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mercoledì, 9 giugno 2010

HO RUBATO LA PIOGGIA, di Elisa Ruotolo

Tra gli esordienti che meritano senz’altro di essere segnalati con convinzione, c’è Elisa Ruotolo.
Nata a Santa Maria a Vico (Ce) nel 1975 dove vive tuttora, laureata in Lettere Classiche, la Ruotolo – dopo aver pubblicato racconti in due antologie – approda in libreria con un suo libro pubblicato dalle edizioni Nottetempo, intitolato Ho rubato la pioggia.
Si tratta di una raccolta di tre racconti lunghi messi in scena con scrittura matura e di qualità… capace di tratteggiare in maniera convincente situazioni, luoghi e personaggi.

Ed ecco una breve presentazione di queste tre storie di provincia.

Nel primo racconto il figlio dell’allenatore di una squadra che perde sempre entra al posto del centravanti e la squadra comincia vincere. E vince tanto che cominciano a chiamarlo “Molto Leggenda”. L’osservatore di un club lo seleziona, ma nei campi di serie A il ragazzo si perde.

Il bambino è tornato a casa” racconta di due sorelle, una lenta e una veloce, che preparano conserve piccanti e sognano con le telenovelas sudamericane, e del nipote Matteo, che scompare a nove anni e forse un giorno ritorna.

Il ragazzino senza madre di “Guardami” abita con il padre e con Silvia, una ragazza che vive pulendo le case degli altri e nella loro si ferma. Cesare, l’amico di famiglia, si innamora di lei ma non riesce a dirlo. Il giovane narratore s’insinuerà in modo decisivo nello scambio silenzioso.

Vorrei concentrarmi sul primo racconto (poi, magari, ci soffermeremo sugli altri nel corso della discussione). Il protagonista, dunque, è un giovane calciatore di talento che comincia a riscuotere successo nei campi di calcio della provincia. Per lui la tifoseria locale conia il nome di “Molto leggenda” (che è il titolo del racconto, appunto). Ma non tutti i talenti sono uguali, e non tutti i talenti sono assoluti… capaci, cioè, di approdare al grande successo. Si ripropone, per certi versi, il tema affrontato dal romanzo di Salvatore Scalia, Fuori gioco. Ma se in quel caso le possibilità di affermarsi del giovane calciatore di provincia furono castrate da un ineluttabile problema di salute, nel caso di “Molto leggenda” la situazione è diversa: è il talento stesso che si mostra insufficiente per consentire il salto ai grandi palcoscenici del calcio nazionale.

Il tema centrale di questo racconto, a mio avviso, è quello del talento sopravvalutato e delle sue conseguenze.

Da qui, un paio di domande… come sempre poste nel tentativo di favorire la discussione.

Cosa accade (o rischia di accadere) quando ci si affida a un talento sopravvalutato?

Fino a che punto è giusto dare spazio al proprio talento? C’è un limite entro cui è meglio fermarsi da soli, o bisogna sempre attendere che siano la vita e gli eventi a sbarrare la strada?

La forza di volontà, può migliorare il talento… o può soltanto supportarlo?

Ed è più grande la delusione dell’insuccesso, o il rammarico di non averci provato?

Invito tutti voi a discutere di questo libro e dei temi proposti (con la partecipazione dell’autrice). Anzi, ne approfitto subito per presentarvi Elisa Ruotolo facendovi sentire la sua voce nell’ambito di questa intervista radiofonica rilasciata a Fahrenheit… mentre su Bookweb.tv potete anche vederla in video.

Massimo Maugeri


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Scritto mercoledì, 9 giugno 2010 alle 21:18 nella categoria SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

183 commenti a “HO RUBATO LA PIOGGIA, di Elisa Ruotolo”

Nuovo post, nuovo dibattito…

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 21:20 da Massimo Maugeri


Sono molto lieto di presentarvi una (quasi) esordiente che merita senz’altro di essere segnalata…
Si chiama Elisa Ruotolo, ed è nata a Santa Maria a Vico (Ce) nel 1975 dove vive tuttora.
Laureata in Lettere Classiche, la Ruotolo – dopo aver pubblicato racconti in due antologie (da qui il “quasi” di prima) – approda in libreria con questo libro pubblicato da “Nottetempo”, intitolato “Ho rubato la pioggia”.

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 21:22 da Massimo Maugeri


Si tratta di una raccolta di tre racconti lunghi messi in scena con scrittura matura e di qualità… capace di tratteggiare in maniera convincente situazioni, luoghi e personaggi.

Segue una breve presentazione di queste tre “storie di provincia”…

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 21:22 da Massimo Maugeri


Nel primo racconto il figlio dell’allenatore di una squadra che perde sempre entra al posto del centravanti e la squadra comincia vincere. E vince tanto che cominciano a chiamarlo “Molto Leggenda”. L’osservatore di un club lo seleziona, ma nei campi di serie A il ragazzo si perde.

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 21:23 da Massimo Maugeri


“Il bambino è tornato a casa” racconta di due sorelle, una lenta e una veloce, che preparano conserve piccanti e sognano con le telenovelas sudamericane, e del nipote Matteo, che scompare a nove anni e forse un giorno ritorna.

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 21:23 da Massimo Maugeri


Il ragazzino senza madre di “Guardami” abita con il padre e con Silvia, una ragazza che vive pulendo le case degli altri e nella loro si ferma. Cesare, l’amico di famiglia, si innamora di lei ma non riesce a dirlo. Il giovane narratore s’insinuerà in modo decisivo nello scambio silenzioso.

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 21:23 da Massimo Maugeri


Come ho anticipato sul post, vorrei concentrarmi sul primo racconto (poi, magari, ci soffermeremo sugli altri nel corso della discussione).
Il protagonista, dunque, è un giovane calciatore di talento che comincia a riscuotere successo nei campi di calcio della provincia. Per lui la tifoseria locale conia il nome di “Molto leggenda” (che è il titolo del racconto, appunto). Ma non tutti i talenti sono uguali, e non tutti i talenti sono assoluti… capaci, cioè, di approdare al grande successo. Si ripropone, per certi versi, il tema affrontato dal romanzo di Salvatore Scalia, “Fuori gioco”. Ma se in quel caso le possibilità di affermarsi del giovane calciatore di provincia furono castrate da un ineluttabile problema di salute, nel caso di “Molto leggenda” la situazione è diversa: è il talento stesso che si mostra insufficiente per consentire il salto ai grandi palcoscenici del calcio nazionale.

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 21:24 da Massimo Maugeri


Il tema centrale di questo racconto, a mio avviso, è quello del talento sopravvalutato e delle sue conseguenze.

Da qui, un paio di domande… come sempre poste nel tentativo di favorire la discussione.

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 21:25 da Massimo Maugeri


Fino a che punto è giusto dare spazio al proprio talento?

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 21:25 da Massimo Maugeri


C’è un limite entro cui è meglio fermarsi da soli, o bisogna sempre attendere che siano la vita e gli eventi a sbarrare la strada?

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 21:26 da Massimo Maugeri


La forza di volontà, può migliorare il talento… o può soltanto supportarlo?

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 21:26 da Massimo Maugeri


Ed è più grande la delusione dell’insuccesso, o il rammarico di non averci provato?

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 21:26 da Massimo Maugeri


Invito tutti voi a discutere di questo libro e dei temi proposti… con la partecipazione dell’autrice.

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 21:27 da Massimo Maugeri


Su Bookweb.tv potete anche vederla in video
http://www.booksweb.tv/content/show/ContentId/2112

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 21:28 da Massimo Maugeri


Caro Massi,
bellissimo post e domande profonde. Bravissima anche l’autrice alla quale vorrei subito domandare perchè ha rubato la pioggia….

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 22:20 da simona lo iacono


Credo che la risposta più bella alle domande che poni, caro Massi, ce la offra la parabola evangelica dei talenti.
Come sai in questa parabola un uomo parte per un viaggio ed affida i propri beni ai suoi servi. Ad un servo affida cinque talenti, ad un secondo due talenti e ad un terzo un talento. I primi due, sfruttando la somma ricevuta, riescono a raddoppiarne l’importo; il terzo invece va a nascondere il talento. Il padrone al rientro si duole di chi non ha fatto fruttare anche il poco che ha, e lo toglie al servo per darlo a chi ha messo a frutto ciò che possedeva.
—-
Mi sono sempre interrogata su questa narrazione, sul mistero che nasconde, sulla stranezza del finale e ho sempre pensato a una meravigliosa e pungolante provocazioe del “padrone”. Che non sembra disposto a darci dei doni “completi” ma ci offre piuttosto i loro “germi”, attendendo che noi li facciamo sviluppare.
Ecco. Credo che il talento non sia mai completo. Ma brilli come una potenzalità segreta e intimissima che si pone in relazione con la nostra identità. Non è un’offerta finale, ma iniziale, un’avventura – anche – e una vibrante e commossa scommessa sull’umanità.
Mi pare, cioè, che il talento sia, soprattutto, responsabilità.
Bacio, Massi. Grazie per avermi permesso questa riflessione.

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 22:33 da simona lo iacono


Mi piace questo post. E mi piace che si presentino scrittrici emergenti. Ritengo che il talento sia la condizione primaria per diventare un campione, nel calcio come in altri settori, compresi la letteratura e qualsiasi espressione artistica. Ma ad esso devono seguire altre virtù: il carattere, lo spirito di sacrificio, lo studio e l’umiltà. Penso, per rimanere in ambito calcistico, ai tanti calciatori di grandissimo talento che sono miseramente naufragati dopo aver conosciuto l’ebbrezza del successo. Ci sarebbero tanti esempi da fare. La gloria, come lo Champagne, dà alla testa, e spesso mantenersi a un certo livello è più difficile che arrivarci. Auguri alla scrittrice e spero ne venga fuori un interessante dibattito.

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 23:16 da Salvo Zappulla


Grazie a te, cara Simo.
La parabola dei talenti mi pare proprio… calzante.
Vediamo cosa ne pensano gli altri amici.

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 23:16 da Massimo Maugeri


Grazie anche a te, Salvo.
Abbiamo scritto nello stesso istante.

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 23:17 da Massimo Maugeri


In effetti è vero, il tema del talento si può estendere in altri settori, compresi la letteratura e qualsiasi espressione artistica.

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 23:18 da Massimo Maugeri


Un’altra domanda, legata alle altre è: cosa accade quando il talento è sopravvalutato?

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 23:19 da Massimo Maugeri


Elisa Ruotolo potrà intervenire a partire da domani sera.
Io, intanto, ne approfitto per augurarvi una serena notte.

