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martedì, 12 maggio 2020

MICHELANGELO IN PARNASO di Gandolfo Cascio

Il nuovo appuntamento della rubrica di Letteratitudine chiamata “Saggistica Letteraria” è dedicato al volume “Michelangelo in Parnaso” di Gandolfo Cascio (Marsilio)

* * *

di Massimo Maugeri

Gandolfo Cascio insegna Letteratura italiana e Translation Studies all’università di Utrecht. Si occupa di poetica, ricezione  estetica e filologia digitale. Ha pubblicato Un’idea di letteratura nella «Commedia», Società Editrice Dante Alighieri, 2015; Michelangelo in Parnaso. La ricezione delle «Rime» tra gli scrittori, Marsilio, 2019; Il mestiere della persuasione. Scritti sulla prosa, Giorgio Pozzi Editore, 2019. Per i suoi saggi ha vinto il premio Elsa Morante, il premio Proserpina e il premio G.A. Borgese.

Ho invitato Gandolfo Cascio a discutere del suo volume dedicato alle Rime di Michelangelo: “Michelangelo in Parnaso. La ricezione delle Rime tra gli scrittori” (Marsilio). A corredo dell’intervista pubblichiamo un paragrafo del libro che riguarda Stendhal.
Michelangelo scrisse le “Rime” per affrontare di petto temi su cui, come artista, non poté esprimersi come voleva, e per farlo scelse una lingua aspra, distante dalla limpidezza del Cinquecento. In genere la critica si è mostrata cauta, sovente scontrosa, verso questo suo “secondo mestiere”; mentre di tutt’altra qualità è stata la ricezione tra gli scrittori che ne intuirono la caratura. Questo volume indaga il rapporto tra diversi autori (Varchi, Aretino, Foscolo, Wordsworth, Stendhal, Mann, Montale, Morante e altri) e i versi buonarrotiani e, attraverso delle severe analisi dei testi, illustra perché Michelangelo occupi nel Parnaso un posto più nobile di quello che la storiografia ha tramandato.

- Gandolfo, quando e perché hai cominciato a interessarti alle Rime di Michelangelo?
Ricordo con una certa nostalgia che durante il primo esame di Letteratura italiana, all’università di Palermo, venni interrogato su Michelangelo poeta. È da quei lontani anni che le Rime continuano a girarmi in testa.
Quello che tuttora mi sorprende è che, nonostante Michelangelo fosse un uomo tutto d’un pezzo, era leggendaria la sua “terribilità”, nei versi pare che abbia potuto trovare lo spazio e il mezzo per esprimere le proprie inquietudini sull’esistenza, sull’amore, su Dio. L’ha fatto con una lingua aspra e difficile, sovente comica e, in non pochi casi, dolcissima, com’è nella rima 98 dove, audace e ardente, allude al nome dell’amato Tommaso de’ Cavalieri, con la consapevolezza che chiunque avrebbe riconosciuto l’amico romano:

maraviglia non è se nudo e solo
resto prigion d’un cavalier armato

Ecco, tutto ciò ha fatto sì che Michelangelo diventasse uno dei “miei” autori, cioè uno di quelli a cui ci si rivolge, sicuri di poterli interpellare per sentirsi dire qualcosa d’inaudito.

- Quando e perché è nata l’idea di questo libro? Quando, cioè, hai ritenuto di dover “rendere giustizia” all’opera poetica di Michelangelo? (continua…)

Pubblicato in SAGGISTICA LETTERARIA   Commenti disabilitati

giovedì, 9 aprile 2020

GIUSEPPE LUPO con “Breve storia del mio silenzio” (Marsilio) in radio a LETTERATITUDINE

GIUSEPPE LUPO con “Breve storia del mio silenzio” (Marsilio), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI

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Ospite della puntata: Giuseppe Lupo con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato Breve storia del mio silenzio” (Marsilio), candidato al Premio Strega 2020.

Come nasce “Breve storia del mio silenzio”? Perché hai scelto di citare in epigrafe questa frase di Canetti (“Chi ha troppe parole non può che essere solo”)? Parlaci di te stesso, del bambino di quattro anni che rievochi nelle pagine di questo libro: cosa puoi dirci di lui? com’è la sua vita a quattro anni? E qual è il suo contesto famigliare? In che modo l’arrivo della sorellina incide sulla sua esistenza? Fino a che punto il ricordo di quei primi anni della tua esistenza è davvero nitido? In che modo il tuo rapporto con la parola si è evoluto, nel tempo? Quali sono stati i libri fondamentali per la tua formazione? Come appariva Milano vista dalla Lucania? Come è stato il tuo impatto con Milano quando ti sei trasferito per studiare? Quali differenze hai registrato rispetto alla città che avevi immaginato? Cosa significa scrivere, per Giuseppe Lupo? Ci parleresti del capitolo del libro dedicato a Cesare De Michelis? Questo tuo nuovo libro, “Breve storia del mio silenzio”, che posto occupa nell’ambito della tua poetica? Come si relaziona con gli altri libri che hai scritto e pubblicato? Se dovessi scegliere un brano musicale come possibile colonna sonora di questo tuo nuovo romanzo – nel libro, peraltro, ci sono riferimenti importanti alla musica che hai amato (Claudio Villa, Angelo Branduardi, Little Tony -, quale sceglieresti?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Giuseppe Lupo nel corso della puntata.

* * *

La scheda del libro: “Breve storia del mio silenzio” di Giuseppe Lupo (Marsilio)

Nella dozzina del Premio Strega 2020 – Finalista del Premio Letterario Corrado Alvaro

Un bimbo che a quattro anni perde l’uso del linguaggio, da un giorno all’altro, alla nascita della sorella. Da quel momento il suo destino cambia, le parole si fanno nemiche, anche se poi, con il passare degli anni, diventeranno i mattoni con cui costruirà la propria identità. “Breve storia del mio silenzio” è il romanzo di un’infanzia vissuta tra giocattoli e macchine da scrivere, di una giovinezza scandita da fughe e ritorni nel luogo dove si è nati, sempre all’insegna di quel controverso rapporto tra rifiuto e desiderio di dire che accompagna la vita del protagonista. Natalia Ginzburg confessava di essersi spesso riproposta di scrivere un libro che racchiudesse il suo passato, e di Lessico famigliare diceva: «Questo è, in parte, quel libro: ma solo in parte, perché la memoria è labile, e perché i libri tratti dalla realtà non sono spesso che esili barlumi di quanto abbiamo visto e udito.» Così Giuseppe Lupo – proseguendo, dopo Gli anni del nostro incanto, nell’“invenzione del vero” della propria storia intrecciata a quella del boom economico e culturale italiano – racconta, sempre ironico e sempre affettuoso, dei genitori maestri elementari e di un paese aperto a poeti e artisti, di una Basilicata che da rurale si trasforma in borghese, di una Milano fatta di luci e di libri, di un’Italia che si allontana dagli anni Sessanta e si avvia verso l’epilogo di un Novecento dominato dalla confusione mediatica. E soprattutto racconta, con amore ed esattezza, come un trauma infantile possa trasformarsi in vocazione e quanto le parole siano state la sua casa, anche quando non c’erano.

* * *

Giuseppe Lupo è nato in Lucania (Atella, 1963) e vive in Lombardia, dove insegna letteratura italiana contemporanea presso l’Università Cattolica di Milano e Brescia. Per Marsilio, dopo l’esordio con L’americano di Celenne (2000; Premio Giuseppe Berto, Premio Mondello), ha pubblicato Ballo ad Agropinto (2004), La carovana Zanardelli (2008), L’ultima sposa di Palmira (2011; Premio Selezione Campiello, Premio Vittorini), Viaggiatori di nuvole (2013; Premio Giuseppe Dessì), Atlante immaginario (2014), L’albero di stanze (2015; Premio Alassio-Centolibri) e Gli anni del nostro incanto (2017; Premio Viareggio Rèpaci). È autore di numerosi saggi e collabora alle pagine culturali del Sole 24 Ore e di Avvenire.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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Colonna sonora della puntata: “La pulce d’acqua”, “Alla fiera dell’Est” e “Cogli la prima mela”: di Angelo Branduardi

(continua…)

Pubblicato in LETTERATITUDINE RADIO (trasmissione radiofonica curata e condotta da Massimo Maugeri)   Commenti disabilitati

giovedì, 28 marzo 2019

LAURA PUGNO con “La metà di bosco” e “In territorio selvaggio” in radio a LETTERATITUDINE

LAURA PUGNO con “La metà di bosco” (Marsilio) e “In territorio selvaggio” (Nottetempo), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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Ospite della puntata: Laura Pugno, con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato La metà di bosco(Marsilio) e  del volume In territorio selvaggio(Nottetempo).

