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lunedì, 28 settembre 2009

NEL CUORE CHE TI CERCA. Incontro con Paolo Di Stefano

Post del 28 luglio 2008 (con aggiornamento in coda)

paolo-di-stefano.jpgPaolo Di Stefano (nella foto), nato ad Avola – Siracusa – nel 1956, laureato con Cesare Segre all’Università di Pavia, ha debuttato nel giornalismo come responsabile del “Corriere del Ticino” di Lugano. Ha lavorato per l’Einaudi, e per il quotidiano “La Repubblica”. Attualmente è giornalista culturale del “Corriere della Sera”. Tra le sue opere, la raccolta di poesie Minuti contati (Scheiwiller 1990) e l’intervista con Giulio Einaudi Tutti i nostri mercoledì (Casagrande 2001). E poi, per Feltrinelli: La famiglia in bilico (2001), Tutti contenti (2003; Premio Chianti, Premio Vittorini, Premio Flaiano) e Aiutami tu (2005; Premio Mondello).
Sulle pagine web de “Il Corriere della Sera” gestisce il forum Leggere e scrivere.

Ho il piacere di ospitare Paolo Di Stefano qui a Letteratitudine per presentare il suo nuovo e ottimo romanzo (in lizza per il SuperCampiello 2008): Nel cuore che ti cerca (Rizzoli, 2008, pag. 296, euro 19), una storia struggente e coinvolgente; caratterizzata dalla presenza di più voci che si avvicendano alle due principali: quelle di un padre e di una figlia.
La figlia si chiama Rita ed è solo una bambina quando viene rapita da un maniaco che per ben otto anni riesce a tenerla segregata in condizione spesso disumane (per di più infliggendole terribili violenze fisiche e psicologiche). Il padre si chiama Toni Scaglione, ed è un uomo obeso che fa il giornalista in un giornale scandalistico.
Scaglione va alla ricerca della figlia. Non si rassegna al tempo che passa senza esiti, non si piega alla disperazione dei fallimenti; né alle beffe delle illusioni.
Infine la figlia viene ritrovata.
Ma è ancora Rita, la giovane che è sopravvissuta al pluriennale rapimento?
Vi chiedo di discutere del libro – interagendo con l’autore – e di riflettere sulla piaga dei sequestri (e sulle conseguenze che lasciano sulla pelle e nella mente delle vittime).
Le vittime di un rapimento (soprattutto quelle di un rapimento lungo e prolungato) potranno mai tornare a essere davvero se stesse?
Ritenete che, rispetto al reato di sequestro, i bambini di oggi siano più a rischio di quelli di ieri?
E i genitori? I genitori di oggi sono più “attenti? Più “guardinghi”?

Allargando il dibattito, e parlando di famiglia,… ha ragione Di Stefano nel sostenere (vedi intervista sotto) “ho come l’impressione che le famiglie sane tradizionalmente intese non esistano più”?

Qual è la vostra sensazione?

Di seguito avrete la possibilità di leggere gli approfondimenti di Salvo Zappulla: recensione del libro (pubblicata su La Sicilia del 12/7/08) e intervista all’autore.

Massimo Maugeri

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NEL CUORE CHE TI CERCA, Paolo Di Stefano – Rizzoli, 2008, pag. 296, euro 19

Recensione e intervista di Salvo Zappulla

nel-cuore-che-ti-cerca.jpgRita ha dieci anni appena quando conosce il suo calvario. Rapita da un maniaco, rinchiusa in una squallida stanzetta tra topi e avanzi di cibo, con un televisore a tenerle compagnia, e seviziata per lunghissimi interminabili anni. Paolo Di Stefano, giornalista del Corriere della Sera e scrittore, racconta la storia di un’infanzia violata prendendo spunto da un fatto di cronaca, (la storia di Natasha Kampusch, la ragazza scomparsa a Vienna nel ‘98 e tenuta sequestrata per otto anni) sviluppa un noir psicologico dove i ruoli tra vittima e carnefice si intrecciano ambiguamente. Un tema che ricorre spesso nei suoi romanzi. Rita prova odio e affetto per il suo aguzzino, rabbia e speranza, più volte avrebbe la possibilità di fuggire ma rimane inerme accettando la sua condizione di schiavitù. E’ convinta di poterlo dominare, tra i due è l’uomo a sottostare, in quanto debole, in quanto morbosamente malato. La vittima pensa di aver provocato in qualche modo l’accaduto e quindi tende a difendere e a giustificare il suo carnefice. Un romanzo intenso e coinvolgente, a tratti commovente, tremendamente attuale, che contiene elementi forti. Parallelamente il romanzo procede con l’incessante ricerca del padre della ragazza, un giornalista fallito, con una situazione familiare difficile, ma tutto sommato un personaggio positivo, caparbio, non privo di slanci poetici, il quale non intende rassegnarsi alla perdita della figlia. Pagine di oscura prigionia e bagliori del mondo esterno fanno da contrasto connotando la storia di una propria impronta stilistica. La tensione emotiva della trama cresce vertiginosamente con lo scorrere degli eventi. Di Stefano compie un viaggio esplorativo nei labirinti dell’animo umano, apre voragini di dolore, percorre tragitti di profonda inquietudine, una sorta di ricamo interiore sulla complessità e la fragilità della psiche, con finezza di scrittura e acume introspettivo, a un ritmo serrato che coinvolge il lettore. Una storia che suscita orrore, fastidio, risentimento, tristezza, ma anche tanta tenerezza. Una miscela esplosiva di sentimenti contrastanti, con la sua severa morale capace di smuovere le coscienze. “Nel cuore che ti cerca” è stato finalista al premio Strega ed è attualmente in corsa per il Supercampiello.
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D. Di Stefano, questa è una storia dura, dall’impatto violento, perché ha voluta raccontarla ai suoi lettori?
R. Potrei rispondere che non sono io ad essere stato attratto da quel fatto ma è stato quel fatto a inseguirmi. La realtà è che uno scrittore, in genere, vive di ossessioni: una delle mie, che mi insegue (appunto) da quando ho cominciato a scrivere, è l’infanzia minacciata dagli adulti, dal mondo, dal destino, dalla malattia eccetera. L’infanzia minacciata, l’infanzia cui per qualche ragione è impedito di crescere. E’ un’immagine che mi risulta quasi insopportabile: non riesco a tollerare che un bambino soffra, mi pare profondamente ingiusto e inaccettabile, e forse è per questo che ci scrivo sopra i miei romanzi, dal primo (“Baci da non ripetere”) a “Tutti contenti”. Quando l’infanzia si trova, per qualche ragione, a sfiorare la tragedia o la morte, la mia sensibilità si accende quasi furiosamente e mi costringe a scrivere per liberarmi (almeno provvisoriamente) di quel trauma. Ecco perché mi sono messo a raccontare la storia di Rita. Ma alla fine forse per una risposta più convincente potrei ricorrere a Gadda: “Il mio libro è il prodotto di una normale attività fisiologica: l’ho scritto per la stessa ragione per cui il mio cuore batte, i miei polmoni respirano…”.

D. Certi traumi infantili si ripercuotono negativamente per l’intera esistenza, e spesso elementi esterni intervengono quando un minore non è protetto dai genitori. Quanto è importante il calore di una famiglia sana per la formazione di un individuo?
R. Mi rendo conto che continuo a girare intorno a questi temi trovando solo risposte parziali. Ho come l’impressione che le famiglie “sane” tradizionalmente intese non esistano più: c’è sempre qualche ragione endogena o esogena che interviene a turbare un equilibrio in genere già fragile. Tuttavia, è chiaro che la famiglia rimane il luogo centrale per la formazione (e per la deformazione, purtroppo) individuale. Per questo, la famiglia è sempre più un nucleo tematico interessante per la letteratura: è una sorta di inesauribile motore di immagini e visioni del nostro tempo. E’ come se in essa fosse contenuta una forza mitica di tensioni primarie. Me lo ha fatto notare Gabriele Pedullà in una sua recensione apparsa sul “Manifesto”: in fondo, la pedofilia che io racconto è il sintomo estremo dell’impazzimento in atto del ciclo delle generazioni. Il pedofilo non è oggi colui che sovverte l’ordine biologico ma colui che rende manifesto un principio più generale di una società di lolite dodicenni e settantenni. Una società fatta di adulti infantili e di bambini costretti a maturare troppo presto.

D. Rita, la protagonista del suo romanzo, instaura un legame quasi di complicità con il suo carceriere, chiamato da lei affettuosamente “Il signor Sergio”. Si sviluppano tra carnefice e vittima quei meccanismi contorti che rendono quest’ultima estremamente debole, incapace di reagire. Nel suo romanzo scava molto sulla fragilità della psiche umana. Cosa ha voluto fare emergere?
R. Non c’è intenzionalità nel mio racconto. Dunque, non posso dire di aver voluto far emergere qualcosa. Semplicemente, man mano che procedevo nella scrittura e via via che i personaggi prendevano voce forma e vita mi accorgevo che affioravano, a mia insaputa, meccanismi psicologici ambigui, doppi. Rita cominciava a dire di essere lei la più forte, quasi volesse proteggere il suo carceriere. Quando accadono delitti del genere, la televisione e le cronache dei giornali non ci dicono mai abbastanza: raccontano questi fatti restando in superficie, descrivendone le dinamiche e magari tirando fuori dal cappello ogni tanto qualche curiosità più o meno pruriginosa. Soprattutto non mettono mai in gioco i sentimenti, le psicologie delle persone, le emozioni profonde e autentiche. Per capire davvero ci vuole qualcosa in più. Ecco, io sono partito da lì, da dove poteva partire la letteratura, dalle parole e dalle emozioni, dalle parole che esprimono emozioni. E da lì a poco a poco si sono formati i personaggi. Direi che ho scritto questo libro per dare a Rita – ma anche a suo padre Toni Scaglione – la possibilità di raccontare la sua tragedia perché tornasse a vivere nel mondo. Per questo ho fatto un enorme sforzo di empatia. Ho cercato di immedesimarmi in lei e di lasciarla parlare dentro di me. Via via che il lavoro procedeva, questo processo di identificazione mi riusciva sempre più naturale. Mi sentivo come una sorta di ventriloquo che trascriveva sulla pagina la fragilità, le paure, le fantasie raccontate dalla ragazzina attraverso di me.

D. Lei è originario di Avola (SR). Ad Avola c’è l’associazione di don Di Noto che si batte incessantemente contro la pedofilia, un associazione di volontari. Pensa che le Istituzioni facciano abbastanza per combattere il triste fenomeno degli abusi sui minori?
R. I bambini vittime di abusi crescono in maniera esponenziale e preoccupante. Ammiro moltissimo le persone che si battono contro questa sciagura sociale. Ma non so se le Istituzioni possano davvero fare qualcosa attraverso dei decreti legge o altro. Ritengo piuttosto che si tratti di questioni più profonde non sanabili con atti legislativi o di polizia. Si tratta di questioni che affondano le radici nei valori culturali e morali della nostra società. Viviamo un’epoca di capovolgimenti spaventosi che rischiano di “giustificare” ogni tipo di deviazione o di perversione. Per esempio, trovo inammissibile l’uso che viene fatto in pubblicità e in televisione del corpo femminile e dell’infanzia. Bisognerebbe cominciare da una rivoluzione dei costumi e della cultura.

