lunedì, 14 maggio 2012
LA SPOSA VERMIGLIA. Incontro con Tea Ranno
Sono molto felice di coinvolgere, in un nuovo spazio/dibattito di Letteratitudine, la mia amica scrittrice Tea Ranno in occasione della pubblicazione del suo nuovo romanzo “La sposa vermiglia” (Mondadori).
Peraltro ho già avuto modo di discutere di questo libro, con la stessa autrice, nella puntata di Letteratitudine in Fm del 23 marzo scorso.
In questo post, invece, con la partecipazione della stessa Tea, avremo modo di approfondire la conoscenza di questo suo nuovo ottimo romanzo (che ha già beneficiato di riscontri molto positivi) e di approfondire le tematiche da esso affrontate.
Per l’occorrenza ho chiesto a Simona Lo Iacono, già coinvolta nel dibattito sul precedente romanzo di Tea – In una lingua che non so più dire – del novembre 2007, di scrivere un’apposita recensione per questo post (“extrapost”, ne approfitto per complimentarmi con Simona per la bella intervista rilasciata su Psychologies di questo mese).
Ecco la scheda del libro…
Sicilia, 1926. Vincenzina Sparviero è la figlia attraente ma fragile di una famiglia di nobili siciliani, una ragazza, si dice in paese, troppo cagionevole per diventare madre. Ma della sua presunta sterilità al vecchio don Ottavio Licata non sembra importare granché, e così il matrimonio d’interesse fra la “palombella” mansueta e obbediente e il ricco sessantenne, fascista e mafioso, è combinato. Un pomeriggio di primavera, però, quando il fidanzamento è stato ormai annunciato, improvvisamente Vincenzina incontra l’amore negli occhi ambrati di Filippo Gonzales. Da quel momento la ragazza si difende dal futuro che incombe imbastendo nella fantasia le immagini di una gioia impossibile: seduta alla finestra della sua stanza a ricamare e sognare, attende il passaggio della sagoma amata con il passo lento, le mani in tasca, uno sguardo fuggevole verso di lei. Nella china lenta e inesorabile che conduce, sul filo della tragedia, al matrimonio annunciato, assaporiamo la storia struggente di un amore probabilmente impossibile.
Come ho già accennato, ne parleremo con la stessa autrice. Per favorire la discussione, propongo – di seguito – alcune domande ispirate dal libro e elaborate dalla stessa Simona (subito dopo, la sua bella recensione).
1. Il libro di Tea offre una riflessione profonda sulla natura dell’amore sognato, che prorompe nella realtà con una forza straordinaria, soprattutto quando è amore negato.
È più la negazione a dare forza all’amore, o è la sua autenticità?
2. Amore sognato e amore reale.
In quale punto convergono? O in quale luogo? (Può essere la scrittura il luogo?)
3. Vincenzina e Filippo Gonzales non si scambiano neanche un bacio, eppure sono una delle figure più forti e struggenti di amanti che la letteratura ci abbia donato.
Allora, si può essere amanti senza mai unire i corpi? E cos’è essere amanti?
4. È quanto dice Besson? “Essere amanti è questo: usare le stesse parole per parlare delle medesime cose senza aver mai sentito l’altro usare quelle parole” (Philippe Besson, “Un amico di Marcel Proust”)?
5. Se essere amanti si gioca sul piano delle parole… la scrittura è un amante?
(aggiungo la seguente domanda)
6. Il cosiddetto matrimonio d’interesse (scelto o imposto che sia) è solo un “retaggio” del passato, o trova ancora riscontro ai nostri giorni?
A voi le risposte… (e grazie in anticipo per la partecipazione)
Massimo Maugeri
p.s. in coda di post, due video: le parole della editor Giulia Ichino e la lettura della prima pagina del romanzo…
—-
LA SPOSA VERMIGLIA di Tea Ranno
Mondadori, 2012, pagg. 365, euro 18
Non è notte, non è giorno.
E’ forse uno di quei momenti a metà, che in Sicilia restano sospesi eternamente. O forse è una controra, un passaggio tra la mezza e le prime ore del pomeriggio, quando il sole s’accanisce sulla terra e la squaglia.