Come nasce “La metà di bosco“? Che tipo d’uomo è Salvo Calvi, il protagonista del romanzo?  Cosa puoi dirci sulla sua situazione famigliare (in relazione alla ex moglie Adele e alla figlia Lili)? Perché Salvo Calvi accetta l’invito, ricevuto da un amico (Kostas), di recarsi sull’isola greca di Halki? Vuoi raccontarci qualcosa su Kostas e sulla sua famiglia? E sui luoghi in cui hai ambientato il romanzo? Ti andrebbe di descriverceli? Cosa puoi dirci su questa ragazza (Cora) che cade in mare e scompare? C’è una relazione tra questo tuo nuovo romanzo (La metà di bosco) e quelli precedenti? Cosa puoi dirci sul tuo rapporto con la scrittura e con la parola? Sei più una scrittrice “metodica” o “estemporanea”? Come nasce e quali tematiche affronta quest’altro tuo nuovo libro uscito per Nottetempo e intitolato “In territorio selvaggio”? A tuo avviso il compito della letteratura (ammesso che sia possibile definirlo e delimitarlo) è più legato alla possibilità di offrire domande o di fornire risposte?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Laura Pugno nel corso della puntata.

* * *

[Le schede dei libri]

La metà di bosco - Laura Pugno - copertina“La metà di bosco” (Marsilio)

Salvo Calvi, medico dell’Unità del Sonno che paradossalmente soffre d’insonnia, accetta l’invito di un amico sull’isola greca di Halki. Il sole dell’estate sembra placarlo, acquietare il ricordo della moglie e la figlia che ormai non fanno più parte della sua vita. Ma, dopo una gita in barca al vicino isolotto di Krev, una ragazza, Cora, cade in mare e scompare. Viene ritrovata qualche giorno dopo sulla spiaggia. Uccisa con un colpo d’arma da fuoco. Non è però un giallo quello che l’autrice va a costruire: piuttosto un viaggio di iniziazione al lutto insieme doloroso e quieto, disperato e senza sgomento. Con La metà di bosco Laura Pugno conferma il suo talento nel raccontare, con fredda dolcezza e limpidità allucinata, storie al limite: se nella Ragazza selvaggia e nell’ormai classico Sirene il confine era quello tra l’umano e l’animale, qui a essere esplorata è la variante angelo: una fantasmale, ma amica, sovraumanità.

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In territorio selvaggio - Laura Pugno - copertinaIn territorio selvaggio – Corpo, romanzo, comunità (Nottetempo)

Cosa chiediamo ancora a un libro, noi lettrici e lettori? Vogliamo solo, come recita un mantra editoriale raccolto dallo scrittore e scout Giulio Mozzi, che sia “lineare, ben scritto, con un/a protagonista in cui ci si possa identificare senza indugi, che affronti difficoltà che fanno parte dell’esperienza quotidiana, e che contenga alla fine un messaggio di conforto”? O i libri possono essere ancora per noi guide verso un territorio selvaggio? Chiediamo ai nostri romanzi (e a noi stessi) di essere solo giardini? Tagliamo fuori tutto ciò che è bosco, perdersi, fare esperienza dell’oltre? In questo quaderno di appunti, che segue liberamente l’andamento delle idee che si cercano e si rispondono, Laura Pugno, autrice de La ragazza selvaggia (finalista Premio Campiello 2017), cerca di rispondere a queste domande, e lo fa partendo dal corpo, dalla sua lingua incapace di mentire.

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Laura Pugno è nata a Roma. Ha pubblicato la raccolta di racconti Sleepwalking (Sironi 2002) e i romanzi Quando verrai (minimum fax 2009), Antartide (minimum fax 2011), La caccia (Ponte alle Grazie 2012), La ragazza selvaggia (Marsilio 2016, Premio Selezione Campiello 2017) e Sirene (Marsilio, 2017). In poesia: Il colore oro (Le Lettere 2007), La mente paesaggio (Perrone 2010), Bianco (Nottetempo 2016) e I diecimila giorni: Poesie scelte 1991-2016 (Feltrinelli Zoom 2016); è inoltre inclusa nell’antologia einaudiana Nuovi poeti italiani 6 (2012). Oggi dirige l’Istituto Italiano di Cultura di Madrid.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: “Quando Una Stella Muore” di Giorgia; “Hang” di Francesco Agnello; “Gocce di memoria” di Giorgia.

(continua…)

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martedì, 21 agosto 2018

GIUSEPPE LUPO con “Gli anni del nostro incanto” (Marsilio) e Fulvia Toscano (direttrice di Naxoslegge) in radio a LETTERATITUDINE

GIUSEPPE LUPO con “Gli anni del nostro incanto” (Marsilio) e Fulvia Toscano (direttrice di Naxoslegge), ospiti del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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Ospiti della puntata: Giuseppe Lupo, autore di “Gli anni del nostro incanto” (Marsilio) e Fulvia Toscano, direttrice di Naxoslegge

Nella prima parte della puntata abbiamo incontrato lo scrittore Giuseppe Lupo per discutere del suo nuovo romanzo intitolato “Gli anni del nostro incanto” (Marsilio).
[Il 31 agosto 2018, nell'ambito del Festival letterario e culturale Naxoslegge, Giuseppe Lupo riceverà il Premio Promotori della Lettura 2018.]

Nella seconda parte della puntata abbiamo incontrato Fulvia Toscano per discutere dell’edizione 2018 di Naxoslegge e del Premio ai Promotori della Lettura.

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Di seguito, la scheda del romanzo di Giuseppe Lupo: “Gli anni del nostro incanto” (Marsilio)

Una domenica di aprile, una Vespa, a Milano, negli anni Sessanta: un padre operaio, una madre parrucchiera, un figlio di sei anni e una bimba che non ne ha ancora compiuto uno. Vengono dalla periferia, sembrano presi dall’euforia del benessere che ha trasformato la loro cronaca quotidiana in una vita sbarluscenta. Qualcuno scatta una foto a loro insaputa. Vent’anni dopo, nei giorni in cui la Nazionale di calcio italiana vince i Mondiali di Spagna, una ragazza si trova al capezzale della madre che improvvisamente ha perso la memoria. Il suo compito è di ricordare e narrare il passato, facendosi aiutare da quella foto. Prende così avvio il racconto di una famiglia nell’Italia spensierata del miracolo economico, una nazione che si lascia cullare dalle canzoni di Sanremo, sogna viaggi in autostrada, si entusiasma con i lanci nello spazio dei satelliti americani e sovietici, e crede nel futuro, almeno fino a quando non soffia il vento della contestazione giovanile e all’orizzonte si addensano le prime ombre del terrorismo. Dopo la strage di piazza Fontana finisce un’epoca favolosa e ne comincia un’altra. La città simbolo dello sviluppo industriale si spegne nel buio dell’austerity, si sporca di sangue e di violenza, mostra il male che si annida e lascia un segno sul destino di tutti. Con un romanzo dalla scrittura poetica e struggente, forte nei sentimenti ed evocativo nello stile, Giuseppe Lupo ci racconta il periodo più esaltante e contraddittorio del secolo scorso – gli anni del boom e quelli di piombo – entrando nei sogni, nelle illusioni, nelle inquietudini, nei conflitti di due generazioni a confronto: quella dei padri venuti dalla povertà e quella dei figli nutriti con i biscotti Plasmon.