D. Come concilia la sua attività di giornalista con quella di scrittore?
R. Da un po’ di tempo le due attività convivono senza troppo confliggere. Sul piano pratico, è più semplice che in passato, perché essendo ormai da sette anni un inviato del Corriere non ho obblighi stretti di presenza in redazione e i tempi di lavoro sono molto più flessibili. Dunque posso organizzare meglio i tempi della scrittura “creativa”. Ma anche sul piano teorico le cose si sono semplificate: mentre prima pensavo che non dovessero esserci sovrapposizioni di sorta, oggi sono convinto che l’occhio e l’orecchio del giornalista possono essere utilissimi allo scrittore. E riutilizzo nei romanzi molti materiali raccolti sul campo. Certo, poi bisogna sempre tener ben distinte le cose nell’atto della scrittura: e cioè non cedere mai alla tentazione di fare il giornalista scrivendo romanzi e di fare lo scrittore facendo articoli di giornale.

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AGGIORNAMENTO DEL 28 settembre 2009

Aggiorno questo post dedicato al romanzo di Paolo Di Stefano – “Nel cuore che ti cerca”, Rizzoli – inserendo la recensione inviatami da Maria Rita Pennisi. Ne approfitto per fare gli auguri a Paolo per la vincita del Premio Brancati 2009 (Massimo Maugeri)

Articolo di Maria Rita Pennisi
Il giornalista e scrittore Paolo Di Stefano, inviato del Corriere della Sera, ha vinto il premio Brancati 2009 con il romanzo Nel cuore che ti cerca (Rizzoli). Condivido l’opinione di Salvatore Scalia che di lui dice: “ E’ uno dei romanzieri che sa meglio interpretare la contemporaneità e la cronaca contemporanea.” Infatti è così. Nel suo romanzo, Paolo Di Stefano riprende un famoso fatto di cronaca, quello di Rita Scaglione rapita da un uomo all’età di 10 anni. Si tratta di un romanzo a più voci, in cui ognuna racconta di Rita, dal suo punto di vista. Un tema pirandelliano alla “Così è (se vi pare)”. Lo stile è giornalistico con delle punte di lirismo, il gioco è sempre in bilico tra il detto e il non detto. La maniera è verista. Paolo Di Stefano si cala nel racconto scomparendo, ma la sua voce batte forte alla porta del cuore e ci invade. Magistrale questa sua capacità nel presentare i fatti in maniera algida, per poi farli diventare fuoco. Il romanzo è imperniato su due figure centrali: il padre di Rita e Rita. Il padre cerca disperatamente questa figlia e non si arresta di fronte a niente, mentre la madre presto si rassegna alla perdita. Ma il cuore che cerca Rita è senz’altro quello di Paolo Di Stefano, che si immedesima nel cuore di tutti i padri che da sempre si sentono defraudati da quei famosi nove mesi di gestazione, che sembrano fare la differenza. Nel cuore che ti cerca è quindi una rivendicazione sociale, un dire noi padri siamo qua e amiamo quanto le madri e, a volte, anche di più.
Rita, dal canto suo, ha un atteggiamento ambivalente dato da un rapporto di affetto e di odio per il suo aguzzino. Difficile da capire se non si è dentro, ma spiegabile. Rita dipende interamente da lui e inoltre è negli anni della formazione. Nessuno sa che lui la tiene nascosta e dove e quindi la vita di lei è nelle sue mani. Se lui morisse o decidesse di abbandonarla, per lei sarebbe la fine. Vittima e carnefice sono dunque legati a doppio filo, come avviene sin dalla notte dei tempi. C’è in Rita sin da subito la consapevolezza che la famiglia per lei è finita ed è iniziato un altro ciclo, spaventoso, brutale, ma diverso.
Un’idea che nel libro fa la differenza è quella che la ragazzina, per non impazzire, si lega ai personaggi della serie televisiva Dawson’s Creek. Interagisce con loro, che diventano il suo mondo, la sua realtà e la sua via di fuga. Un’ idea che rappresenta un fenomeno sociale che dilaga nel mondo giovanile, in cui i personaggi televisivi diventano gli unici interlocutori di questi ragazzini spesso abbandonati a se stessi, per esigenze familiari.
Nella mente di Rita probabilmente le brutture a cui deve sottomettersi accadono a un’altra Rita, quella cattiva che è giusto che sia punita, maltrattata e vessata. Un romanzo psicanalitico, che fa venire fuori la cultura vasta e profonda di questo giornalista-scrittore. Il finale a sorpresa, lascia scioccati, perché immagineremmo qualcosa di diverso, ma è perfettamente in sintonia con la psicologia della ragazza. Nel cuore che ti cerca di Paolo Di Stefano un romanzo avvincente, che ti lascia col fiato sospeso sino alla fine, come se fosse un giallo e invece è un noir- psicologico in cui la stanza dei castighi ti terrorizza, come ne il Pozzo e il pendolo di E. A. Poe e la casa del signor Sergio ti soffoca e ti sgomenta e i giochi erotici di lui sulla bambina, mai descritti, ma facilmente intuibili ti disgustano e ti fanno rabbia. Ciò non di meno, a tratti, capisci che tra i due Rita è la più forte, perché è intelligente. Capisce che non deve mai fargli intuire i suoi pensieri, le sue debolezze, perché sarebbe la fine. Anche se bambina, Rita è pur sempre una donna e quindi sa condurre il gioco. Sempre attenta alle proprie reazioni sa non svelarsi e questo le salverà la vita.


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Scritto lunedì, 28 settembre 2009 alle 22:20 nella categoria SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

124 commenti a “NEL CUORE CHE TI CERCA. Incontro con Paolo Di Stefano”

Intanto consentitemi di dare un caldo benvenuto a Paolo Di Stefano (che si è messo a disposizione per rispondere a vostre eventuali domande e a partecipare al dibattito).
Caro Paolo, considera Letteratitudine come casa tua.

Postato lunedì, 28 luglio 2008 alle 23:03 da Massimo Maugeri


Come ho già scritto sul post vi invito a discutere del libro – interagendo con l’autore – e a riflettere sulla piaga dei sequestri (e sulle conseguenze che lasciano sulla pelle e nella mente delle vittime).
Mi raccomando… massima cordialità, per favore.
Grazie mille.

Postato lunedì, 28 luglio 2008 alle 23:05 da Massimo Maugeri


Un ringraziamento a Salvo Zappulla per la recensione e l’intervista.
Ottimo lavoro, Salvo. Grazie.

Postato lunedì, 28 luglio 2008 alle 23:06 da Massimo Maugeri


Chi non ha letto il libro può partecipare al dibattito generale… magari prendendo spunto dalle risposte fornite da Paolo Di Stefano nell’intervista o alle mie domande che trovate sul post (le ripropongo di seguito).

Postato lunedì, 28 luglio 2008 alle 23:08 da Massimo Maugeri


Le vittime di un rapimento (soprattutto quelle di un rapimento lungo e prolungato) potranno mai tornare a essere davvero se stesse?

Postato lunedì, 28 luglio 2008 alle 23:08 da Massimo Maugeri


Ritenete che, rispetto al reato di sequestro, i bambini di oggi siano più a rischio di quelli di ieri?

Postato lunedì, 28 luglio 2008 alle 23:09 da Massimo Maugeri


E i genitori? I genitori di oggi sono più “attenti? Più “guardinghi”?

Postato lunedì, 28 luglio 2008 alle 23:10 da Massimo Maugeri


Allargando il dibattito, e parlando di famiglia,… ha ragione Di Stefano nel sostenere (vedi intervista sotto) “ho come l’impressione che le famiglie sane tradizionalmente intese non esistano più”?

Qual è la vostra sensazione?

Postato lunedì, 28 luglio 2008 alle 23:10 da Massimo Maugeri


Dimenticavo…
Tantissimi in bocca al lupo a Paolo per il SuperCampiello.

Postato lunedì, 28 luglio 2008 alle 23:16 da Massimo Maugeri


Bentornato a Massimo e al ristabilimento del naturale equilibrio qui su letteratitudine: abbiamo fatto del nostro meglio, MA CI SEI VERAMENTE MANCATO!
Che tema! Buttato così fra luglio e agosto con i bagagli aperti e in “forse”, per rientri e partenze.
Non so se leggerò questo libro; ho letto l’intervista di Salvo Zappulla all’autore, ho sottolineato qualche frase e mi riconosco in un pensiero: in questo impazzimento del ciclo delle generazioni, l’infanzia è minacciata dagli adulti, sempre di più. “Adulti infantili e bambini costretti a maturare troppo presto”. Passaggi naturali, dall’infanzia in su, vissuti nell’apparenza, ma di fatto, bruciati. Mi arrovello su questi pensieri, come tutte le persone sensibili che vivono a stretto contatto con l’infanzia. Non è un caso che autori, famosissimi e meno, ad un certo punto dirigano il proprio impegno (scrivere è un’ ossessione, dice l’autore) sul tema della profanazione. L’infanzia nuda, il fiore dolce della vita, che sta lì fra le onde del nostro caotico e incontrollato mare.
Anch’io me ne sono occupata (dedicandovi infinite immagini) ma solo dopo aver superato una naturale ossessione; perché penso che anche l’ossessione sia una forma di violenza. Il trattare visceralmente quel male, con tutta la capacità dell’artista che produce opere, non lo trovo giusto. Me lo sono chiesta molte volte…
Ora è tardi e sono stanca, ritornerò domani.
Buonanotte a tutti, Miriam

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 00:03 da miriam ravasio


Grazie Miriam (siete stati bravissimi, anche in mia assenza).
Conosco benissimo il tuo personale pensiero sul tema bambini/violenza. E lo rispetto.
Ti posso assicurare (ho letto il libro… e l’ho trovato ottimo) che “Nel cuore che ti cerca” non sono descritte scene di violenza (in maniera brutale). Sono accennate, si leggono”tra le righe”. Non sono trattate in maniera “viscerale”.
L’ossessione è una forma di violenza?
Io non credo. Diventa violenza se la si esercita sugli altri, non se la si utilizza come “motore” per avviare un processo creativo. Anzi, in tal senso credo che “l’ossessione” possa essere più che utile.
Per il resto credo che (indirettamente) l’autore abbia già risposto (vedi la prima risposta data a salvo):
“L’infanzia minacciata, l’infanzia cui per qualche ragione è impedito di crescere. E’ un’immagine che mi risulta quasi insopportabile: non riesco a tollerare che un bambino soffra, mi pare profondamente ingiusto e inaccettabile, e forse è per questo che ci scrivo sopra i miei romanzi, dal primo (“Baci da non ripetere”) a “Tutti contenti”. Quando l’infanzia si trova, per qualche ragione, a sfiorare la tragedia o la morte, la mia sensibilità si accende quasi furiosamente e mi costringe a scrivere per liberarmi (almeno provvisoriamente) di quel trauma. Ecco perché mi sono messo a raccontare la storia di Rita.”