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 23:20 da Massimo Maugeri


E’ bello essere qui…Ciao Massimo, e un saluto fin da ora a quanti interverranno.
Questa poi mi sembra la condizione ideale: poter conservare il privilegio di riflettere sulle parole. Quelle scritte sono sempre più meditate, meno approssimative di quando devi dirle sotto un occhio che ti guarda o un microfono che “ascolta”.
Dunque, Simona, grazie per questa domanda che mi permette di chiarire le ragioni del titolo. Anzitutto mi piaceva l’idea di dire “io” sin dall’inizio, tirandomi nelle storie in qualche maniera (e quindi ammettendo una certa parentela con i miei personaggi). Inoltre mi sembrava che quel pugno di parole riassumesse il senso di una lingua che procede per immagini: se rubi la pioggia, che cade quando crede, che non ha in minimo governo e insieme è ingovernabile, compi un gesto inutile. Come il folle che fa un cenno al treno dopo il fischio del capostazione e crede che senza quel cenno la vettura non si muoverebbe di un centimetro, e ogni giorno è lì, ché altrimenti tutto si fermerebbe…
Il titolo racchiude quindi una responsabilità personale rispetto al proprio destino. I protagonisti delle mie storie fanno questo: rubano la pioggia. Accade a Molto Leggenda nel primo racconto quando decide di cucirsi addosso un talento quasi innaturale, pur presentendo di non essere fatto per quella misura; succede a Maria che per anni vive aspettando qualcosa che difficilmente potrà accadere, e quando sembra avverarsi lei ha già smesso di desiderarla; infine questa sorte tocca anche al ragazzino della terza storia che tra l’amore e la pietà si trova a scegliere la seconda, alimentando un’illusione prima e una disillusione poi.
Però c’è qualcosa di profondamente umano nell’uscire fuori sotto un cielo che non ti risparmia e pregare di farla franca, o nel cenno di via libera dato a un treno che non ti aspetta…

Postato mercoledì, 9 giugno 2010 alle 23:33 da Elisa Ruotolo


ho buone frequentazioni a nottetempo ma, anche al di fuori di questa casa editirce, di elisa ruotolo ho sentito parlare solo bene. il suo libro non l’ho letto ma lo leggero entro luglio. al momento, quindi, non posso esprimere un mio parere. per il resto, il talento nella scrittura vale quanto il talento altrove. il calcio, per esempio, è pieno di giocatori che avrebbero potuto essere (tecnicamente) fuoriclasse, ma non hanno avuto la fortuna o la testa per esserlo. mentre invece, un calciatore in grado di fare 2 palleggi e nulla più, si è rivelato un mediano da nazionale. con che ce la vogliamo prendere?
questa è la vita, in ogni dove. se non ci piace la vita, buttiamoci dalla finestra. Elisa ruotolo (a naso) vale cento volte di più di buona parte di quelle troiate che si stanno raccomandando al colto e all”inclita per vincere lo Strega. Alla Ruotolo daranno una pacca sulle spalle e due ticket per Gardaland. Amen. la vita è una lotta. Se lei non sa accettare le regole (anche ingiuste e prebvaricatrici) della lotta, si sparasse in testa con una 357. Spero ovviamente che sappia accettare. Ho il sentore che di scrittori come lei ce ne sia bisogno

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 00:14 da enrico gregori


L’oroilogio dice mezzanotte e venti… lasciatemi giocare…
Il talento non basta, ci vuole anche tanta volontà per raggiungere la vetta in ogni campo. Poi, per mantenerla… e qui viene il difficile: perseveranza e misura? Anche un pò di buonsenso talvolta aiuta.
Certo Seneca diceva: il destino di chi sale troppo in alto è quello di cadere…

Tuttavia, mi piace ricordare la frase:
in una competizione ciò che conta è partecipare.
E quindi: proviamo!

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 00:19 da patrizia debicke


Il tema è davvero intrigante, e il libro mi sembra interessante. Scriverò qualcosa d’altro nei prossimi giorni, spero domani.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 00:19 da Annalisa


Dimenticavo di fare i complimenti all’autrice.
Brava Elisa Ruotolo, ti ho ascoltata su Farenheit e ti ho vista su Booksweb. Mi piace come parli e mi piace quello che dici. Ti leggeròcon piacere.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 00:21 da Annalisa


[...] Per approfondire consulta la fonte: HO RUBATO LA PIOGGIA, di Elisa Ruotolo [...]

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 05:35 da HO RUBATO LA PIOGGIA, di Elisa Ruotolo


@Simona:
quella parabola ha sempre colpito anche me: il talento (che lì assumeva il senso più ampio di “vita”) andava fatto fruttare, andava messo alla prova. Io sono dalla parte del “padrone”, e sono dalla parte dei miei personaggi, soprattutto di Molto Leggenda che non nasconde il suo talento, anche se limitato e, come dice giustamente Massimo, sopravvalutato.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 08:29 da Elisa Ruotolo


@Salvo (grazie per gli auguri):
hai scritto una parola fondamentale, che ricorre spesso anche nel mio primo racconto: la gloria, che spesso è all’origine di una distorsione di prospettiva, e invece di essere uno degli esiti possibili ma incalcolabili, diventa la meta, la ragione unica, il calcolo da non fare. L’errore è tutto lì: nel compromesso.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 08:29 da Elisa Ruotolo


@Enrico:
sai, quando ho finito questi racconti – in maniera anche abbastanza inconsapevole, perché semplicemente un giorno ho capito di poterli lasciare andare – ho deciso di non aspettarmi nulla. Il mio ruolo si chiudeva lì: quel che seguiva non era (e non è) importante. Non so di che materiale sia il mio eventuale talento, non riesco a quantificarlo, e la pubblicazione, grazie al cielo, non ha cambiato la mia vita. Se essa ha subito un mutamento, è stato in origine quando ho cominciato a sedermi e a intrecciare le storie con le parole che sentivo giuste, come fosse una tela (cambiata, intendo, in termini di gestione del tempo, del sonno e dell’attenzione da destinare a ciò che mi circonda). Sì, spesso il talento non basta a garantire fama, né la gloria, ma di esse non si ha poi bisogno, se ne può fare a meno: Molto Leggenda capisce questo e va avanti. E vado avanti anch’io.
p.s. grazie per ciò che scrivi…

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 08:30 da Elisa Ruotolo


@Annalisa:
sei gentile, io non riesco a rivedermi né a riascoltarmi…mi fiderò di te.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 08:31 da Elisa Ruotolo


Anche questo dibattito si profila come molto interessante. Davvero complimenti.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 09:35 da Amelia Corsi


Prima di rispondere alle domande di Massimo, volevo spendere due parole per Elisa Ruotolo che conosco solo attraverso queste parole che ha scritto qui. A pelle, Elisa, mi fai un’ottima impressioni. Mi piace quello che dici e mi piace il senso che hai voluto dare alle tue storie, o forse sono le storie che hanno trovato il loro senso per mezzo della tua scrittura.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 09:38 da Amelia Corsi


Cosa accade (o rischia di accadere) quando ci si affida a un talento sopravvalutato?
Se non si ha abbastanza forza interiore si rischia una grande frustrazione, o addiruttura la depressione.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 09:39 da Amelia Corsi


Fino a che punto è giusto dare spazio al proprio talento? C’è un limite entro cui è meglio fermarsi da soli, o bisogna sempre attendere che siano la vita e gli eventi a sbarrare la strada?
Secondo me quando ci si rende conto che si è andati al di là delle proprie possibilità è giusto fermarsi. Abbiamo molta responsabilità nei confronti di noi stessi in tal senso.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 09:41 da Amelia Corsi


La forza di volontà, può migliorare il talento… o può soltanto supportarlo?
Non lo so. O meglio, non ne sono sicura. Forse la volontà può solo affinare il talento, non farlo crescere davvero.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 09:42 da Amelia Corsi


Ed è più grande la delusione dell’insuccesso, o il rammarico di non averci provato?

Bella domanda!
Probabilmente per chi ha fallito è più grande la delusione dell’insuccesso, per chi non si è messo alla prova il rammarico di non averci provato.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 09:44 da Amelia Corsi


Saluti a tutti e ad Elisa Ruotolo in particolare.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 09:44 da Amelia Corsi


[...] Tra gli esordienti che meritano senz’altro di essere segnalati con convinzione, c’è Elisa Ruotolo [...]

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 09:48 da HO RUBATO LA PIOGGIA, di Elisa Ruotolo - Paperblog


elisa ruotolo mi dà l’idea di calma. lo dico dopo averla sentita su fareneit.
mi pace molto leggere storie brevi legate da un filo conduttore. il tema del talento mi affascina molto e mi riguarda anche da vicino.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 10:26 da giusy vecchio


x elisa ruotolo
mi permetto di farti una domanda che forse è un po’ fuori dal libro.
secondo te la scrittura creativa è più talento o esercizio? come la vedi tu?
in bocca al lupo per il libro, che cercherò di prendere al più presto.
ciao a tutti.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 10:28 da giusy vecchio


Come sosteneva la legge di Peter e Hull “Ciascuno raggiunge il livello della propria incompetenza” nel senso che, sfruttando il proprio talento, si va avanti si ava avanti si va avanti fino a che si raggiunge un tale livello che il talento non basta più. Ecco perchè ai vertici, in tutti i campi, ci sono tanti incompetenti. Perchè, di promozione in promozione, sono arrivati a un vertice che non sanno più gestire.
Quanto alla Parabola dei Talenti penso che Gesù ci voglia dire che ciascuno riceve qualcosa, chi più chi meno. Nostro compito è quello di sfruttare questi doni al massimo. Paradossalmente i vertici incompetenti sono i più meritevoli (paradossi della logica)!

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 10:43 da Ernesto De Sio


Non posso non intervenire in questo dibattito, anche se so che rischio di sembrare di parte – Nottetempo è una casa editrice che sento molto vicina, sia logisticamente che “sentimentalmente” – ma il libro di Elisa (lo so, qui si valuta la scrittura e la bellezza della persona non dovrebbe contare, eppure Elisa, oltre a essere una grande scrittrice, è anche una donna splendida) mi ha conquistata e “mi chiama”.
Io credo che questi tre racconti siano composti da una serie di strati narrativi che si scoprono a ogni (ri)lettura e nei quali il talento e tutto il dibattito che si è svolto attorno a questo argomento non siano aspetti fondamentali, benché sia innegabile che in “Molto leggenda” se ne parli – eppure, secondo me, più come pretesto per alludere a qualcos’altro che come tema in sé. Vi si trovano sempre nuovi significati ed è perciò che la scrittura di Elisa si presta a infiniti spunti di riflessione. Le piccole agonie della quotidianità, quegli snodi dell’esistenza in cui, di colpo, il corso della vita cambia direzione, quella sorta di stallo angoscioso nel quale ognuno di noi si trova a dover scegliere – o nel quale la vita sceglie per lui/lei.
“Molto leggenda” è, secondo me, la storia di un uomo che – in fondo – torna al suo posto, perché di fatto leggenda non si è mai sentito davvero. Riceve una specie di spintone dalla vita, che lo fa rientrare nei ranghi.
“Il bambino è tornato a casa” e “Guardami”, al pari di “Molto leggenda” sono amaramente giocati sul senso di vuoto e di assenza, sul “non fare” e sul “non sapere”: tutti gli alfa privativi di cui è costellata l’esistenza umana. Attorno al gesto – io mi raffiguro così i racconti di Elisa – di allungare un braccio, tentare di afferrare qualcosa e, invece che trovare un appiglio, stringere l’aria, Elisa è riuscita a costruire dei racconti solidi e pieni. La sua eccezionalità è stata, poi, quella di inventare una lingua tutta sua – precisa, intensa, commovente – che vestisse in modo inappuntabile le storie che narrava. Un perfetto lavoro di “sartoria letteraria”, se mi permettete la definizione.
Tre precipizi in cui i personaggi si tuffano – consapevolmente o meno – ogni giorno. Tre abissi che si chiamano vita.
“Ho rubato la pioggia” è Scrittura, con la “s” maiuscola. Storia, personaggi, struttura, stile. Grazie, Elisa. Al *tuo* talento.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 11:08 da gaja


“…Però c’è qualcosa di profondamente umano nell’uscire fuori sotto un cielo che non ti risparmia e pregare di farla franca, o nel cenno di via libera dato a un treno che non ti aspetta”…
Ci sono treni che aspettano Elisa Ruotolo, e sono quelli di un viaggio sempre più lungo e meraviglioso nella scrittura.
Auguro ad Elisa di avere sempre parole a portata del suo cuore, generoso e forte. Alina

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 11:59 da Alina Laruccia


il nome “Molto leggenda” è davvero particolare. Mi suona però come ironico. E’ così? Lo chiedo all’autrice.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 13:14 da gabriella malesi


interessante anche la discussione incentrata sul talento. mi piacerebbe chiedere se secondo voi oggi chi ha talento ha la possibilità di emergere. la mia impressione è che ci siano molti talenti artefatti in giro.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 13:16 da gabriella malesi


comunque tanti auguri all’autrice del libro. Spero di avere la possibilità di leggerlo.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 13:17 da gabriella malesi