Giuseppe Lupo è nato in Lucania (Atella, 1963) e vive in Lombardia, dove insegna letteratura italiana contemporanea presso l’Università Cattolica di Milano e Brescia. Per Marsilio ha pubblicato L’americano di Celenne (2000; Premio Giuseppe Berto, Premio Mondello, Prix du premier roman), Ballo ad Agropinto (2004), La carovana Zanardelli (2008; Premio Grinzane Cavour-Fondazione Carical, Premio Carlo Levi), L’ultima sposa di Palmira (2011; Premio Selezione Campiello, Premio Vittorini), Viaggiatori di nuvole (2013; Premio Giuseppe Dessì; tradotto in Ungheria), Atlante immaginario (2014) e L’albero di stanze (2015; Premio Alassio-Centolibri, Premio Frontino-Montefeltro, Premio Palmi). È autore di numerosi saggi e collabora alle pagine culturali del «Sole 24 Ore» e di «Avvenire».

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: “Volare (Nel Blu Dipinto Di Blu)” di Domenico Modugno; “Il ragazzo della via Gluck” di Adriano Celentano; “Dio è morto” dei Nomadi.

(continua…)

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mercoledì, 28 marzo 2018

CARLO CARABBA con “Come un giovane uomo” (Marsilio) in radio a LETTERATITUDINE

CARLO CARABBA con “Come un giovane uomo” (Marsilio), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)


In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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Con Carlo Carabba abbiamo discusso del suo romanzo/memoir intitolato “Come un giovane uomo” (Marsilio).

Con una lingua che analizza, immagina e riflette, che mescola Eta Beta alla Bibbia e The O.C. e Lost a Proust e Peter Schlemihl, Carlo Carabba medita sul caso e il destino, il lutto e la crescita, e racconta quando finisce la giovinezza, perché si diventa adulti, e come restiamo vivi, nonostante il dolore nostro, e soprattutto, nonostante il dolore degli altri.

Nella seconda parte della puntata con Carlo Carabba, nel suo ruolo di direttore della narrativa italiana Mondadori, abbiamo discusso delle novità in uscita per lo storico marchio editoriale di Segrate.

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Come un giovane uomo Come un giovane uomo” di Carlo Carabba (Marsilio)

Sono due le coincidenze da cui muove questa storia. Quella tra la caduta della neve su Roma, dopo più di vent’anni di attesa, e la scoperta che una giovane donna, Mascia, è in coma. E quella tra il funerale di Mascia, una decina di giorni più tardi, e la firma di un contratto di lavoro. Se la prima neve della vita del protagonista di questa storia, scesa sulla sua città quando era bambino, aveva portato con sé l’incanto, la seconda ha portato un incidente. Mascia, l’amica degli anni del liceo, è scivolata col motorino là dove la neve è caduta e si è sciolta. Questa seconda neve tanto desiderata, come se col bianco potessero tornare i giochi e le meraviglie dell’infanzia, invece di restituire il passato si porta via un pezzo di futuro. Perché Mascia muore per sbaglio, come pure si può morire, e non c’è altra spiegazione. Il protagonista parla con amici comuni, riceve e manda sms, inventa scuse, cerca ragioni ai propri pensieri e comportamenti, alle fughe e ai ritorni, e le trova, si colpevolizza, si assolve. Se Mascia, come tutti, muore sola, il protagonista di questo libro, come qualcuno, fa di tutto per restare, ancora un poco, solo con lei. Costruito come un labirinto che riproduce lo smarrimento di fronte al dolore, o come un videogioco che muove nello spazio ancora sconosciuto e pericoloso dell’età adulta, il romanzo segue i pensieri del protagonista, e di chi legge, intorno alla perdita di quelli che si amano e si ferma sul limite dell’amore umano che è quello, insopportabile, di non poterne impedire la morte.

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Carlo Carabba è nato a Roma nel 1980, viene da studi filosofici e ha pubblicato articoli su Francis Bacon, Thomas Hobbes e la monografia La prima traduzione francese del “Novum Organum” (Olschki 2011). È stato coordinatore della rivista Nuovi Argomenti, e attualmente lavora per Mondadori. Ha scritto le raccolte di poesia Gli anni della pioggia (peQuod 2008, premio Mondello per l’Opera Prima) e Canti dell’abbandono (Mondadori 2011, premio Carducci e premio Palmi). Un suo racconto è incluso nell’antologia “best off” Ogni maledetta domenica (a cura di Alessandro Leogrande, minimum fax 2010). Come un giovane uomo è il suo primo romanzo.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: “In my life” dei Beatles; “Father and son” di Cat Stevens; “Labbra blu” dei Diaframma feat. Cristina Donà

(continua…)

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mercoledì, 15 marzo 2017

SILVANA GRASSO (con “Solo se c’è la Luna” – Marsilio) a “Letteratitudine in Fm”

SILVANA GRASSO (con “Solo se c’è la Luna” – Marsilio) ospite del programma radiofonico Letteratitudine in Fm di lunedì 13 marzo 2017 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino)

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

* * *

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

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È stata Silvana Grasso l’ospite della puntata di Letteratitudine in Fm di lunedì 13 marzo 2017.

Con Silvana Grasso abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato Solo se c’è la Luna (Marsilio)

Di seguito, informazioni sul libro protagonista della puntata.

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Solo se c'è la Luna Solo se c’è la Luna (Marsilio) – di Silvana Grasso

Il manovale Girolamo, dopo trent’anni d’America, dove ha imparato marketìnghi e bisinès, torna in Sicilia, primi anni Cinquanta, col nuovo nome americano di Gerri. Nel suo paese arretrato, dove ancora si usa la cenere per lavare e lavarsi, fonda una gigantesca fabbrica, stile americano, di sapone e saponette, la Gerri Soap, che esporta, con grande successo economico e d’immagine, i suoi prodotti in tutta Italia. L’America, che ha fatto di lui un imprenditore, gli ha insegnato le strategie di mercato, di comando, sempre e comunque, perché, quando si è padroni, non esiste il torto, ma solo la ragione. Da uno sciagurato matrimonio con una ragazza che trascorre il tempo a intagliare volti e corpi sul legno, nasce Luna, minuta quanto un coniglietto, per di più con una rarissima malattia che la costringe a vivere al buio, solo se c’è la Luna, perché il Sole ucciderebbe le sue tenere carni. Per farle compagnia, e soprattutto prenderne le distanze, Gerri le “compra” una quasi sorella, Gioiella, figlia di una sua operaia, ragazza madre, che vuol vivere, anche lei, col suo nuovo amore il sogno americano. Gioiella cresce con una spaventosa bellezza bruna e sensuale, ma è chiusa, scontrosa, ostile a ogni avventura sessuale o sentimentale. Nel frattempo, nella grande villa, Luna studia, legge avidamente poeti e scrittori, nell’illusione di conoscerlo quel mondo che non conoscerà mai nelle geografie dei luoghi, finché a 16 anni non le basta più innamorarsi di uomini scolpiti nel marmo o nei versi dei poeti: vuole un maschio vero, di carne vera. Non sa, però, che la quasi sorella prova per lei un sentimento d’attrazione sessuale devastante, contro cui nulla può la volontà o la preghiera. Con la potenza di un’immaginazione sgargiante e l’estro di una lingua febbrile, Silvana Grasso racconta lo scontro tra la natura e il moderno nella scena mediterranea di una Sicilia marina e assolata obbligata a piegarsi al primato notturno, per costringerci a ripercorrere il percorso della metamorfosi del mondo nella storia e a ritrovare le tracce di quel destino fatale che – nonostante ogni sforzo di sfuggirgli alla ricerca di un futuro migliore – resiste vitale, luminoso e feroce.