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 00:23 da Massimo Maugeri


torna maugeri e tornano i post su scrittori tirolesi. è un classico!
:-)

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 00:28 da enrico gregori


vabbè, domani leggerò bene il post e dirò qualcosa di concreto. di concreto ho detto, non di serio. :-)
di nuovo bentornato massimo. ristabilisciti presto e alla grande

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 00:41 da enrico gregori


Oggi certamente c’ è più violenza rispetto a qualche anno fa. Però ricordo che, quando ero bambina, i miei genitori, anche se stavamo in giardini frequentati ed io ero a pochi passi da loro, non si stancavano di raccomandarmi di non avvicinare sconosciuti, di non accettare cioccolatine e caramelle. Ricordo vagamente che si parlava molto di un
episodio di rapimento o pedofilia e c’era molta paura. I genitori di oggi hanno molte paure, tante e di tamti generi da esserne spesso travolti. In queste condizioni credo sia difficile stabilire un rapporto sereno con i figli. Non vogrrei buttarla in politica ma chi ci governa non fa che aumentare le nostre paure per finalità politiche ignobili. Io percepisco questo: invece di stimolare la solidarietà e il rispetto per il diverso, si stimola la diffidenza e i vari pacchetti sicurezza finiscono per diventare pacchetti di veleni. Penso che dobbiamo stare molto attenti a vagliare criticamente quello che i mass media ci propongono. Se teniamo a bada l’ emotività con una sana razionalità forse ci accorgeremo che i mostri ai quali ci vogliono far credere sono fantasmi ovvero poveri diavoli che hanno più paura di noi che noi di loro. Il mio discorso risulta un po’ contorto ma. riflettendo, si può leggere tra le righe. Buonanotte a tutti. Franca.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 00:50 da Franca Maria Bagnoli


E’ ormai mattino. Ritorno sul tema domani.
Solo qualche parola.
Posso dire di aver letto e terminato il libro da un mese ormai. Mi è rimasto impresso il mondo infantile corrotto dagli adulti, dalle disattenzioni dei genitori, dalla mancanza di sensibilità affettiva.
Il padre che recupera il sentimento della paternità, con tenacia e dedizione… fino a morire.
Già perché Paolo ha destinato questo finale? Vorrei conoscerne il motivo, una curiosità. Anna Maria

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 00:59 da Anna Maria Ercilli


Buongiorno Massimo!
Devo dire, nonostante un generico fastidio iniziale dovuto alla passione che ha ingenerato la storia di Natasha nei giornalisti, e forse anche al fatto che si chieda a un giornalista un parere su questioni psicologiche e psicoanalitiche, con le risposte del giornalista che non ricordano neanche che appunto sono questioni psicologiche e psicoanalitiche e aquelle discipline bisognerebbe far riferimento – nonostante ecco questi due fastidi, in quelle risposte mi sono ritrovata e forse comprerò il libro. Ho apprezzatro molto l’ambivalenza dei personaggi. Se fosse riuscito a rendere ambivalente e con dei tratti positivi anche il rapitore veramente sarebbe non solo ottimo letterariamente ma anche culturalmente.
Alcuni punti. Sarò assertiva e un po’ lungacciona – So pareri!ì chi vole li zompa:)))
1) Sotto il profilo clinico, chi rapisce una persona per dieci anni e un pedofilo non sono la stessa cosa. Cioè non funzionano allo stesso modo, vuol dire che i pensieri sono diversi, le sensazioni, i motivi i rapporti. In ogni caso, bisogna scindere la nostra rappresentazione psichica e narrativa dalla realtà del comportamento. E destereotipizzare la figura del pedofilo. Che non è uno solo ma che ha molta variabili. molte storie, molti tragitti: ci sono anche pedofili che appaiono gentilissimi e per niente sadici e per niente sarcastici – come la vulgata cinematografica per esmepio li descrive.
2) La pedofilia oggi è l’ultima non conoscenza che ci permette la dicotomia del bianco e del nero e che permetta un capro espiatorio. Ahò sui bambini semo d’accordo tutti! Delli neri nun se po’ parla male perchè semo razzisti, dell’omosessuali manco perchè semo antichi, scatenamose sui pervertiti! Sia il problema in ogetto che la società che lo guarda ha bisogno di sguardi diversificati e complessi. Vado ricordando un’ovvietà ancora non sancita da una ricerca sperimentale approfondita, ma abbastanza condivisa nel settore: un pedofilo è spesso una persona che ha subito violenze nella sua infanzia. Dunque che facciamo: fino a quando riserviamo per lui la nostra comprensione intellettuale? come funziona? prima è poverino e poi non lo è più?
Certamente poi non lo è più, ma non siamo schizofrenici almeno. ricordiamoci nel nostro parlare. Interroghiamoci.
3) Le famiglie sono sempre le stesse. Sono i giornali ad essere di più. E’ la sensibilità ad essere cambiata. La problematicità è una novita culturale: voglio ricordare che nelle campagne fino a pochi anni fa – ho conosciuto io stessa una donna con questa storia – il padre del marito si poteva scopare la di lui moglie. Volio ricordare che quando non c’erano i soldi si davano i figli piccoli alla sorella ricca. Che picchiare i bambini era prassi. E che la problematicità psichica conseguente, e la violenza conseguente rientravano in uno scarsamente interessante ventaglio di soggettività umane. (Dei maschi – ribadisco, le femmine la soggettività pippa). Soggettività, normalita benessere psicologico, queste sono le invenzioni. Non la nuova famiglia corrotta. La psicodinamica non cambia, le credenze cambiano.
4) Condivido appieno però la critica dell’uso del corpo delle bambine – e certe volte anche dei bambini maschi (un paio di anni fa per un bambino fu censurata una pubblicità di jeans) è incredibile e perdicolosa. In questo senso la capacità che la cultura ha di rinforzare patologie individuale è micidiale.

Un saluto a tutti i letteratudini!

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 07:34 da zauberei


Enrico Gregori quando vai al mare, ricordeti di tagliare le unghie dei piedi che se no fai brutta figura – e all’uopo, prendi un giorni in più di vacanza dar Giornale, considerando che ne hai 61. E abbi cura di Pardo, il piede numero 37 che mi è particolarmente simpatico, e che te sbuca dall’orecchia destra. Ci ha un callo.
:)

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 07:38 da zauberei


Il libro è bellissimo. L’ho letto con passione e trasporto. Complimenti a Paolo Di Stefano.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 08:52 da Marianna


A me ha colpito molto la delicatezza del linguaggio usato da Di stefano nel romanzo, quasi una forma di rispetto per la vittima. Non si sofferma a descrivere violente e gratuite scene di sesso, non indugia sui particolari scabrosi. Tutta la storia è avvolta da un velo di poesia, anche il carnefice ha i suoi lampi di umanità: piange, si dispera, gioisce per un sorriso di Rita. A modo suo la ama con tutto se stesso, la ama da persona malata ma anche in questo c’è tanta umanità.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 09:56 da Salvo zappulla


Con un tono che direi cronachistico in cui elementi sono assunti direttamente dai personaggi che si raccontano, l’Autore riesce a compiere completamentecio che è l’essenziale della narrazione: l’atmosfera. Non è certo il documento che viene a mancare in queste pagine. Nelle linee esenziali la trama mette bene in risalto il carattere dei vari personaggi e delle loro configurazioni sia sociali sia individuali. Perchè appunto, quanto al documento derl nostro tempo, il romanzo possiede una carica che inchioda la società contemporanea alle sue irrevocabili responsabilità.
Con stima
Maria Luisa Papini Pedroni

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 11:19 da Maria Luisa Papini Pedroni


E’ con gioia che intervengo in questo nuovo post, perchè ci riporta la voce di Massimo.
E il tema è tra i più attuali sotto un profilo anche squisitamente giuridico, perchè il contesto sociale all’interno del quale maturano i sequestri di minori è oggi profondamente mutato rispetto al passato.
Per rispondere alla domanda di Massimo:
“Ritenete che, rispetto al reato di sequestro, i bambini di oggi siano più a rischio di quelli di ieri?”.
Sì.
E questo perchè – come dicevo – alla realtà in cui ci muoviamo si sono aggiunte “varianti” in passato inesistenti :il traffico d’organi (l’Italia è uno dei maggiori Paesi di transito) e la pedocriminilità.
Una situazione non solo locale ma globale, e disperata, in cui, tra tentativi di estorsione ed episodi di riduzione in schiavitù, il bambino – fisiologicamente esposto per la sua fragilità – è diventato il principale bersaglio di forme nuove e spietate di criminalità.
I dati ufficiali ci dicono che ogni anno in Italia spariscono 8mila persone, di cui 3mila sono bambini.
La piaga è aggravata dalla normativa allo stato attuale assolutamente insufficiente .
Si auspica una rapida approvazione del nuovo disegno di legge sugli scomparsi, presentato nel 2006, che prevede l’istituzione di una banca dati del dna delle persone sparite, di un numero verde, di una banca centrale degli obitori e di permessi retribuiti per i familiari delle vittime affinché possano dedicarsi alle ricerche o collaborare con le istituzioni.
L’ Italia è ancora molto arretrata rispetto ad altri Paesi, in cui vige il modello americano che prevede che oltre alla recensione dei dati, vengano affissi i volantini degli scomparsi in tutti i luoghi di maggior frequentazione o negli involucri degli alimenti più consumati.
La nostra situazione attuale è quindi – allo stato –emergenziale. E’ in vigore fino al 31 – 7- 08 la figura del “commissario straordinario del governo per le persone scomparse” che ha i compiti di “assicurare il coordinamento operativo tra le amministrazioni dello Stato interessate a vario titolo al fenomeno e di monitorare le attività delle istituzioni e dei soggetti impegnati sotto i vari profili, sia con riguardo al numero dei casi registrati, sia con riguardo all’attività svolta, al fine di individuare e proporre alle competenti autorità soluzioni e misure per rendere più efficace l’azione amministrativa e l’informazione nel settore” (compiti così estrapolati dall’ultimo decreto di nomina).
Ma come dicevo, le procure e le forze di polizia avrebbero bisogno di ben altro supporto normativo per la repressione del fenomeno e per la ricerca degli scomparsi.

…Questo per ciò che attiene le riflessioni “tecniche”…
Ma per quanto riguarda l’esigenza che sta alla base del libro trovo molto vero quello che dice Massimo a proposito delle ossessioni.
Le ossessioni sono alla base di ogni storia e – anzi – credo che rendano necessaria ogni voce. E utile ogni libro.
Se la narrazione rimane fedele all’ossessione che le dà origine , svela la sua essenza più autentica. Quella di traslare in arte la vita.
Di farsi vita essa stessa. Come dice la Yourcenar:”La parola scritta mi ha insegnato ad ascoltare la voce umana , press’a poco come gli atteggiamenti maestosi e immoti delle statue mi hanno insegnato ad apprezzare i gesti degli uomini.
Vicecersa, con l’andar del tempo, la vita m’ha chiarito i libri”.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 11:27 da simona lo iacono


Carissimi,
vi ringrazio per l’attenzione che dedicate al mio romanzo. Miriam, il mio libro fa parlare i sentimenti, le emozioni: la sfida è stata quella di evitare, trattando una materia così incandescente, la “pornografia” della violenza, pur lasciando che quella violenza terribile aleggi su tutto com’è inevitabile. Sono ovviamente d’accordo con Massimo: l’ossessione è il motore di ogni opera letteraria. Condivido il pensiero di Franca: forse la violenza sui bambini non è cambiata quantitativamente rispetto al passato, ma qualitativamente sì: c’è un rimbalzo di voyeurismo attraverso la tv e la pubblicità che nell’infanzia, come dice Anna Oliverio Ferraris in un bel libro uscito da poco, hanno individuato la nuova frontiera della seduzione.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 11:51 da Paolo Di Stefano


Caro Dott. Maugeri,
cerco di rispondere alla domanda posta da Paolo di Stefano.
Ogni famiglia ha sensibilità diverse il cui ‘modo di porsi’ nella società si riflette sull’educazione dei figli.
C’è chi ha visto nel matrimonio l’epilogo di un grande amore e chi lo ha considerato un semplice problemino aritmetico:spesa, ricavo, guadagno. Nell’ultima ipotesi il risultato sull’educazione dei figli non può essere, a mio avviso, esaltante.
Con stima
Maria Luisa Papini Pedroni

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 12:30 da Maria Luisa Papini Pedroni


