venerdì, 22 gennaio 2010
E SONO CRETA CHE MUTA di Mavie Parisi
“È da qui che intendo iniziare la mia storia. A proposito, mi chiamo Kita Narea, ed è l’estate del 2006. Fa talmente caldo che mi suda l’interno delle ginocchia ripiegate sui morbidi piedistalli di una di quelle strane e costose sedie ergonomiche importate dalla Svezia. Sono davanti al computer a raccontare i fatti miei più intimi a un tizio mai visto”.
Inizia così il romanzo desordio di Mavie Parisi intitolato “E sono creta che muta” (edito da Perrone Lab).
La protagonista si chiama Kita. Tre figli e un matrimonio alle spalle, forse con qualche rimpianto. Il mare, presto la mattina. Le sue tele e i suoi colori, lasciati lì, a riposare, forse per troppo tempo. E il bisogno di un incontro, di gesti e di parole. Per ritrovarsi, per ricominciare.
Il tema del libro è duplice e di grande attualità: da una parte quello dell’abbandono, dall’altra quello delle relazioni sentimentali nate via chat.
Vi invito a discutere di questo romanzo e dei temi a esso legato.
Come al solito pongo alcune domande con l’intento di favorire la discussione.
Nelle relazioni sentimentali l’abbandono, in qualunque forma si concretizzi, è sempre un trauma.
Esiste un antidoto o, comunque, una “strategia” per neutralizzarlo (o per lenire le conseguenti sofferenze)?
Il trauma si abbatte solamente sul soggetto che subisce l’abbandono, o non è forse la separazione un evento doloroso anche per chi ne è parte attiva?
È possibile dopo una relazione sentimentale di una certa importanza, che si spezza nel dolore e nell’indifferenza, ricostruire un rapporto sebbene su basi diverse?
Le relazioni nate in chat che possibilità hanno di dare esiti positivi? Sono una “opportunità” o un “ripiego”? E fino a che punto si riesce a essere davvero se stessi interagendo attraverso uno schermo e una tastiera? Quali i pro, e quali i contro?
Di seguito, la recensione di Maria Rita Pennisi.
Massimo Maugeri
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Lei e gli uomini troppo deboli per legami forti
di Maria Rita Pennisi
«E sono creta che muta». Evocativo il titolo di questo primo romanzo di Mavie Parisi pubblicato da Giulio Perrone editore S.r.l., Roma. Questa E iniziale sembra collegarsi a un pensiero sottile, che è già maturo nella mente dell’autrice. La creta che muta, invece, ci rimanda alla duttilità del materiale, alle sue molteplici e mutevoli forme. Ci fa pensare alla voglia di cambiamento, che spesso è presente in ognuno di noi. La protagonista del romanzo, Kita Narea viene lasciata dal marito e sente nel profondo l’abbandono. Questo senso d’abbandono si stende a macchia d’olio su di lei e sulla casa. Di questo luogo, che un tempo ha rappresentato il centro dell’armonia, solo il giardino nascosto “sul retro di quell’appartamento qualunque” è il suo rifugio, il suo angolo di paradiso, come il mare che è l’elemento rasserenante con cui Kita si fonde. Per lei la rottura degli equilibri è forte come l’infrangersi degli specchi, quegli specchi che non le restituiscono più un’immagine in cui si riconosce. Inizia la ricerca di possibili partner in Chat, altra grande protagonista del romanzo. La Chat fa sentire Kita protetta e lì può abbandonarsi alle sue fantasie, ma tutto cambia quando gli interlocutori si materializzano e prendono forma di uomini troppo deboli, per creare legami forti. L’autrice però non si erge a giudice, anzi è indulgente e lascia che i suoi personaggi vivano liberamente il loro modo di essere. Un romanzo dalla struttura originale in cui si alternano delle narrazioni in prima persona e delle altre in terza persona in cui un narratore esterno interviene, quasi per alleggerire la tensione narrativa, raccontando sia di Kita che di altri personaggi. Il ritmo del romanzo è agile, la trama è avvolgente. Il linguaggio è asciutto, quasi essenziale. I periodi brevi e incisivi. Ogni parola si carica di significato profondo. Ottimi i dialoghi, quasi teatrali. Profonde le riflessioni, sofferti i monologhi interiori. E’ un romanzo particolare in cui tutti sono compartecipi del dolore. Non ci sono buoni e cattivi, vincitori e vinti. Il dolore è sottile e capillare. Però Kita sa che, anche se non si può guarire del tutto dal dolore, si può certo rialzare la testa e riprovare a risalire la china guardando la vita in modo diverso.
La Sicilia del 20/01/2009
Tags: abbandono, chat, e sono creta che muta, letteratitudine, maria rita pennisi, Massimo Maugeri, mavie parisi, perrone, relazioni
Scritto venerdì, 22 gennaio 2010 alle 22:06 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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