Silvana Grasso è nata a Macchia di Giarre, in Sicilia. Vive tra Gela e Giarre. È filologo classico, scrive racconti, romanzi, pièce teatrali e collabora con diverse testate. È stata assessore alla cultura del comune di Catania. Le sue opere sono state premiate con importanti riconoscimenti, tra cui: il Premio Mondello, il Premio Brancati, il Premio Vittorini, il Premio Flaiano Narrativa, il Premio Grinzane Cavour Narrativa italiana. Ha pubblicato: Nebbie di ddraunàra (La Tartaruga 1993), Il bastardo di Mautàna (Anabasi 1994, Einaudi 1997, ripubblicato da Marsilio nel 2011), Ninna nanna del lupo (Einaudi 1995, ripubblicato da Marsilio nel 2012), L’albero di Giuda (Einaudi 1997, ripubblicato da Marsilio nel 2011), La pupa di zucchero (Rizzoli 2001), Disìo (Rizzoli 2005), 7 uomini 7. Peripezie di una vedova (Flaccovio 2006), Pazza è la luna (Einaudi 2007), L’incantesimo della buffa (Marsilio 2011), Il cuore a destra (Le Farfalle 2014).

* * *

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

La colonna sonora della puntata: “Luna” di Gianni Togni; “Libertango” di  Astor Piazzolla; “Libertango” (versione live – Berlin Philharmonic).

(continua…)

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lunedì, 2 novembre 2015

ALBERTO GARLINI ospite di “Letteratitudine in Fm”

ALBERTO GARLINI ospite di “Letteratitudine in Fm” – lunedì 2 novembre 2015 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino)


In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO



È stato Alberto Garlini l’ospite della puntata di Letteratitudine in Fm di lunedì 2 novembre 2015. Con Alberto Garlini abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato Piani di vita (Marsilio) e delle tematiche in esso affrontate.

Si è inoltre discusso del Festival letterario “Pordenonelegge” (Alberto Garlini è uno dei curatori). Nella seconda parte della puntata, la lettura di un estratto del romanzo.

* * *

Piani di vita La scheda del libro
Tre vite si incrociano in un condominio alla periferia di Treviso: Marco, sceneggiatore quarantenne, viene da Roma per vendere l’appartamento del padre defunto; Fatima, giovane donna reclusa in casa, immagina di riscattare la miseria della sua vita con sogni febbrili ed estemporanei; Achmet, marito di Fatima, licenziato dalla fabbrica, tampona a stento una disperazione sempre più evidente. Fatima è innamorata di Marco – o almeno immagina di esserlo -, Marco è gay e non sospetta nulla, Achmet crede che Marco abbia molestato Fatima. In Piani di vita Alberto Garlini sembra dirci che in fondo una realtà, una realtà vera, non esiste; esistono le storie che raccontiamo e che ci raccontiamo per dare sfogo ai desideri o per tenere a bada i mostri; e se si incastrino con le storie che inventano i nostri prossimi, è tutto da vedere. Qualcosa di reale si manifesta però, incidentalmente – forse provvidenzialmente -, come un’illuminazione o un oggetto estraneo la cui imprevedibile presenza s’impone. In questo romanzo è un cucciolo di tigre, fuggito da un miserabile circo accampato a poca distanza dal condominio, simbolo tanto inquietante quanto rassicurante dell’esistenza di una vita vera.

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Alberto Garlini è nato a Parma nel 1969. Vive a Pordenone. Ha pubblicato Una timida santità (2002) e Fútbol bailado (2004) per Sironi Editore, Tutto il mondo ha voglia di ballare (Mondadori, 2007), La legge dell’odio (Einaudi, 2012). Quest’ultimo, pubblicato da Gallimard, ha avuto un’ottima accoglienza anche in Francia. È tra i curatori della manifestazione culturale Pordenonelegge.

* * *

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali:Hello Goodbye” (The Beatles); “Ob-La-Di, Ob-La-Da(The Beatles); “I Am the Walrus(The Beatles)

(continua…)

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domenica, 13 ottobre 2013

È online la puntata con GIUSEPPE LUPO, OSPITE DI “Letteratitudine in Fm” di venerdì 11 ottobre 2013

giuseppe-lupoÈ online la puntata con GIUSEPPE LUPO, OSPITE DI “Letteratitudine in Fm” di venerdì 11 ottobre 2013

PER ASCOLTARE LA PUNTATA, CLICCA SUL PULSANTE AUDIO

Giuseppe Lupo è stato lo scrittore ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 11 ottobre 2013.

Con Giuseppe Lupo abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Viaggiatori di nuvole” (Marsilio), vincitore dell’edizione 2013 del Premio Dessì.

Nel corso della puntata, l’autore ha letto un brano del libro.
Chi avesse voglia di leggere il primo capitolo del romanzo, può farlo cliccando su LetteratitudineNews.

PER ASCOLTARE LA PUNTATA, CLICCA SUL PULSANTE AUDIO

* * *

Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il venerdì mattina (h.13 circa) e – in replica – il martedì sera (h. 20,30) e il mercoledì mattina (h. 11,00). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

È possibile ascoltare le puntate precedenti, cliccando qui.

© Letteratitudine

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lunedì, 4 aprile 2011

APOCALISSE A DOMICILIO, di Matteo B. Bianchi

Scrittore di libri cult, firma di riviste di tendenza, autore radiofonico e televisivo di successo (da Dispenser su Radio2 a Victor Victoria su La7), Matteo B. Bianchi è considerato uno dei talenti più brillanti e versatili della sua generazione.
Il suo nuovo romanzo si intitola “Apocalisse a domicilio” (Marsilio). Una storia coinvolgente e intensa dove Bianchi si misura con uno degli interrogativi più difficili che si può porre un essere umano: come mi comporterei se dovessi conoscere in anticipo la data della mia morte?
Il protagonista di questa storia è un giovane autore televisivo milanese, omosessuale e single, immerso nella routine massacrante del mondo dello spettacolo. A un certo punto riceve la predizione che nessuno vorrebbe mai: una sensitiva – tramite il fratello – gli pronostica due mesi di vita.
Credere, o non credere?
Facendo appello alla razionalità, sarebbe opportuno non dare peso a ipotesi di predizione del futuro così nefaste. Il problema, però, è che questa sensitiva ha raccontato cose talmente personali della vita del fratello, talmente “segrete”… che è impossibile che qualcun altro potesse esserne a conoscenza. Insomma, pare che davvero questa giovane donna abbia il dono maledetto della predizione.
Ecco che allora il tarlo del dubbio comincia a rodere. E se fosse tutto vero? Del resto, che interessi avrebbe la ragazza a pre-dire una cosa così terribile?
Da qui, il passaggio alla domanda successiva: se questa predizione fosse vera, cosa potrei fare nel tempo che mi resta per dare un senso alla mia esistenza?
Il protagonista della storia decide di intraprendere un viaggio sentimentale a ritroso tra Roma, la Sardegna, San Francisco, nel tentativo di ritrovare i grandi amori del suo passato… quasi a conferma del fatto che amore e morte sono legate a doppio filo (o che la ricerca del rapporto fisico ed emozionale possano fungere, in qualche modo, da barriera nei confronti della fine).
Matteo B. Bianchi è bravissimo a farci entrare nella vita di questo personaggio, a farci affondare nei sui dubbi e nelle sue insicurezze, a sorprenderci con la placidità mascherata di quest’uomo che non intende sottomettersi all’ansia e all’angoscia… che invece sembrano colpire di più il fratello (il quale, in certo senso, si sente responsabile della predizione). Il risultato è questa storia scritta con abilità e resa al lettore dal punto di vista dei tre personaggi principali: il protagonista, che si vede recapitare l’apocalisse a domicilio (qui Bianchi usa la tecnica narrativa della “seconda persona”); il fratello del protagonista, che ci viene presentato con una narrazione in terza persona; la sensitiva, che racconta l’esperienza del suo “dono” in prima persona.
Tre voci che si alternano in un crescendo di emozioni che costringono il lettore a rimanere attaccato alla pagina fino alle ultime righe, per scoprire se la fine del libro coincide con la fine del protagonista… oppure no.

Vorrei discutere di questo libro insieme a voi e con la partecipazione al dibattito dello stesso autore: Matteo B. Bianchi.