Cara Zauberei,
quante cose! La questione dell’ambivalenza dei personaggi è in effetti fondamntale: la letteratura non può permettersi, come i giornali, di giocare solo sui bianchi e sui neri. Silvia Vegetti Finzi ha fatto a Milano una presentazione del libro che mi ha dato i brividi, puntando proprio su questo aspetto dell’ambivalenza e della commistione di umori, caratteri e sentimenti, parlado di un “quadro di normalità che tende a diventare perversione”.
A Maria Luisa, a Anna Maria, a Marianna e a Salvo la mia gratitudine

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 12:40 da Paolo Di Stefano


Caro signor Paolo di Stefano grazissimo per la risposta ad personam me stessa medesimam:)
L’idea che questo libro sia stato presentato dalla Vegetta Finza mi pare una ottima credenziale, ma mi ha molto colpito anche il commento di Salvo Zappulla.
acquisterò il suo libro:)

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 13:10 da zauberei


@Ma come sei carina Zauberei. Già che ci sei acquista anche il mio.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 13:17 da Salvo zappulla


@Paolo di Stefano
Non ho letto il libro e penso che sarà difficile ottenerlo nelle mie parti.
Non posso quindi fare altro che commentare la situazione psicologica di una bambina che abbia subito un così lungo sequestro.
Lo spunto con il caso Natascha Kampusch è e rimane a mio parere causale, anche perché la faccenda è tuttora discussa, per la sua incredibilità e controversie sul riportato dai media.
Rimane, quindi, un libro, di certo scritto con grande sensibilità e grande senso analitico delle molteplici situazioni di carattere psicologico e sociale.
Al pensare sul sequestro di una persona, addirittura ancora bambina, mi vengono già i brividi, sia nel ruolo di padre, di mamma, e di tutti i parenti vicini, ed infine dei bambini che la conoscevano come compagni di scuola e di gioco e che sentiranno la sua mancanza improvvisa.
Per prima, rimane uno sgomento per l’accaduto, al quale succedono poi un vuoto e una grande rabbia, che ispira alla vendetta: catturiamo il delinquente e ammazziamolo atrocemente, non pensando che si tratta di una persona isolata dalla società o fin dalla nascita degenerata e psicopatica.
Penso a quali timori e tormenti possano sorgere ed agire nell’anima di questa bambina, strappata improvvisamene dal suo mondo sereno e pacifico per essere derubata degli anni più delicati della sua vita.
Prima di tutto incomprensione per l’accaduto, proprio a lei è successo, non ancora donna e quindi non oggetto di bramosia maschile.
Poi il confronto con il rapinatore dei suoi sogni più belli e fantasiosi; che tipo sarà e cosa vorrà da me, piccola ed indifesa, si chiederà?
Di certo un maniaco, un depressivo nel quale lo stupro è sfogo di uno stimolo non più regolabile da molto tempo.
Una mente malata e psicologicamente distrutta.
La bambina deve ora confrontarsi, con notevole anticipo di tempo, con la realtà nefasta della vita proprio in una fase, dove si credeva protetta dai suoi cari e dalla società.
La bambina si chiederà: dove saranno i suoi e cosa intraprenderà la società per liberarla da questa prigionia fisica e psichica.
Con il tempo, si creerà un rapporto tra la vittima e lo stupratore; quale rapporto sarà, dipenderà dai motivi che hanno dato luogo allo stupro.
Sarà quindi un rapporto con diversi aspetti e conclusioni, come differenti sono i motivi della segregazione.
Che cosa vorrà da me, penserà la vittima: violentarmi, terrorizzarmi, ferirmi, uccidermi o forse, e spero tanto che sia così, solo la mia presenza che lo consoli, lo riconduca al suo equilibrio psichico, difficilmente trovato e ricevuto dai suoi vicini e dalla società mancante?
Domande su domande, eventualità su eventualità, esiti su esiti. Il dramma che sconvolge tutta la società non avrà mai una fine, se non con la sua vera emancipazione: dal fuori buona e generosa, mentre dentro disinteressata, se non a notizie di clamore per la sua mente diventata insensibile, perché egoista ed avida.
Una volta uscita dal terrore, la vittima potrà riaffrontarsi alla vita e ammaestrarla secondo delle capacità di assumere ed elaborare il trascorso. In possesso di un carattere forte e di una personalità vincente, riuscirà più facilmente a ricuperarsi, mentre le altre vittime non ci riusciranno più e rivivranno sempre di nuovo gli attimi struggenti di paura e sgomento, da essere incapaci di liberarsi del vissuto.
Di certo un libro che analizza seriamente la società contemporanea, mettendo alla luce negligenze collettive che dovrebbero costringere alla riflessione su come migliorare la situazione, così che il libro assuma anche il compito di sollecitazione all’azione liberatoria per il bene di tutti.
Le faccio i mie complimenti e la saluto cordialmente.
Lorenzo

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 14:22 da lorenzerrimo


Il post è bello, il libro presumo lo sia, le domande di massimo sono interessanti quanto “assurde”…in senso buono.
Ogni episodio criminale, infatti, fa i conti col carattere della vittima e con una valanga di elementi oggettivi e soggettivi. Non solo, ciò vale anche per le disgrazie.
Facendo il cronista di nera credo di aver conosciuto vittime di tutti i tipi: donne violentate, persone sequestrate, gente mandata sulla sedia a rotelle a forza di botte o revolverate.
Mi sono trovato spesso davanti persone diverse, con reazioni diverse e diversa “storicizzazione” dell’evento.
Limitandoci ai sequestri, per esempio, sembra possibile l’insorgere della coseiddetta “sindrome di Stoccolma?”. Per molti sembra impossibile, eppure accade.
Poi ci sono ex sequestrati che hanno paura di mettere il naso fuori di casa per anni, o per sempre. Oppure ex ostaggi che gradualmente tornano a una vita normale.
Senza dubbio in queste diverse realtà influiscono il carattere della vittima, la sua età, la durata del sequestro e, soprattutto, cosa è successo durante la prigionia.
Sono considerazioni “cronistiche” e non psicoanalitiche che i giornalisti fanno (se conoscono il mestiere) proprio affidandosi all’esperienza di psicologi e psichiatri. Ma anche e soprattutto tentando di parlare con le vittime e i loro parenti/amici.
D’altro canto, che i giornalisti non possano permettersi di esprimere opinioni che “invadono” le altrui professionalità mentre chiunque può esprimere opinioni sul giornalismo, è cosa vecchia. E quasi noisosa, ormai. Noiosa come la teoria che i giornalisti godano fino all’orgasmo se una ragazzina viene sequestrata e brutalizzata oppure che cinquemila poveretti rimangano sepolti sotto le torri gemelle. Va benissmo. Per molte persone la realtà delle cose non è importante, è molto più importante costruirsi una realtà e crederci profondomente. Anche se quella realtà non ha nulla a che vedere con la verità dei fatti. Sono scelte.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 14:27 da enrico gregori


Grazie mille per i vostri commenti. E grazie a Paolo Di Stefano per essere intervenuto.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 14:52 da Massimo Maugeri


@ Franca Maria Bagnoli
Grazie per il tuo commento.
Tu ritieni che siamo “malati” di un eccesso di emotività? Un eccesso che, conseguentemente, ci impedisce di poter vivere bene?
Quale potrebbe essere, a tuo avviso, un rimedio?

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 14:54 da Massimo Maugeri


@ Anna maria Ercilli
In riferimento al libro di Paolo citi in particolare il padre e scrivi: “Il padre che recupera il sentimento della paternità, con tenacia e dedizione… fino a morire.”
In effetti il ruolo del padre, nel racconto, è fondamentale. È una persona imperfetta, con tanti difetti. Ma ama la figlia fino allo spasmo. E non si rassegna di fronte ai fallimenti della ricerca. Continua a cercarla, la cerca anche dentro di sé (da un certo punto di vista). Nel cuore. Un cuore che, a mano a mano, si logora. Un cuore che appartiene, peraltro, a una persona obesa (dunque a rischio).
Alla fine ritrova la figlia. Ma è un ritrovamento beffardo. Perché la ragazza che trova non è Rita (la quale, peraltro, era convinta che il padre fosse morto: così gli aveva detto l’aguzzino). È un’altra persona.
Non so se Paolo è d’accordo con questa disamina.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 15:01 da Massimo Maugeri


Ringrazio Zauberei, Simona, Enrico e Lorenzo (lorenzerrimo) per i loro interventi.
A beneficio di Paolo Di Stefano preciso che:
- Zauberei fa la psicologa
- Simona Lo Iacono è magistrato
- Enrico Gregori è il responsabile della cronaca nera de “Il Messaggero”
- Lorenzo (lorenzerrimo) vive in Austria (per questo ha difficoltà a reperire il libro).

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 15:11 da Massimo Maugeri


Un saluto anche a Maria Luisa Papini Pedroni, che – se non ricordo male – è anche un’assidua frequentatrice del forum “leggere e scrivere” che Paolo gestisce sulle pagine web del Corriere.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 15:12 da Massimo Maugeri


Enrico – nun ci hai 61 piedi ma 61 code di paglia! regolate. Non ho parlato male di tutti i giornalisti, nè di te giornalista, nè di Paolo Di Stefano giornalista, ma dell’abitudine diffusa molto presso il giornalismo di discettare all’indicativo di cose che abbisognano, come gli esperti più seri da te citati auspicano, di condizionale e di dati scientifici, magari. Tutti in ogni caso possono esprimere pareri negativi sui vizi di una categoria professionale, mi risulta che purtroppo quando si parla di psicologia si fa più che altro questo. E’ la democrazia, non si tratta di realtà inventate. D’altra parte io ho professionalmente questo problema: il problema di una disciplina in Italia storicamente giovane, che tutti hanno in bocca e nessuno prende sul serio. Tu combatti la tua battaglia professionale e io la mia, auspicabilmente con reciproco rispetto e con onestà intellettuale.
Paolo Di Stefano mi scusi l’off topic.
E Massimo pure.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 15:32 da zauberei


Spero di non essere fraintesa:con tutta la sincera stima, è il genere di libro che non leggerò mai.Mi angoscia troppo.
Istintivamente mi fa pensare a unh libro che ho letto dopo averci pensato molto:’Amabili resti’, di alice Sebold , uno dei libri più sconvolgenti degli ultimi anni.
Contenta di averlo letto.Ma non leggerò più libri che riguardano quellei tematiche.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 15:35 da laura


io invece ne consiglio la lettura. il libro affronta temi duri con molta delicatezza. non disturba, ma avvince e fa pensare. auguri per il campiello.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 15:40 da Antonio C.


zaub: e tu ci hai 127 di ego, perché io parlavo in generale e non di te. nello specifico, però, non so cosa ti risulti. ma io personalmente (ad esempio) non ho mai parlato di psicologi e psicologia. mica per disprezzo, ci mancherebbe, ma perchè non mi interessa in alcun modo farlo. Non combatto alcuna battaglia, semmai faccio considerazioni basandomi su quello che vedo. Massima stima e massimo rispetto per chi combatte le sue battaglie professionali. Combattimenti, però, che si possono fare in tanti modi.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 15:43 da enrico gregori


enrico camera accanto!