Non c’è pace per chi riposa al riparo dalla canicola. Il letto è incandescente, il sudore s’addensa, indurisce la saliva.
Vincenzina Sparviero è forse in uno di questi sonni senza costellazioni del tempo, senza orari. Nella camera a finestre spalancate su una Sicilia degli anni venti, in cui le grancasse dei fasci risuonano e fanno baccano, si rigira inquieta, caccia ai piedi le lenzuola ricamate finemente.
E sarà allora per questo caldo senza requie , che il sogno in cui sprofonda è visione, profezia, incantamento.
D’altra parte può accadere in Sicilia che il sonno ammaestri, predica la sorte, si faccia consigliere e metta in guardia dai morti.
Può accadere.
Specie quando la sorte è già scritta, o quando le gerarchie sociali, la sete di ricchezza, l’occhio della gente sono dittatori più impenitenti del duce, e marchiano la vita ancor più della storia.
E allora ecco il sogno: lei adagiata sul tavolo della cucina, il padre e Licata – lo sposo promesso – chini sul suo corpo. Li sente dal fiato stantio, dal grasso del caldo che le cola sul ventre. Perché è proprio sul ventre che entrambi s’accaniscono, che sospingono in dentro ciò che vorrebbe uscire, una ragazza (non lei, ma un’altra lei liberissima e ridanciana) che spinge e scalcia come una puledra, che bellamente se ne infischia dei loro lacci, dei nodi che cuciono alla buona, a puntazzi osceni, senza badare alla carne rosea e delicata, al pube intatto, all’incavo dell’ombelico.
Quando le voltano le spalle, spocchiosi e senza rimpianti, credono d’avergliela fatta, di averle ingabbiato nel ventre quell’altra creatura misteriosa e recalcitrante.
Cosa sia, chi potrebbe dirlo ( Stella persa? Cuore che non quaglia? Notte che non porta consiglio?)… ma a qualsiasi regno appartenga, adesso è prigioniera, rinchiusa a doppia mandata, inabissata là dove sempre sarebbe dovuta stare.
E invece, proprio quando la lasciano – tumulata , corpo nel corpo – la ragazza prende a dimenarsi, a scucire dall’interno con una misteriosa forbicina ogni punto inferto senza amore. Ed ecco, poco per volta ha slegato l’imbastitura, le maglie fini, le strettoie, le grate della prigione.
Ne emerge come bagnata da un parto, nuova, rossa di gioia. La stanza s’illumina di colpo, il sole dilaga a fiotti di luce potente.
Vincenzina guarda l’altra sé che le sboccia dall’addome, la capigliatura che si spande a raggiera, le labbra di ribes, il corpo liberato. E non è più donna, no, adesso le pare più un uccello maestoso, un falco pellegrino o lanario, chi può dirlo, anzi no, Vincenzina non ha dubbi ora che la vede lanciarsi nel vuoto, perché quel salto esultante, agli occhi dei più indecente, tutto intriso di divieti passati, non può essere che di uno sparviero.
Giocando sulla suggestione di un nome carico di simboli ( metafora quasi di un conflitto doloroso tra violenza e libertà), ne “La sposa vermiglia” (Mondadori) Tea Ranno narra magnificamente la storia di Vincenzina Sparviero, innamorata di Filippo Gonzales ma promessa a Ottavio Licata, prepotente e vecchio signore della terra di Sicilia.
Ricostruendo con inimitabile maestria un mondo per metà arreso alla bellezza oltraggiosa della campagna, e per metà alla grettezza dei calcoli, alle passioni del corpo, al desiderio di ricchezza, ci restituisce una storia di luce e buio, di silenzi e profezie, di rassegnazione e ribellione. Una dolente rappresentazione del destino, ma soprattutto dell’amore, delle sue misteriose vie, dei suoi chiodi e delle sue morti.
Amuri ca mi teni e to’ cumanni, unni mi porti, duci amuri, unni?
Tags: la sposa vermiglia, mondadori, simona lo iacono, tea ranno
Scritto lunedì, 14 maggio 2012 alle 23:45 nella categoria A A - I FORUM APERTI DI LETTERATITUDINE, EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, LETTERATURA È DIRITTO... È VITA (a cura di Simona Lo Iacono), SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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