Come sempre, pongo alcune domande finalizzate a avviare la discussione (domande che, per la verità, implicano risposte difficili… vi chiedo un grande sforzo, lo so).

- Come reagireste se qualcuno vi dovesse predire l’imminente data della vostra morte? Quali decisioni prendereste?

- Se in teoria si potesse conoscere la data della propria morte, sarebbe più una “condanna” o una “opportunità”? Quali sarebbero i pro e i contro?

- Il protagonista del libro reagisce tuffandosi nel proprio passato, ricucendo legami affettivi sfilacciati, chiedendo agli ex partner della sua vita di concedergli un ultimo atto di amore fisico.
A vostro avviso, esiste una relazione tra l’esigenza di amore fisico e la prospettiva della morte?

Vi ringrazio in anticipo per la partecipazione.
Massimo Maugeri

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lunedì, 11 maggio 2009

FUORI GIOCO di Salvatore Scalia

Il calcio come metafora della vita. Questa frase sintetizza una delle possibili letture del nuovo ottimo romanzo di Salvatore Scalia (nella foto): “Fuori gioco” (Marsilio, 2009, pag. 128, euro 12).
Così come nel precedente libro, “La punizione” (anche questo edito da Marsilio), le vicende narrate traggono spunto da una storia realmente accaduta. Se il primo romanzo vede come protagonisti quattro ragazzini vittime della mafia, in questa nuova opera Scalia fornisce dignità letteraria al mito indiscusso dei nostri tempi: il calciatore. Nell’immaginario collettivo il calciatore – oggi, ancor più di ieri – incarna il successo, la fama, il denaro, il fascino. Eppure il mondo del pallone non è tutto rose e fiori. Ne sanno qualcosa celebrità calcistiche di fama mondiale (tra cui Gigi Buffon, portiere d’acciaio della Nazionale) che hanno dovuto fare i conti con il continuo logorio dello stress da performance – e dell’estraniamento da successo – capace di sfociare nella depressione.
In questo romanzo Scalia offre una versione rovesciata del mito; perché, laddove l’agognato successo viene solo sfiorato, esso si trasforma in repentina sconfitta. O fallimento. E per ogni traguardo raggiunto da un individuo, in migliaia cadono durante il percorso.
Il protagonista della storia è Paolo Malerba, giovane calciatore della provincia di Catania che porta già nel cognome il segnale presago di un tragico destino. Paolo va a Milano, il provino con l’Inter sembra dare esiti positivi. Il sogno pare a un passo dal diventare realtà. Ma si sfalda di fronte a una radiografia. I medici della società calcistica attestano un piccolo problema ai polmoni. Nulla di grave, per una persona normale. Un insuperabile impedimento, per un calciatore professionista.
Paolo viene scartato. Il suo sogno si infrange e gli implode dentro con effetti devastanti, allargando squarci dell’anima già aperti da un’adolescenza difficile, dal problematico rapporto col padre, da paure mai domate. In tal senso Malerba è due volte perdente: perché prima patisce la sconfitta (per via di un disturbo fisico inatteso) e poi il fallimento (per via di equilibri interiori già fortemente precari). Non gli rimare che attorcigliarsi dentro se stesso, ancora di più; consumandosi tra amori irrisolti e una depressione serpeggiante che ne segnerà la fine.
Con un lirismo efficace e dolente Salvatore Scalia, tratteggiando i risvolti farseschi e paradossali della vita di provincia del profondo Sud, rovescia il mito moderno dell’uomo di successo miscelandolo con quello classico che narra la fine di Empedocle tra le fauci infuocate dell’Etna. Ne viene fuori un ritratto duro, impietoso, dolente. Credibile. E se è vero – come è vero – che per la popolazione etnea il vulcano è femmina (a’ muntagna), l’idea del lasciarsi precipitare nel cratere non riflette altro che il ferale desiderio (inconscio e insopprimibile) di tornare nel ventre materno: mettersi fuori gioco, scomparendo nelle origini della propria esistenza.

Mi chiedo, e vi chiedo…

I calciatori sono davvero i nuovi eroi dei tempi moderni?

Il gioco è metafora della vita o non è piuttosto la vita metafora del gioco?

Fare squadra ha ancora senso?

La felicità – in famiglia, nella società, nel lavoro – passa dal fare squadra?

E qual è il rapporto tra successo e felicità?

Di seguito, gli approfondimenti di Simona Lo Iacono e Salvo Zappulla (che mi daranno una mano a moderare la discussione)

Massimo Maugeri
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Pubblicato in LETTERATURA È DIRITTO... È VITA (a cura di Simona Lo Iacono), SEGNALAZIONI E RECENSIONI   160 commenti »

martedì, 20 gennaio 2009

PERCHE’, OGGI, IL GRANDE SUCCESSO DEI ROMANZI-FIUME? IL CASO STIEG LARSSON

Aggiorno questo post inserendo un articolo sul terzo romanzo della trilogia «Millennium» di Stieg Larsson: esaltata da alcuni addetti ai lavori e criticata da altri. Il pezzo, firmato da Stefano Montefiori, è uscito sulle pagine del Corriere della Sera del 6 gennaio.
Il libro si intitola “La Regina dei castelli di carta” (Marsilio) ed è immediatamente balzato in vetta alle classifiche dei libri più venduti in Italia.
Accanto all’uscita del libro circolano, peraltro, le voci di un possibile quarto volume che potrebbe essere pubblicato postumo (sebbene incompleto). Sì, perché Larsson è morto d’infarto sul posto di lavoro mentre si trovava nella redazione del suo giornale… esattamente come il personaggio del suo romanzo. Particolare inquietante, vero?
Si dice che a volte la letteratura anticipi gli eventi, come se fosse dotata di poteri preconici.
Forse non sempre è bene che sia così.
Il nostro pensiero a Stieg Larsson, che ha lasciato questa terra senza vedere il successo mondiale della sua trilogia (e senza averci guadagnato un quattrino).
Massimo Maugeri
(continua…)

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lunedì, 17 marzo 2008

REMARE SENZA REMI. UN LIBRO SULLA VITA E SULLA MORTE

Quando Chiara Tiveron, dell’ufficio stampa Marsilio, mi accennò all’uscita di questo libro, io dissi: sì, ne parlerò sul blog.
Il libro si intitola: “Remare senza remi” (Marsilio, 2008, pagg. 203, euro 15), l’autrice è Ulla-Carin Lindquist. Il sottotitolo è Un libro sulla vita e sulla morte.
Per certi versi torniamo all’argomento già trattato nel post letteratura e malattia, letteratura e morte.
Ora, voi potrete dire (e con ragione): ma che vuoi da noi?
Perché ci devi tediare con argomenti simili?
(Sono quasi certo che qualcuno lo farà).
Vi spiego. Non so se vi capita, ma – a volte – ho come l’impressione di vivere nel mezzo di una corsa… una corsa senza meta.

Vi capita?

Chi si ferma è perduto: lo disse anche Totò. Vero. Ma ogni tanto credo che fermarsi sia salutare. E libri come questo, in tal senso, possono essere d’aiuto.
Questo, almeno, è ciò che io penso.
Olivier Sacks, autore di L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello ha definito il libro della Lindquist “emozionante, bellissimo, terribile e allo stesso tempo rassicurante.”
Secondo il Financial Times “la Lindquist scopre – e mostra con eleganza – come la mortalità e la gioia possono essere collegate”. Per The Daily Mail “nel trascrivere le sue impressioni sulla morte imminente, l’eredità della Lindquist è un inno alla vita.”
Per Il Foglio “Remare senza remi è una magnifica e umana risposta all’idea dell’eutanasia.”
Di seguito vi presenterò Ulla-Carin Lindquist. E poi riporterò (e ringrazio Marsilio per aver concesso l’autorizzazione) alcuni estratti del libro.
Vorrei che li leggeste e che scriveste qui – se vi va – le vostre impressioni (sul libro, sul tema), magari anche contraddicendo le motivazioni che mi hanno spinto a scrivere questo post.
Insomma, utilizzate questo spazio… come pagina bianca (giusto per citare il mio amico Pasquale).