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 15:46 da zauberei


Come sempre ho trovato molto stimolanti gli spunti offerti da Zauberei e da Simona: vorrei aggiungere una cosa che mi pare di non poco conto per comprendere l’amplificazione di certi fenomeni nella società odierna.
Il denaro. Attorno alle perversioni, ai reati anche atroci sui bambini spesso è legato un mercato (materiale pedo-pornografico, mercato di organi, ecc.) di dimensioni colossali, facilitato dalla globalizzazione (brutto termine, ma facciamo a capirci) e da internet.
Si, la società cambia, ma anche la famiglia cambia (l’una e l’altra sono strettamente interconnesse), i mercati cambiano (c’è sempre qualcosa di nuovo su cui fare lucro, più alto se anche illegale), i media amplificano (è il loro interesse) e forniscono ulteriore materiale per voyeurismo e altre perversioni varie.
Hai voglia, cara Zaube, a dire che nelle società arcaiche (e fino a ieri anche in molte zone d’Italia) forme di violenza tanto sui bambini che sulle donne ci sono sempre stati; è altrettanto vero che erano dettati da forme di ignoranza e da pesanti residui di ataviche culture patriarcali che il mondo moderno ci si attenderebbe aver cancellato. Ma nulla si distrugge, credo, e tutto si trasforma (come già dicevano i filosofi greci e confermava letterariamente Tommasi di Lampedusa) sulla base di nuovi presupposti. “La psicodinamica non cambia, le credenze cambiano” come dici tu stessa. Ed è vero anche che la problematicità è una novità culturale, ma non è solo la sensibilità ad essere cambiata. Sono come sempre cambiate le forme: tutte le forme. La sostanza è immutata perchè (temo) sia immutabile. Anche se spero di sbagliarmi.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 16:21 da Carlo S.


@ Laura:
Amabili resti è uno dei libri più belli, scritti in questi ultimi anni! Lo strazio che si presenta nella sua crudità senza mai cedere ad estetismi, alla oscura immensità della morte ( al suo fascino, al fascino del male ) e contemporaneamente aperto alla salvezza, non della protagonista, che è solo un amabile resto, ma a quella dei suoi cari. All’amore che resta, che spera, che ancora non si conosce perché si è troppo piccoli, come appunto è la protagonista del libro in oggetto .
Crescere con un carnefice malato: crescere? distinguere? conoscere ? Al buio ci si abitua, ci si orienta ma quando la luce del giorno ritorna tutto è come è: un mostro e la sua vittima. E ad ognuno il suo personale percorso.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 16:22 da miriam ravasio


@ Carlo:
condivido la tua analisi.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 16:24 da miriam ravasio


@Miriam:si’, ‘Amabili resti’ è un libro straordinario.
Sono certa che il romazo di Di Stefano sia pregevole.Ma ognuno ha le sue personali barriere invalicabili.
Io amo gli scrittori come Brett Easton Ellis , che rappresentano il Male.
ma gli argomenti descritti nel libro di Di Stefano rappresentano la mia personale barriera del male, che preferisco non leggere.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 16:25 da laura


Cara Simona,
che bella la citazione della Yourcenar: mi ci ritrovo completamente (“la parola scritta mia ha aiutato ad ascoltare la voce umana”). Il mio romanzo è pieno di voci umane ascoltate sulla strada diciamo così.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 16:30 da Paolo Di Stefano


Vorrei ancora sottolineare una frase di Miriam, che a sua volta ne sottolinea una di Paolo Di Stefano:
-in questo impazzimento del ciclo delle generazioni, l’infanzia è minacciata dagli adulti, sempre di più. “Adulti infantili e bambini costretti a maturare troppo presto”-
Nella società dell’apparenza questa è una delle più tristi conseguenze.
E un’infanzia minacciata oggi è una seria minaccia alla società di domani.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 16:32 da Carlo S.


Devo dire che le riflessioni di Simona e Carlo mi sembrano molto interessanti sull’industrializzazione e l’invenzione del marketing della violenza.
MA questo libro in realtà lo riguarda solo indirettamente. E lo dico perchè penso che ci siano delle trame edelle dinamiche – proprio come questa – che con il marketing e il rinforzo economico e culturale ci entrano poco. Ma il discorso di entrambi era comunque molto interessante e sottoscrivibile.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 16:48 da zauberei


Cara Zauberei,
certo mi fa piacere se lei acquisterà il mio libro, non aspiravo a tanto. Grazie

Caro Lorenzo,
man mano che scrivevo il mio libro e lasciavo parlare deltro di me Rita e suo padre, affioravano i loro dubbi, le loro contraddizioni, le fragilità, le paure eccetera. Lei ha elencato lucidamente per punti quel che nel romanzo viene espresso (e alluso). Per esempio, a proposito della sindrome di Stoccolma: c’è un continuo capovolgimento dei ruoli (io sono più forte di lui, dice Rita, lui dipende da me e io da lui, eccetera).

Caro Enrico,
i pregiudizi sui giornalisti sono all’ordine del giorno. A volte ce li ho anch’io, che sono un giornalista. Ma certo un giornalista non può fare il lavoro di uno scrittore e viceversa, anche se tutti e due hanno a che fare con la parola scritta.

Laura,
mi dispiace, e non tanto e non solo perché non leggerà il mio libro, ma perché così lei si taglia fuori tutta una fetta di grande letteratura (intendiamoci, non sto parlando del mio libro, lo ripeto): niente Gadda, niente Dostoevski? Per non dire di Capote e Ellroy… Peccato. La letteratura è fatta per inquietare e/o angosciare, purtroppo o per fortuna

Grazie dell’augurio, infine, ad Antonio. E a tutti per l’attenzione

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 16:49 da Paolo Di Stefano


@Paolo Di Stefano:no, non sono stata chiara.
I mie autori preferiti sono tutti autori che descrivono il male:Easton Ellis, Houellebecq, Mc’Inerney;e l’elenco sarebbe lungo.
Io parlo di tematiche legate all’infanzia.
Cero che la letteratura deve inquietare .
Io ho parlato di quella che è una mia personale frontiera. E mipareva di averlo specificato.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 16:55 da laura


Bene. Grazie mille per i nuovi commenti…

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 18:56 da Massimo Maugeri


Paolo ha ripreso la citazione della Yourcenar scritta da Simona: “La parola scritta mi ha insegnato ad ascoltare la voce umana”.

Devo dire che un grande merito che va tributato a Paolo Di Stefano, in questo romanzo, è legato alla differenza delle voci date ai vari personaggi (ascoltare la voce umana).
Personaggi diversi che parlano in maniera diversa. Ciascuno con il proprio stile, la propria cadenza, il proprio ritmo.
Mi spiegherò meglio in seguito (stasera) facendo qualche esempio.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 19:07 da Massimo Maugeri


Sono d’accordo con Antonio C. quando dice che “il libro affronta temi duri con molta delicatezza. non disturba, ma avvince e fa pensare.”
D’altro canto Laura ha tutto il diritto di attenersi ai limiti della sua “personale frontiera”.
Mi viene in mente che il mio miglior amico non ha mai voluto leggere il mio romanzo “Identità distorte” perché ha trovato la tematica della crisi d’identità troppo angosciante per i suoi parametri.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 19:11 da Massimo Maugeri


@ paolo di stefano:
lo so che sei un giornalista. e i pregiudizi sulla nostra “categoria” ce li ho anche io. anzi, altro che pregiudizi!. ma tu sai perfettamente che i pregiudizi che abbiamo io e te non sono gli stessi che hanno quelli che giornalisti non sono.
mettiamola così: siamo peggio di quanto pensiamo noi, ma siamo meglio di quanto pensano gli altri.
ti convince?
:-)

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 19:32 da enrico gregori


@ Massimo,
ma dai! E’ così bello il tuo libro, anzi in questi giorni avrei deciso di rileggermelo. Perché a ben pensarci, qui, su Letteratitudine, non ne abbiamo mai parlato: insomma non ne hai mai fatto un post!
:-)

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 20:15 da miriam ravasio


Per quanto riguarda il discorso delle “voci” e dei diversi registri (anche stilistici e linguistici che le interpretano) io credo che tra scrittura e vita ci sia un continuo scambio.
E che – per parafrasare la Yourcenar – sia la vita a confluire nei libri così come i libri nella vita.
Perchè la parola scritta abitua “all’orecchio” , alle assonanze e alle differenze. Sa che la diversità va scovata dietro l’ordinarietà e la bellezza oltre l’apparenza.
E’ proprio seguendo queste tracce – quasi con fiuto da cane segugio – che lo scrittore differenzia i personaggi e si predispone ad essere guidato da loro.
Assecondando l’istinto per la vita(nei libri) e l’amore per i libri ( nella vita), la voce zampilla da sè nella sua assoluta unicità.
Ed è quindi possibilissimo (come nel libro di Di Stefano) che l’autore compia percorsi diversi (o anche opposti ) con i propri pesonaggi all’interno della medesima storia, che sappia differenziarli per età, gusti, modi di intendre la vita.
E che, alla fine, più che trasformare se ne senta trasformato.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 22:25 da simona lo iacono


@ Miriam
Grazie cara, ma preferisco dedicare post ad altri libri :)
Nella fattispecie a questo bellissimo romanzo di Paolo Di Stefano.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 22:43 da Massimo Maugeri


È vero, Simona…
Paolo è stato bravissimo a differenziare le voci dei suoi personaggi (ne parlerò tra un po’).

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 22:45 da Massimo Maugeri


Il simpatico scambio di vedute tra Zauberei ed Enrico, in difesa delle rispettive categorie professionali, mi ha fatto sorridere.
Credo che, in fondo, abbiano ragione entrambi. Quasi tutte le categorie, spesse volte, sono assoggettate a luoghi comuni e stereotipi.
La realtà, poi, è diversa. E molto variegata. Impossibile generalizzare.
Ci sono psicologici e psicologi. Giornalisti e giornalisti. Giornali e giornali.
Per esempio, riallacciandomi al libro di cui stiamo discutendo, mi sono ricordato di un dialogo tra Toni Scaglione (il padre) e un rappresentante delle forze dell’ordine (Toni Scaglione è stato, almeno inizialmente, tra i maggiori indiziati).
Nel successivo commento vi riporto il suddetto dialogo (da pag. 48).
La prima voce è quella del poliziotto.
L’io narrante è quello di Scaglione.

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 22:58 da Massimo Maugeri


“Che mestiere fa?”
“Giornalista.”
“Dove?”
“In un settimanale di cronaca.”
Avrei voluto dire la verità: che il mio settimanale si occupa di bufale di ogni genere, ma sentivo che avrei destato qualche ulteriore sospetto.
“E come si chiama, questo settimanale?”
” ‘Vita vera’, si chiama.”
“Ah…”
Sembrava conoscerlo, ma non me l’ha detto. Ha aggiunto:
“Dunque, lei fa indagini e inchieste come noi. In fondo siamo colleghi…”.
Aveva un sorriso stampato sulla bocca che francamente mi disturbava un po’, non avevo certo voglia di scherzare in quel momento.
“Non esageriamo, comandante” gli ho detto.
“Più che vita vera, il suo giornale racconta palle a gente che gli piacciono le palle.”
“Oddio, proprio palle… Diciamo che riscriviamo le notizie di cronaca con un po’ di fantasia quando ci vuole.”
“Con un po’ tanta fantasia, diciamo.”
“Diciamo.”

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 22:58 da Massimo Maugeri


Per il momento sono costretto a chiudere qui.
Ne approfitto per salutarvi affettuosamente e augurarvi buonanotte.
A domani!

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 23:11 da Massimo Maugeri


@ massimo:
se è per questo nel nostro ambiente gira da secoli una barzelletta.
è quella del bambino che fa il tema in classe sul mestiere del papà. e lui scrive che il papà suona il violino nei bordelli.
la maestra, preoccupata, convoca il genitore e chiede conto di questa situazione.
il padre risponde alla maestra: “non si preoccupi, è colpa mia che ho raccontato una bufala a mio figlio. la verità è che io faccio il giornalista. ma mi vergogno tanto!”

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 23:37 da Anonimo


l’anomimo qui sopra ero io. peccato sia andato in ferie il tecnico che mi ha sistemato il pc. però credo sia rimasta a roma sua sorella. mi rifarò con lei. mortacci sua!

