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lunedì, 26 marzo 2007

IL SUCCESSO EDITORIALE NON FA I LIBRI BUONI… CLASSICI COMPRESI

Fernando Savater è uno dei più noti intellettuali spagnoli di oggi.

*

Fernando Savater

*

Giorni fa ha pubblicato su El Pais un articolo dove sostiene che il successo editoriale non fa i libri buoni, riferendosi – peraltro – anche ad alcuni dei classici considerati “intoccabili”.

Su La Stampa dell’8 marzo è stata proposta una traduzione di quell’articolo. Io ne riporto, come al solito, uno stralcio con l’obiettivo di avviare un dibattito. Potete leggere l’articolo completo cliccando qui.

*

*

In quell’interminabile zibaldone di pettegolezzi, barzellette, volgarità con lampi di genio che è il Borges raccontato dai diari di Adolfo Bioy Casares, il grand’uomo, un certo 9 luglio, dice al suo paziente cronista: «A questo libro (Sei problemi per don Isidro Parodi) manca una cosa per essere considerato molto buono: gli manca il successo. Io non so se, senza successo, un’opera può essere molto buona». Il giudizio poteva, certo, essere ironico o paradossale – come don Isidro – visto che con Borges non si sa mai. Ma propone un questione interessante. In effetti il criterio più puntuale che noi tutti utilizziamo per determinare se un’opera letteraria sia davvero buona, grande, classica è il successo.

L’Odissea, la Divina Commedia, i Saggi di Montaigne, Amleto, Don Chisciotte, Delitto e castigo o Cent’anni di solitudine hanno ottenuto riconoscimenti formidabili nel campo della letteratura perché hanno avuto un innegabile e solido successo che ha attraversato le generazioni. Non importa che a qualcuno di noi, personalmente, queste opere sembrino poco appassionanti o noiose da morire: ormai sono al di là della nostra possibilità di critica. (…)

Aveva ragione Chesterton quando definiva un autore classico «un re che si può abbandonare, ma che non si può più spodestare». È il peso della porpora del successo, né più né meno.

*

Smettete di gridare, sento le vostre proteste: Shakespeare o Cervantes hanno avuto – e hanno – successo perché sono esempi d’eccellenza, non vengono considerati eccellenti perché hanno avuto successo. Lei sta cambiando l’ordine dei fattori per falsificare il risultato. D’accordo, ammetto che in alcune circostanze è davvero così, ma possiamo affermare che lo sia in tutte? La grandezza non può, occasionalmente, essere qualcosa che assomiglia all’eco del successo (i critici e gli «intenditori» che, nel corso degli anni, si sostengono a vicenda) al punto che nessuno abbia più il coraggio di urlare che il re è nudo o non venga ascoltato se le sue urla vanno controcorrente? È da scartare del tutto la possibilità che ci siano romanzi, poemi o drammi migliori di quelli più celebrati, ma che sembrano inferiori proprio perché non sono stati tanto magnificati? C’è un modo per misurare, in maniera oggettiva, il valore di un’opera letteraria se non valutando la sua provata capacità di convincere, in maniera durevole, la maggioranza dei lettori o degli opinion leader della letteratura? E questa maggioranza può sbagliare, qualche volta?

(…)

A me Il Codice da Vinci pare effimero. E se, invece, una persona capace di viaggiare nel tempo mi dicesse che tra 200 anni continuerà a essere considerato un’opera fondamentale proprio come molti lo giudicano oggi? Non mi resterà che adeguarmi? Stendhal ha detto che la letteratura ha qualcosa da spartire con la lotteria: ci sono biglietti premiati e altri no. Allora? Non so, per non sbagliare io torno a Dickens. E mi consolo pensando che l’importante è che non venga mai meno, in un modo o nell’altro, il piacere della lettura.

*

E ora… la parola passa a voi!