Massimo Maugeri

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Ulla-Carin Lindquist (nella foto in basso), la più importante giornalista televisiva svedese, ha cominciato ad avvertire i primi sintomi della malattia il giorno del suo cinquantesimo compleanno. Da quel momento la sua vita è cambiata e presto la diagnosi è diventata terribilmente chiara: sclerosi laterale amiotrofica (SLA), la peggiore tra tutte le malattie neurologiche. Non esiste una cura, non c’è miglioramento e la morte avviene rapidamente.
Remare senza remi è stato scritto durante questo breve periodo di malattia. Ulla-Carin racconta la sua esperienza faccia a faccia con la morte. Descrive i momenti ordinari come gli incontri con i medici, le conversazioni con le figlie che studiano al college, i pomeriggi passati con il marito e i due bambini più piccoli, ma anche quelli straordinari come il doloroso declino delle sue abilità fisiche.
Una storia commovente scritta da una donna coraggiosa che lotta con la morte incombente, e ci illumina sulla condizione fondamentale dell’essere umani: esistere, e sapere che non è per sempre.
Un libro indimenticabile che esplora il terrore, l’imbarazzo e il dolore della malattia e contemporaneamente affronta i temi universali della vita, della morte, dell’amore e dell’importanza della famiglia.

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Estratti dal libro “Remare senza remi” (Marsilio, 2008, pagg. 203, euro 15)

Questo è il mio debutto e il mio finale.
E si riferisce al mio finale.
Non si tratta di un libro di ricordi nel vero senso del termine. È più un diario che riporta pensieri e tuffi nella memoria. E anche diverse interviste e osservazioni di fatti.
“Nel mezzo della mia vita” sono stata invasa da una malattia poco comune, SLA, “sclerosi laterale amiotrofica”.
È una malattia che si sviluppa rapidamente e aggressivamente. Esiste un unico esito: la morte. Nessuna cura. Nessun miglioramento.
Cosa succede a un essere umano in questo caso?
Un anno fa lavoravo a tempo pieno come reporter per la tv. Oggi non sono più in grado di mangiare, di camminare o di lavarmi da sola.
Provo un profondo senso di dolore per tutto quello a cui non potrò assistere. E ancora di più perché presto dovrò lasciare i miei quattro figli.
Allo stesso tempo provo una grande gioia e mi sento fortunata per tutto quello che accade in questo momento.
Ogni giorno, la mia casa si riempie di risate.
Sembra strano?
Kråkudden, gennaio 2004

[…]

Cosa ho fatto di male per essere colpita da una malattia incurabile? Perché sono punita?
Dopo la diagnosi, provo un senso di vergogna. Per me le cose sono andate troppo bene. E non ho dimostrato sufficiente gratitudine. Esiste ancora un legame fra la malattia e il castigo per i peccati.
La parola inglese per dolore è “pain”, deriva dal greco “poinè” che significa castigo.
Credo profondamente che si debba essere puniti.
E tutto va bene se si è gentili, con le guance rosa e non si calpesta il pane.
«L’essere umano deve essere felice e buono in attesa della morte». Questa frase ricamata e incorniciata era appesa alla parete della cucina della mia bisnonna.
A chi non ho dimostrato abbastanza gratitudine?

[…]

Le parole rimangono impigliate nel naso. È come se si fosse formata una sporgenza di gomma. Come se il velo del palato si fosse afflosciato. La lingua ha un aspetto un po’ villoso e la punta non vuole più allungarsi come un serpente. Invece, lì c’è una piccola fossa di serpenti. Sono gli spasmi nervosi sulla lingua. E la bocca bofonchia nasalmente suoni incomprensibili.
È come un disco che gira alla velocità sbagliata. La SLA mi ha privata delle mie parole parlate. La mia voce. L’attrezzo del mio lavoro. Oggi nessuno ha sentito quello che ho detto. Rabbia.
Nella mia testa, le parole sono più chiare che mai. Sento la mia voce, la mia voce vera dentro di me. Una voce melodica e un’intonazione che sono state una parte importante del mio lavoro. Ma poi la voce passa attraverso la laringe, il filtro della SLA, ed esce soltanto un suono. Come un asino che raglia.
La SLA mi ha già sottratto la mano destra. Resta a riposo per l’eternità. Bluastra come un filetto di manzo ben frollato. Nella sinistra, tre dita riescono a muoversi sulla tastiera del computer. Ma sono rigide e l’acido lattico si forma rapidamente.
«Avresti potuto darmi due gambe paralizzate, invece!»
«Buon Dio, sii gentile con le mie tre dita e la mia lingua.»
La SLA è una risata sardonica e maligna.

[…]

Avere il tempo di qualcuno. Che qualcuno mi dia il suo tempo.
È un dono così grande, così enorme.
Un collega è venuto e mi legge un romanzo con una bella voce. È seduto sul letto dove sono distesa mentre il cibo viene pompato nel mio stomaco. C’è una candela accesa e io vorrei che il romanzo non finisse mai. Un altro collega mi chiede se può venire in compagnia di un’amica. «Ti farà bene incontrarla.»
Ho la possibilità di conoscere una donna con una grande esperienza della vita. Ho letto due dei suoi libri e ne sono rimasta affascinata. Adesso è seduta qui con me e io le prometto di comprare una macchina per il caffè espresso per la sua prossima visita.
(…)
Parla di due vie diverse da seguire: la paura e l’amore. Mi dico che forse è stato così che ho pensato quando ho deciso di non cedere all’amarezza, non lasciare che la malattia corrodesse i miei pensieri. Quando ho deciso di vivere giorno per giorno.
Parliamo di assaporare il buio, vederlo, toccarlo. Il buio è reale, ma non è tutto.
«Posso essere nel buio, ma non sono al centro del buio. Io sono molto di più» mi dice. «Io so che c’è altro; posso ritrovare un profondo senso di accettazione e posso aprirmi per il presente e per l’amore.»
Così mi dice Anita Goldman, che sta bevendo il mio caffè, e io penso le stesse cose.
Sta scrivendo un libro su Etty, una donna che è stata assassinata ad Auschwitz. Nel suo diario, Etty ha scritto:
Soffrire non è al di sotto della dignità umana. Quello che voglio dire è che si può soffrire con dignità umana e senza dignità umana. Quello che voglio dire è che gli occidentali non capiscono la capacità di chi soffre e invece si lasciano prendere da mille diversi tipi di angoscia.
[...] Dobbiamo accettare che la morte è parte della vita, anche la morte più orrenda. E non viviamo forse ogni giorno una vita completa, e quale importanza può avere se viviamo qualche giorno di più o di meno?

[…]