Postato martedì, 29 luglio 2008 alle 23:54 da enrico.gregori


Quando si subisce una violenza, qualunque sia la durata, la vittima non sarà mai più la stessa persona di prima.
Nel caso narrato da Paolo Di Stefano, subentrano tantissimi altri fattori come fanno notare Zauberei ed Enrico Gregori,ciascuno con cognizione di causa.
Qui la vicenda si presta alle interpretazioni di più voci, quella della vittima principalmente , del suo aguzzino poi. Non avendo letto il libro non posso sapere come è stato trattato l’argomento rispetto al resto della famiglia. Qui c’è un padre che non si arrende e che malgrado lo straziante dolore reagisce dedicandosi disperatamente alla ricerca, ma così facendo si addentra nella patologia della società odierna.
Come vive la madre questa tragedia?
Quale lutto c’è stato in questa famiglia che mai più avrà indietro “quella” bambina, nè quell’adolescente in seguito?
E come si potrà mai colmare quella perdita?
Immagino la difficoltà immane di questi genitori nel raccogliere quello che è ancora la loro figlia ma anche in un certo senso non lo è più…
Questo argomento mi mette l’angoscia. Ho voglia di fare come gli struzzi. insabbiarmi per non sapere.

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 05:43 da cristina bove


Io il libro l’ho letto e sono stata felice di averlo fatto. Paolo Di Stefano è stato bravissimo a trattare un argomento complesso come questo in maniera molto delicata. A me non ha comunicato angoscia, semmai un senso di perdita, di vuoto. Il vuoto del padre che cerca e non trova e della figlia che cerca di sopravvivere diventando un’altra. Bellissimo libro. Tanti auguri a Di Stefano per il premio Campiello.

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 09:29 da Martina Colombo


Anch’io mi sono chiesta dove sia la madre in questa vicenda (per pura curiosità, non per dire che Paolo di Stefano doveva per forza mettere anche la figura materna).
Ho letto il dibattito, mi prende perché sono una madre giovane, ho tre bimbi piccoli… che la famiglie sane non esistano più non è vero: ad esempio, io faccio il cammino neocatecumenale e vedo tante famiglie sane, pergiunta con tanti figli… proprio perché siamo in Italia, con la denatalità di cui tutti sappiamo, se non vedessi con i miei occhi famiglie con cinque, sei, sette figli non crederei che potrebbero esistere. Invece esistono e questi genitori non sono pazzi a mettere al mondo i figli, sono fiduciosi. In chi? In che cosa?
Perché il problema sta qua: il problema del male, dell’infanzia violata, del male innocente è sempre esistito e sempre esisterà. Il punto è chi o che cosa ci da la forza per superarlo.
Tornando al libro, che mi piacerebbe leggere visto che non ci sono scene offensive, di violenza gratuita o di sesso esplicito (da quello che ho capito) che mi darebbero fastidio, immagino che possa essere stato difficile scrivere il finale (se mi sbaglio, mi perdoni, caro Di Stefano): come ne escono tutti da questa storia? Perché nel finale c’è la verità, o almeno un tentativo di fare verità, di portare luce nelle coscienze, nella storia.
Che vita vivere dopo aver subito una violenza simile, prolungata per anni; o dopo averla perpetuara (nel caso del carnefice), o dopo aver trascorso anni e anni a cercare la figlia (nel caso del padre)? Secondo me questa è la domanda delle domande: questi tipi di esistenze sono ancora vite? O sono esistenze che si trascinanano spente, come ombre vuote…
Naturalmente i miei sono discorsi a ruota libera… però mi sembra importante parlare anche dei valori che emergono in questo libro, oltre che dei singoli personaggi e di quello che fanno o dicono.
Non mi resta che leggere il libro…
Un saluto a tutti quanti ed un augurio a Paolo Di Stefano per il suo romanzo!

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 09:36 da Elisabetta


Sì, Elisabetta, puoi leggerlo tranquillamente. Non troverai descrizioni di scene di sesso o di violenza fisica. Solo cenni, molto velati. Il libro è, più che altro, molto psicologico.

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 10:33 da Martina Colombo


Per quanto riguarda la madre, questo personaggio è raccontato dal punto di vista del padre. I due erano separati e la situazione familiare in cui viveva la piccola Rita non era idilliaca. La madre l’ho percepita come una persona egoista, egocentrica, che alla fine riesce a sopravvivere alla scomparsa della figlia meglio del padre.

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 10:36 da Martina Colombo


In quanto giornalista spesso costretta a trattare temi simili a quelli di Toni Scaglione, mi ha molto colpita il dialogo postato da Massimo Maugeri tra il giornalista e il poliziotto. Non ho letto il libro di Paolo Di Stefano e i temi che tocca mi sembrano troppo densi per poterli sviscerare in un commento. Oggi l’infanzia viene mercificata da adulti dediti allo sfruttamento del dio mercato e mai veramente cresciuti. Ho paura per le mie nipotine e sono felice di non aver avuto figli. Mi verrebbe anche da dire a Elisabetta che perseguire valori strettamente religiosi e frequentare oratori o quant’altro non mi pare che ultimamente abbia messo al sicuro bambini e bambine dall’incontro con l’orco. Ma preferisco lasciar cadere il discorso e tornare alla considerazione che si ha dei giornalisti e del giornalismo. Contrariamente a Paolo Di Stefano ed Enrico Gregori, non ho pregiudizi verso la categoria cui appartengo, ma questo forse dipende dal fatto che, come Gregori mi ricorda ad ogni pie’ sospinto, sono una giornalista di serie B. Il nostro mestiere e’ importante e io ne conosco troppi di colleghi che lo fanno con coscienza e scrupolo per non aver voglia di dare un pugno sul naso al poliziotto che insulta Toni Scaglione.
Laura Costantini

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 10:41 da Laura Costantini


Dal mio punto di vista, invece, la testimonianza di Elisabetta dà speranza.

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 10:51 da Martina Colombo


I bambini non sono sicuri in nessun posto, nemmeno nella famiglia.
So benissimo che tante violenze sono perpetrate all’interno delle stesse mura domestiche.
La mia considerazione era una risposta a Paolo Di Stefano quando dice che non esistono più famiglie sane. Secondo me esistono, io le vedo, e sono famiglie bellissime, non solo cattoliche.
Certo, se i media si interessano con prevalenza delle famiglie non sane, mi sembra evidente che agli occhi del grande pubblico appaiano quelle… ma ci sono tantissime storie di ordinaria vita quotidiana in cui i bambini vivono ancora un’infanzia serena e felice. Con genitori normali che fanno i salti mortali per far quadrare i conti in quest’Italia che penalizza la vita economica ed organizzativa delle famiglie. Solo che queste famiglie fanno meno notizia delle altre.
E’ il vecchio adagio: fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce…

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 11:06 da Elisabetta


Anche secondo me le famiglie sane ci sono. Però, come scrisse Tolstoj in Anna Karenina: “Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice lo è a modo suo.”
Compito dello scrittore, secondo me, è affondare le mani nell’infelicità e nella sua peculiarità, indicare il male, mettere il dito nella piaga.

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 11:13 da Marco M.


@ Elisabetta:
“I bambini non sono sicuri in nessun posto, nemmeno nella famiglia”. Hai ragione perché la violenza che sui bambini si abbatte è quella che noi abbiamo già assorbito: il valore delle merci e la nostra disumanizzazione. E’ così intessuta con il nostro sociale-morale-culturale che ormai abbiamo perso la percezione: l’oltre. Per questo, molti filosofi si pongono il problema del passo indietro, del limite, dell’affermazione di quell’oltre che non si può valicare, a prescindere! Non voglio dilungarmi per non rubare spazio al dibattito sul libro, solo una cosa. Quando un po’ di anni fa esplose in me l’ossessione su questo tema. I miei primi disegni e collages raffiguravano (lo stile era quello della pop-art) teste di bimbi, come reperti archeologici di improbabili ma coloratissimi musei, con i capelli tinti e un ciucio in bocca. Meches nei capelli, un grande pannolone fermato ai lati da rettangolini neri e il ciuccio; li raffiguravo così, soli sulla spiaggia, o in giardini ricchi di tante tonalità: intenti ai giochi ma sempre in posa come delle bambole vive, o meglio come corpi imprigionati dai colori vivaci dei giochi . C’è attenzione però, più di quello che si pensi e l’informazione, anche quella “volgare” della cronaca, un po’ aiuta, perché ci riaccende l’attenzione e per un po’ ne parliamo, ci guardiamo attorno, controlliamo le nostre azioni. E ci auspichiamo quel limite.

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 12:16 da miriam ravasio


Caro Paolo Di Stefano, sono una sua lettrice che ha atnto amato i suoi libri. Questo qui non l’ho ancora letto, ma recupererò presto.
Ho una curiosità. Tra i suo i libri qual è quello che preferisce? Potrebbe fare una graduatoria includendo anche “nel cuore che ti cerca”?

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 12:23 da Maria Magrì


Ho fatto pasticci nel digitare. Chiedo scusa.

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 12:24 da Maria Magrì


Sono d’accordo con Elisabetta: del bene non si parla perché è discreto e non fa rumore, non crea aloni morbosi… ma non sono molto d’accordo sul non leggere libri che superano la nostra ideale linea d’ombra. La letteratura è e dev’essere stimolante e volte perturbante per aprirci le porte di mondi che possono farci riflettere e crescere. Certo non metterei in mano a dei bambini certi libri, però per camminare nella luce a volte è necessario percorrere sentieri di tenebra…
A Paolo Di Stefano: lei mi intervistò insieme a mia sorella e alle mie amiche il 17 dicembre 2004 a Siracusa in occasione dell’arrivo del corpo di Santa Lucia… Mi complimento con lei per i successi letterari!

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 13:51 da Maria Lucia Riccioli


BENTORNATO MASSI!!!
:-)
A Enrico: rassegnati agli scrittori tirolesi…

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 13:54 da Maria Lucia Riccioli


Vi ringrazio tutti per i nuovi commenti.
Un saluto affettuoso a Cristina Bove, Martina Colombo, Elisabetta Modena, Laura Costantini (grazie per il commento nella camera accanto), Marco M., Maria Magrì e Maria Lucia Riccioli (bentrovata, cara).

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 14:27 da Massimo Maugeri


Vi porto i saluti di Paolo Di Stefano.
Stamattina era in partenza per il Veneto, dove tra stasera e domani avrà delle presentazioni per il Campiello.
Però mi ha detto che avrebbe provato a intervenire dall’albergo.

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 15:07 da Massimo Maugeri


@ Maria Lucia
Lo sai che la parte finale di “Nel cuore che ti cerca” apre un’ampia finestra su Siracusa proprio in occasione dell’arrivo del corpo di Santa Lucia?
È evidente che lì, Paolo, ha consegnato a Scaglione i suoi ricordi e la sua esperienza.

A un certo punto, Rita, chiede al “signor Sergio” (il suo rapitore) di portarla a Siracusa per partecipare ai festeggiamenti per l’arrivo di Santa Lucia (ne aveva sentito tanto parlare da piccola… e l’aveva rievocata più volte nel corso della sua reclusione).
Il signor Sergio la accontenta. Non solo. Nel pieno della sua malattia schizofrenica telefona al padre dicendogli che lì, a Siracusa, in occasione di quella festa, ci sarebbe stata sua figlia.
Il padre va, come sempre. E nonostante le delusioni (e le false piste create dai mitomani). Va, il padre. E la vede (la riconosce, anche se la sua bambina è diventa una ragazza cresciuta).
La vede. Ma solo per un istante.
Poi la riperde tra la folla.