@Amelia
Grazie infinite… Io credo di comprendere le tue riflessioni e in particolare, in merito allo spazio da dare al proprio talento, penso che sia giusto farlo nella misura in cui non danneggi le nostre vite. Non le distrugga. I miei personaggi infatti restano in piedi, forse perché durante le loro azioni hanno sempre sentito d’avere la luce addosso. E trovano strade: un mestiere, un amore tardivo…In un racconto c’è anche il martirio delle cose, degli oggetti che si rompono, ma alla fine si tutto si ricompone attraverso una radio che s’aggiusta. C’è speranza.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 16:58 da Elisa Ruotolo


@Giusy:
…la scrittura è talento o esercizio? La tua domanda, cara Giusy, mi permette di riflettere su qualcosa cui non avevo mai pensato. Credo che molto dipenda da ciò che si ha da dire, dal bisogno che ti incalza (ma intendo un qualcosa di personale, che a conti fatti non avrebbe nemmeno bisogno di pubblico), credo sia importante trovare una voce e una poetica, e questo non può prescindere dell’esercizio. Lo dico pur dovendo ammettere che io non scrivo tutti i giorni. Non materialmente, perché non posso. Eppure la mia testa, i miei occhi sono come un giradischi in fase di registrazione. Come una gerla in cui accumulo quello che forse sarà recuperato e raccontato, appena avrò tempo. Questo è il mio esercizio quotidiano. A volte penso anche che si dovrebbe scrivere con tutta la forza, la speranza e la disperazione che si metterebbe in una storia, se fosse l’ultima. Domandarsi, se non avessi altra occasione di raccontare e altro tempo che questo, cosa farei? Scriverei questa storia? Se la risposta è si, credo si possa andare avanti.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 16:58 da Elisa Ruotolo


@Gaja.
Cara Gaja, è proprio così, credo tu abbia letto il libro con quegli occhi limpidi che ogni scrittore desidererebbe sulle proprie storie. E hai riassunto molto meglio di quanto riuscirei a fare io i temi dei tre racconti. Confesso che da quando parlo di ciò che ho scritto, lo faccio con la fatica e la titubanza di chi ritiene di non saperne abbastanza, comunque non molto di più di chi legge. La definizione “sartoria letteraria” mi piace molto e in effetti ho lavorato in questa maniera, come un artigiano alle prime armi, e per questo più accorto e scrupoloso. Attento al minimo errore. Volevo che il “vestito” calzasse senza difetti. Perfettamente. Almeno l’intenzione era quella.
Grazie Gaja.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 17:00 da Elisa Ruotolo


@Alina:
vale anche per te e Gaja l’ultimo rigo dei ringraziamenti. Ricordi? Non conosco la natura del mio cuore, ma gli dà calore sentirsi “chiamare” così.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 17:00 da Elisa Ruotolo


@Gabriella:
Cara Gabriella, il racconto è nato proprio dal nome “Molto Leggenda”, che – come spiego in una nota al testo – non ho pensato io ma mi è stato suggerito da un cortometraggio realizzato da un gruppo di giovani artisti napoletani. C’è qualcosa di tagliente in quel soprannome, perché cerca di definire un ragazzino che non ha ancora imparato la vita eppure si trova già inquadrato in un ruolo impegnativo. Caricato di responsabilità dal caso e dal padre. C’è forse anche dell’amarezza nello scarto tra il nome e il destino che lo accompagna. Forse più amarezza e condivisione che ironia: l’ironia in linea di massima produce distacco emotivo, io invece amo Molto Leggenda.
Inoltre, credo che chi ha talento abbia possibilità di emergere, anche se è triste parlare di possibilità.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 17:01 da Elisa Ruotolo


Nel condividere quanto letto sinora, ritengo in sintesi che il talento abbia bisogno di tre componenti: fortuna, autenticità e consapevolezza dello stesso. Mancando una di queste è probabile che il talento non viva quella “fioritura” in larga scala, ma che si fermi ragionevolmente alla vegetazione di un marciapiedi.
Questo detto mi viene tuttavia da pensare che il successo (inteso come esponente di quell’abilità riprodotta altrove con i medesimi risultati di un’origine ristretta) non debba avere la funzione sociale del termometro “misuravalenza”… Semmai un’utilità gliela si voglia riservare, essa risiede nell’impianto di possibilità, altrimenti detti vantaggi, che lo stesso porta con sé. Nulla di più, anche se molti direbbero: mica poco, no?
Altra questione su cui si potrebbe discutere per almeno duemila anni (fingendoci fedeli seguaci di un cristo tutto nostro): sopravvalutanti e sottovalutanti, sopravvalutati e sottovalutati. Chi sono i primi e in che maniera si può parlare di talento nei secondi? Nel lasciare a voi questa “croce sudata” , saluto con affetto l’amico Massimo che, come sempre, riesce ad animare con intelligenza il dibattito culturale italiano.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 17:54 da Vladimir Di Prima


Questo blog fornisce spesso l’occasione di conoscere autori e autrici nuovi di ottimo livello. Cara Elisa Ruotolo molto presto avro il piacere di ospitare il tuo libro nello scaffale destinato alle scrittrici italiche. Ti posizionerò tra la Agus e la Petrigani,e ti leggerò nottetempo. :) ciao a tutti

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 19:08 da Vale


Ooooops, la Petrignani.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 19:10 da Vale


Vorrei approfondire il discorso sulla scrittura. Chi è lo scrittore? O, più specificatamente, chi è il narratore? Un mio amico diceva sempre che scrivere è mestiere, lavoro di lima e di cucitura. Potrebbe anche essere. Ovviamente non si può intraprendere alcuna professione senza conoscere gli strumenti del mestiere, in questo caso la grammatica e la sintassi. Ma il narratore deve avere essenzialmente fantasia, storie dentro da tirar fuori e deve avere la capacità di saperle raccontare incantando il lettore (quindi con talento) e più sono originali e fantastiche, più emerge il talento di quel narratore. Non credo molto ai geni incompresi, a chi si sente bistrattato ingiustamenye. Gli editori hanno interesse a trovare buone cose da pubblicare, non servono le raccomandazioni e se uno scrive cose valide prima o poi viene fuori.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 19:15 da Salvo Zappulla


Carissima Elisa,
bella quella pietà per chi cerca di afferrare la pioggia. Bellissima l’inutilità del gesto e la sua apparente follia. Seguire quel filo teso sul vuoto che a volte è vivere.
La scrittura deve raccontare non solo la storia, ma anche quella che vorremmo fosse la storia, e che poi lasciamo a metà, o che non siamo pronti a misurare con i passi che avevamo immaginato, o che – chissà – non desideravamo. Che forse ci siamo solo imposti di sognare.
E, allora, afferrare gocce a caso che sgrondano dall’alto, dismettere ombrelli e pastrani, rubare lacrime e forse anche contarle, o credere che slavino quella parte di noi che – in fondo – non sa uscire allo scoperto, non è più inutile.Ma necessario come tutto ciò che non è detto, come tutto ciò che vive nascosto, segregato e indicibile: i mali dell’anima e i mali del sogno, il vero e i falso, la santità e la miseria.
Noi.
Impastati di incompiuto e forse bravi solo a volerci diversi, e poi di nuovo gli stessi, cara Elisa, come tu hai detto, come tu hai scritto, bagnati fino al collo e con qualche chicco d’acqua tra le dita.
Ti leggerò con felicità.
Simo

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 21:05 da simona lo iacono


Ringrazio tutti per i numerosi commenti pervenuti.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 21:26 da Massimo Maugeri


@ Elisa Ruotolo
Cara Elisa, consentimi di darti il benvenuto a Letteratitudine.
Hai dato ottime risposte e fornito ottimi spunti.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 21:27 da Massimo Maugeri


Ne approfitto, come sempre per salutare e ringraziare i nuovi intervenuti.
Un caro saluto, dunque, a: Enrico Gregori, Patrizia Debicke, Annalisa, Amelia Corsi…

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 21:27 da Massimo Maugeri


E ancora a: Giusy Vecchio, Ernesto De Sio, Gaja Cenciarelli, Alina Laruccia, Gabriella Malesi…

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 21:27 da Massimo Maugeri


Saluti e ringraziamenti anche al mio amico Vladimir Di Prima (ciao, Vladi) ed a Vale (che tu, nottetempo, possa sempre leggere… cara Vale)

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 21:28 da Massimo Maugeri


@ Salvo
Grazie per l’approfondimento sulla scrittura (e sullo scrittore). Oggi mi sembri particolarmente ottimista. ;)

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 21:28 da Massimo Maugeri


E grazie anche a Simo per il commento lirico e profondo.
Poetessa! :-)

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 21:29 da Massimo Maugeri


Mi piace evidenziare alcune frasi scritte da Elisa (in particolare quelle che contengono maggiori riferimenti letterari).
Per esempio questa: “In un racconto c’è anche il martirio delle cose, degli oggetti che si rompono, ma alla fine si tutto si ricompone attraverso una radio che s’aggiusta”.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 21:29 da Massimo Maugeri


Oppure quest’altra (sempre di Elisa Ruotolo): “A volte penso anche che si dovrebbe scrivere con tutta la forza, la speranza e la disperazione che si metterebbe in una storia, se fosse l’ultima. Domandarsi, se non avessi altra occasione di raccontare e altro tempo che questo, cosa farei? Scriverei questa storia? Se la risposta è sì, credo si possa andare avanti”.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 21:29 da Massimo Maugeri


Brava, Elisa. Le storie offerte dai tuoi racconti sono belle… ma come ho scritto sul post è importante dare il giusto risalto alla tua scrittura, che è davvero “matura e di qualità”.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 21:30 da Massimo Maugeri


@ Elisa Ruotolo
Una domanda: ti sei mai cimentata con la narrazione lunga (quella dei romanzi, intendo)? Pensi di farlo nel futuro o preferisci considerarti una scrittrice di racconti?

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 21:30 da Massimo Maugeri


@ Elisa (e a tutti)

“Rubare la pioggia” è più… tentare di afferrare l’aria (l’illusione), o fare un buco nell’acqua (l’effimero)?

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 21:31 da Massimo Maugeri


E’ un piacere scoprire questo blog, ed è altrettanto piacevole vedere in primo piano la copertina di un libro che sto leggendo e rileggendo. Lo dico subito: conosco Elisa da un paio d’anni. Una di quelle conoscenze inaspettate, nate quando meno te lo aspetti sul web, che hanno il potere di cancellare (magia della rete?!) quattrocento e passa km come se niente fosse. E penso a quanto è strana la vita, se persone che abbiamo incontrato per due ore (ricordi, a Bologna? E che pioggia, giusto per rimanere in tema) entrano nella tua vita per non uscirne più.
Elisa mi ha subito fatto, sin dall’inizio, l’impressione di una voce fuori dal coro. Qualcosa di completamente diverso da tutto quello cui siamo abituati, in ambito letterario e non. E’ la stessa impressione che mi danno i suoi racconti – non solo quelli di questa raccolta: che non sono “urlati”, ma si fanno sentire eccome. Con immagini che ti rimangono dentro -la scena finale de “Il bambino è tornato casa”, con lui che si sveglia e si gira nel letto al suono del telefono è di una tenerezza indicibile. Sono qualcosa di vivo, ecco. E di reale. Non seguono mode, linguaggi, non sono costruiti. E io penso che così dovrebbe essere un racconto, un romanzo. Qualcosa di vivo. Mi è piaciuto il linguaggio, semplice e complesso allo stesso tempo, così strettamente legato ai luoghi in cui si svolge l’azione e però non estraneo a chi, con quei luoghi non ha mai avuto a che farci. Mi è piaciuta la descrizione degli ambienti – quel campo da calcio sgarruppato pare quasi di vederlo. E Mi sono piaciuti i personaggi, che mescolano buono e cattivo come tutte le persone vere (anche se all’io narrante dell’ultimo racconto, a un certo punto una bella tirata d’orecchi gliel’avrei appioppata). A questo punto, vorrei che la prossima raccolta fosse un poco più corposa, perchè questa ormai l’ho imparato a memoria…e vorrei chiedere a Elisa qual è il personaggio che sente più vicino. La domanda è banalotta, ma posto che quando si scrive, consapevoli o no si versa sempre una sostanziosa parte di noi sulla pagina, vorrei sapere quanta Elisa c’è in Cesare, Maria, Molto Leggenda ecc. ecc.
Grazie
Ste

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 21:40 da Ste


Grazie mille per il tuo commento, caro Ste.
Ti dò il benvenuto a Letteratitudine.
Spero che tu ti possa trovare bene, qui… e che possa restare…

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 21:50 da Massimo Maugeri


Prima di salutarvi vi ripropongo le domande ispirate da “Molto Leggenda”… ringraziando anticipatamente chi vorrà cimentarsi nelle risposte.
-
Cosa accade (o rischia di accadere) quando ci si affida a un talento sopravvalutato?
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Fino a che punto è giusto dare spazio al proprio talento? C’è un limite entro cui è meglio fermarsi da soli, o bisogna sempre attendere che siano la vita e gli eventi a sbarrare la strada?
-
La forza di volontà, può migliorare il talento… o può soltanto supportarlo?
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Ed è più grande la delusione dell’insuccesso, o il rammarico di non averci provato?