L’alba, il giorno prima della vigilia di Natale del 2003, sono sorpresa. La condensa fra i doppi vetri è gelata e attraverso i fiori di ghiaccio vedo i vapori del gelo levarsi dal mare.
È così straordinariamente bello.
Il cielo è colorato di rosa e porpora, e questa e quella stella risplendono ancora vagamente. Quando il sole si alza al di sopra della foresta di pini si forma un arcobaleno e i gabbiani sembrano più bianchi del solito.
Sono nuovamente a casa dopo quattro giorni nell’ospizio, una clinica per i malati terminali. La degenza media è di venti giorni. Metà dei pazienti muoiono lì.
«Posso vedere la camera ardente?» chiedo quando l’irrequietezza mi coglie.
Un po’ sorpresa, l’infermiera mi spinge in una stanza con una sorgente gorgogliante. Le pareti sono gialle, su una le nuvole sono dipinte con i colori della terra.
In un angolo c’è un angelo. Il pavimento è di piastrelle di terracotta e io sono convinta che sotto c’è un pozzo che mi fa ricordare la culla dove mio fratello, io e tutti i nostri bambini sono stati adagiati.
Però è molto più lungo. E senza fondo.
La stanza è tappezzata con un tessuto scuro, color ruggine, che arriva fino al pavimento. Mi fa pensare al mio nonno paterno e a quando mangiavo caramelle ai lamponi da lui invece di andare alle lezioni di piano da Anna Palmér in Nya Kyrkogatan a Kristinehamn.
Ancora oggi non sono brava a suonare il pianoforte.
Quando l’immagine di mio nonno che è morto si ritira, riesco a dire con voce nasale: «Perché?»
«Ti stai chiedendo perché è così piccola? Non c’è un letto. C’è posto per una bara.»
La stanza ha tre porte. Una è quella da dove siamo entrate, la seconda porta a una cella frigorifera e la terza a una rampa speciale all’esterno.
Ho difficoltà a calmare il pianto. C’è così tanto – così tanti – nella stanza. E lo spazio per la bara mi ha spaventata.
Ma sono felice di averla vista, la camera ardente.
La clinica è molto bella e mi ha fatta sentire gravemente malata. Cosa che di per sé è una realtà da molto tempo. Eppure, quando sono a casa posso dimenticare quei brevi momenti.
Il Natale è arrivato, e un anno fa quando cercavo di fare i pacchi maldestramente lo spettro mi aveva detto che era il mio ultimo Natale.
Si era sbagliato.
Le mie figlie e i miei figli mi sono vicini. Adesso sappiamo che è una cosa seria. Averli qua, pelle contro pelle, mi rende così felice che non ho bisogno di provare gioia.
I miei quattro figli, mio marito, Mimmi, suo figlio Hugo e io celebriamo il Natale insieme. Il tavolo natalizio è imbandito con aringhe marinate, prosciutto al forno, janssons frestelse, salmone, cavolo rosso, cavolo bianco, ravizzone, salsicce, polpette di carne, stoccafisso in umido, crêpe allo zafferano e sgocciolatura di arrosto che soltanto mia suocera assaggia. La stanza è piena di piccoli Babbo Natale e io sento l’odore del cumino, del melograno e dell’assenzio.
«Non capisco come tu faccia a rimanere seduta a tavola senza avere neppure la possibilità di assaggiare qualcosa» dice Mimmi.
Può sembrare strano, ma mi fa bene. Assaporo gli odori e ricordo le polpette speciali della mia infanzia preparate dalla cuoca della nonna paterna, con carne di vitello tritata e panna acida. Ricordo il prosciutto di Natale che veniva marinato con un misto di sale, zucchero, salnitro, peperoncini spagnoli, zenzero, lauro, cipolle rosse e pepe già alla prima domenica di Avvento per poi essere cotto alla vigilia di Natale. Bastava fino all’Epifania, e quando si formava un leggero strato scuro lo si rimetteva nel forno e lo si considerava nuovamente fresco.
Così allora. Adesso allacciamo un nastro di seta rosso intorno al tubo sterile della mia sterile soluzione nutritiva, e adorniamo con ghirlande argentate lo strumento.
Sono due mesi che non mangio un pasto normale, che non bevo. Il minimo sorso d’acqua finisce nel posto sbagliato. Ho problemi a inghiottire la mia stessa saliva, e quasi ogni sera l’assistente mi fa un’iniezione di morfina che blocca il muco e la tosse.
Un giorno arriva il pastore che spargerà la terra, mi porta una lanterna e un piccolo albero di Natale che ha ornato con biscotti allo zenzero che ha preparato lei stessa. Quando ci voltiamo, il labrador marrone di Mimmi li ha mangiati. Tutti meno uno.
«Il mio Rufs ha fatto la stessa cosa» mi consola il pastore e poi legge un brano del Vangelo seduta sul bordo del mio letto.
Molti vengono a farmi visita per Natale. È divertente, ma si comportano in modo diverso. Adesso non riesco più a parlare, ed è per questo che alzano la voce e articolano le parole il più chiaramente possibile. Ho perso una parte della mia mimica, e per questo, a volte, i lineamenti del volto sono contorti. Se dico qualcosa, anche se non dovrei, devo fare un tale sforzo da sembrare arrabbiata.
«Perché gridi in quel modo?»
E adesso mi fanno carezze sulle guance oppure, ancora peggio, sulla testa, come a una bambina. Lo detesto. Quella commiserazione con aria di superiorità.
Così lontana dalla compassione e dalla simpatia.
A Natale si può esprimere un desiderio, e io so quello che non posso avere a sufficienza.
Vicinanza, calore, verità e fiducia.
Voglio tanto che ricordiamo insieme cose e avvenimenti.
Non provare pietà per me. Sussurra segreti nel mio orecchio. I tuoi segreti. I nostri.
Lo dico seriamente.
Non sfuggire da me. Non avere paura.
Non è così pericoloso.
Siamo solo io e te.

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Ulla-Carin Lindquist è nata nel 1953 e ha avuto quattro figli, due femmine e due maschietti. Ha iniziato a lavorare nel 1988 come conduttrice a «Rapport», il telegiornale della sera svedese, diventando subito molto popolare. Nel 2000 si è trasferita in Canada con la famiglia ritornando due anni dopo come reporter. Il suo ultimo giorno di lavoro per la televisione svedese è stato nella primavera del 2003. È morta nella sua abitazione in marzo del 2004.
Questo libro è stato un best seller in Svezia, con più di 200.000 copie vendute. È già stato tradotto in: Inghilterra, Stati Uniti, Germania, Francia, Spagna, Norvegia, Danimarca, Finlandia, Ungheria, Olanda, Polonia, Slovenia, Corea, Cina, Grecia.

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mercoledì, 28 novembre 2007

CHAVEZ E LA SOCIETA’ POLITICA DELLO SPETTACOLO

Hugo ChavezConoscete Hugo Chávez ?

Il signore nella foto. Proprio lui.

Vi fornisco qualche informazione di fonte Wikipedia Italia.

Hugo Rafael Chávez Frías (Sabaneta28 luglio 1954) è un politico venezuelano. È l’attuale presidente del Venezuela.

Come leader della Rivoluzione Bolívariana Chávez promuove la sua visione di socialismo democratico, integrazione dell’America Latina e anti-imperialismo. È inoltre un fervente critico della globalizzazione neoliberista e della politica estera statunitense.

Ha fondato il Movimento Quinta Repubblica dopo aver organizzato, nel 1992, un fallito colpo di stato contro l’allora presidente Carlos Andrés Pérez. Chávez è stato eletto presidente nel 1998 grazie alle sue promesse di aiuto per la maggioranza povera della popolazione del Venezuela ed è stato rieletto nel 2000 e nel 2006. In patria Chávez ha lanciato le Missioni Bolívariane, i cui obiettivi sono quelli di combattere le malattie, l’analfabetismo, la malnutrizione, la povertà e gli altri mali sociali. In politica estera si è mosso contro il Washington Consensus sostenendo modelli di sviluppo economico alternativi, richiedendo la cooperazione dei paesi più poveri del mondo, specialmente di quelli sudamericani.

(Questo è il primo paragrafo di quanto trovate scritto su Wikipedia Italia alla voce Hugo Chávez ).

È stato appena pubblicato un libro molto interessante dedicato a Chávez. Si Intitola “Hugo Chavez, il caudillo pop” (Marsilio, 2007, euro 14). Gli autori sono Luca Mastrantonio e Rossana Miranda.

Di seguito potete leggere alcuni stralci della loro premessa. E, successivamente, un passaggio della prefazione di Gian Antonio Stella.

Poi vi invito a partecipare a un dibattito sia sulla figura di Chavez, sia sui seguenti temi in generale:

- La spettacolarizzazione della politica e la società politica dello spettacolo in Italia e nel mondo

- La relazione tra politica e nuovi medium di massa

I due autori parteciperanno al dibattito e sono a vostra disposizione per eventuali domande.

 Premessa

Questo libro, come Hugo Chávez ama dire di sé, citando Ortega y Gasset, nasce da circostanze. E dalla necessità di dare una risposta ovvero un senso compiuto alla domanda su chi sia Chávez. Le circostanze sono l’incontro, casuale e poi fatale, tra due punti di vista complementari: un paese del vecchio continente e un paese di ciò che sembrava un nuovo mondo.