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 15:13 da Massimo Maugeri


Un paio di domande per Paolo sul suo lavoro di scrittore (nella speranza che riesca a leggerci e a rispondere).

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 15:15 da Massimo Maugeri


Che rapporto hai con la tua scrittura?
Scrivi preferibilmente in certi orari (la mattina, la sera)? O scrivi quando hai tempo?

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 15:16 da Massimo Maugeri


Ti è mai capitato di doverti fermare di fronte alla pagina bianca? Se sì, come hai risolto il classico (e cosiddetto) blocco dello scrittore?

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 15:17 da Massimo Maugeri


Quanto tempo hai impiegato per scrivere questo romanzo?
Qual è stata la difficoltà principale che hai incontrato?

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 15:19 da Massimo Maugeri


Hai qualche aneddoto particolare, legato a questo libro, che puoi raccontarci?

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 15:19 da Massimo Maugeri


@ Enrico
Divertente la barzelletta sui giornalisti:)
Magari Zauberei, adesso, ce ne racconterà una sulle psicologhe.
E Simona sui magistrati.
E Maria Lucia sugli insegnanti.
Mi fermo qui.
:)
Ogni categoria che si rispetti deve avere le sue barzellette. O no?

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 15:21 da Massimo Maugeri


Cazzarola Massimo hai ragionissimo!
Ce deve da esse!
Mo numme viene:(
Ma abbi fede, mo me strologo ir cervello e poi ti dico.

Ah io la battuta sugli scrittori tirolesi…l’ho capita solo ora!!!!!! :) pperò ho un sacco riso.
Due settimane dopo eh ma meglio tardi che mai:)

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 15:25 da zauberei


Ok…
Perché le insegnanti sono sempre fini ed eleganti?
Perché sono donne… di classe!
:-)

Massi: che bello quello che hai scritto! Per me fu una giornata meravigliosa, una delle più belle della mia vita, non esagero. Per motivi di fede, per motivi personali, perché io adoro cantare e quel giorno ero afona e avevo inciso un cd con un inno per la Santa e senza che io lo sapessi quando la nave attraccò e il corpo di Lucia toccò il suolo di Siracusa dopo settecento anni, dagli altoparlanti venne fuori l’inno con la mia voce…
E sono lieta che un riflesso di quel giorno viva nel romanzo di Paolo Di Stefano. Mi piacerebbe tanto che lo sapesse.

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 15:49 da Maria Lucia Riccioli


Essendo veneta spero in una bella accoglienza dei miei conterranei per Paolo Di Stefano… di nuovo auguri per le presentazioni allora!

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 17:02 da Elisabetta


@ ZAUB:
tranquilla, credevo che tu non l’avresti capita mai :-)
@ maria lucia:
ah, ci buttiamo con la concorrenza! e perché da me a roma non ti sei fatta intervistare?
:-)

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 18:49 da enrico.gregori


@ massimo:
io capisco che devi recuperare il tempo perduto. ma co’ tutte queste domande a raffica ci farai desiderare che tu sparisca un altro po’. non certo all’ospedale, per carità. mi auguro e ti auguro due settimane a Caio Largo…..mooooolto a Largo!

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 18:52 da enrico.gregori


Ottima battuta, Maria Lucia.
Sta’ tranquilla: Paolo Di Stefano ti risponderà. A questo punto, credo, quando rientrerà in sede. A Milano. Nei prossimi giorni.

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 23:06 da Massimo Maugeri


@ Enrico
Troppe domande, eh?
Guarda, scherzi a parte… ho davvero bisogno di almeno una settimana di vacanza. Spero di poterla fare – salute permettendo – subito dopo ferragosto.
Incrocio le dita.

Postato mercoledì, 30 luglio 2008 alle 23:08 da Massimo Maugeri


@ massimo:
e io te lo auguro con tutto il cuore. vacanze di salute, divertimento e riposo

Postato giovedì, 31 luglio 2008 alle 00:32 da enrico.gregori


E’ bellissimo, questo blog! Complimenti a Massimo, non mi sarei mai aspettato tanta attenzione e sensibilità. Sono in albergo e ho voglia di risponde a tutti. Ci provo

Postato giovedì, 31 luglio 2008 alle 16:50 da Paolo Di Stefano


Maria Lucia, sì quella giornata viene raccontata nella parte finale dl libro, direi forse nel capitolo più importante, perchè lì si materializza per il padre la certezza che Rita è ancor viva. Qualcuno mi ha fatto notare, giustamente, che c’è una sorta di passaggio di testimone tra Santa Lucia e Rita. Siracusa è per me, che sono di Avola, ogni volta un miracolo e ho voluto regalare a Toni Scaglione la stessa mia sensazione

Postato giovedì, 31 luglio 2008 alle 16:55 da Paolo Di Stefano


Miriam, avrei voglia di vedere i tuoi quadri.
Elisabetta, è bello quello che scrivi: i bambini non sono sicuri nemmeno nella loro famiglia. Quando dico che non ci sono famiglie sane voglio dire che c’è un’immagine nefasta e pervasiva (tv e pubblicità ma non solo) dell’infanzia e dei rapporti familiari e sociali che insinua dei germi pericolosi anche all’interno delle nostre case. C’è una permeabilità inevitabile.
Enrico, mi convince, sì mi convince
Il complimento più bello sul mio libro è quello di Martina, quando parla di delicatezza. A questo proposito rispondo a una delle domande di Massimo: la vera difficoltà è stata nel conservare questa delicatezza di cui parla Martina. Sapevo benissimo di camminare su un crinale, oltre il quale c’era la grevità, il cattivo gusto il voyeurismo

Postato giovedì, 31 luglio 2008 alle 17:02 da Paolo Di Stefano


Cara Maria, la mia graduatoria?
Mah, credo che il libro più riuscito sul piano della costruzione e della densità sia “Azzurro troppo azzurro”. Non rileggo i miei libri per una sorta di pudore che mi impongo, per paura di essere caduto nella banalità ma anche perché alcuno (per esmpio “Baci da non ripetere”) rinnovano certi dolori da cui sono nati. Dunque ne ho un ricordo lontano. Se fosi un lettore qualunque leggerei per primo “Tutti contenti” in edizione tascabile (rivista rispetto alla prima). Mi fa molta tenerezza nella memoria il piccolo Pietro di “Aiutami tu” e la mocciosa, sua sorella. Insomma, come avrai capito non so fare una graduatoria

Postato giovedì, 31 luglio 2008 alle 17:06 da Paolo Di Stefano


E’ troppo puciricchio il signor Paolo Di Stefano, troppo gentile! che per il fatto di andare nel Veneto si è dimenticato na vocale. Polo. Come il campo più grande di Venezia:)

Postato giovedì, 31 luglio 2008 alle 17:18 da zauberei


Eccoci, caro Massimo.
Rimangono tre risposte. Quando scrivo? Quando ho un’idea ho il bisogno irrinunciabile di tenerla calda tornandoci tutti i giorni anche solo per mettere una virgola al mattino e cancellarla al pomeriggio (come diceva di fare Oscar Wilde). Poi, a un certo punto, passo a una fase (di solito lunga) di lavoro intenso, molto intenso la notte e/o al mattino presto. Ma per lunghi periodi i personaggi accompagnano le mie giornate anche quando non lavoro al libro e finiscono per agire nella mia testa senza che io lo sappia
La pagina bianca? Tantissime volte. Mi aiuta moltissimo a sbloccarmi la lettura – anche solo di una paginetta a caso – dei “Malavoglia”, che è il mio ur-romanzo, nel quale riconosco una musica profonda capace di smuovermi come una sorta di citrosodina dell’anima
Questo romanzo è stato il più veloce di tutti. “Tutti contenti” l’ho scritto e riscritto per sette anni. Questo ha come preso il volo immediatamente: mi sono lasciato catturare dall’idea, Rita e Toni Scaglione hanno cominciato a parlarmi e sono partito come un treno.
L’aneddoto? Il titolo: ero alla fine del libro (che poi ho voluto riscrivere in parte a distanza di mesi e dopo una malattia) e sono inciampato in quel verso di Giorgio Caproni che mi ha folgorato. Si verificano a volte coincidenze che sono vere e proprie epifanie. Te ne racconto un paio: dopo aver licenziato le prime bozze di “Tutti contenti”, lavorando sulla Divina Commedia per il Corriere, sono inciampato in due versi di Dante che mi spiegavano perché avevo scelto quel titolo (“Molti altri mi nomò ad uno ad uno / e del nomar parean tutti contenti”): in extremis li ho messi in epigrafe. Il giorno in cui sono andato alla Feltrinelli per firmare le dediche di “Azzurro troppo azzurro”, c’era un mendicante seduto davanti al portone di casa mia che cantava la canzone di Paolo Conte. Ancora adesso, se ci penso mi sembra un’allucinazione. Forse lo era.
Grazie di tutto

Postato giovedì, 31 luglio 2008 alle 17:23 da Paolo Di Stefano


Zauberai, hai ragione, rieccomi con la A.
Ma perché non dovrei essere gentile?

Postato giovedì, 31 luglio 2008 alle 17:25 da Paolo Di Stefano


@ Paolo Di Stefano.
Li ha già visti Elena Ferrante: La figlia oscura.
:-)
grazie e ciao

Postato giovedì, 31 luglio 2008 alle 17:40 da miriam ravasio


Caro Paolo Di Stefano,se me lo consente,
nel suo ultimo romanzo la madre non è presente, ché separata dal marito; in un certo qual modo potrebbe riferirsi, – può essere frutto l’assenza della madre -, a una realtà sempre diffusa di famiglie allargate o coppie separate con i figli in affido, nella nostra società italiana e non solo: che produce un’alternanza di ruolo racchiuso in un solo genitore: il padre e la madre;
io ho una mia teoria personale riguardo l’uomo moderno, oggi, a dover rivendicare un ruolo paterno centrale nella famiglia tradizionale, forse. E pertanto non auspicherei, diventare di rivalsa il senso paterno-materno, in mancanza della madre, nei confronti dei figli sani o ammalati o disgraziati. Allora, e in quelle circostanze, l’uomo padre c’è la può fare anche da solo? E ai figli può bastare?
Forse, sono andato fuori tema, il suo romanzo non vuole lanciare messaggi forti di ruolo che vengono a mancare nella famiglia; puntando,invece, principalmente sulle sorti dei nostri figli, che vanno amati e tutelati, soprattutto, da tutti Noi anche se non genitori; e per questo io mi scuso, ma mi sentivo di dirlo!
Luca Gallina

Postato giovedì, 31 luglio 2008 alle 20:11 da luca gallina


@Paolo Di stefano. Il caro Luca mi ha anticipato. Anch’io volevo trattare lo stesso tema: il ruolo della madre nel suo romanzo. La mamma di Rita ne esce molto male, una donna piuttosto superficiale, sciatta direi, priva di valori che la legano alla famiglia e priva di istinto materno. Tutto il peso della disperazione ricade su Scaglione, il padre, che fino all’ultimo non si arrende. Un sovvertimento dei valori? Se non sbaglio nelle cause di separazione è ancora la donna ad avere la precedenza nell’affidamento dei figli.