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 21:51 da Massimo Maugeri


Prima di tutto gli auguri più cari al libro di Elisa!
Leggendo le domande di Massimo,e qualche commento, pensavo al talento a definirlo dentro di me ad averne ben chiara la connotazione. Non mi è per niente chiara,nel senso che secondo me il talento è qualcosa di inafferabile,indecifrabile,imprevedibile e inclassificabile secondo criteri oggettivi.Perciò mi sono venute di seguito le risposte:non esiste un talento sopravvalutato,esiste un talento o non esiste.Dunque non credo che si possano fare grandi danni nel tentare di dare spazio al talento,nè limiti, è giusto e sano che si provi a viverlo se si sente l’urgenza di esprimere qualcosa.Chi e perchè dovrebbe porre limiti alla realizzazione di sè?Esiste forse un metro del talento?No, fermarsi mai,non prima di vivere,e se la strada fosse sbarrata,magari bisogna solo cambiare direzione,la vita di per sè non può chiudere le opportunità,il desiderio di realizzare i sogni,di scoprire qualcosa che non si credeva di avere, di mettersi alla prova.Cosa sarebbe di noi se partissimo già considerando dei limiti? La paura di non arrivare ad una meta spesso tristemente ci impedisce del godere del cammino stesso, perciò vengo all’ultima domanda:sempre più forte e distruttivo rodersi dentro nel rammarico di non averci provato.Siamo impastati di insuccessi ed errori che non fanno altro che farci crescere, almeno è il mio modestissimo parere.Coltivare il dubbio di chi siamo e dove arriveremo è il motore della nostra anima e il soffio vitale che ci impedisce di morire dentro.
Dimenticavo…la volontà è tutto,può migliorare il talento,può supportarlo,ma può anche farci accettare serenamente che esso non ci sia e che forse è da un’altra parte che dobbiamo guardare.Magari al cielo,alla pioggia che può dissetarci,purificarci,o semplicemente farci sentire vivi.
Cara Elisa,leggerò con interesse il tuo libro,la casa editrice Nottetempo la adoro,pensando al titolo, mi è venuta in mente-non so perchè- La pioggia nel pineto di D’Annunzio.
L’acqua per te che significato ha?
un caro saluto

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 22:14 da francesca giulia marone


@Salvo:
Caro Salvo, io da piccola, quando ancora non sapevo leggere, pensavo allo “scrittore” come a qualcuno che conosce risposte cui altri non hanno accesso. Pensavo che da grande avrei scritto e mi sarei salvata, perché avrei saputo. Non era così: chi scrive ha qualche conto in sospeso, qualcosa di vulnerabile. Ha più domande inevase. Chi è il narratore? Forse aveva ragione Balzac quando scriveva che dovrebbe essere un genio e insieme un “mostro” di erudizione? Forse, visto che anni fa è stato pubblicato il romanzo di un analfabeta. E’ un individuo capace di prodigi fantastici? Anche, ma ci sono libri preziosi in cui la fantasia dell’autore ha un ruolo relativo, forse perché la realtà l’ha superata (penso a Primo Levi). Ogni prospettiva che si rispetti non può che essere opinabile. Io credo molto nella voce e nell’occhio, nella capacità di ricavare il narrabile anche dalla banalità smettendo di farla essere tale. Mi piace chi riesce a raccontare i suoi luoghi trovando in essi le bellezze remote di Macondo e chi frantuma la sua esistenza nelle mille vite dei suoi personaggi, rendendola irriconoscibile, nascondendola come si fa con le cose preziose. E poi mi piace chi scompare da ciò che scrive e se ne tira fuori per alleggerire il mondo. Riguardo il valore misconosciuto posso notare che ci sono stati autori incompresi, sì è accaduto. Le epoche sono soggette a gusti prevalenti e dominanti che non tutti i libri riescono a intercettare, ma credo anche nel potere della bellezza. Che magari lentamente o in sordina riesce a farsi strada.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 22:29 da Elisa Ruotolo


@Vale:
grazie, non potresti darmi collocazione migliore. :-)

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 22:30 da Elisa Ruotolo


@Massimo:
grazie per il benvenuto. Le domande che il libro sottende sono tante e pesanti e mi piacerebbe avere risposte chiare, univoche. Ma l’unica risposta che ho per ora – complice la stanchezza della giornata? – è all’ultima.
Il rammarico è la cosa più pesante che esista. Meglio provare e fallire. Fermarsi prima non porta a nulla e questo libro ne è un esempio. Se Elisa avesse tenuto i suoi racconti chiusi in un cassetto,fermata dalla paura di un rifiuto, oggi non saremmo qui a parlarne. E un’occasione sarebbe andata persa.

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 22:40 da Ste


Carissima Sig.ra Elisa,
che meraviglia la sua fede nella bellezza!E soprattutto nella bellezza che sa farsi strada da sè, che si propone, si offre. Si rivela.
E’ un concetto che, applicato alla letteratura, schiude davvero il cuore a una nuova concezione. A una rivoluzione e a un ribaltamento dei valori odierni.
Mi perdoni una delle mie solite riflessioni lessicali da vecchio professore in pensione (che il caro Dottor Maugeri conosce bene e mi concede con troppa indulgenza, mia cara Elisa).
Bellezza trova infatti la sua origine dalla radice BAL, che esprime l’esperienza di ciò che balza fuori dall’ombra ed appare; è
per antonomasia il “simbolo” che integra l’ombra, ciò che non è manifesto, con la forma rappresentativa; il bello è – letteralmente – una manifestazione dell’ombra, un fermento
vitale avvinto in sé, che si intuisce soltanto nella forma rappresentativa.
Segno che va svelata. Detta. Inseguita….Divulgata.
Un affettuoso abbraccio e vivissimi complimenti,
il sempre vostro
professor Emilio

Postato giovedì, 10 giugno 2010 alle 22:53 da Emilio


Simona supportata da Elisa, Elisa supportata da Simona, entrambe esordiscono sul post con la parabola di Gesù sui talenti. Posso aggiungere, per rafforzare il principio, quella del seminatore? Intendo dire che un talento per progradire necessita di un buon terreno e d’essere curato.
Vi racconto in breve la mia esperienza. Ho iniziato a dipingere a 11 anni, grazie ad un insegnante che in seconda media mi faceva riprodurre Cezanne: il mio primo olio fu “Alba”, avevo 12 anni, un magnifico sole che nasce sul mare nelle prime ore del mattino ripreso dal vero. A quell’epoca il liceo artistico era noto come droga sesso e rock and roll, mio padre mi spedì al classico e addio pittura.
Dopo 15 anni, impiegata all’Eni, decido di lasciare il mio posto sicuro e ricominciare a dipingere: l’errore, amiche mie, credetemi, non è stato credere troppo nel mio talento artistico o la rinuncia a duemilacinquecento euro sicuri mensili, ma la mancanza di saggezza nella via di mezzo, ovvero il non aver progettato un percorso che potesse garantirmi il proseguimento del dipingere e la concretezza della mia vita, un passaggio di buon senso che potesse inserirmi nuovamente nel quotidiano. L’essermi avventurata a capofitto nella tela e nei pennelli, a parte i dispiaceri all’interno della mia famiglia che non ha mai sostanzialmente accettato questa scelta, è stata ingenuità e capabietà da parte mia e, forse, con queste mie parole ho risposto a tutte le domande di Massimo, la sopravvalutazione del proprio talento, gli eventi che sbarrano la strada,la forza di volontà, il rammarico, l’ostinazione.
Come ci ha ricordato il prof. Emilio “la bellezza” e la sua divulgazione è un’esigenza prepotente dello spirito, ma attento professore, la buona semina non si deve lasciare soffocare dalle spine, altrimenti ogni buon principio rimane PURA DEMAGOGIA.
Saluti
Ciao

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 00:05 da Rossella


Caro Massimo,
tengo a dire che sono molto felice di essere qui, c’è un qualcosa di familiare in questo blog: come entrare in una stanza che non conosci e scoprirsi a casa. Grazie poi per ciò che dici riguardo la mia scrittura, forse non riesco a trovare le parole adatte, ma spero che la gratitudine arrivi.
Per rispondere alla tua prima domanda (se abbia mai tentato la forma lunga del romanzo) devo rispondere sì, ci ho provato, ma si trattava di manovre immature che se avevano un senso credo fosse tutto lì, nell’affilare gli “strumenti del mestiere”. Io amo molto i racconti, forse perché ho sempre avuto bisogno di ascoltare storie e l’idea di trovarne diverse in un libro mi è sempre sembrato un affare. Il desiderio del respiro più ampio però resta, e da poco ho cominciato a riconsiderare una possibile storia lunga. Sarà come esordire da capo…

Rubare la pioggia, poi, significa assecondare un’illusione mediante un gesto senza ricambio. La tentazione è forte: quella di potersi dichiarare diversi da ciò che si è, dalla proprie pochezze. In un libro che ho finito di leggere poco fa uno dei protagonisti a un certo punto dice: “il mio cuore batteva d’ira per il fatto di non essere speciale come avrei meritato”. Il cuore di Molto Leggenda non è sfrenato dall’ira, ma forse c’è stato un tempo in cui ha creduto di meritare di più. In nome di quel momento e di quella sincerità gli si può perdonare anche un gesto inutile. Perché in buona fede.

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 00:14 da Elisa Ruotolo


@ Francesca Giulia:
l’acqua, la pioggia sono importanti in questo libro (e per me più in generale), perché sono associabili a una immagine carica di senso e linguisticamente riconducibile ai luoghi delle mie storie. In questo caso mi aiutano a raccontare, in maniera quasi fulminea, come si possa tentare l’inutile credendo di azzardare. Del resto la lingua che ho cercato di utilizzare e reinventare sovrapponendo all’italiano, in maniera del tutto non calcolata, una sintassi dialettale procede in questo modo: fa uso di immagini per raccontarsi meglio, per “dare” le cose anziché semplicemente dirle…
Grazie per la lettura, Francesca Giulia, e per la stima verso il mio editore.

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 00:15 da Elisa Ruotolo


@Ste:
Cara Ste,
ricordo ogni cosa…eppure stasera mi prendi in contropiede coi ricordi. Credo tu abbia intuito dove sono io nei racconti e in quali personaggi: sono Maria che ha qualcosa che le manca; sono Cesare, con le sue difficoltà di parole e d’amore; e più di tutti sono Molto Leggenda perché con quel titolo (Io sono Molto Leggenda) è impossibile negare. Se è vero quello che diceva Carver, che l’autobiografia è la storia dei poveri, devo riconoscere che le mie storie hanno un fondo di povertà, perché ho attinto a una memoria personale e quindi non infinita. Il miracolo però è accaduto ugualmente, quello di diventare di volta in volta altro da me: una donna anziana, un uomo silenzioso da far paura, e un ragazzino con un talento senza nome…
Mi dicevano che scrivendo sarei vissuta a metà e invece scopro di farlo al doppio, al triplo.