Scritto lunedì, 26 marzo 2007 alle 01:36 nella categoria PERPLESSITA', POLEMICHE, PETTEGOLEZZI E BURLE. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

19 commenti a “IL SUCCESSO EDITORIALE NON FA I LIBRI BUONI… CLASSICI COMPRESI”

Possiamo imbrogliare noi stessi? Io credo di no. Ogni tanto sento l’irrresistibile bisogno di leggere Don Chisciotte o i Saggi di Montaigne e questo è un reale bisogno. Proprio nei giorni scorsi ho letto , per la prima volta, due racconti di Dostoevskij: La Mite e Il Sogno di un uomo ridicolo. Finchè non ho finito di leggerli , non ho potuto staccarmi. Mentre leggevo, pensavo perchè perdevo tempo a leggere altre cose, quando avrei dovuto leggere soltanto lui. Il nostro tempo, almeno il mio, è molto limitato e non mi posso permettere di leggere qualcosa che non mi dica nulla, solo per poter dire che ho letto questo e quello. La mia preferenza per i cosiddetti classici è innegabile, anche se di tanto in tanto trovo dei contemporanei che trovo interessanti.

Postato lunedì, 26 marzo 2007 alle 07:48 da Pino Granata


I grandi intellettuali spesso sono quelli che arrivano buoni ultimi.
Per verificare basta leggere Moccia e Il Cacciatore di Aquiloni: grandi successi senza alcun pregio.
Faccio io una domanda: non sarà che hanno ragione nelle scuole di giornalismo americane, quando raccomandano di ricordarsi che la maturità del lettore medio è quella di un bambino di cinque anni?
Del resto che cos’è un successo letterario se non un libro che si vende in massa?
Perché scandalizzarsi allora?

Postato lunedì, 26 marzo 2007 alle 08:43 da Renato Di Lorenzo


Sarà che ho troppa stima dei filosofi ma dai filosofi mi aspetto analisi più circostanziate, più rispettose della società che dovrebero descrivere, più consapevoli dei complessi meccanismi della società, e di uno dei suoi specchi più fedeli, il mercato.
Ma davvero, il successo è l’unico metro di misura del valore di un libro? e davvero le componenti che portano al successo di un lavoro di scrittura devono essere ascrivibili esclusivamente al potenziale artistico, secondo canoni interpretativi piuttosto antiquati, piuttosto che ad altre cose, come la capacità di proporre un lessico psichico condiviso? che ci piaccia o meno, questo è il merito di svariate cose che a noi intellettuali non ci piacciono, ma che faremmo bene a invece prendere sul serio. Che studiosi di nuove generazioni considerano più attentamente. Cultural Studies. Moccia meriterebbe per esempio un corso monografico, sarebbe certamente una dimensione sociologica, e non credo proprio che si tratti di un capolavoro, ma forse uno di quei parti popolari che preparano il terreno a capolavori futuri.
In pogni caso, trovo decisamente e pacificamente superato il fatto di uan qualità artistica direttamente proporzionale al successo di mercato, specie in tempi di postmodernismo, industria culturale galoppante e quant’altro, dove i vettori in gioco sono molti altri, e meriterebbero più attenzione di questa spocchia.

Postato lunedì, 26 marzo 2007 alle 10:04 da zauberei


Beh, ci sono classici e classici. Ci sono quelli imperdibili e i mattoni destinati a prendere polvere in libreria. Mi pare che nell’articolo Savater voglia dire che a volte il successo editoriale, nel tempo (quello che dura), è decretato dagli studiosi e dai critici accreditati. I quali a volte, può capitare, potrebbero anche aver preso una cantonata. Per quanto riguarda Dan Brown, però, c’è qualcosa che non mi torna. Non mi pare che la critica che conta sia stata particolarmente “gentile” con il suo Codice Da Vinci.

