, Mucchio d’ossa e il racconto lungo Finestra segreta, giardino segreto (racconto inserito all’interno della raccolta Quattro dopo mezzanotte, vol. I). Rispetto ai citati libri c’è una differenza importante dato che Scott Landon, lo scrittore/personaggio de La storia di Lisey, è defunto. E poi non è un autore qualunque, Scott Landon. È un romanziere amato dal pubblico e osannato dalla critica (vincitore, tra l’altro del Pulitzer e del National Book Award che, ripeto, King ha davvero vinto). Scott Landon, però, come molti dei personaggi kinghiani ha una personalità doppia; da un lato c’è lo scrittore celebre e il marito affettuoso, dall’altro c’è un uomo che ha problemi psicologici (che però riesce a tenere a bada) derivanti da trascorsi familiari assurdi e dolorosi. In più Scott Landon ha doti paranormali che gli consentono di passare dalla nostra realtà a una dimensione altra, a un mondo parallelo che lui chiama Boo’ya Moon. Questo mondo è, in parte, il suo rifugio; soprattutto quando da ragazzino deve far fronte alle atrocità di un padre spesso vittima di un’insania mentale che si traduce in violenze corporee inflitte su Scott e Paul (fratello maggiore di Scott). Tali violenze, a volte, raggiungono il livello di vere e proprie ferite da arma bianca. Si chiamano bool, bool di sangue. Bool è un neologismo (uno dei tanti neologismi che appaiono in questo libro), dunque intraducibile. E in effetti il buon Tullio Dobner, traduttore storico di King, decide di riportare il termine bool tale e quale sul testo in italiano. E dunque il bool. Intraducibile e difficile da spiegare. Se volete davvero rendervi conto di cos’è un bool dovrete leggere il libro.
La storia di Lisey, come avrete capito, è anche una storia di follie. C’è il maniaco che nel corso di un evento pubblico spara a Scott (così come Chapman sparò a Lennon; entrambi citati nel testo) e che non riesce a ucciderlo solo per il pronto intervento della nostra Lisey. E c’è un altro svitato, Dooley, (accanito fan di Landon) che – per il bene della letteratura – decide di perseguitare Lisey al fine impossessarsi dei manoscritti del marito defunto.
Il tema della follia interessa – l’ho già accennato – la famiglia di Scott, ma anche quella di Lisey, giacché la sorella Amanda – che nella storia giocherà un ruolo chiave – è spesso vittima di atti autolesionistisci e nel corso di una crisi cade in stato catatonico.
Nella parte finale del libro troverete uno spunto metanarrativo sotto forma di lettera-racconto che Scott scrive per Lisey e che Lisey leggerà parecchio tempo dopo la morte del marito.
Che dire? Neologismi, tema della follia, tema del doppio, metanarrativa. C’è un po’ di tutto in questo libro. Il King Re del brivido e il King sperimentatore.
Ma si tratta davvero di King al suo massimo, così come sostiene Sparks?
Se dovessi individuare un difetto in quest’opera (uno solo) farei riferimento a un difettuccio classico di King: la prolissità. Con qualche piccolo taglio (soprattutto nella parte centrale, e con buona pace di Nan Graham) il romanzo e la storia sarebbero stati a mio modo di vedere più… ficcanti. Ma questa è una mia idea che deriva, probabilmente, da una mia vecchia convinzione: e cioè che King soffre un po’ di una sindrome che lo accomuna ad altri autori suoi connazionali. Io la chiamo sindrome di Guerra e Pace. In altri termini: l’ansia di offrire al mondo un’opera letteraria il più possibile monumentale. Ecco perché ritengo che La storia di Lisey appartiene a un buon King, a un King in netta ripresa rispetto ad altri lavori recenti (e per questo da leggere con avidità), ma non a King al suo massimo. La punta massima, a mio avviso, rimane Misery: il thriller perfetto (ed esente da lungaggini narrative).
Massimo Maugeri
La storia di Lisey (di Stephen King)
Sperling & Kupfer, 2006
Pagg. 619, euro 18
Traduttore: Tullio Dobner
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