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 00:15 da Elisa Ruotolo


@Simona:
grazie infinite, anch’io ho trovato il tuo post molto poetico.

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 00:16 da Elisa Ruotolo


@Massimo e a tutti:
Buona notte a voi e a risentirci domani.

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 00:18 da Elisa Ruotolo


- Elisa Ruotolo,
“Ho rubato la pioggia” è un titolo che mi ha colpito di botto, anzitutto perché amo e invoco spesso la pioggia, poi perché la pioggia a mio avviso simboleggia la vita al pari del sole e – soprattutto – la fecondità. Senza pioggia non c’è corpo o pianta che cresca o si riproduca. Senza pioggia il talento non germoglia, non può germogliare.
E’ così? o sono incappato in una simbologia confusa. Confusa quanto la vita, a detta di Pessoa.
- Massimo,
fino a che punto è giusto dare spazio al proprio talento?
Il talento si forgia, per me, su un impulso, una vocazione e un’attesa. Impulso a manifestare le proprie capacità, le proprie doti innate, le proprie inclinazioni, mettendole al servizio degli altri, del prossimo… sì, in sintonia con la parabola evangelica, stando alla tradizione.
Vocazione come desiderio di manifestare o testimoniare i propri impulsi, esorcizzando quel senso di vuoto o quella sorta di tradimento verso se stessi che si avverte quando un desiderio o una vocazione vengono repressi.
Attesa di vedere i frutti, cioè di verificare se il sogno si sia o no concretizzato, dato che ciascuno di noi ha un sogno connaturato a un talento, a una vocazione.
C’è un limite entro cui è meglio fermarsi da soli?
La persona dotata di un talento genuino, naturale, non artefatto o costruito, nel momento in cui percepisce di non aver più risorse, di aver insomma esaurito il talento, si ferma, si ritira, e cerca altri impulsi, altre vocazioni e attese su cui proiettare o progettare il futuro, pena la delusione se non la disperazione più tetra.
E’ più grande la delusione dell’insuccesso, o il rammarico di non averci provato?
Il rammarico di non averci provato è un tormento che corrode l’anima fino a distruggerla irrimediabilmente, mentre la delusione dell’insuccesso è a volte (ma non sempre: la volontà gioca un ruolo essenziale) foriera di nuovi impulsi, nuove attese. Appunto.
Un forte “in bocca al lupo” alla convincente Elisa e al suo “vizio” di rubare la pioggia. Cordialmente.

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 04:39 da Ausilio Bertoli


Desidero ringraziare Massimo Maugeri e letterattitudine per avermi fatto conoscere un’altra scrittrice vera : Elisa Ruotolo.
Non ho letto il libro, ma ho letto i suoi post. E questo, per il momento, mi basta per ringraziare.

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 10:02 da Marco Vinci


Naturalmente comprerò pure il libro, e lo leggerò con piacere.

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 10:02 da Marco Vinci


Cosa accade (o rischia di accadere) quando ci si affida a un talento sopravvalutato?
Il rischio principale è rimanere vittima dell’illusione

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 10:03 da Marco Vinci


Fino a che punto è giusto dare spazio al proprio talento? C’è un limite entro cui è meglio fermarsi da soli, o bisogna sempre attendere che siano la vita e gli eventi a sbarrare la strada?
Secondo me è importante trovare un equilibrio tra il proprio talento e la gestione dello stesso. Lo dico in generale. E’ anche questione di intelligenza. Intelligenza e talento non venno sempre nella stessa direzione.

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 10:07 da Marco Vinci


La forza di volontà, può migliorare il talento… o può soltanto supportarlo?
La forza di volontà può colmare il gap tra l’insufficienza del talento e il raggiungimento dell’obiettivo.

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 10:08 da Marco Vinci


Ed è più grande la delusione dell’insuccesso, o il rammarico di non averci provato?
La delusione dell’insuccesso dura pochi istanti, il rammarico di non averci provato può durare tutta una vita.

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 10:09 da Marco Vinci


Caro Massimo,
In una società in cui ogni persona è costretta ad inventarsi la vita e tutti i giorni improvvisarsi un mestiere per sopravvivere, una società in cui tanti si sentono investiti di talento e carismi, il tema che proponi penso che faccia veramente riflettere però le domande che mi pongo sono:”cosa è il talento?”
Il talento per essere tale va sempre insieme con il successo?
Mi piace il racconto”Molto leggenda”di Elisa Ruotolo perchè evoca l’idea che soltanto quando un talento diventa leggenda è veramente talento poichè la leggenda esprime consenso ossia riconoscimento anche se leggenda può diventare la storia di qualcuno che si credeva o credevano un talento.
Un talento l’abbiamo tutti ma non tutti riconosciamo di averlo,(Parabola dei talenti come già è stato detto)Invece è’ importante capire qual è il proprio talento perchè esso è un centro di gravità attorno a cui ruotano, a volte, anche incosciamente, i progetti, le idee e l’agire dell’umano vivere. Quindi chiamo talento quella partiolare versatilià che ciascuno di noi ha nel pensare/fare per distinguerlo dal dono dell’originalità con cui il talento diventa genialità, o meglio genio ed entra a pieno titolo nella leggenda.
Ma se su tutto questo non soffia la “bellezza”( non so se il mio concetto di bellezza coincida con quello di Elisa) è tutto tempo perso, è un “Rubare la pioggia”.
Grazie Massimo per la possibilità che mi dai di entrare nel tuo studio/lboratorio e tenere in allenamento il mio cervello. Sono una personna a cavallo di almeno tre generazioni. Sono partita dalla seconda guerra mondiale ed ho viaggiato per la contestazione per poi giungere alla post-modernità cercando di essere sempre presente…soprattutto a me stessa.

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 12:13 da mela mondì


Cara Mela Mondì,
ho molta fretta ma voglio scriverti cosa penso del Talento.
Picasso fu diverso da Modigliani, il quale si distinse da Klee che non dipinse come Mondrian. Un quadro di Raffaello non è un quadro di Botticelli, possiamo andare avanti all’infinito, l’unicità del pittore è nella memoria universale.
Ciao

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 12:55 da Rossella


saper gestire il proprio talento con modestia, evitando di sopravvalutarlo, è il più grande dei talenti.

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 13:36 da luigi


perdonate la massima e tanti auguri a Elisa Ruotolo per il suo futuro di scrittrice. :)

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 13:37 da luigi


@Elisa, mi affascina il suo gesto senza ricambio. E’ il filo conduttore delle tre storie? E poi… può, col consenso del suo editore, farci leggere qualche brano?

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 17:42 da gioia


Cara Sig.ra Elisa
mi associo alla richiesta di Gioia e le chiedo inoltre di narrarci da quale suggestione sono nati i tre protagonisti di questi racconti. Ci parli di loro, ce li faccia toccare, respirare. Ce li faccia sentire come carne tra noi che li evochiamo dalla carta.
Ce li presenti sig. ra Elisa: Molto leggenda, le due sorelle, il ragazzino di “guardami”. Chi sono? Come sono approdati al suo cuore?
Un abbraccio di profonda stima e simpatia dal suo curioso
Professor Emilio

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 17:48 da Emilio


“Mi dicevano che scrivendo sarei vissuta a metà e invece scopro di farlo al doppio, al triplo.” Così dice la Ruotolo in uno dei suoi interventi.
Forse è proprio qui la ricchezza della letteratura. Vale per gli scrittori, ma anche per i lettori.
“La delusione dell’insuccesso dura pochi istanti, il rammarico di non averci provato può durare tutta una vita.” Questo lo scrive Marco Vinci in un altro intervento, in risposta a quella che mi pare la più bella tra le domande di Massimo. E lo sottoscrivo anche io.
“Ho rubato la pioggia” è un titolo molto intrigante (la spiegazione di Elisa riguardo a ciò che intende (“assecondare un’illusione mediante un gesto senza ricambio”) affascinante; il libro, anche dai commenti qui, mi pare molto interessante; il filo che unisce i tre racconti, così come spiegato dall’autrice, un ottimo spunto.
Le premesse ci sono tutte, e mi riprometto di leggerlo.
Molti auguri a Elisa

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 18:30 da Carlo S.


@Ausilio, Marco, Mela, Luigi, Rossella:

Rieccoci. Un saluto a tutti voi e a Massimo.

Grazie a quanti hanno scritto sul blog, accogliendomi con generosità pur senza conoscermi, e perdonate la latitanza di questa giornata…
Ho letto con interesse le vostre considerazioni: quella di Ausilio Bertoli, che mi dà modo di riflettere sul valore fecondativo della pioggia, cui non avevo pensato ma che sento di condividere; quella di Marco Vinci che ha espresso un’opinione che credo mi sia rimasta tra le dita, senza trovare la via delle parole, ma tu, Marco, l’hai formulata benissimo: la necessità dell’equilibrio. Se qualcuno mi chiedesse quale virtù io ritenga necessaria perché le nostre vite vadano avanti nel migliore dei modi possibili, senza esitazione farei cenno all’equilibrio. Che è facile perdere e difficile da raggiungere. E’ prezioso sempre e comunque, anche per gestire un sogno che si realizza e un talento che diventa gloria, leggenda. Poi, come giustamente sottolinea Mela Mondì, è fondamentale dare un volto al proprio talento, capirne la natura…e mi piace anche pensare al talento come a qualcosa di fattivo, che preferisce l’azione pentita, al suo aborto capace di sfregiarti la vita col taglio dell’insoddisfazione. E poi sì, Luigi, altro valore è dimenticarsi del sé, che è l’unica definizione che so dare della modestia.
Ieri, prima di dormire ho letto il tuo post, Rossella, che mi ha molto colpito: devo dire che la tua esperienza ha risposto alle domande in una maniera che disarma. Capisco il dolore, l’amarezza dell’essere causa di dispiaceri familiari, eppure se la tua storia fosse stata un racconto io l’avrei spinta avanti come hai fatto tu. So che è una consolazione senza peso, ma io credo che – al di là dell’opportunità di giudizio di cui parli e dell’equilibrio cui accennava Marco – sia più sopportabile il pentimento dell’aver fatto, piuttosto che il rammarico del contrario. Oggi saresti una persona diversa: probabilmente avresti comunque scritto su questo blog, ma il tuo intervento sarebbe stato il verso lagnoso di una persona che ha visto passare un treno e non si è mossa dalla piattaforma di cemento; non avresti lo sguardo lucido che ho trovato nelle tue parole; non saresti la persona coraggiosa con cui credo di parlare. Cosa avresti voluto essere, allora, Rossella?

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 23:27 da Elisa Ruotolo


@ Gioia:
Cara Gioia, sì: il gesto senza ricambio di cui parlavo è uno dei fili conduttori delle mie storie. La mano che si tende e afferra, ma ritorna indietro senza stringere. C’era una cosa che però desideravo: provare a rendere importanti queste vite che sono apparentemente comuni, quotidiane. E le potresti incontrare al supermercato o in autobus, in fila dal medico o per strada in uno degli orari più inutili e persi d’una giornata. Se dovessi ragionare in termini scientifici, credo che in tutti questi anni io non abbia fatto altro che tenere in incubazione una sindrome: quella del Re Mida. Ricordi? Il sovrano sfortunato che mutava in oro tutto ciò su cui poggiava la mano. Ecco, mi piacerebbe trovare sempre nelle storie la piega giusta, la frase giusta. Vorrei poter trovare finestre da aprire per fare aria e luce nei fondi delle stanze. E rendere abitabili quelle vite per cui non si spenderebbe un centesimo. Io cerco questa bellezza.