Postato lunedì, 26 marzo 2007 alle 10:12 da Elektra


Al di là del successo editoriale, la scrittura riesce a mantenere una sua caratterizzazione ad alto livello fino a quando si mantiene in una sfera il più possibile vasta di autonomia; quando invece ha voluto assumere altri
fini (didascalici, propagandistici, scandalistici, ecc,) essa quasi sempre è scaduta di tono e di ispirazione. In altre parole, una strumentalizzazione della scrittura, una finalizzazione della medesima i cui temi ispiratori siano obbligatori (per andare incontro ai gusti del pubblico) e le tesi precostituite, hanno favorito piuttosto il pedestre imitatore, lo zelante ossequiatore di usi e costumi imposti, il grigio artigiano e mai lo scrittore vero.
Resta da vedere che cosa il pubblico richieda ad un libro. Ci possono essere determinati periodi storici, avvenimenti particolari, tendenze e interessi momentanei che possono determinare il successo editoriale di una pubblicazione.. Sta nella sensibilità dello scrittore di cogliere questi momenti e di trasferirli sulla carta, di saperli rivivere e non di seguire pedissequamente una moda letteraria che cesserà di valere in tutti i sensi non appena saranno attenuati i motivi contingenti, che l’hanno mossa ed obbligata.
Storicamente parlando, il pubblico dei grandi scrittori che ancora oggi sopravvivono è sempre stato in ritardo di alcune generazioni. La scoperta o la rivalutazione critica, almeno fino ai tempi nostri, è sempre stata postuma, salvo casi eccezionali.
La tiratura del “Promessi sposi”, ad esempio, non valse certo a divulgare il capolavoro del Manzoni presso i contemporanei, i quali avevano oltremodo arricciato il naso per il capovolgimento delle tradizionali unità di tempo e di luogo. Fra i moderni, Italo Svevo dimostra, anzi, quanto grande possa essere il distacco fra il pubblico e l’Autore quando questi non viene adeguatamente proposto, reclamizzato ecc. Ma qui bisognerebbe iniziare anche un serio discorso sulla critica.

Postato lunedì, 26 marzo 2007 alle 11:13 da Maria Luisa Papini Pedroni


ho sempre considerato effimere le opere letterarie che riflettono ESCLUSIVAMENTE il fenomeno del loro tempo
i classici sono classici perché non parlano solo dei costumi contemporanei ai loro autori, ma parlano dei temi della natura umana che sono eterni
ma questo è certo un mio criterio personale di giudizio

se leggiamo le classifiche letterarie dell’epoca di rousseau, l’emilio non compare nemmeno, mentre vendeva spropositate copie un volumetto anonimo che raccontava le porcellate commesse in confessionale da un prete con le confessande
l’autore sarà anche diventato ricco, ma oggi di lui e della sua effimera opera ce ne cale poco assai

cordialmente,
LS

Postato lunedì, 26 marzo 2007 alle 11:18 da lanasmooth


Sui classici non oso discutere perchè possono piacere o meno ma sono “classici” appunto e quindi assolutamente non spodestabili, come dice Chesterton. A me sta sullo stomaco I promessi sposi ma non è assolutamente indicativo. E’ indubbio che il matt… ehm… il romanzo del Manzoni sia un’opera storica più che un romanzo d’amore. Narra una realtà storica con fatti realmente accaduti come la peste di Milano, ci mostra la società di quel tempo, gli usi e anche i costumi. In questo trovo stia il suo valore di classicità. Quindi io lascerei in pace i classici e mi porrei, invece, altre domande. Quali romanzi oggi che hanno spopolato le classifiche, domani potranno entrare a far parte dell’olimpo dei classici? Ho già detto, mi pare, di Moccia in passati commenti e sarei molto preoccupata se fra cento anni si dovesse leggere nelle scuole al posto della divina commedia. Anche le sorti del Codice da Vinci m’inquietano ma almeno riconosco al traduttore un buon uso della lingua italiana. Vi chiedete come si spiega il successo di questi romanzetti? E dovrei dirlo proprio io che non sono addentro al mondo letterario? Come se non si sapesse che una buona campagna pubblicitaria determina le sorti di un romanzo. E lo sai benissimo anche tu, caro Massimo. Sai anche bene che ci sono critici addomesticati e giornalisti amici o nel libro paga delle case editrici. Quindi, per favore, non prendiamoci in giro con questi discorsi.

Postato lunedì, 26 marzo 2007 alle 14:47 da Marilù


“La matematica non è un’opinione”, diceva la mia maestra. Ma la letteratura, a mio modesto parere, sì. Forse è per questo che la amiamo. Come ha scritto Vincenzo Cerami in suo libro, l’arte racconta appunto l’impossibilità di raggiungere verità assolute. In letteratura è tutto opinabile, il che è una metafora del mondo.
Due più due fa quattro, su questo non ci piove. Ma se sia più bello “Delitto e castigo” o “Guerra e pace” è una questione che non si può risolvere scientificamente: proprio come le grandi questioni della vita.
Allora temo che l’unica soluzione sia sempre quella: la democrazia. Che ci piaccia o no, è la maggioranza a decidere quali autori fanno parte della storia della letteratura e quali no.
Ma il “bello” della democrazia non è solo il prevalere della maggioranza, ma anche il rispetto delle minoranze.
Io, per esempio, sostengo che l’ultimo Manna (ancora inedito) è migliore dell’ultimo Moccia. E’ il resto del mondo che non è d’accordo.