Da parte italiana c’è curiosità e interesse per un politico affascinante e inquietante, che dopo un militaresco colpo di stato fallito, in un’ascesa mediatica e globale senza pari, è passato dal capitalismo umano a un socialismo nazionale, strabicamente focalizzato su politiche formalmente sovietiche e miopi speculazioni di rendita similfondiaria. Nonostante i celebri anatemi di Chávez contro “el diablo” Bush, infatti, continuano i lucrosi  guadagni con gli Usa e le sue multinazionali; allo stesso tempo, la ridistribuzione della ricchezza, capace di intaccare e tamponare le emergenze sociali attraverso programmi di sussidiarietà, non presenta reali prospettive di crescita per il futuro. Rimane la sfida lanciata al modello neo-liberista nordamericano per un governo socialmente più sensibile e sostenibile. Per questo Chávez è diventato la nuova bandiera dell’altro-mondismo di sinistra – e anche a destra, con il suo carisma e la retorica populista, crea un piacevole effetto di déjà-vu –, il figlio “putativo” di Castro, adottato soprattutto attraverso i mezzi di comunicazione, dove i due appaiono sempre assieme, con Chávez che è, di fatto, il portavoce del pensiero e delle condizioni di salute di Castro.

Da parte venezuelana, oltre a un bisogno naturale di analizzare e comunicare all’esterno un fenomeno di rivoluzione epocale come il “chavismo”, positivo sul piano sociale ma negativo su quello della democrazia, c’è lo stupore per l’indulgenza con cui Chávez è visto in Italia e in Europa (oltre che in America del Nord) soprattutto a sinistra. Vengono “condonati” gli aspetti democraticamente imperfetti del Venezuela per opportunismo ideologico di matrice storico-materialista. Oppure vengono giustificati con il fatto che il Venezuela è pur sempre una repubblica sudamericana, con un malcelato razzismo e uno snobismo geo-politico che animano soprattutto i commenti sprezzanti della destra liberista.

Questo libro nasce per raccontare senza pregiudizi il fenomeno Chávez al pubblico italiano. Presso cui viene spesso liquidato come campione del folklore socialista e sudamericano o idolatrato come nuova bandiera della rivoluzione sociale, tradita dal vecchio continente. Un pubblico che troverà probabilmente inaspettate consonanze con figure storiche italiane del passato prossimo e del presente storico, dal precursore neo-bolivariano Mussolini al collega post-moderno Berlusconi. Ovviamente sotto le mentite spoglie del rivoluzionario che lotta per migliorare il mondo.

Il carisma di Chávez, la capacità di usare i media, la sua sovra-esposizione, hanno trasformato un confuso ma scaltro golpista in una vera icona pop contemporanea.

La faccia di Chávez si vede sulle magliette simili a quelle che un tempo mostravano Che Guevara o il subcomandante Marcos. (…)

Attraverso Chávez si è passati dall’estremo dell’apatia per la politica alla vera e propria ossessione.Crediamo che Chávez sia la risposta sbagliata, perché avventata e parziale, provvisoria e dunque incompleta, a una domanda giusta, esatta, che egli sa interpretare fin troppo bene, drammatizzandola all’eccesso.

La domanda, rivolta ai governi di tutto il mondo e in particolare del sud, è quella di un’attenzione sociale che metta in discussione certe storture dell’economia di libero mercato, come è avvenuto in Argentina, per esempio.

Ma la risposta, sbagliata, è rispolverare un modello che assomiglia allo stato-nazione del primo Novecento europeo, come retorica, e come impianto economico ricorda persino i modelli venezuelani precedenti a quello di Chávez. (…)-

Chavez gode di una popolarità sincera tra i venezuelani, grazie al suo carisma, all’impegno sociale e all’efficace retorica. È un personaggio di indubbio fascino, con una storia mitizzata alle spalle, capace di affiancare alle grandi doti oratorie una smisurata capacità di sfruttare i mezzi di comunicazione di massa. Cita Che Guevara e Ortega y Gasset e con il suo “socialismo magico” sembra uscito da un romanzo di Gabriel Garcia Marquez. È il primo politico della società globale dello spettacolo a piacere a sinistra, capace di bucare lo schermo e di finire sulle principali copertine, anche glamour, del mondo. Un ritratto a tutto tondo...

Ed ecco qualche passaggio della Prefazione di Gian Antonio Stella.

(…)

Strepitoso. Per questo va dato il benvenuto al libro di Rossana Miranda e Luca Mastrantonio. Perché aiuta a capire meglio, senza paraocchi ideologici, siano essi agiografici o demonizzatori, uno strano impasto d’uomo. Ambiguo com’è ambigua María Lionza, l’amatissima “dea” che cavalca nuda un tapiro e che è sì pagana ma anche un po’ cristiana e un po’ india e un po’ spagnola e un po’ tutto insieme. Aiuta a leggere un fenomeno politico che, per quanto il Venezuela sia al di là dell’oceano, ci interessa da vicino. Perché attraverso Chávez, le sue straordinarie doti di affabulatore, le sue collere studiate a tavolino, il suo rapporto diretto e plebiscitario con “el pueblo”, la sua spregiudicatezza nelle alleanze internazionali, la sua maschera comica, la sua capacità di toccare il cuore di certi pezzi della sinistra europea, la sua passione per la tivù, possiamo capire meglio anche noi stessi. La nostra sinistra. La nostra destra. La nostra politica sempre più dominata dalla televisione e da quello che avviene “in” televisione.

Resta una domanda che per l’intellettuale di sinistra Alexis Márquez dovrebbero porsi i nostri intellettuali “da bar notturno”: possono bastare certi lodevolissimi rattoppi populisti a fare di Chávez l’idolo della sinistra antagonista? può bastare uno slogan vergato sulle bidonville come «la rivoluzione avanza collina dopo collina » a rendere accettabili le forzature istituzionali e in qualche modo secondario l’odio che il colonnello semina nel paese fino al punto, come ha scritto Mario Vargas Llosa, di «raggrinzire la vita sociale fino a estremi ormai contigui alla guerra civile»? può bastare la formale libertà di stampa a occultare il carattere di un regime fondato su un “messianesimo” che grazie al rapporto diretto con le plebi non ha bisogno d’azzerare l’opposizione?

Non fosse molto preoccupato, Teodoro Petkoff, un ex guerrigliero che dopo una radicale autocritica sulla violenza è rimasto saldamente a sinistra fino a diventare prima ministro e oggi punto di riferimento dell’ammaccata opposizione democratica, si farebbe una risata:«Un pezzo della sinistra europea rimasta sotto le macerie della catastrofe sovietica e orfana delle illusioni vietnamite e castriste, quando trova nel Terzo Mondo uno che spara sugli americani ha un orgasmo. Tutto il senso di impotenza di cui soffrono nel dover prendere atto che il loro sogno romantico di rivoluzionari è fallito lo sfogano con questi innamoramenti. Certo, ammettono pure che non sta bene tentare un golpe o far le leggi senza parlamento, ma insomma, via, è così pittorescamente tropical!»
GIAN ANTONIO STELLA 

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Rossana Miranda (Caracas, 1982), laureata all’Universidad central de Venezuela, ha lavorato presso il quotidiano «El Nacional» e la televisione pan-sudamericana Telesur. È divisa tra il Venezuela paterno, per il quale scrive su riviste e quotidiani, e l’Italia materna, dove frequenta un master in Sociologia alla Sapienza di Roma e lavora per il mensile «Formiche». Spera di essere una piccola prova vivente che per i venezuelani è irrinunciabile il diritto alla critica.

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Luca Mastrantonio
(Milano, 1979), laureato in Lettere alla Sapienza di Roma, è responsabile cultura e spettacoli del quotidiano «il Riformista». Collabora a programmi di radio, riviste culturali e al settimanale «A». Di Chávez pensa che se fosse un fascista degli anni venti, o un venezuelano dei barrios di oggi, lo voterebbe senza dubbio. Non essendo né l’uno né l’altro, lo guarda con affascinato sospetto.

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