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 23:28 da Elisa Ruotolo


@Gioia e il prof. Emilio:
provo a inserire un link in cui il mio editore ha concesso una piccola anteprima dei miei racconti:

http://www.affaritaliani.it/culturaspettacoli/nottetempo_elisa_ruotolo210410.html

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 23:28 da Elisa Ruotolo


@ Prof. Emilio:
Caro Emilio,
i miei personaggi non hanno origini “nobili”. Quando si parla di questo argomento si cade spesso nell’errore pirandelliano: si vede l’autore comodamente seduto in poltrona, con addosso qualcosa di comodo e magari un camino acceso. Un autore compassato, riflessivo e schivo nella misura in cui dovrebbe essere per risultare credibile. E i personaggi in processione ad assediarlo in una richiesta di racconto. Spesso si pensa questo. A me – che sono ancora lontana dal sentirmi scrittrice – accade qualcosa di diverso. Accantono spesso la comodità, i personaggi smarriscono il mio indirizzo (se fossi uno scrittore importante ciò non accadrebbe?), allora non mi resta altro che andare a cercarmeli nella via. Molto Leggenda, Cesare, Maria sono arrivati a me in questo modo. Li ho cercati, li ho cercati a lungo, e alla fine li ho trovati per portarli a casa.
Molto Leggenda è un ragazzino schiacciato due volte: dal caso e dal padre, ma alla fine trova il suo posto e in esso riesce a vivere con grazia, senza acrimonia.
Maria è una donna che vive la tragedia di un figlio che scompare senza lasciare traccia, e attraverso lei ho cercato di capire se c’è un tempo oltre il quale si smette di aspettare e si riprende a vivere da capo. Se una persona ce la può fare. Se può avvenire nonostante la vita sembri arrivata alla sera.
Il ragazzino di “Guardami” è messo alla prova da due sentimenti: l’amore e la pietà, ma sceglie la seconda e agisce in una direzione che lo segnerà per sempre.
Ecco chi sono i miei personaggi, e non so se ho dato loro abbastanza vita come loro hanno fatto con me.

Un caro saluto.

Postato venerdì, 11 giugno 2010 alle 23:31 da Elisa Ruotolo


Cara Elisa Ruotolo, che sei una brava scrittrice si vede già da quello che scrivi nei post. Ordinerò il tuo libro online.

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 02:00 da Ludovica Ametrano


Ciao cara Rossella sono d’accordo con te circa il valore dell’unicità del talento che io definisco genialità. Secondo me genio vuol dire che uno e soltanto uno ha avuto quella idea e l’ha saputa porre in essere. Da quel momento il suo “prodotto” assume il carattere di universalità e diventa anche modello, ovvero scuola. Ho capito bene?
Cara Elisa, intanto mi congratulo per la tua opera, ma leggendo i tuoi post mi sono convinta che possiedi l’entusiasmo di coloro che credono in quel che “fanno” e questa penso sia la chiave per accedere al mondo della scrittura e (e non solo)verificare con prova dietro prova il proprio talento. Sono certa che la tenacia della persona che crede in quel che fa ti porterà lontano, ossia protagonista tra coloro che si impegnano nel contribuire al cambiamento. Ammirazione ed Auguri

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 05:41 da mela mondì


Buona giornata a tutti e grazie per i nuovi commenti.

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 10:45 da Massimo Maugeri


Intatnto ringrazio subito Elisa per il link ad Affari Italiani (a un brano tratto dal libro) e per i suoi interventi… dai quali, secondo me, (lo dico ancora una volta) si evince il suo talento di narratrice.

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 10:46 da Massimo Maugeri


Ne approfitto per salutare Francesca Giulia (bello il riferimento a “La pioggia nel pineto” di D’Annunzio).

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 10:48 da Massimo Maugeri


Ringrazio anche il prof. Emilio che ci delizia sempre con i suoi commenti dotti ed empatici.
Grazie, caro Prof.
Viva la bellezza.

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 10:49 da Massimo Maugeri


@ Rossella
Cara Rossella, grazie per averci raccontato questo ulteriore aneddoto della tua vita (che peraltro ci consente di conoscerci ancora meglio).
Quello che tu dici mi pare molto importante.
E mi verrebbe pure in mente un’ulteriore domanda…
Può essere utile, in alcuni casi, far sviluppare il proprio talento entro “spazi precisi e delimitati” al fine di preservarlo?

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 10:53 da Massimo Maugeri


Grazie anche all’amico Ausilio Bertoli.
Ausilio, non so se leggerari questo mio commento… ma desideravo chiederti: la pioggia, che tipo di “valenza” ha, dal punto di vista psicologico? come agisce nell’immaginario? cosa simboleggia?
-
Mi rivolgo, soprattutto, all’Ausilio Bertoli terapeuta.

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 10:55 da Massimo Maugeri


@ Marco Vinci
Bella questa tua frase: “La delusione dell’insuccesso dura pochi istanti, il rammarico di non averci provato può durare tutta una vita.
Grazie mille.

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 10:56 da Massimo Maugeri


@ Mela Mondì
Cara Mela, sono io che ringrazio te per la tua partecipazione.
Questi nostri scambi sono sempre occasione di stimolo e di crescita anche per me.
Grazie.

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 10:57 da Massimo Maugeri


Un saluto e un ringraziamento anche a Luigi e alla cara Gioia.

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 10:58 da Massimo Maugeri


Saluto anche l’amico Carlo S. e Ludovica Ametrano.

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 10:59 da Massimo Maugeri


Rimetto ancora una volta in evidenza le domande del post…
-
Cosa accade (o rischia di accadere) quando ci si affida a un talento sopravvalutato?
-
Fino a che punto è giusto dare spazio al proprio talento? C’è un limite entro cui è meglio fermarsi da soli, o bisogna sempre attendere che siano la vita e gli eventi a sbarrare la strada?
-
La forza di volontà, può migliorare il talento… o può soltanto supportarlo?
-
Ed è più grande la delusione dell’insuccesso, o il rammarico di non averci provato?

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 11:00 da Massimo Maugeri


Auguro a Elisa Ruotolo e a tutti voi un buon sabato sera e una splendida domenica.

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 11:01 da Massimo Maugeri


Gran bella discussione, caro Massimo.
Personalmente sono convinto che ogni individuo, in generale, abbia il dovere di valutare se stesso, i propri difetti e i propri talenti, il più a fondo possibile. In questo modo diventa più facile riuscire a gestire la propria vita assecondando quelle propensioni naturali che tutti abbiamo. Le domande poste restano estremamente interessanti anche se ognuno di noi può dare, a mio avviso, una risposta che è valida solo per se stessi.
un caro saluto
blogolonelbuio

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 13:38 da blogolonelbuio


prima di tutto tantissimi auguri ad Elisa.
leggerò il libro per due motivi, il primo è che trovo gli argomenti attuali e interessanti, il secondo perché mi piace come si pone l’Autrice.
il successo secondo me non è sempre supportato dal talento.
e chi ha talento può fare anche a meno del successo, perché di solito chi è così scrive per il piacere di farlo.
se poi vengono i riconoscimenti, tanto di guadagnato, ma la persona non cambia.
non sono mai dalla parte di chi sgomita per il successo.
ma mi farebbe piacere se arrivasse, per me e per gli altri.

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 13:44 da cristina bove


quando per esempio un talento viene sopravvalutato, per restare nel regno della letteratitudine, significa che ad un’opera così così, sopravvalutata, appunto, seguiranno delle robette stancuzze che getteranno nell’imbarazzo gli estimatori entusiasti dell’operetta prima, che cercheranno, chi di continuare a promuovere, chi di defilarsi, chi di scappare all’inglese di fronte a quella parte di responsabilità che hanno i sopravvalutatori nel creare il mostro di bravura.
il talento è cosa che la volontà e la disciplina faranno fiorire immancabilmente, mentre il confidare nel talento soltanto produce un ammosciamento intristente. avere pregi non significa avere talento.
per scrivere bene ci vogliono disciplina e pregi svariati in questo campo: ma il talento è altra cosa e non è il successo – sempre – a stabilirne l’esistenza, oggi molto meno che in passato. poi c’è la sfiga, nella scrittura come in altre discipline, di avere talento e non possedere la tecnica: quello che volgarmente chiamiamo genio incompreso. la sfiga per i lettori è invece imbattersi in individui non talentuosi, non tecnicamente pregevoli, pompatissimi e che pretendono riconoscimento automatico dai lettori. io sono una lettrice di nicchia, nel senso che nicchio parecchio a riconoscere come talentuoso chi non lo è, anche se molti gridano al miracolo: salvo poi pentirsene e defilarsi non ammettendo l’abbaglio. gli facciamo male ai talentuosi e ai non: e questi, causa giudizi smielati, sono destinati a divenire taluntuosi.

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 14:04 da lucy


Mi interessano soprattutto le ultime due domande.
Per quanto riguardo la prima, oltre all’adagio latino “Volle est posse”, mi piace anche citare Spinoza: “Voluntas et potestas una ac eadem sunt”.

Ciò premesso, veniamo alla seconda domanda, che ne discende consequenzialmente. Credo che bisognerebbe dare ad ognuno, onestamente, la possibilità di provarci. Sta poi a noi riuscire o meno a prendere i treni giusti. E, altrettanto onestamente, lasciar perdere, se ed una volta capito che stiamo facendo più danni che altro…

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 14:44 da Giuseppe Della Monica


il bello di questa disscussione è leggere tanti punti di vista diversi, e poi pensarci sopra e domandarsi : cosa penso io?
ecco, io sono ancora nella fase di riflessione :)

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 15:03 da roberta magri


mi ero dimenticata di fare gli auguri a Elisa Ruotolo per questo libro e per il suo futuro di scrittrice.
Il tuo approccio, Elisa, mi è sembrato umile. e secondo me l’umiltà è il più grande dei pregi. e le cose che hai scritto mi piacciono molto. ciao a tutti.

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 15:05 da roberta magri


Caro Massimo,
eccomi, nonostante sia in procinto di partire.
Permettimi anzitutto di associarmi al giudizio di coloro (tutti) che hanno elogiato Elisa Ruotolo per il suo talento letterario e le sue capacità introspettive, davvero notevoli.
Riguardo alla pioggia, ti propongo (e propongo ai lettori) di pensare un attimo a come il corpo e l’inconscio reagiscono prima che si manifesti con lampi e tuoni o anche solo pacificamente, dolcemente, come accarezzando cose e creature.
C’è chi ha paura dei tuoni e chi no, anzi si eccita e si entusiasma al loro fragore. Ciò dipende dalle esperienze vissute, specie nell’infanzia.
Ma la pioggia rappresenta essenzialmente, in ciascuno di noi, il desiderio se non la necessità di rigenerarsi, di purificarsi, e quando la vediamo, la sentiamo cadere o scivolare sulla nostra pelle o – per le persone non più giovani – sull’ombrello, in campagna o immersi nella natura (non in mezzo al cemento) proviamo un ventaglio di emozioni che ci trasformano, che appunto ci rigenerano. Rigenerano sia il corpo sia l’anima.
D’altra parte, la vita scaturisce e ha bisogno dell’acqua, ovvero della pioggia, portatrice di acqua.
Un saluto caloroso.

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 16:03 da Ausilio Bertoli


Complimenti Elisa (Ruotolo)

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 16:21 da farinata


Ho una certa diffidenza verso la parola talento, una diffidenza maturata negli anni e metabolizzata attraverso l’esperienza dell’insegnamento. Raramente infatti mi sono imbattuta in un talento piuttosto in ragazzi di spiccata attitudine, direi di sentimento particolare verso un’attività o una disciplina. Mi è successo di aiutare i ragazzi ad acquisire consapevolezza delle proprie potenzialità, a comprendere come svilupparle. Credo quindi che non esista nulla d’innato che non vada coltivato, assecondato con l’esercizio, lo studio, la tenacia e anche una buona dose di caparbietà. L’averci creduto e provato è già di per sè un tale successo che non può conoscere amarezza anche quando il podio non è quello sperato.