Postato lunedì, 26 marzo 2007 alle 16:44 da vincenzo manna


@vincenzo manna: anche io sostengo che il prossimo lanasmooth meriterebbe il nobel, ma solo la mia mamma è d’accordo ;-)

LS

Postato lunedì, 26 marzo 2007 alle 18:42 da lanasmooth


I promessi sposi non è un mattone! Io invito chi ha scritto questo luogo comune a rileggersi il romanzo manzoniano e poi mi dica in tutta onestà se pensa ancora che è un mattone. A parte questo, vorrei sapere se qualcuno dei forumisti ha letto il romanzo di Moccia che stravende e del quale non ricordo il titolo. Io magari lo leggerò, fra qualche anno quando magari sarà diventato un classico, ma vorrei lo spassionato parere dei forumisti. Intanto , pur essendo un fan di P. Roth vi dico he Everyman mi ha deluso in quanto il romanzo non decolla mai. A proposito sto leggendo La consolazione della filosofia di Boezio.

Postato lunedì, 26 marzo 2007 alle 19:56 da Pino Granata


Per Pino Granata:
non bisogna dimenticare che esiste anche il gusto soggettivo che prescinde (per fortuna) dalla indicazione dei critici (siano essi più o meno accreditati). Io, per esempio, ho letto “Everyman” e l’ho considerato una delle migliori letture di questi ultimi anni… mentre a te ha deluso.
Sui “Promessi sposi” bisognerebbe aprire un post a parte (guarda caso ne ho parlato proprio pochi giorni fa con un amico… vi racconterò nei prossimi giorni). Per adesso sottolineo soltanto che spesse volte la scuola “imponendoci” questo libro ce lo ha un po’ fatto odiare. Molti di noi l’hanno studiato sui riassuntini e non tutti hanno avuto la fortuna – o l’opportunità – di poterlo apprezzare in seguito (così come il romanzo merita).

Postato lunedì, 26 marzo 2007 alle 22:47 da Massimo Maugeri


Concordo soprattutto con la fine dell’articolo: non deve mai venir meno il piacere della lettura. Personalmente ho letto molto i classici attorno ai 15 – 26 anni, dal liceo classico all’università, e li ho apprezzati. Adesso preferisco leggere i contemporanei e amo molto la narrativa italiana del Novecento. Non sopporto i moderni, gli originali, i novescarpanoridragomontanaricovachich e un sacco di altri autori tutti uguali che non mi dicono niente. Mi tuffo spesso negli anni Cinquanta – Settanta della nostra letteratura e ne vengo fuori rinfrancato. Pavese, Bianciardi, Cassola, Moravia, Buzzati, Calvino… sono scrittori che amo e che ho sempre amato.

Postato lunedì, 26 marzo 2007 alle 23:10 da Gordiano


Ma qualcuno ha letto l’ultimo romanzo di Moccia? L’argomento è già stato trattato in questo forum?

Postato martedì, 27 marzo 2007 alle 16:27 da Pino Granata


Pino, io l’ultimo libro di Moccia non l’ho letto, ma sarei curiosa di leggerlo.
Non c’è dubbio che la maggior parte dei lettori di Moccia siano ragazzi. Però secondo me lo leggono anche tanti adulti che si vergognano a dirlo. Come se fosse reato. O un’onta. O comunque qualcosa di cui vergognarsi. Altre volte si è parlato di Moccia su questo blog, e non in termini lusinghieri. Forse a ragione, per carità. O forse solo per partito preso.
Pino, leggi l’ultimo Moccia se ne hai voglia. E sappici dire.

Postato martedì, 27 marzo 2007 alle 18:35 da Elektra


Mi sembra che Savater, a forza di scrivere, stia perdendo un po’ del suo smalto. Ha posto una questione inutile, il tempo per fortuna farà giustizia di Dan Brown nonostante le sue vendite. A proposito, di Savater consiglio il brillante ‘A cavallo tra due millenni’ in cui lui stesso afferma che più che filosofo si considera esperto di cavalli.