Postato giovedì, 31 luglio 2008 alle 20:30 da Salvo zappulla


@ Salvo:
hai detto niente! Anzi, avete detto niente! Paolo Di Stefano non sarebbe il primo a sottolineare ( o presentare) un certo aspetto: valori famigliari e istinto materno, come scrive Salvo. E questa sola frase (quella che hai scritto sopra) basterebbe, da sola, a sollevare un esercito dormiente di luoghi comuni. Però c’è una verità, se fino a poco tempo fa era il sesso maschile a vivere lo spaesamento, oggi sono le donne che soffrono una crisi d’identità. Sono solo bagliori, scintille di un disagio che scaturisce da troppe collisioni.
Ciao

Postato giovedì, 31 luglio 2008 alle 21:43 da miriam ravasio


@Miriam. Io immagino una società futuristica completamente rivoluzionata, niente più famiglia, nè ruoli stereotipati. La donna avrà dei compiti ben precisi. Ci sarà la donna fattrice, che si prenderà cura del ripopolamento; la donna-amante (compito riservato solamente alle più carine), la donna di rappresentanza ecc ecc. Gli uomini li lasciamo liberi di scorrazzare in lungo e in largo.

(Come cacchio si fa la faccina?)

Postato giovedì, 31 luglio 2008 alle 22:09 da Salvo zappulla


@ Salvo:
ti servirebbe un faccione, non una faccina!

Postato giovedì, 31 luglio 2008 alle 22:37 da miriam ravasio


Caro Paolo,
intanto grazie di cuore per essere intervenuto (anche se eri fuori sede).
E grazie per i complimenti… che ricambio di cuore.

Ora provvederò a correggere i “Polo Di Stefano” con i “Paolo Di Stefano”
:)

Postato giovedì, 31 luglio 2008 alle 23:02 da Massimo Maugeri


@ Luca
Come ha precisato Salvo la madre, in effetti, è presente. Non come voce narrante, però. Il suo ruolo e la sua presenza vengono evidenziati dalla testimonianza (e dal punto di vista) di Scaglione.

Postato giovedì, 31 luglio 2008 alle 23:04 da Massimo Maugeri


Ma sapete qual è stato uno dei meriti principali di Paolo Di Stefano, in questo libro?
Essere riuscito a dare voci diverse (e credibili), con le loro testimonianze, ai tanti personaggi presenti nel libro.
Ne parlerò domani.

Postato giovedì, 31 luglio 2008 alle 23:06 da Massimo Maugeri


Il libro, se ne ha la riprova alla fine, è una sorta di inchiesta condotta da una terza persona che ha raccolto la testimonianza di Scaglione e ricordi di Rita connessi al periodo del rapimento.
Ma nel romanzo non trovate solo le voci di Rita e del padre.
Altre persone vengono interpellate: la compagna di scuola di Rita, la vicina del primo piano, il maestro di scienze, la madre del rapitore. E tanti, tanti altri.
Paolo Di Stefano è stato bravissimo ad ascoltare la voce di questi personaggi e a riportarle su carta. Ogni voce è diversa dall’altra. Ed è credibile.
Operazione difficile e rischiosa. Ma riuscita.
Complimenti a Paolo Di Stefano.

Postato venerdì, 1 agosto 2008 alle 13:26 da Massimo Maugeri


@Salvo
Mi intrometto nella tua rivolta a Miriam.
E chi determinerà i ruoli da assumere? Il singolo o la volontà autonoma degli esperti e della classe del potere.
La tendenza odierna ci porterà nel caos.
Di certo, arriverà questa forma di società da te auspicata, ma per raggiungere ben altre mete.
Ad ogni modo, saranno guai per tutti i bravi individualisti creativi, fantasiosi, laboriosi ecc.
Il risultato della troppa libertà oggi vigente sarà il sorgere di una società selezionata secondo criteri estranei alla volontà dell’individuo, e sarà sostenuta dai mezzi offerti dalla tecnica avanzata. Sarà ad ogni modo una società ubbidiente.
I tuoi auspicati uomini scorrazzanti imploreranno il tempo che concedeva alle loro fatiche sessuali anche il riposo e sarebbero felici di potersi inebriare di nuovo nella letteratura e nell’arte. Sei sempre scherzoso e fai bene.
Cari saluti
Lorenzo

Postato venerdì, 1 agosto 2008 alle 13:29 da lorenzerrimo


Grazie a Paolo Di Stefano: sì, Siracusa è magica anche se per me che ci sono nata è facile dirlo…
Enrico: allora a Roma pretendo una pagina intera!!!
A Siracusa Di Stefano beccò me, mia sorella e le mia amiche in quella bolgia festosa che accoglieva la santa e ci chiese al volo qualche impressione. Ventimila persone che agitavano fazzoletti bianchi, cantavano pregavano attendevano… uno spettacolo bellissimo.

Postato venerdì, 1 agosto 2008 alle 13:51 da Maria Lucia Riccioli


Sì, davvero un bel libro… Grazie, Giulia

Postato venerdì, 1 agosto 2008 alle 18:34 da giulia


Non ho letto il romanzo ma colmerò prestissimo la lacuna.Eppure mi sorgono spontanee alcune domande:non pensate che sia opportuno sintonizzarsi, al di là del come quando perché dell’evento descritto, sull’URLO del nulla, allo stesso modo in cui lo scrittore si é sintonizzato con l’urlo della globalità terrestre?Non pensate che il nulla, ossia la vita in toto oggi priva di solide fondamenta(non più famiglia,non più tradizioni, non più memoria e tanti soldi e tanti giovani precipitati in un fondo sfondato che ingoia continuamente)stia urlandoci che il tempo é scaduto e la chiacchera serve al Nulla?L’anima del romanzo ci interpella e noi come agiamo?E’ sufficiente la chiacchera?E se non é sufficiente, che senso ha scrivere?Anche lo scrittore in mano al Nulla?

Postato sabato, 2 agosto 2008 alle 12:19 da Lucia Arsì


@Lucia Arsi
la penso come te e cerco anche di annunciarlo nei miei interventi.
La situazione attuale era allora prevedibile, ma nessuno voleva avvertire.
Le sofferenze subite e le mancanze di ogni bene erano troppo forti, da non pensare alle conseguenze che il sostenimento eccessivo del benessere materiale, ripeto allora necessario, creò a scapito di quello spirituale.
Materia e spirito sono due aspetti della stessa entità e dovremmo tentare sempre a mantenere l’equilibrio tra di loro.
La storia umana è fatta di cadute e rinnovamenti che si alternano sempre, per cui mi aspetto il prossimo rinnovo, come conseguenza della caduta nella quale ci troviamo attualmente.
Attenti però a non tendere di nuovo verso l’estremità opposta; ogni riforma tende per forza delle sue energie che la fanno sorgere a straripare e perdere di nuovo l’equilibrio che ho sopra accennato.
Saluti e grazie anche per la ultima risposta alla mia, nella quale ho trovato molta affinità e concordanza.
Lorenzo

Postato sabato, 2 agosto 2008 alle 15:38 da lorenzerrimo


Cara Lucia Arsì,
grazie per il commento.
La sua domanda “che senso ha scrivere” (o “perché scrivere”) può forse trovare risposta in questo post, dove – tra le altre cose – troverà interessanti interventi di Ferdinando Camon:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/02/21/il-sottosuolo-di-ferdinando-camon/
A presto!

Postato sabato, 2 agosto 2008 alle 17:53 da Massimo Maugeri


Gent. Massimo Maugeri e Lorenzo.
Il ruolo che Camon affida alla scrittura é quello di carnefice-vittima, la sua vendetta ha come partner l’espiazione.A tale archetipo, rivissuto dallo scrittore, il progresso ha risposto inventando l’Ordine attraverso la Religione e la Giustizia.E allora? Mi suggerisce Camon che religione, tribunale, istituzioni sono allo sfascio?Che le fondamenta del vivere comune( alludo agli Invisibili)sono crollate e noi precipitiamo sempre di più?Se lo Scrittore dal suo sottosuolo coglie enigmi che investono la sacralità della vita, l’ambiguità del nostro essere qui, credo che un senso, il vero senso dello scrivere( anche se incoscio)sia quello di allarmare coscienze avvedute e pronte ad agire: il vero significato della comunicazione é il vivere accanto agli altri, senza invadere lo spazio altrui ma collaborando e offrendo aiuto.Attraverso la scrittura si percepisce l’essere, ci si commuove e,cosa importantissima, si agisce.Diversamente si fa art pour art. Grazie dell’opportunità.

Postato domenica, 3 agosto 2008 alle 15:38 da Lucia Arsì


Grazie Massimo,
sì quel povero padre, mi è rimasto impresso più degli altri protagonisti.
Per quale motivo, mi chiedo ancora.
Mi sembra di ritrovarlo, in attesa, nelle pagine chiuse, fra gli altri libri della libreria.
Aha! Paolo che ha voluto toglierlo di mezzo, protesto. (scherzo)
Ma non lo dimentico.
Buone giornate
anna maria

Postato domenica, 10 agosto 2008 alle 17:46 da anna maria ercilli


Ho finito il romanzo di Paolo Di Stefano… bellissimo!
http://www.marialuciariccioli.splinder.com

Postato giovedì, 19 febbraio 2009 alle 18:46 da Maria Lucia Riccioli


Ho aggiornato questo post dedicato al romanzo di Paolo Di Stefano – “Nel cuore che ti cerca”, Rizzoli – inserendo la recensione inviatami da Maria Rita Pennisi.
Ne approfitto per fare gli auguri a Paolo per la vincita del Premio Brancati 2009.

Postato lunedì, 28 settembre 2009 alle 22:24 da Massimo Maugeri


Infiniti auguri! Un riscontro meritatissimo!
Un saluto affettuoso
Simona

Postato martedì, 29 settembre 2009 alle 18:48 da simona lo iacono


Bravo Paolo Di Stefano!

Postato martedì, 29 settembre 2009 alle 19:18 da Maria Lucia Riccioli


Caro Massimo,
ti ringrazio per aver inserito la mia recensione sul libro di Paolo Di Stefano e approfitto per salutare con simpatia e stima Paolo.
Ciao Maria Rita Pennisi

Postato mercoledì, 30 settembre 2009 alle 17:02 da maria rita pennisi


L’infanzia costituisce il tema principale dei due libri di Paolo Di Stefano che ho letto.

L’infanzia tradita in “Nel cuore che ti cerca”, in cui la notevole struttura narrativa fa emergere una varietà di personaggi e di realtà sociali che rendono il romanzo molto avvincente, amaro e tenero insieme, per l’attenzione che lo scrittore riserva alle diverse sfaccettature dell’animo umano, visto nella sua grandezza (Toni che non si rassegna alla perdita di sua figlia Rita; Rita stessa, esempio di coraggio e determinazione nel suo struggente desiderio di sopravvivere, comunque, agli anni di prigionia) e nella sua miseria ( i vari personaggi che soltanto apparentemente collaborano per il ritrovamento della bambina; la madre stessa, che sfugge al dolore della perdita) .

L’infanzia negata in “Baci da non ripetere”, in cui l’autore affronta il dolore della perdita di un figlio con grande sensibilità e ci offre, nel contempo, una visione ben più ampia dei possibili risvolti del dolore stesso e di come esso metta a nudo le fragilità dell’uomo.

L’attenzione riservata da Paolo Di Stefano all’infanzia “tradita” o “negata” denotano il suo interesse e la sua sensibilità, che io apprezzo e condivido – verso il mondo dei bambini.

A ragione lo scrittore sostiene che le “famiglie sane”, come tradizionalmente inteso, non esistono più. E’ questa – a mio avviso – la ragione principale dell’evidente disorientamento e della preoccupante fragilità dei giovani di oggi.

A Paolo Di Stefano le mie congratulazioni e l’augurio di aggiungere – alle attuali – ulteriori conferme del suo spessore umano, professionale e letterario.

Ines Desideri

Postato venerdì, 2 ottobre 2009 alle 13:24 da Ines Desideri


grande Paolo di Stefano, i cui romanzi sono sempre fighissimi.
(un lettore)

Postato lunedì, 19 ottobre 2009 alle 11:51 da Anonimo



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