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 17:30 da Vincenza Alfano


Caro Massimo e cari tutti,
grazie ancora per ciò che avete scritto di me e per gli auguri e i complimenti, che ho trovato sempre sinceri: questo è bello. E’ una cosa che dà famiglia: riconfermo l’impressione di sentirmi a casa quando torno qui ad ascoltare e a parlarvi…
Cercherò di rispondere alla domanda che ci proponi, Massimo:

Può essere utile, in alcuni casi, far sviluppare il proprio talento entro “spazi precisi e delimitati” al fine di preservarlo?

Credo di sì, e forse non c’è altro verso che delimitare gli spazi. Può darsi che rientri in un principio della fisica: insomma, se gravo con un peso su di un piano, aumentando lo spazio di incidenza, in automatico la pressione si riduce perché distribuita su una superficie più estesa. Se riduco il campo di incidenza deve necessariamente accadere il contrario: il peso aumenta lì dove si concentra, si raccoglie. Forse succede così anche col talento: e per aumentarne il peso, l’intensità d’incidenza bisognerebbe stringere il campo: impedirgli di invadere per salvaguardare lui e se stessi. Io non credo molto nel “maledettismo”, nel talento che arriva a fagocitare ogni istante di vita. E spesso mi sembra accentuato da un vizio di volontà quel malessere che – per un’opinione diffusa – dovrebbe accompagnarsi allo scrivere, ad esempio. Mi sono sempre chiesta: ma se un’occupazione porta sofferenza chi ci comanda di farla? Ci sono di certo mille altre attività meno faticose e, secondo il bisogno, chiunque sarebbe in grado di trovarne una… Se non ci stai bene come su una sedia comoda, perché mai restare, perché non alzarsi? Si invoca troppo spesso la necessità, il bisogno inconsulto. C’è stato un tempo in cui forse ci credevo anch’io, ma ero troppo giovane, troppo immatura, e scrivevo molto meno. Io potrei certamente vivere senza scrivere, sono onesta (forse sarei appena più infelice). E credo che chiunque ci riuscirebbe. La scrittura (se per un attimo vogliamo confonderla col talento) può essere parte di una vita (una parte importante), ma non dovrebbe possederla in blocco, costringerla. Il talento che deborda e invade, può provocare su una esistenza i disastri di una diga che non tiene.
Raymond Carver ha scritto: “ se siamo fortunati, non importa se scrittori o lettori, finiremo l’ultimo paio di righe di un racconto e ce ne resteremo seduti in silenzio.[…] Poi, dopo aver ripreso a respirare regolarmente ci ricomporremo, non importa se scrittori o lettori, ci alzeremo e […] passeremo alla prossima occupazione: la vita. Sempre la vita”.

@tutti:
buon fine settimana!

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 22:07 da Elisa Ruotolo


Mia carissima Elisa,
ho letto con commozione il tuo brano e sono scesa lentamente nel segreto di una scrittura che racconta e si racconta. Non solo perchè le cose prendono vita e s’immolano grevi, corpose, del segno che lasciano nel mondo. Ma perchè narrano con pietà e un rammarico quasi umano.
Un rimpianto detto al posto della voce.
E’ rarissimo saper fare parlare le cose come hai fatto tu, cara Elisa: la medaglia della Beata Vergine che oscilla e viene baciata, i petti lanosi, le magliette sudate, i gesti delle dita, la carta di salumeria e il chiodo che regge il calendario. La scrittura raccoglie i resti che lasciamo vivendo, quelli che nessuno guarderebbe, ma che ribatezza e rinomina con la potenza di una parola, di una visione, di una resurrezione.
E’ come un’anticiparice di un altro e diverso destino, perchè afferma ciò che è negato e nobilita ciò che è umile.
Una rivoluzionaria, la scrittura, e forse anche una giustiziatrice di soprusi, una santa e una profetessa. Ma bella, Elisa, di una bellezza che – quando, come col tuo brano – zampilla fuori, ha l’audacia di sovvertire i ruoli, di sfidare l’ombra e di ostinarsi a farsi ricordare.
Trovo che con i tuoi racconti si adempia il sogno di chi scrive: narrarsi attraverso altro, e quindi scomporsi e poi rincorrersi.
Raggiungersi.
Bravisisma.Un bacio col cuore a te e ai tuoi personaggi.

Postato sabato, 12 giugno 2010 alle 23:32 da simona lo iacono


Bello il brano proposto da Elisa nel link, così come tutto questo forum. Vi seguo sempre anche se intervengo quasi mai.
Saluti e buona domenica a tutti.

Postato domenica, 13 giugno 2010 alle 11:50 da Angela


Rieccomi dopo vicissitudini scolastiche casalinghe… tutto ok comunque!
Il titolo è evocativo davvero… la scrittura poetica.
Auguri ad Elisa.

I talenti… oggi ho letto una cosa che mi ha fatto riflettere.
Il talento era una moneta antica ed anche una unità di peso. Indicava – pensate – il peso che può trasportare una persona. Talento come peso, come responsabilità. Bellissimo! Ci pensavo proprio stamattina Un talento sopravvalutato è un peso troppo grande per spalle immature o troppo fragili. Un talento è come un grande potere che – Spiderman insegna – comporta grandi responsabilità.
Nella parabola dei talenti, chi mette a frutto i propri li raddoppia, mentre chi non porta neanche l’unico fardello affidatogli e lo seppellisce – vedete che bella metafora che usa Gesù… grande storyteller! – lo perde.

Postato domenica, 13 giugno 2010 alle 19:07 da Maria Lucia Riccioli


@Simona

Cara Simona,
potrei pensarci per ore, ma comunque rimarrei persa alle parole: forse perché le tue sono così belle e meditate da far sparire le mie… Per la generosità e l’entusiasmo, per aver trovato in quelle pagine il meglio che potessi desiderare e avergli dato spazio, grazie a cuore pieno.
Un bacio a te.

Postato domenica, 13 giugno 2010 alle 21:04 da Elisa Ruotolo


Ritengo il talento una prerogativa insita in ogni individuo ma, spesso, ignoriamo la nostra attitudine concentrando troppe energie su ciò che gli altri desiderano per noi. E’ un gran talento puntare sulla propria libera espressione pur rischiando di non essere compresi…meglio rischiare fino in fondo che essere degli illusi. E di certo nessuna medaglia può ripagare la seria ostinazione per raggiungere un obbiettivo… competere con se stessi significa saper dedicare il giusto tempo per delle prove di maturità. Grazie per lo spazio. Acquisterò il libro…adoro le novità letterarie.

Postato domenica, 13 giugno 2010 alle 21:51 da Anonimo


Carissima Sig.ra Elisa,
concordo in pieno col giudizio della Dottoressa Lo Iacono. Poche parole per il suo racconto: bellezza. Armonia.
Talento puro.
Un bravissima anche dal suo affezionato
Professor Emilio

Postato domenica, 13 giugno 2010 alle 21:53 da Emilio


Caro Massimo,
Se ho capito bene la tua domanda, chiedi se il talento per essere “protetto” sarebbe meglio farlo rimanere nel proprio ambiente, dentro i propri confini. Credo tu voglia dire geografici.
Proprio stamattina, mentre facevo colazione al bar col mio solito caffè, mi sono sentita irresistibilmente attratta da uno di quei televisori appesi ai muri dei locali pubblici: stava trasmettendo un emittente americana in lingua inglese: ho provato una strana sensazione. Il mio cervello sentiva il bisogno di respirare aria nuova, pulsava una mente desiderosa di sfondare i limiti di una forma abituale di pensiero, il protendersi verso forme nuove e sconosciute, come quando nel visitare nuove capitali si finisce dentro architetture mai viste, guarda che strani palazzi!, alzi lo sguardo e ti sbalordisce una chiesa, una piazza, fai un giro su te stesso e poi ti fermi ad osservare la gente, ti arriva sulla faccia l’atmosfera di quel luogo nuovo.
Esperienze necessarie per chi si nutre di novità e di contatti e di confronti, d’altra parte lo sai anche tu i pittori come gli scrittori sono in continuo movimento ed hanno necessità di annotare
Il più possibile.
Elisa è vero, ho preso quel treno. Fuggitiva. Ero stanca soprattutto di un sistema nel quale mi sentivo soffocare. Aria, e ho preso quel treno che passò puntualissimo: dapprima ho viaggiato in prima classe, pensa che in un vagone di lusso ci incontrai persino Battiato che mi disse “brava, davvero belli i tuoi disegni, hai della stoffa”, poi in seconda classe, qualche volta persino in terza, poi di nuovo in prima, il mio treno oltrepassò gallerie lunghissime – quasi cinque anni di analisi – , mi ritrovai con la luce negli occhi stupita da paesaggi straordinari; dallo scompartimento qualche volta vidi passare anche il prof. Emilio, ci salutammo con un cenno del capo appena abbozzato. E poi passò anche Massimo Maugeri ed altri che sarebbe troppo lungo elencare . Spesso mi sorprese anche la pioggia, qualche intemperie, poi di nuovo il sole, e la mia immagine riflessa sui vetri scorreva sulle rotaie. A qualche fermata sentivo una voce che mi urlava “scendereeeeee”, qualche volta l’ho fatto, ma in fretta, non ho mai voluto fermarmi a lungo e li lasciavo lì sotto la pensilina della stazione ad agitare il loro fazzoletto bianco per salutarmi.
Elisa non so dove mi condurrà questo treno, non conosco la meta finale. Che il Cielo mi aiuti!
Leggerò il tuo libro. Baci. Rossella.

Postato domenica, 13 giugno 2010 alle 22:01 da Rossella


Cosa accade (o rischia di accadere) quando ci si affida a un talento sopravvalutato?

Fino a che punto è giusto dare spazio al proprio talento?

Si potesse sempre dire che lo spazio l’hanno solo i talenti! Che meraviglia sarebbe per l’arte. Certo, si potrebbe sbagliare nella valutazione, ma l’errore, infine, farebbe parte del bellissimo gioco.

C’è un limite entro cui è meglio fermarsi da soli, o bisogna sempre attendere che siano la vita e gli eventi a sbarrare la strada?

Bisognerebbe sapersi fermare se in grado di farlo. La vita potrebbe farlo con violenza. Oppure la certezza del proprio talento è tale che nulla, neppure un evento contrario dovrebbe condizionarlo.

La forza di volontà, può migliorare il talento… o può soltanto supportarlo?
Certamente rende più possibile che sia conosciuto.

Ed è più grande la delusione dell’insuccesso, o il rammarico di non averci provato
Successo e insuccesso sono punti di vista che andrebbero chiariti e poi dibattuti. Per esempio se il pubblico che viene a teatro a vedee i miei lavori è felicissimo io non posso che pensare di essere un’artista di successo, ma se non viene un critico di teatro e i giornali non ne parlano io potrei pensare di non avere avuto successo. Il talento non può tacere e va…comunque.

Per il libro di Elisa, purtroppo non l’ho letto. E spero di poterlo fare presto.

Postato domenica, 13 giugno 2010 alle 22:05 da Maria Inversi


elisa ruotolo è per me una bellissima novità, caro massimo. tu sai che noi del terzo anno di lettere moderne siamo altezzosi nei gusti , nè ci scomponiamo troppo per certe novità editoriali che paiono costruite a tavolino. ma questa scrittice ci disarma per una qualità rara, un’umiltà nell’approccio col dire che riluce di verità e spiritualità. credo che questo tipo di scrittura possa basarsi solo su un solco umano tratteggiato e pieno di senso. ci siamo passati parola, caro massimo, e compreremo questo libro. a elisa ruotolo vorrei (vorremmo) consegnare una speranza e forse anche un sogno: che questo spasimo della sua lingua rimanga ondeggiante, piangente, sempre così perduto. noi pure vorremmo scrivere così. un bacio da dora (sotto esami di sessione estiva)

Postato domenica, 13 giugno 2010 alle 22:16 da terzo anno di lettere moderne


Complimeti ad Elisa Ruotolo per il libro ed a tutti per le cose che avete detto.
Riflettevo sul rapporto tra “talento” e “potere”, soprattutto oggi. Sono arrivato alla conclusione che il “potere” cerca di assoggettare il “talento”, di usarlo ai propri fini. E quasi sempre ci riesce.