Postato martedì, 27 marzo 2007 alle 20:09 da Gianmario Ricchezza


Gianmario, ma siamo proprio sicuri che “il tempo farà giustizia di Dan Brown nonostante le sue vendite”?
Io credo, invece, che Dan Brown (forse potrei aggiungere purtroppo) e il suo Codice Da Vinci verranno ricordati eccome! Stiamo parlando del caso più eclatante della storia dell’editoria mondiale. Credo che solo per questo entrerà con forza, e per rimanerci, nei manuali di storia della letteratura.

Postato mercoledì, 28 marzo 2007 alle 10:05 da atzeco


Io non ho letto né Moccia né Brown, ma alcune considerazioni desidero comunque farle.

Io ho visto il film TRE METRI SOTTO IL CIELO, e sono rimasto letteralmente scioccato. I giovani sono tutti teppistelli, le ragazze sono prive di dignità, gli adulti appaiono tutti come dei rammolliti; non solo, ma quando un adulto tenta di difendere la giovane protagonista, finendo malmenato, lei poi, al processo, testimonia contro di lui dichiarando il falso.
A parte il padre di lei, che alla fine si riscatta e quindi può essere considerato un personaggio positivo, tutto il resto è un inno “realistico” all’amoralità che mi lascia molto perplesso.

Sul successo de IL CODICE DA VINCI, invece, sono convinto che se la Chiesa non fosse intervenuta in modo così drastico contro di lui, dandogli una notevole importanza, non avrebbe avuto tutto questo clamore.
Senza contare, poi, tutta la letteratura “contro” e le varie parodie, che tutte assieme non hanno certo eguagliato il suo successo ma che ne hanno comunque incrementato la notorietà.
Non so se Dan Brown avesse previsto tutto questo, ma, sinceramente, non lo escluderei!… Magari non subito, non nel momento in cui stava concependo l’idea; ma, dopo un po’ che stava scrivendo… probabilmente… ha iniziato a prevedere ciò che sarebbe accaduto!

Sergio Rilletti

Postato mercoledì, 28 marzo 2007 alle 16:20 da Sergio Rilletti


Sarà un parallelo un po’ azzardato, ma mi pare ormai che la “genuinità” del successo di molti bestsellers sia paragonabile a quella dei prodotti alimentari nei supermercati, checché ne dicano… le etichette.
Ed è anche vero che qualche alimento sospetto c’era anche molto tempo fa, quindi il parallelo azzardato mi farebbe pensare che anche certi classici…
Condivido anche il giudizio di Gianmario su Savater.

Postato mercoledì, 28 marzo 2007 alle 23:54 da S.q.a.p.d.Irnerio


Io non sono per la difesa ad oltranza dei Classici. Ci sono dei Classici che sono degli autentici mattoni e che, essendo ormai entrati nell’Olimpo degli intramontabili, resteranno, per sempre, degli intramontabili mattoni.

Esistono però due romanzi, un classico e un contemporaneo, che mi affascinano: “UNO, NESSUNNO E CENTOMILA” di Luigi Pirandello, e “IL CLUB DUMAS” di Arturo Pérez-Reverte.

Il primo ha il grande pregio di spronarci a non giudicare “in assoluto negativo” gli altri, che magari sono amici di nostri amici, perché possono avere delle qualità che noi non vediamo.
Sembrerà strano, ma questa consapevolezza mi fa vivere meglio, in modo più sereno.
Ecco. Il romanzo di Piranadello merita di essere nell’Olimpo degli intramontabili perché permette, a chi lo legge, di vivere meglio.

Il romanzo di Arturo Pérez-Reverte, invece, è una felice commistione di cultura, fantasia, e Bella Scrittura, che catapulta il lettore in un romanzo che segue le fila di un altro romanzo (“I tre moschettieri”) per svelare un mistero legato ad altri libri, ammaliandolo in un gioco di scatole cinesi in cui la parte più esterna non è il protagonista… ma il lettore stesso.
Un romanzo che parla di romanzi, di scrittura, della vita di Alexandre Dumas e dei personaggi reali a cui si è ispirato per creare i suoi, e di bibliofilia (ovvero della passione dell’oggetto libro in sé).
Un romanzo dotto ma non pesante che consiglio proprio di leggere, anche a chi non è appassionato di thriller.

Sergio Rilletti

Postato venerdì, 30 marzo 2007 alle 12:43 da Sergio Rilletti



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