Postato domenica, 13 giugno 2010 alle 23:04 da Luca


Cosa ne pensate voi? Che relazione c’è tra talento e potere?
Ciao a Tutti.

Postato domenica, 13 giugno 2010 alle 23:05 da Luca


faccio ancora in tempo a rispondere alla domande? Ci provo.

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 12:53 da filippo deni


Cosa accade (o rischia di accadere) quando ci si affida a un talento sopravvalutato?
come hanno già risposto in molti, si rischiano frustrazioni. sono d’accordo.
bisognerebbe però distinguere se il talento è sopravvalutato più dagli altri o da se stessi. La seconda ipotesi, secondo me, è la più “grave”.

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 12:55 da filippo deni


Fino a che punto è giusto dare spazio al proprio talento? C’è un limite entro cui è meglio fermarsi da soli, o bisogna sempre attendere che siano la vita e gli eventi a sbarrare la strada?
meglio fermarsi da soli, secondo me. si eviterebbe il trauma di essere fermati dalla vita e dagli eventi.
ma chi è in grado di fermarsi da solo? credo chi abbia maggiore coscienza e consapevolezza di se stessi e dei propri limiti.

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 12:57 da filippo deni


La forza di volontà, può migliorare il talento… o può soltanto supportarlo?
la forza di volontà può far fruttare il talento, non credo possa migliorarlo.

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 12:57 da filippo deni


Ed è più grande la delusione dell’insuccesso, o il rammarico di non averci provato?
Molti hanno optato per la seconda. Non lo so. Dipende. Ricordo che ci sono diversi casi di persone che si sono tolti la vita di fronte all’insuccesso. In letteratura mi viene in mente il caso di Morselli.

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 12:59 da filippo deni


Saluti a tutti e tanti auguri ad Elisa Ruotolo.

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 12:59 da filippo deni


vorrei contribuire alla discussione inserendo alcuni aforismi sul “talento”.
Maria Leggio

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:08 da aforismi sul talento


Avere del talento significa capire che si può fare di meglio.

(Antoine Albalat, L’arte di scrivere, 1900)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:09 da aforismi sul talento


Fare agevolmente ciò che riesce difficile agli altri, ecco il talento; fare ciò che riesce impossibile al talento, ecco il genio.

(Henri Frédéric Amiel, Diario intimo, 1839/81 – postumo, 1976/94)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:09 da aforismi sul talento


La misura del talento non è ciò che vuoi ma ciò che puoi. L’ambizione indica solo il carattere dell’uomo, il sigillo del maestro è l’esecuzione.

(Henri Frédéric Amiel, Diario intimo, 1839/81 – postumo, 1976/94)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:10 da aforismi sul talento


Senza ambizione non c’è talento.

(Nina Berberova, L’accompagnatrice, 1987)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:10 da aforismi sul talento


La fortuna di avere talento non è sufficiente; bisogna avere anche il talento di avere fortuna.

(Hector Berlioz)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:11 da aforismi sul talento


Molti talenti si sono persi nella nostra società, unicamente perché questi talenti portavano una gonna.

(Shirley Chisholm, Unbought and Unbossed, 1970)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:11 da aforismi sul talento


La mediocrità non conosce nulla di superiore a sé stessa, ma il talento riconosce immediatamente il genio.

(Arthur Conan Doyle, La valle della paura, 1915)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:11 da aforismi sul talento


L’originalità è un trucco di cui si serve la gente priva di talento per far colpo su altra gente senza talento, e per difendersi dalla gente di talento.

(William Gaddis, Le perizie, 1955)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:12 da aforismi sul talento


Chi è nato con un talento, e per esplicare un talento, ritrova in esso la sua più bella esistenza.

(Johann Wolfgang Goethe, Wilhelm Meister, 1777/85)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:12 da aforismi sul talento


Il talento si sviluppa nel ritiro; il carattere si forma nel tumulto del mondo.

(Johann Wolfgang Goethe, Torquato Tasso, 1790)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:13 da aforismi sul talento


Avere del talento è avere fede in sé stessi e nelle proprie forze.

(Maksim Gorkij, Bassifondi, 1902)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:13 da aforismi sul talento


I grandi artisti hanno probabilità nel loro talento e del talento nella loro probabilità.

(Victor Hugo, Oceano, 1989 – postumo)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:14 da aforismi sul talento


Non c’è sostituto per il talento. la laboriosità e tutte le virtù non servono a nulla.

(Aldous Huxley, Punto contro punto, 1928)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:14 da aforismi sul talento


Aver talento − essere un talento: due cose che vengono sempre confuse.

(Karl Kraus, Detti e contraddetti, 1909)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:15 da aforismi sul talento


Il momento in cui si riconosce la propria mancanza di talento è un lampo di genio.

(Stanislaw Jerzy Lec, Pensieri spettinati, 1957)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:15 da aforismi sul talento


Il talento è ciò che è in potere dell’uomo; il genio è ciò che ha l’uomo in suo potere.

(James Russell Lowell, Saggi letterari, 1864)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:15 da aforismi sul talento


Quel che uno è comincia a rivelarsi quando il suo talento scema – quando egli cessa di mostrare quel che “può”. Il talento è anche un ornamento; un ornamento è anche un mezzo per nascondersi.

(Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male, 1886)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:16 da aforismi sul talento


Il talento è una questione di quantità. Talento non è scrivere una pagina, e scriverne trecento.

(Jules Renard, Diario, 1887/1910 – postumo, 1925-27)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:16 da aforismi sul talento


Il genio impara solo da se stesso, il talento soprattutto dagli altri.

(Arnold Schönberg, Problemi dell’insegnamento dell’arte)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:17 da aforismi sul talento


La gente comune si preoccupa unicamente di passare il tempo; chi ha un qualche talento pensa invece a utilizzarlo.

(Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena, 1851)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:17 da aforismi sul talento


Il talento senza genio è poca cosa. Il genio senza talento è nulla.

(Paul Valéry, Mélange, 1939)

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 14:17 da aforismi sul talento


@Dora:
Cara Dora,
sai, le tue parole mi hanno riportata indietro: a quando passavo le belle giornate a studiare gli ultimi esami prima di poter dire estate. Grazie per la tua fiducia e quella dei tuoi colleghi di università. Mette allegria pensare che leggerete, magari appena fuori dai doveri accademici.
Non dimenticherò ciò che mi hai scritto, anzi, quando sarà il momento me ne servirò per battere la sfiducia.
Grazie ancora, Dora. E grazie ai tuoi amici. Di cuore.
Un abbraccio forte e in bocca al lupo per gli esami!

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 21:19 da Elisa Ruotolo


@ Massimo:
ti sono molto grata per questo spazio: il tuo blog ha il privilegio di essere frequentato da persone splendide…

Postato lunedì, 14 giugno 2010 alle 21:23 da Elisa Ruotolo


Grazie mille, Elisa. Per me è stato un vero piacere averti potuta ospitare.

Postato martedì, 15 giugno 2010 alle 00:06 da Massimo Maugeri


Ne approfitto per scusarmi con tutti per la scarsa presenza, ma sono alle prese con la classica influenza estiva (con tanto di febbre, ecc.).

Postato martedì, 15 giugno 2010 alle 00:07 da Massimo Maugeri


Ringrazio e saluto i nuovi intervenuti: blogolonelbuio, Cristina Bove, Lucy, Roberta Magri, Giuseppe Della Monica, Farinata, Vincenza Alfano, Angela, Maria Lucia, Dora, Maria Inversi, Luca, Filippo Deni, aforismi sul talento.
Grazie davvero a tutti.
(Spero di non aver dimenticato nessuno).

Postato martedì, 15 giugno 2010 alle 00:11 da Massimo Maugeri


E grazie, ovviamente, a tutti coloro che sono tornati a intervenire.
Ho letto splendidi commenti (e scusatemi se non interagisco come vorrei… ma lo stato di forma è quello che è).

Postato martedì, 15 giugno 2010 alle 00:13 da Massimo Maugeri


La discussione rimane aperta.
-
A tutti voi, una serena notte.

Postato martedì, 15 giugno 2010 alle 00:13 da Massimo Maugeri


“Il talento è la punta estrema del senso pratico.”
Jean Cocteau
Non so quanto sia vero, ma mi ha colpito.
Ciao Massimo, rimettiti presto.
Buona giornata a te e a tutti i tuoi ospiti.

Postato martedì, 15 giugno 2010 alle 07:43 da cristina bove


@Massimo:
Caro Massimo,
mi spiace molto e spero ti rimetta presto.
Un abbraccio.

@tutti:
E’ stato un piacere ascoltarvi e parlarvi.
Un caro saluto a voi sperando di risentirci, in qualche maniera.
Elisa

Postato martedì, 15 giugno 2010 alle 20:54 da Elisa Ruotolo


Massimo mi ha incaricato, in qualità di suo portavoce, di far sapere che la degenza sarà un po’ lunghetta. Ha preso gli orecchioni e alla suà età può essere pericoloso.

Postato martedì, 15 giugno 2010 alle 22:03 da Salvo Zappulla


Trattasi di semplice influenza, caro Salvo.
Gli orecchioni li hai presi tu, con tutti gli effetti collaterali inclusi.
Un abbraccio a Elisa (a Cristina e a tutti). ;)

Postato martedì, 15 giugno 2010 alle 22:34 da Massimo Maugeri


Salve sig.ra Ruotolo, salve a tutti,
spero che mi sia perdonato il fatto che vi scrivo per andare fuori argomento rispetto alle tematiche qui affrontate.
Ecco.
Poiche’ la forma che prediligo e’ quella del racconto – e questo libro ne e’ una raccolta – mi sono venute in mente alcune cosette:
1) In genere gli editori italiani non pubblicano raccolte di racconti.
2) Esiste la generale convinzione che le raccolte di racconti non vendano bene in libreria.
3) Sono personalmente convinto del fatto che in realta’ i racconti siano amati da molti lettori.
Dunque.
Da cio’ mi e’ venuto in mente di proporre a Letteratitudine quanto segue:
perche’ non proviamo a dedicare un post esclusivamente al fine di verificare quanti, fra i lettori di Letteratitudine, leggono dei racconti?
Potrebbe darsi che gli editori abbiano ragione. Ma il risultato di questa specie di sondaggio potrebbe invece rivelare dei dati che gli editori italiani non conoscono.
Cosa ne pensate tutti – in primis Massimo ovviamente?
Saluti Cari
Sergio Sozi

Postato martedì, 15 giugno 2010 alle 23:40 da Sergio Sozi


Caro Sergio,
raccolgo il tuo appello…
Ho appena ri-messo in primo piano questo post:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/06/16/a-proposito-di-racconti/

Postato mercoledì, 16 giugno 2010 alle 22:35 da Massimo Maugeri


Visto: grazie, a nome della ”genia” dei novellisti! E ora speriamo di sfatare un ”mito negativo” – quello che i racconti non si vendono in libreria.

Postato mercoledì, 16 giugno 2010 alle 23:34 da Sergio Sozi


Complimenti, Elisa e ad maiora! (traduco, al tuo prossimo lavoro)
Un bacio.
c

Postato lunedì, 21 giugno 2010 alle 23:29 da cynthia collu


Già mi era capitato di leggere dei racconti di questa scrittrice ed incuriosita dalla sua capacità di sapermi coinvolgere ho preso il suo libro. L’ho letto d’un fiato come sempre perché adoro il suo stile realistico che mi trascina nel mondo dei suoi personaggi semplici ma nello stesso tempo eroici. Complimenti ed ovviamente non vedo l’ora di leggere il prossimo!!!

Postato martedì, 6 luglio 2010 alle 16:05 da Giusy


Un saluto a Cynthia e Giusy.

Postato martedì, 6 luglio 2010 alle 22:35 da Massimo Maugeri



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